lunedì 23 luglio 2012

Il carciofo della dialettica.


Le armi della critica - Alberto Asor Rosa - Piccola Biblioteca Einaudi.



Il carciofo della dialettica è il titolo di uno dei brevi saggi contenuti in questa importante raccolta "degli anni ruggenti" (1960 - 1970) di Alberto Asor Rosa. Posso dire che si tratta del mio scritto preferito perché riguarda Calvino e in particolare La giornata d'uno scrutatore di cui vi ho raccontato più volte in occasione delle mie simpatiche avventure come scrutatrice (vedi tag!).

E insomma questo libro occhieggiava da un po' sul mio scaffale. Per quanto in effetti ci tenga sempre a ricordare (a me stessa specialmente) di non essere affatto una critica letteraria, ammetto di aver comunque letto qualcosa al riguardo, durante gli anni dell'Università. 

Mi sono occupata, in quegli anni (primi duemila, mica tanto ruggenti, ma che sono quelli dei miei 20) di letteratura angloamericana, in verità. Però mi piaceva un po' interessarmi anche di altre questioni, sempre legate alla letteratura, cercando di capirci qualcosa. 

Quando ho discusso la tesi, la mia prof. definì il mio lavoro su Martin Amis e la scrittura autobiografica "oltraggiosamente coraggioso". Non ho mai capito (neppure oggi) se dovessi più rallegrarmi per quel "coraggioso" o temere piuttosto per l'"oltraggioso". In conclusione, qualche temerario decise comunque di conferire a quel lavoro addirittura una lode, risparmiandomi però, ahimè, il bacio in fronte!

La mia carriera di critica, tuttavia, è terminata lì. Anzi, non è mai cominciata. La ragione vera, su cui ho riflettuto bene, è una sola: non mi sono mai sentita capace di svolgere quel mestiere. Con questo non voglio denigrare me stessa, semplicemente mi sentivo più adatta per altre cose, o banalmente inadatta al lavoro accademico, per tutta una serie di ragioni che vi risparmio per non annoiarvi. Non ultima, però, la mia inettitudine a seguire, nel raccontare di un libro, un criterio, per così dire, diagnostico. Seguivo il mio semplice gusto e niente altro. Questo dovrebbe escludermi definitivamente dall'olimpo dei critici di professione una volta per tutte. Che per fortuna sono vivi e vegeti e lavorano con onestà e al meglio delle loro forze. 

Ma per arrivare al libro. Ciò che mi colpì allora, da studentessa, e che mi colpisce ancora oggi risfogliando quelle fitte pagine sottolineate a matita (n.d.r. però in foto vedete un'edizione del 2011), fu ed è la chiarezza. Mi è sempre parso che spesso si confondesse, invece, in molte scritture critiche, la complessità con la fumosità. 

Mi pareva, d'altro canto, che dietro certe scritture contorte al limite del dispettoso si celasse una profondissima esigenza di ottenere attenzioni personali, anziché il generoso compito di spiegare ai lettori (e agli allievi) un concetto, un'idea, una posizione critica, un'intuizione politica. 

In Asor Rosa, come studentessa ventenne, non ho mai ravveduto questa necessità (ma non l'ho letto tutto, beninteso). Mi pareva sempre che esponesse le proprie elucubrazioni (discutibili o meno questa non è la sede per decretarlo) in maniera, sì complessa, ma mai perversamente macchinosa.

Bè poi tutta l'analisi, che c'è in questo libro, sulla società borghese, la classe operaia, la battaglia culturale e la rivoluzione è materia difficile di per sé, inutile illudersi di affrontare questi saggi con la stessa disposizione d'animo con cui si consuma una prosa limpida, un romanzo "scorrevole".

Proprio ieri, però, leggevo una bellissima puntata della rubrica domenicale di Baricco su Repubblica. La sua Una certa idea di mondodi cui vi raccontavo già qualche tempo fa, in cui lo scrittore torinese si diverte a paragonare certi autori che sfoggiano tutto il proprio bagaglio culturale in ogni scritto a quelle donne che indossano le spalline del reggiseno trasparenti (con tutto il rispetto per chi lo fa per scelta estetica, oltraggiosamente coraggiosa). E comunque sì, sono d'accordo naturalmente, e come sempre, con lui. Merci, monsieur.

"Di fronte al mare dell'oggettività. Di fronte al labirinto dei significati e delle cose, ciò che conta, insomma, è tenere ben alto, anche se tenue e disperato, anche se traballante, il lumicino della razionalità: ossia della Storia: ossia (ma è lo stesso) dell'Uomo. Partecipazione non vuol dire complicità né tanto meno identificazione: anche se partecipare è necessario, a rischio magari di perdersi e sparire". 

Dice a un certo punto il critico, proprio nel carciofo della dialettica. Mi pare interessante questo paragrafetto. Partecipazione era una parola molto spesa in quegli anni ruggenti. Come non ricordare Gaber? Ad esempio. Libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone.

Anche se può far nascere nei nostri cuori nati negli anni Ottanta una goccia di tenerezza, di malinconia, questo concetto però secondo me è importante ancora oggi, e si può recuperare, restaurare, concimare, chissà coltivare come una piantina che sembrava secca e invece.

Ora lo dico: credo che l'attenzione che oggi gli editori prestano ai lettori (anonimi, non anonimi, dotati di qualsivoglia nomignolo, che dicono la loro su qualsivoglia sito internet), senza far troppa ideologia che non ne sono all'altezza, sia comunque un valore. Certo: è per vendere i libri. Perché i libri li leggono i lettori. Certo. Perché i libri sono prodotti. Certo. Questo è un fatto vero e inconfutabile. Però nell'"inferno dei viventi", del capitalismo (sic.) o chissà di cos'altro, si può ben anche "cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio". 

Che coincidenza, la canzone di Gaber e le Città invisibili di Calvino, se non sbaglio, sono tutte e due del 1972. 

E se quarantanni esatti dopo siamo ancora qui a parlarne cosa vorrà dire? Naturalmente, io non lo so. Come non so, è chiaro, cosa non sia inferno nel sacro mondo delle lettere e con che criterio chiedere o dare spazio a chi o a che cosa. Però riconosco lo sforzo di chi ci prova, di chi prova un pochino tutti i giorni. 

Dunque per concludere, non sono una critica, però da non-critica, da blogger (sic.), oggi rischio e vi consiglio di sfogliare qualche pagina di questo interessante libro. Poi mi direte. E buon inizio settimana!






4 commenti:

Cirano ha detto...

"oltraggiosamente coraggioso" mi sembra una bella definizione, amo Calvino, anche le sue Lezioni americane, base spesso delle mie modeste lezioni.

noemi ha detto...

Grazie @Cirano :)

Giuseppe ha detto...

Davvero un bel post, mi hai invogliato a leggere qualche pagina di questo saggio. Sono d'accordo con te, spesso dietro un linguaggio contorto si nasconde qualcosa di diverso rispetto al compito del critico di guidare il lettore. Mi piace molto come scrivi, ti leggerò spesso!

noemi ha detto...

@Giuseppe: grazie mille! :)