mercoledì 31 agosto 2011

Ogni giorno ogni ora - con tazzina di caffè.



"Ecco come può essere semplice la vita". Commenta a un certo punto la scrittrice croata Nataša Dragnić in questo romanzo che si chiama Ogni giorno, ogni ora.

L'ho letto a giugno, quando è uscito per Feltrinelli, sul treno, d'un fiato e trattenendo il respiro come prima di un tuffo nel mare freddo. Che in effetti spunta in copertina azzurro, celeste, immenso e inequivocabile.

L'ho letto correndo alla massima velocità, quando faceva ancora fresco, ben sapendo che l'estate era lì che ci guardava ridendo, sperando di sfuggirle, di non farmi trovare, di continuare sparata nelle mie attività, e invece lei era già lì dietro l'angolo: spavalda, pronta a travolgerci tutti. Era un momento in cui a tutto avrei pensato, tranne che a certe emozioni, certe sensazioni, certi stati d'animo che invece questo libro scatena con potenza. E si scopre che la vita non è poi così semplice, ma quando lo diventa tutto si fa chiaro.

Un amore, quello tra Dora e Luka, che nasce nell'infanzia. Già questo colpisce in profondità. Nell'infanzia vera, prima delle elementari. Quando già esiste tutto: la comprensione, il dialogo, l'affetto, la solidarietà tra bambini, la sincerità e le affinità elettive.

A me interessa moltissimo questo argomento, così universale, ma spesso dimenticato, dei sentimenti dei bambini, di come funzionano le cose realmente tra i bambini, di quanto possa essere reale un rapporto umano tra di loro.

Poi l'amore di Luka e Dora continua. Si spezza, si ricompone, si arrampica in uno stile di scrittura che non lascia tregua né appunto respiro, ma ne determina uno nuovo cui adeguarsi.

Personalmente, ho guardato questo libro come si osserva un gioiello, una perla rara, una statua perfetta: qualcosa di palpitante e unico: una storia che trasforma in possibile tutto quello che ho sempre pensato impossibile: l'amore che dura tutta la vita, ogni giorno, ogni ora.

Alla fine ho capito una cosa: sono davvero pochi gli amori che continuano a vivere tutti i giorni, che non finiscono, che rinascono, come il cielo e il mare inesauribile, però questo romanzo ti fa credere che una qualche speranza esista e ciascuno può adattarla alle proprie esigenze.

Per quel che vi può interessare: questa notte ad esempio ho sognato di aprire un cassetto e trovarci dentro centinaia di biglie di vetro colorate. Le mie biglie, quelle che collezionavo da bambina. Le toccavo e le riconoscevo. Erano ancora lì. C'è qualcosa in effetti che non finisce mai.

Che sia amore o anche solo un cassetto di biglie: buona lettura a voi :)


lunedì 29 agosto 2011

Il gioco del mondo - con tazzina di caffè.




Chiudete gli occhi. Preparatevi un caffè. Non certo però in questo preciso ordine.

Cercate uno o due segnalibri perché vi saranno indispensabili. E una matita, se vi piace sottolineare o fare disegnini ai margini o prendere forse inutili appunti. Se invece avete l'eBook, il gioco è fatto, sarà un gioco da ragazzi etc. etc.

Si comincia. Il gioco del mondo - Rayuela di Julio Cortázar, editore Einaudi. Questo libro, l'avrete capito, è tutto un immenso gioco. Si può scegliere di leggerlo secondo un ordine diverso da quello tradizionale. Si può ad esempio saltare dal capitolo 4 al 71 senza problemi, continuando a capire (o non capire) tutto, senza che nessuno vi sgridi o si offenda per questo. L'ideale sarebbe leggerlo all'aria aperta, annaspando & compulsando da una pagina all'altra neanche fosse una storia a bivio di Topolino. Ma se vi trovate accidentalmente in un luogo chiuso: secondo me va bene lo stesso.

C'è una trama all'incirca, ma ve la lascio scoprire. C'è una città che è Parigi. E c'è una specie di amore. Poi c'è un'altra città, che è Buenos Aires. E c'è una Maga e ci sono i suoi incontri con Horacio Oliveira, il quale il gioco del mondo lo gioca in prima persona e vi costringerà a saltare i famosi capitoli e poi tornare indietro di continuo e senza neppure lanciare il gessetto.

"Ma che cos'è in fondo questa storia di trovare un regno millenario, un eden, un altro mondo? (...) Afferrando una tazzina da caffè e guardandola da tutti i lati, non già come una tazza ma come una testimonianza della immensa bestialità* in cui siamo sprofondati tutti quanti, credere che questo oggetto sia niente altro che una tazzina da caffè quando il più idiota dei giornalisti incaricato di riassumerci i quanta, i Plank e Heisenberg, si ammazza per spiegarci su tre colonne che tutto vibra e trema ed è come un gatto pronto a dare l'enorme balzo d'idrogeno e cobalto che ci manderà tutti quanti a gambe levate. Una maniera davvero volgare d'esprimersi. La tazzina da caffè è bianca, il buon selvaggio è marrone, Plank era un tedesco formidabile. Dietro a tutto questo (sempre dietro, dobbiamo convincerci che questa è la chiave del pensiero moderno) il Paradiso*, l'altro mondo, l'innocenza calpestata che oscuramente cerchiamo piangendo, la terra di Hurqualaya".

(oops: corsivi miei eh!)

Dunque: buona lettura. E ricordate che questo romanzo è come un gioco: non c'è molto altro da sapere.


:)

* * mucche al pascolo: le ho viste ieri!


giovedì 25 agosto 2011

Near, far...



Gli esami del sangue!

Gli esami del sangue: quell'innocente pizzichino e via. Quel "già finitooooo"? che velocità! Quel maxi colazione al bar con cappuccino e croissant? Quel "credevo peggio"...

Ah. Che cosa bella, che cosa innocente, che cosa sana e giusta, che cosa "c'è di peggio nella vita"! Che cosa utile alla salute.

Oggi ad esempio: è capitato proprio a me. Che fortuna. E quindi "tranquilla" e fintamente beata me ne parto early in the morning a digiuno, verso l'ospedale. Sola, perché voglio mettermi alla prova e affrontare le cose da adulta quale io in effetti sono. E piena, pienissima di coraggio.

Ce l'ho messa proprio tutta a non avere paura. Ho fatto tutto quanto in mio potere per tenere a bada la tachicardia etcetera.

Però, santo cielo, succede che come infermiera capita lei; Gilda, piantata sulla seggiola dall'altra parte del tavolino, come una matrona bionda, nel sul piccolo abitacolo verdino, infingardamente paciosa, strabica e assassina che canta con vistose stonature: Near, far, wherever you are...

Entro tremando e imbastendo un'inutile conversazione:

- Titanic!
- ...
- Hehe.
- ...
- Mi fa schifo questa canzone!
- Ahhhhhhhhh. Certo. Hehe.
- La canto solo perché la danno alla radio.
- Ahhhhhhhh. Certissimo. Hehe.
- In realtà io ascolto Bruno Mars.
- Okkey. He he.

E mi siedo.

- Eheh. Eh. Che sciocco avere paura degli aghi: a trentunanni!
- A me piacciono gli aghi.
- Certo. Per lavoro...
- No mi piacciono IN GENERALE.
- Okkey. h e h e.

Parte il prelievo. Sono un bel po' di provette: un super controllo globale-totale.

(mi viene da piangere perché non si trova facilmente la vena e poi quando si trova Gilda infilza senza alcuna pietà).

- Sei sposata?
- No.
- Neanch'io. Ma perché non ho i soldi, se no lo farei.
- Ahhhh. Certo. Hem.

(io lì pregavo in cinese: perché davvero, davvero, davvero non finiva più).

Quando finisce. Una tregua: voglio vedere le cose belle, la vita mi sorride, sono in finta estasi.

- Grazie!
- Mah, essendo giovane non so, non è che ho molta esperienza.
- No no, è andata bene, meglio così che con persone magari più anziane, stanche.

(ma che ca**o dico?)

- NO, ad esempio la mia collega di là è anziana ma bravissima.
- Di là? Di là c'è un uomo!
- Un uomo?
- Sì, un dottore: faceva il prelievo a una bambina mentre ero in coda.
- Ma davvero? Andiamo a vedere. Perché vorrebbe dire che la mia collega non c'è più, è uscita prima.

Ci alziamo. L'uomo che credevo di aver visto in effetti è una donna.

- Mi scusi credevo fosse un uomo!

E me ne vado così come ero venuta, con alcuni litri di sangue in meno. Indietreggiando. Spossata nel corpo e nello spirito.

Dopo il salasso, cerco un baretto per non strisciare fino a casa sulla pancia e lì, nel baretto, la barista mi chiede se per caso volessi un cappuccino d'orzo, rifiutato dalla cliente precedente, ma appena fatto e, mi garantisce, davvero davvero buono. Accetto.

Nel mentre sento un dolorino. Guardo per la prima volta il cotone: si è impregnato del mio sangue. Alzo: è gonfio, gonfissimo e ho male. Corro in farmacia.

La farmacista, con lo sguardo del terrore, mi avverte che tutto quello è p e r i c o l o s i s s i m o ma poi si giustifica confessando di essere un tantino troppo ansiosa.

La salvezza arriva infine nel pomeriggio, quando il mio dottore mi spiega che è una piccola flebite: può capitare dopo un prelievo del genere. La simpatia è che tra gli esami, c'era proprio quello per scoprire eventuali predisposizioni genetiche a faccende venose tipo flebiti e trombosi etc. etc. (è routine genetica, do not worry, non è cosa grave :) ed esse in effetti però magicamente compaiono dopo il prelievo, a causa dell'ago!

Bello. Ma se, come mi ha informata il medico, il braccio non dovesse staccarsi nella notte, vorrebbe dire che è tutto okkey. Cosa tuttavia potrei augurare alla allegra e canterina vampira fachira misery-non-deve-morire-Gilda? Ma tante, tante, davvero tante care cose!

Near, far, wherever you are.

mercoledì 24 agosto 2011

Camping tales - storie da campeggio - piazzola #1

I milanesi.

Sono già lì da tempo. Stabili, stabilizzati. La loro è la piazzola più bella, più ombreggiata, più ordinata, più ampia, la numero uno.

In quanto torinesi, noi guardiamo a loro con curiosità, fascinazione, e irrimediabile sospetto savoiardo.

Mangiano frutta con inarrivabile eleganza. Lei, la ragazza, la donna che - penso subito - avrà più di quarantanni dimostrandone meno di trenta - taglia il kiwi con arguzia dolce e chirurgica insieme. Non si sporca.

Lui avrà almeno tre magliette di Emergency. La loro tenda è alta: non c'è bisogno di piegarsi.

Il tavolino bianco a quadretti è così. Così perfetto: ne vorrei uno uguale. Non parlano. Cenano in semi-silenzio. Dopo cena: hanno una lampada che domina come la luna - vittoriosa - sulle nostre piccole candele alla citronella, che invece si spengono tutte in coro al primo soffio di vento.

Al chiaro di lampada, loro giocano a carte, leggono, anzi sfogliano distrattamente eppure concentrati i loro libri misteriosi. Meditano, chissà su cosa: contano le stelle, conoscono l'enigma dello stare al mondo, ripassano le leggi della Sapienza.

Fantastico su di loro: "vivranno in tenda. Sono medici senza frontiere e volontari di Emergency. Si nutrono solo di cibi crudi, che coltivano da sé, in un punto segreto del campeggio inaccessibile agli altri, di cui custodiscono la chiave, in oro zecchino. Non parlano tra loro perché in quel momento ricordano, in inesorabile sincrono, quella volta in cui hanno salvato la vita a quello splendido bambino etc. etc."

Mi vergogno.

Del mio disordine, dei mie difetti, delle mie infradito che scoprono non soltanto i miei piedi ma anche la mia inadeguatezza. Mi sembrano così grandi, così onesti e puliti, così giusti, così anche non so milanesi. Il campeggio è un po' come un reality (sic.), in cui i concorrenti solitamente dichiarano: "è tutto amplificato": qualsiasi cosa ciò di preciso significhi.

Una sera però parliamo.

Si avvicinano alla nostra piazzola perché una biscia - no no no non una vipera: voglio crederlo, anche perché lui, il milanese, ci spiega subito che al mare le vipere non ci sono e se lo dice lui è sicuramente vero - si mette a transitare su un comune muretto.

Al mio grido sommesso: arrivano. Li temo: dovrò trovare qualcosa di intelligente e superiore da dire, ma la paura del serpente mi pietrifica.

Allontanato il rettile, anche grazie al pronto intervento dello Svizzero, ecco le presentazioni.

Francesco e Cristina. Piazzola #1

Afferro una tazza di tisana: da tenere in mano, come fosse un rassicurante bicchiere di birra in una serata tra amici, per darmi sicurezza e un tono da esperta della vita.

Si scopre che anche loro in realtà: sono normali, non perfetti, non santi. Non vivono in tenda, ad esempio. Stanno in una casa per la maggior parte del tempo. La ragazza, Cristina, è timida tanto per dirne una, ed è precaria: sta finendo la seconda università, non solo per virtuosismo, ma anche perché non trovava lavoro. Francesco in effetti ha un gran bel mestiere invece, ma mangia anche cibi cotti e forse anche dolci e fagioli in scatola! e per il momento: non ha salvato nessuna vita umana. E non vivono nemmeno a Milano: bensì in un ridente paesino limitrofo. Poi sono più giovani di quel che credessi: e a me sembravano così vasti, così irraggiungibili.

La violenza dell'immaginazione!

lunedì 22 agosto 2011

Rafting.




Adventure Center - La Salle - Valle d'Aosta.

Prendete una persona per la quale ad esempio anche solo un piccolo ragnetto prataiolo cucciolo e spaurito che arranca nel terrore su una parete casalinga diventa un mostro-peloso-maledetto-assassino-immondo-selvaggio-cattivo e le vengono in certi casi anche le palpitazioni. Una persona per la quale anche solo un'ombra strana sul muro sovente è motivo di angoscia. Una che si alza dalla sedia a ogni - ogni - passaggio in volo di vespa durante tutti i tipi di pic-nic o scampagnata.

Una persona che ha paura spesse volte anche di attraversare una strada a Torino ad agosto con il verde. Una che in generale ha paura di molte cose, sente la paura, teme la paura, soccombe alla paura. Prendete dunque quella povera persona e scaraventatela giù dalle rapide di un fiume montano senza pietà in una tranquilla domenica di agosto: con un caschetto in testa, una muta da sub, una giacca di plastica, un salvagente extra large e avrete me, ieri, sulla Dora, insieme a un allegro gruppetto di amici e simpatiche guide argentine della Patagonia.

Sì, bè, niente di che, si può fare.

;)

E lo consiglio a tutti! (non fatevi scoraggiare dal foglio che si firma prima dell'inizio, in cui si dichiara di essere, tra le altre cose, psichicamente sani: crocettate con sicurezza sul sì: non è certo quello il momento di farsi troppe domande sulla faccenda).

L'avventura vale davvero il viaggio e la spesa. C'è tutta un'atmosfera un po' di cautela e guardinga all'inizio, in cui si viene bardati come per esercitazioni militari e viene spiegato cosa fare in caso di c a d u t a n e l f i u m e. Ma non si cade così spesso.

Quando poi ci si ritrova, dopo mille premure, spiegazioni, simulazioni etc. etc. e un viaggetto a cinquanta gradi celsius su un pullman azzurro che definire scrauso è un complimento: quando per la prima volta (eravamo tutti inesperti!) ci si ritrova lì sotto, con il remo tra le mani, appollaiati sul bordo del gommone e le montagne lassù che ti guardano e il fiume bianco che scorre, scroscia, corre forte: è bellissimo.

Tu, l'acqua fredda, il remo, la guida e gli amici diventate una cosa sola. Una piccola squadra che ce la deve fare.

E l'acqua è dolce. Quando vuole: è infinitamente dolce.

sotto: tazzina valdostana più pizza e birretta che senza dubbio vi aiuterà a rifocillarvi dopo la discesa.


mercoledì 17 agosto 2011

Cosa ci facevamo lì?


Perché mettere la sveglia all'alba e partire da Porta Palazzo - Torino - in direzione Reggia - Venaria, in un qualsiasi pomeriggio di mezza estate, con la mia amica Ilaria Urbinati?

Suspance. Hehe.

No, non solo per puro divertimento e no, non solo per sfuggire alla canicola agostana, alla solitudine agostana, all'ansia agostana, al panico agostano, alla suprema tristezza agostana, ai dubbi esistenziali agostani, all'ipocondria agostana, al terrore agostano, al male agostano, al deserto torinese-agostano: che pure, ne converrete, sarebbero già motivi più che validi.

Eravamo lì anche per una ragione serissima e precisissima e al tempo stesso particolarmente divertente: che per il momento è ancora un piccolo segreto.

:)

Ma dicevamo: partenza all'alba, che poi forse erano le nove, ma in agosto, il mese più freddo dell'anno etc. etc. anche una piccola cosa può diventare un grande trauma.

Riconoscendoci a stento tra le vecchiette assatanate col carrello e gli allegri spacciatori mai stanchi del più famoso e raccomandabile mercato della città: abbiamo guadagnato la fermata del bus 11, facendo anche impietosire un distinto passeggero siciliano che ci ha indicato con sicumera dove scendere.

Quindi scendiamo e ci si prospetta una dolce petit dejeuner tipica del luogo: ovvero croissant, spremuta e cappuccino :P


Percorriamo poi liete la bellissima Via Mensa: da vedere per chi passa da queste parti: una incantevole via di accesso alla Reggia, sognante, viva e costeggiata da ristorantini, negozietti e gelati.

E siamo alla biglietteria.

Lì è sorprendente notare i molti turisti: Piemonte e brulicante vivacità non è mai stato un binomio immediato: e invece in quella biglietteria vediamo sovvertite le più comuni leggi della sabaudità. Sarà forse perché la Reggia intorno al Settecento era adibita a luogo di piacere, feste e ricevimenti? Ed è stata restaurata così meravigliosamente alla fine dei nostri anni Novanta? Ed è uno dei luoghi più suggestivi ed eleganti d'Italia? Può essere. Chissà. Lasciamo ai giovani posteri l'ardua decisione.

Noi intanto entriamo e ci accoglie il famoso cielo di Venaria. Alto e gentile: ci costringe a guardarlo di continuo. Facciamo il percorso di visita, ci imbattiamo nei mille-duemila Savoia tutti ritratti ahimè fin troppo fedelmente (nasi compresi) in pose licenziose e vanesie; e nei fantastici, spesse volte inquietanti, allestimenti di Peter Greenaway che riproducono le antiche atmosfere del luogo.

Non perdetevi, ad esempio, la Baronessa e il suo cagnolino cupido.


Sprezzanti dei cinquanta gradi all'ombra delle tre del pomeriggio (agostano), dopo il tragitto interno e dopo aver fatto le scivolate quando non ci vedeva nessuno lungo il corridoio a scacchi, eccoci sbucare nei Giardini.

Affrontiamo con mesto coraggio e senza il cappellino il Potager Royal - 10 ettari di orti e frutteti in piena under construction. Siamo noi, due signore forse inglesi con l'ombrello, e centinaia di bombi - secondo la dotta definizione di Ilaria - ovvero piccoli simil-calabroni però tondi di peluche che non pungono e si posano solo sui fiori: adorabili!

Visti e visitati tutti i punti salienti del grande parco - con la cartina! - cerchiamo un paradisiaco luogo per un frugale pic-nic. E lo troviamo. Vi dico che da solo vale la spesa del biglietto: e non è uno scherzo.

Attimi di silenzio (spezzati solo da corpulenta madama che non accennava a smettere di richiamare con impunita e gracchiante insistenza il suo parishiltoniano chiwawa con collarino di diamanti) e magia.

Da fare, amici sabaudi e non. Da scoprire: perché la Reggia offre davvero scenari e sensazioni rilassanti, molto piacevoli.

E se volete saperne di più, comunque, restate collegati, prossimamente, su questi stessi blog :P

Intanto: buon metà settimana di metà agosto a tutti!







martedì 16 agosto 2011

Primo amore e altri affanni e tazzina di caffè.




Harold Brodkey è uno "scrittore statunitense" nato nel 1930 nell'Illinois, vissuto a New York, morto nel 1996. A gennaio scorso Fandango ha pubblicato questa sua raccolta di racconti Primo amore e altri affanni, apparsa per la prima volta nel 1958.
Sono nove racconti più un Extra - tradotto da Sandro Veronesi.

Racconti minimi e perfetti, a partire dai titoli, levigati come sassi sulla spiaggia* e altrettanto pericolosi, se visti arrivare da una certa angolatura. Perché qui amore e affanno camminano paralleli in binari che si incontrano di continuo, si incrociano, si mischiano per poi riallontanarsi e ripartire dall'inizio.

Un po' come è la vita, ma descritta e rifinita da un vero maestro della scrittura, della frase, dell'intuizione e della capacità di vedere come va il mondo.


1) Lo stato di grazia. "Esiste una particolare gradazione di mattoni rossi - un rosso cupo, quasi melodioso, profondo e venato di blu - che è la mia infanzia a St. Louis". Guardate dentro quei mattoni rossi e scoprite come si edificano le storie umane.

2) Primo amore e altri affanni. Qui ci sono più amori e insieme uno solo: le diverse facce dell'amore, quello che l'amore muove, tutte le conseguenze dell'amore. E come se non bastasse: alcuni, solo all'apparenza insignificanti dettagli, che portano a chiederti: cosa sarebbe il cielo notturno senza anche una sola delle sue piccole stelle? "Strappai un grappolo di lillà e lo odorai, ma poi non seppi più che farmene; non volevo gettarlo via, e alla fine me lo ficcai nella tasca dei pantaloni".

3) La lite. Nonostante il titolo, o forse proprio a giudicare dal titolo: qui si parla di amicizia. Quell'amicizia primordiale, in cui si forma la massa duttile delle persone e prende un certo assetto che nel corso di tutte le vicende future resterà intatto come una piega sulle mani, come la curvatura di un occhio. E qui si osserva anche al microscopio come l'amicizia, al pari dell'amore, sappia trasformarsi in dolore vero e nell'affanno del titolo: in questo racconto si vedono un po' tutti i risvolti di tutto. E continuano quei particolari: "Per disperazione, cominciammo a lavorare al castello di sabbia. Le torri si moltiplicarono, si moltiplicarono i fossati e i ponti, si alzarono pinnacoli, ziggurat babilonesi, piramidi maya, campanili cristiani, piramidi egizie, minareti arabi. Il nostro castello diventò una città. La città cominciò a espandersi sulla spiaggia metro per metro, sempre più imponente, sempre più malinconica".

4) Educazione sentimentale. L'omaggio a Flaubert c'è e si vede. In effetti la penultima frase del racconto precedente diceva: "La gentilezza della Francia si diffondeva intorno a noi come la notte che stava scendendo". E proprio Madame Bovary è tra i libri preferiti della giovane protagonista femminile del racconto... Qui c'è l'amore complicato di certe età della vita. Semplicemente straziante.

5) Allo specchio. Laurie ha diciannove anni e frequenta il secondo anno di Università alla Wellesley. La prerogativa di essere bella, di estrazione medio borghese e in età da marito. Riuscite a immaginare sciagure peggiori di questa?

6) Laura. "'Essere un'attrice', canticchiò Laura, in piedi accanto alla culla di sua figlia". Laura non si sa come è cresciuta, finalmente si è sposata con un bravo ragazzo. Ora ha una bambina piccola che piange nella culla. Vuole essere un'attrice? Mah. Forse sì, forse no. Per il momento c'è questa inaspettata, mistica, coinvolgente-sconvolgente avventura del fare la mamma, poi si vedrà!

7) Trio per voci gentili. Nel frattempo la piccola nella culla ha iniziato a camminare, si chiama Fede e c'è bisogno di una bambinaia - "Conosci qualche bambinaia allegra, divertente?" - per quando Laura e Martin devono uscire la sera. Quindi insieme a Laura conosciamo una certa Cora, che le era stata raccomandata da Mary Ellen Cabany, la sua più cara amica dell'università.

8) Pastorale. La vita quotidiana prosegue tra soavi sacrifici di ogni tipo. Un po' come a metà agosto, a guardarle bene, si vedono alcune foglie gialle sulle cime degli alberi, così qui si vede l'infelicità nella felicità e viceversa.

9) La dama bruna dei sonetti. Laura Andrews aspetta il suo secondo bambino. "Il modo in cui erano disposti i suoi occhi profondi sotto le sopracciglia delicate, e quella loro luce calma, rendevano difficile pensarla di cattivo umore o spaventata; sembrava che potesse essere soltanto tenera e saggia. Possedeva anche una certa vena comica, che faceva ridere tutti, persino quando era sconvolta". Poi una sera, sull'amaca nel piccolo giardino di casa, con un vestito che sa di naftalina, Laura piange senza essere triste e senza sapere bene perché.

E infine ci sarebbe l'Extra, ma vi lascio la sorpresa.

Buona lettura, se vi va. E buon post-Ferragosto, spero non troppo traumatico.

:)

* è davvero un libro marino.





giovedì 11 agosto 2011

Camping tales - storie da campeggio - piazzola #3.

Joel e Marianna - piazzola #3

Arrivano nel primo pomeriggio con la calma luminosa più candida che potessi immaginare, come asciugarsi i capelli col phon in inverno.

Joel è castano, con un po' di barba, magro, dinoccolato, maglietta amaranto, pantaloni al ginocchio, cappello a larghe tese sulla testa.

Marianna è biondissima, pelle chiarissima, occhiali con la montatura nera, quadrati, camicetta bianca a maniche corte, dice spesso: Hi! salutando con la mano.

Montano la loro tenda verde fluorescente senza parlare, hanno due sedie celesti dell'Ikea, una scopa blu da campeggio, un'amaca di stoffa, un distributore di acqua, un lampadario a pile, una coroncina di fiori gialli, un frigo elettrico, una radio, molti libri, sono svizzeri. Si riposano alla fine bevendo succo d'arancia.

Preparano pranzi speziati, si dedicano ai pasti con cura, hanno quarantanni in due. Di solito si dividono i compiti, Marianna preferisce cucinare. Di notte parlano piano, bisbigliano, sussurrano, e ascoltano musica leggendo al lume del lampadarietto a pile, nell'oscurità brillano, non guardano mai le stelle. L'amore per loro è questo attimo presente, parlano di un viaggio in bici, di un'escursione in Italia, catene montuose e birra.

Non hanno paura delle vespe e quando vede una biscia, Joel la tocca con un bastoncino di legno. Nel silenzio diamantino del primo pomeriggio, leggono libri sull'amaca, docilmente si addormentano. Si svegliano senza commenti, si preparano per la spiaggia, sorridono spesso senza rendersi conto che stanno sorridendo. Staccano dai fili per stendere gli asciugamani, afferrano l'ombrellone, camminano senza fare rumore, rasoterra.

La loro vicinanza assomiglia a quella degli alberi o della distesa infinita dell'acqua del mare. Sento la loro mancanza a distanza di giorni.

Ma presto vi dirò di più, ad esempio della piazzola #4 ----> i milanesi.

martedì 9 agosto 2011

Librinnovando: editoria, libri, eBook, caffè.

Mi chiedevo: siete liberi il 25 novembre?


Una giornata intera "per discutere sul futuro dell' editoria, per condividere esperienze e per tenersi aggiornati su sviluppi su diversi argomenti chiave dell'evoluzione verso l'editoria digitale".

Librinnovando si terrà proprio in quel giorno a Milano, allo IED in via Sciesa 4, e qui trovate il programma provvisorio.

In tutto questo: avrò l'onore di partecipare anche io a una tavola rotonda formata da alcuni books blogger: potete leggere già il post di Marta Traverso, quello di Arturo Robertazzi qui, quello di Marco Dominici qui e quello di Marta Manfioletti qui che annunciano e introducono l'evento. Molto interessante.

L'latra cosa interessante è che i blogger hanno pensato di chiedere anche il contributo dei lettori, per rendere l'appuntamento ancora più sensato e utile a tutti e ricco e creativo. Quanto a me: voglio unirmi a questa bella idea e chiedervi un'opinione.

La mia storia con i libri di carta è iniziata da subito, hem, dagli anni Ottanta, cioè dalle scuole elementari (si chiamavano così!). Mentre quella con i libri digitali è un po' più recente: risale a qualche mese fa, quando ho scaricato, sul pc, il mio primo eBook: Il gigante buono di Lorcan Roche, Edizioni EO.

E poi ieri, quando ho ricevuto in regalo per il mio compleanno un piccolo e bianchissimo e meraviglioso eBook Reader.

Il mondo dell'editoria - e quello dell'eBook - ormai è chiaro: è in piena via di definizione e di trasformazione. Per chi ama i libri in tutte le loro forme, per chi ne è curioso, per chi ci lavora, per chi li scrive, per chi non ne può fare a meno e per chi invece non se li ricorda neanche più è comunque importante parlarne, capire quale sia il futuro e il presente, come rispettarne il passato, come farne tesoro.

Per questo vi chiedo cosa ne pensate: chi di voi già legge eBook? Chi invece preferisce e sempre preferirà i libri di carta? Quanto leggete? Dove? E perché?

Mi piacerebbe davvero tanto poter dialogare con voi che passate da queste parti, per raccogliere le idee, per raccontarle poi quel giorno a Librinnovando, per fare il punto della situazione, per capire cosa davvero vi cattura, vi colpisce, vi interessa realmente dei libri, dei books blog, dell'editoria e delle sue mille vesti e sfaccettature.

A me ad esempio piace molto l'idea di leggere su quel piccolo eBook Reader: mi diverte, smuove qualcosa nella mia mente, mi regala una vera vertigine sapere che lì dentro ci sono infinite pagine di parole pronte ad accendersi in qualsiasi momento. Al tempo stesso non rinuncerei mai ai libri di carta, mi piace sfogliarli, sottolinearli con la matita, sporcarli di caffè e fotografarli per voi con una tazzina fumante. Mi sento un po' in bilico tra questi due mondi (tipo ponte tibetano): e ci tengo a portarvi con me nell'avventura.

Così: se volete, scrivetemi i vostri pensieri a noemicuffia@libero.it oppure nei commenti qui su tazzina-di-caffè. Abbiamo tempo fino a novembre per parlarne insieme e poi, se siete milanesi o se siete liberi quel giorno e volete raggiungerci a Librinnovando ancora meglio: ci berremo sicuramente più di un caffè insieme.

Stay tuned!



lunedì 8 agosto 2011

And the tazzina goes to...





Oggi per tazzina-di-caffè è il momento del GIVEAWAY :D

Un giorno gli uomini del futuro troveranno un metodo per certificare la sincerità di questa estrazione: la sfocatezza delle immagini nel frattempo vi sia già di garanzia del fatto che ho scattato nell'istante esatto dell'estrazione stessa. [seriosa precisazione]

E ooooooora non mi resta che aggiungere: complimenti HEDDI sei la vincitrice del primo giveaway di tazzina-di-caffè !!

Mi metto subito a scrivere il raccontino con il suo nome (hehe) e chiedo a Heddi se può mandarmi una mail con il suo indirizzo per la spedizione.

p.s. oggi sarebbe anche il mio compleanno: tutto è dunque perfetto per un bel regalo!

Che bello fare giveaway: mi sono divertita molto e abbiate fiducia perché ne arriveranno presto anche altri :)

Tante tazzine virtuali a tutti ------> c\_/ e una reale di Ikea (Design Susan Pryke) a Heddi.




sabato 6 agosto 2011

Corsica.




Sembra così facile perdere di vista i ricordi, la mente fa tutto da sola, seleziona, chissà cos'altro, ma a volte è necessario concentrarsi molto ed essere più scaltri.

Ad esempio il chiosco dove puoi mettere i piedi sulla sabbia, dove il vento fa volare i tovaglioli. Tornare è stato anche dimenticare quanto le cose possono essere leggere.

Oppure il modo in cui certi turisti sono così calmi e felici. Un panino con il formaggio di capra, il viaggio in battello che parte in ritardo. Una città intera vista dal basso, vista dall'acqua.

I nomi, le parole, i soldi. L'esercizio di guardare le cose per come sono realmente, solo da qualche altra angolatura.

Pensavo oggi alla città, cioè alla mia città, dove i pensieri lasciati in sospeso, le immagini, si riaccendono come un computer addormentato. Pensavo che la vacanza è un nuovo dispositivo usb.

E allora rivedo quella valanga di nuvole che avanzava immobile con dentro un vetrino di arcobaleno, quel bambino in accappatoio verde che si siede sull'asciugamano rimbalzando, quel cane che aveva paura a entrare in acqua, quel signore che diceva bonjour, quell'insalata così buona, quella paura dominante, quel caffè nel bicchierino, il salutare quelli che rimangono: vorrei essere ancora lì, ma in assenza di magie, faccio allora in modo che quelle cose siano ancora qui.






giovedì 4 agosto 2011

Corsica.





Dormire tutte le notti sotto il cielo nero di stelle.

Desiderare, anzi non desiderare.

Un cavallo, una stella marina, molti cani, una tartaruga, un porcospino, una biscia, un gatto addormentato, moltissimi gechi, un rospetto, una piccola località che si chiama Bocca dell'Oro, e in mille altri modi e altre lingue e altre bocche e un campeggio inerpicato sulla collina, una spiaggia, il vento, un materassino giallo fluorescente che spicca il volo nell'infinito e un bambino francese che lo guarda sparire e dice: parbleau*.

Gli svizzeri, che hanno un lampadarietto a pile che si illumina come un pensiero insperato nel buio e cucinano gli spiedini, avranno vent'anni, sembrano due dolcissimi - dolcissimi hippies scaraventati nel futuro e ci chiedono in prestito il fornello per cuocersi le patate, e la loro amaca, la loro corona di fiori gialli.

Le auto costose parcheggiate ovunque e tende ultraattrezzate come ville con dentro bambini perfetti, luccicanti, che leggono libri a tutte le ore e inventano avventure senza fine.
Un maggiolone Volkswagen nero con la targa LOVE.

I tuoi pochi oggetti, che assumono un valore nuovo, la tua colazione con la frutta e il caffè, mentre una coppia di francesi ritira la baguette alla reception. La vista a picco sulla spiaggia incontaminata, i pini marittimi, il profumo che aspettavi, altri bambini che costruiscono una piramide. Il rumore come al cinema, nel silenzio, il terriccio sotto i piedi, la lotta con le vespe, i riti collettivi, la birra Pietra a Porto Vecchio dove ogni sera c'è un dj che suona in centro, locali fichissimi, negozietti di ogni tipo, i corsi, i corsari, le loro sanguinarie vendette, le faide, la paura, leggere a lume di candela.

Svegliarsi con il sole, visitare la cupa città di Sartene, visitare i preistorici menhir di Filitosa, sentirsi stranieri ovunque, visitare la raffinata città di Bonifacio in battello, prendere troppe onde, la nausea, la tachicardia, cercare di conoscere un luogo che a stento notavi nelle cartine geografiche. Cercare le forze in una bottiglietta di acqua naturale, asciugarsi tra le nuvole. Essere qualcuna che non eri mai stata, affittare un piccolo kayak arancione, dimenticare per un'ora intera cosa ti preoccupava, cosa ti caratterizzava.

Fare movimenti lenti, il fumo di caffè che si confonde con l'odore del mare, il chiosco che cucina alla brace, la salad exotique con l'avocado e il salmone, aver bisogno di vitamine, respirare l'aria nuova delle parole degli altri, mentre a non troppi kilometri di distanza in un'altra quiete non tanto dissimile, in Norvegia, in un altro campeggio sereno, una strage di proporzioni mai viste scaturisce dalla mente di un criminale insospettabile. La violenza della realtà. Il giornale sottobraccio italiano, per sentirsi vivi. Vedere nero a occhi aperti. Ricominciare tutto d'accapo.

Leggere un libro che mi piace, che si riempie di sabbia e altri frammenti secchi di alberi e alghe e granelli di acqua marina e cera di candela rovesciata. Sognare cose mai sognate. Ascoltare il niente, vedere tutto in un solo istante, non sentirsi mai soli, constatare di quante gradazioni di colori sono fatte le cose, le tende, i fondali, i cibi, le parole, gli occhi e le altre persone.


[to be continued...]

* pronunciato con la o !!