domenica 3 giugno 2012

Una certa idea di mondo.




Alert: questo è un instant post a proposito dell'articolo di oggi di Baricco su Repubblica, che fa parte della rubrica Una certa idea di mondo - I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni. Ciò per dire che magari chi non l'ha letto non capisce a cosa mi riferisco, ma provo a spiegare.

Qui insomma si solleva una questione importantissima, secondo me, riguardo alla contemporaneità. Questioni su cui tutti a diversi livelli ci si interroga in toni più o meno altisonanti e contorti, che poi arriva Baricco e con la sua proverbiale semplicità individua invece con chiarezza e precisione, sempre secondo me, il punto.

In questa puntata racconta di una certa scrittrice tedesca del 1967 che si chiama Inka Parei (che in piemontese significa "così" hehe). Lei ha scritto in particolare un libro che si chiama La ragazza che fa a pugni con l'ombra, che a quanto pare è molto bello; ed è un titolo che con la questione sollevata in seguito, tra l'altro, instaura un certo legame interessante.

Il concetto è che questa bravissima, meravigliosa scrittrice ha smesso di scrivere, anzi ha smesso di pubblicare libri. Baricco racconta di averla cercata in rete, perché colpito dal suo talento, e di averla trovata "apparentemente felice, su un furgoncino in viaggio per la Nuova Zelanda, scrivendo poi le sue note di viaggio in un suo blog. Tutto bene, per carità, ma certo è un po' come se fra qualche anno mi ritrovassi la Pellegrini che fa l'animatrice in un Acquafan". 

(Qui ci starebbe una faccina...)

Apparentemente. Ecco, se non sentissi la responsabilità verso chi legge, ora mi fermerei, ammirata, dicendo solo: è un genio, ha scritto cose che lavorano nella mia mente e che non capisco bene neanche io ma sono vere, grande Baricco. E stop.

Però vorrei aggiungere, come chiarimento, se ci riesco, che questo discorso che poi Baricco prosegue più o meno così: 

"La corrente del fiume trascina altrove, e molti ne deducono con tranquillità la verità indiscutibile che è meglio essere vivi che bravi".

Che questo discorso è un po' il fulcro di molti altri discorsi che si fanno da qualche tempo fuori e dentro la rete. Avendo un blog "personale", non posso che riferirmi autoreferenzialmente a me stessa, e riflettere su ciò. Personalmente, dunque, mi sento nel mondo dei vivi. Viva, come il passerotto che ora pigola sull'albero che vedo dalla finestra, viva come il temporale che sta per arrivare oggi, come il gatto del vicino di casa, come il vicino di casa che fa una passeggiata di domenica mattina, come sua moglie che fa le lasagne etc. 

Parte di un mondo dove ad esempio l'avere un blog assomiglia a fare l'elettrocardiogramma tutti i giorni: ok, sono viva! E lo racconto qui. Il fatto che si possa essere anche bravi, è una cosa che mi era sfuggita...

Scherzo eh, è come quella battuta di quel film in cui all'attrice "fanno male i capelli". Ovvero: un'assurdità. 

Dico questo perché ho creduto, come molti, lo so per certo, che il discorso di "diventare anche bravi" fosse una strada chiusa, preclusa a un certa generazione, a una certa fetta della società, cui sentivo di appartenere (ad esempio, i precari, che in quanto tali devono sgomitare in acque alte per sopravvivere, come chi non sa mai nuotare, e via dicendo). 

Invece questo articolo mi ha fatto venire in mente un'altra cosa. Che questo "struggle" tra l'essere vivi e l'essere bravi può essere (o diventare) ora anche una scelta. Una scelta di vita, o di bravura. Non so se si capisce. Ma tutto quello che credevo di avere un po' "subito" in questi anni, magari, in certi modi, l'ho anche scelto. Beninteso: non certo le cose grosse, come il precariato. Ma certe reazioni, certe conclusioni affrettate. E come me, forse, la butto lì, anche molti altri.

Quindi insomma questo articolo oltre a essere una fotografia di ciò che sta accadendo, può assomigliare anche a un invito. Uno spunto: perché non provare a essere bravi, oltre che vivi? Fermarsi un attimo e scegliere di vivere come se si fosse anche bravi. O le due cose si escludono per forza a vicenda? 

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Le due cose, essere bravi e vivi, non si escludono a priori ma sono (ahimé) entrambe impegnative. Personalmente fatico ad essere vivo, (per come lo intendo io, sia chiaro!) e questo mi procura non pochi pruriti di pancia ma, è una promessa, il tutto è in via di lavorazione. Essere bravi:boh, sembra che non si possa decidere da sé ma sia una prerogativa di terzi; la decisione(odio!). Sì, difficile, ma prego (anche se non mi piace questa parola, la cambio in "sudo") che, almeno una delle due, possa realizzarsi.

noemi ha detto...

@anamnesys: ciao e grazie :) hehe la tua è un'ottima anamnesi! Dici che già una delle due cose, fatta bene, è un buon risultato? In effetti sarebbe già molto...

leparoleverranno ha detto...

Forse il primo passo potrebbe essere di non permettere più che sia, come dice anamnesys, prerogativa degli altri decidere se siamo più o meno bravi, più o meno vivi... Come disse Dante: "Non ti curar di loro..."
Difficilissimo, chi ce l'ha tutta questa sicurezza in sè stesso???

noemi ha detto...

@leparoleverranno: grazie, il tuo commento secondo me è molto interessante, perché solleva la questione del "criterio" che serve a stabilire la "bravura" o meno di qualcuno.

ilmonolito ha detto...

A me ricorda molto "Lo scrittore fantasma" di P. Roth. Lonoff, il grande scrittore amato da Nathan si descrive come uno la cui vita non consiste in altro che "girare e rigirare frasi nella testa" (vado a memoria). E però, forse, essere bravi significa questa dedizione assoluta, questa capacità di dire "No, grazie" a tutto il resto, solo per stare lì a "girare e rigirare frasi nella testa". Chiedendosi, tra l'altro, se davvero ne valga la pena dato che a conti fatti, che si sia vivi o che si sia bravi, tutti verremo spazzati via ugualmente. A me è sembrato, quindi, un discorso molto circoscritto sul senso dello scrivere. Insomma, ne vale la pena, oggi?

noemi ha detto...

@ilmonolito: eh sì infatti: è proprio questo il punto: "ne vale ancora la pena"? Dico la mia: secondo me Baricco scriverà ancora su questo concetto, sorprendendoci...

Sandra c'era una volta Ilaria ha detto...

Infatti bravo per chi? Salvo rari casi universalmente riconosciuti capita spesso di essere bravi secondo alcuni e pessimi secondo altri. Vale anche per gli scrittori, ma anche per la cucina della zia, alzi la mano chi non conosce qualche donna che si dichiara bravissima con un piatto che, una volta assaggiato, non si è rivelato all'altezza. Dovremmo, credo, tentare di vivere al meglio, e cercare magari un paio di cose sulle quali puntare per essere bravi per la maggior parte delle persone che si conoscono. baci

noemi ha detto...

@Ilaria Pedra: ciao! Interessante commento! In effetti anche a me capita di sentirmi Vissani e invece povero he assaggia le mie prelibatezze ;D scherzi a parte: mi piace molto ciò che dici soprattutto sul fatto che per qualcuno si può essere bravi e per altri no...

Anonimo ha detto...

Non ho letto l'articolo di Baricco, quindi forse mi sfugge qualche passaggio. Ma credo che ci sia un legame piuttosto stretto tra l'essere bravi e l'essere vivi.
Essere consapevoli della propria bravura aiutata sentirsi parte di un mondo in cui, grazie al proprio talento, si lascia un segno. E la consapevolezza della propria bravura è qualcosa che ha a che fare con se stessi, ma anche con gli altri. Non è sufficiente sentirsi bravi, è necessario anche il riconoscimento da parte del proprio mondo di riferimento. Allo stesso modo, una persona può essere ritenuta brava, ma non sentirsi tale, non essere intimamente soddisfatta di se. La tensione verso questo senso di appagamento è forse qualcosa di molto vicino al 'sentirsi vivi'.

Luigi

noemi ha detto...

@Luigi: grazie. Il tuo commento è così esaustivo che non saprei che aggiungere. Perciò, ribadisco: grazie mille davvero :)

Anonimo ha detto...

In Nudo di Madre (manuale del perfetto scrittore), Aldo Busi ripete in tutte le declinazioni possibili il suo concetto preferito: se devi scegliere tra la vita e lo scrivere, ricorda di essere sempre suicidale.

Non so se sono d'accordo con questa sia visione della vita: secondo me per scrivere è importante vivere; per scrivere bene, vivere intensamente.

E' che vivere intensamente a volte fa molto male e i segni restano per così tanto tempo che non è detto che la scrittura ne goda.

Pensieri serali, Noemi, prendili per quello che sono...

Grazia

noemi ha detto...

@Grazie: pensieri molto interessanti però... ricordo anche io quelle parole di Busi, lette tanto tempo fa, da ragazzina. Mi avevano molto colpita... (ma è arrivata poi la tazzina?) :)

Mamma Orsa ha detto...

"... è meglio essere vivi che bravi" non mi è mai venuto in mente di scindere la vita dalla bravura, ho sempre pensato che non mi limito ad "esistere", a tirare avanti. Combatto per realizzare i miei sogni, man mano che mi avvicino ai miei obbiettivi per me è una piccola vittoria quindi mi ritengo brava, tutto questo è vivere. Però ecco, la frase di Baricco è meravigliosa e profonda e mi induce alla riflessione osservando tutto da un altro punto di vista.