domenica 14 ottobre 2012

Domenica.

Ilaria Bernardini, Domenica, Feltrinelli.



Di Ilaria Bernardini avevo molto amato Corpo libero. Un romanzo di grande respiro, invernale, luminoso, spietato, geniale, interessante, diverso da qualsiasi cosa avessi letto prima. Un libro che aveva un "argomento" raro, un mondo sconosciuto da esplorare, quello delle ginnaste olimpioniche adolescenti, fatto di vite di sacrifici, di rituali, di tecniche, di rumori, di colori, di emozioni forti. (Non è un caso che l'autrice lavori a questa bella serie televisiva/reality, di cui sono fan!). 

Per Corpo libero ho immaginato la scrittrice lucidissima e intenta a costruire pezzo per pezzo una storia giusta, importante, con la minuziosità di un orologiaio, ottenendo infatti un lavoro di altissima precisione e utile a segnare il tempo di una narrazione ambiziosa, a registrare qualcosa di molto curioso. Senza contare il particolare suono del suo linguaggio che, dopo due romanzi e una raccolta di racconti (ciò che ho letto di lei fino a ora) sta alle mie orecchie di lettrice diventando inconfondibile.

In una parola, Corpo libero era un gran romanzo, ed era in un certo senso perfetto. 

Domenica invece è tutto il contrario. 

Domenica, che si legge in un giorno, (preferibilmente, è chiaro, in una domenica come oggi), è un libro piccolo, dal respiro frammentato, come una crisi d'asma. Un libro che ha la consistenza di un soffio al cuore. Vulnerabile, proprio come un cuore che batte, caldo, umido, immerso in un'estate torrida, deserta, fastidiosa, insopportabile. Tre protagonisti senza nome. Lei, lui, il bambino. 

E i nonni, un cane molto vecchio, un medico dell'ospedale, un autista di taxi e qualche passante. Il traffico bloccato da una maratona, che improvvisamente travolge l'asfalto con il rumore di mille passi (una rarissima surreale maratona d'estate: evento che fa esplodere l'inquietudine di un già inquietante vuoto urbano e apocalittico). Ma proprio come un cuore che batte è la cosa più delicata e forte insieme che riesca a immaginare, anche questo romanzo - dopo aver pensato più volte: perché sto leggendo questa storia? - tiene duro e tira dritto come una vita determinata semplicemente a restare sulla terra.

Perché sto leggendo questa storia? Visto che non succede quasi niente? Una giovane coppia con bambino, il figlio che resta una notte a dormire dai nonni, una festa qualunque, qualche "piccolo inconveniente del vivere", un'immersione subacquea nell'intimità di una famiglia, cose che si fanno o si dicono o si pensano privatamente, immaginazioni, fantasticherie, proiezioni, divagazioni, assurdità, risposte, domande, lessico famigliare, camere, camerette, cibi, caffè, latte, scarpe, mani, piedi, capelli, muscoli, occhi, sensazioni delle cose ultime, comportamenti ai limiti del pazzo eppure riconoscibili, reali, giustificati dalla bolla della casa, del legame dell'amore e del sangue. 

Solo a un certo punto, e finalmente, ho capito perché stavo leggendo e qual è il bello del libro.

Il bello di questo libro scomodo, sporco, fragile, sbagliato, "osceno", rivelatore, sincero e timido è che in realtà non racconta affatto "la famiglia", i "sentimenti", i "cambiamenti" dopo il figlio etc. etc. Anche se farebbe piacere crederlo e ritrovarcisi nei pregi e nei difetti e sentirsi consolati. Invece no. Non è quello il punto, e il bello. Il senso del libro è per me piuttosto la imperfetta bellezza di una singola irripetibile storia minima, ormai ferma come un fotogramma, di una giornata sola, di una unica particolare famiglia con quelle abitudini lì, con quelle facce lì, con quelle caratteristiche lì, con quel passato e quel destino lì. E nient'altro. Niente di universale. Niente di istruttivo. Niente di già visto o di ipotizzabile per gli altri, per il futuro. Solo quell'istante lì, quella polaroid lì, quello scatto, quel filmino, quel romanzo scritto così bene che assomiglia a un diario (così poetico e struggente e pensoso che a tratti mi ha ricordato un po' Sylvia Plath); raccontato in quel solo modo lì, da quella scrittrice lì, in quel periodo lì. Ci sono quei momenti credo nella vita di uno scrittore, senz'altro nella vita di una persona, in cui ci si accorge di poter raccontare un'unica cosa in un unico modo e quel che sarà sarà. 

E infine è Domenica, è uno spettacolo esclusivo, solo per oggi, e per questo prezioso, per cui, come lettori, vale la pena staccare il biglietto. 




6 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho cominciato a leggere solo perché sei tu che scrivi. Il libro l'avrei snobbato volentieri. Ma una volta cominciato a leggerti, non ho potuto smettere. E mi hai fatto venire voglia di scoprire il libro... non è detto che lo faccia, ma sicuramente mi hai fatto uscire dal preconcetto!

noemi ha detto...

@Anonimo: sono contenta perché qualche volta i preconcetti precludono esperienze interessanti. Bè, mi sarà grata la scrittrice se mai leggerà queste righe :D scherzi a parte: grazie per la fiducia, qualsiasi cosa tu decida di fare e chiunque tu sia!

Anonimo ha detto...

Ho cominciato a leggere con il naso storto, il libro non mi ispirava affatto. Ma una volta cominciato non ho più potuto smettere, e mi è persino venuta voglia di comprare il libro... non è detto che lo faccia. Ma mi ha scardinato un preconcetto, e te ne sono grata.

noemi ha detto...

@Anonimo: sei la stessa persona di prima immagino :)

Anonimo ha detto...

Sì, mi sembrava che il commento non fosse stato pubblicato, scusami.

noemi ha detto...

p.s. @Anonimi: pensavo: ma perché preconcetto?