venerdì 30 novembre 2012

Ieri sera, mentre Massimo Gramellini intervistava Daria Bignardi.


Mentre succedeva questa cosa fantastica, io ero lì a pochi metri, ad ascoltare una fitta, soave e pirotecnica conversazione sull'Acustica perfetta, naturalmente si sentiva tutto benissimo, e, come sempre più spesso mi accade, è stata dura concentrarmi su qualsiasi altra cosa che non fossero le parole. Quelle parole.

Quindi, confermo, le mie fotografie lasciano il tempo che trovano. Ne ho ben due con Daria Bignardi, cioè lei e io vicine, in una posa perfetta, in cui lei è perfetta e io sembro Obi-Wan Kenobi, al punto che ho deciso di risparmiarvela, per la vostra serenità psicologica. Ma - per la vera bellezza - vi rimando alle elegantissime foto del Circolo dei Lettori.

Però il viso della Bignardi che firma gli autografi lo metto. Sono molto ammirata da questa donna, da questa scrittrice. C'è una complessità, nel suo mondo, che trapela; come le piccole effervescenze dell'acqua brillante.

Buon Natale!


Il Circolo dei Lettori, da un punto di vista estetico, ti confonde. Io in queste situazioni mi agito. Non mi abituo mai alle cose troppo belle. Vorrei farlo, però. 

Questa quindi è la mia condizione naturale. E davvero, come mi è capitato anche un'altra volta a una sua presentazione a Milano, a osservare lei, e le cose belle, così in quel modo, piano, dolcemente, io mi sento a casa. Quella sedia infatti sembra un nido.


 E dunque, il libro. Dietro tifo spietato di un clubbino di madame (età media 98) veramente agguerrite (su, su, non sia timida, per l'amor del cielo!) sedute accanto a me, sono riuscita, per ultima, a fare la mia domanda. Al punto che Gramellini temevo si seccasse anche un po' visto che, a onor del vero, e contrariamente a quanto accade di solito, di domande ne sono fioccate a bizzeffe. Alcune anche molto belle e importanti. Una signora addirittura ha chiesto come si possa salvare o, diciamo, affrontare, l'idea di famiglia, oggi. E queste persone, la Bignardi e Gramellini, le hanno risposto con una serietà e una tenerezza che mi ha commossa.

Allora, partirei dalla fine, cioè dalla mia piccola domanda che, in questo preciso istante, è quella che mi ricordo con più nitidezza perché i pensieri sono ancora un po' avvoltolati in un turbine di sensazioni. La mia domanda era più una considerazione su ciò che è emerso nel dialogo. Ovvero sulle opportunità del dolore. Che il dolore a volte può offrire. Perché, se non lo sapete già, nel libro accade una cosa tanto strana quanto, scopriamo, comprensibile, concepibile: Sara, moglie di Arno - bel personaggio, un musicista per metà austriaco, forse il mio preferito di tutto il romanzo - e mamma di tre bambini, un bel giorno sparisce.

Il senso di tutto questo sta nel talento della scrittrice nel far vivere questa sparizione, di renderla visibile, sperimentabile al lettore. Che infatti sparisce insieme a lei; e, contemporaneamente, resta  a casa insieme a lui. 

Sara va dunque per conto suo, "a caso", prigioniera di se stessa, del suo passato, del suo indistinto futuro, della sua irrequietezza. E quel che fa Arno Cange (che poi, si diceva delle mistiche coincidenze di questo libro, ad esempio sulla copertina c'è una storia bellissima, che ho twittato, la trovate ancora all'account @tazzinadi ma se non la trovate chiedetemi che ve la racconto con calma. Comunque, pensavo: Cange è cangiante, proprio come lui deve essere nella storia, chissà se è voluto...) è poi la trama stessa. Ovvero una ricerca affannosa ma umile, potente, meticolosa, galvanizzante di questa fuggitiva attraverso tutti quei dettagli e tutte quelle persone che hanno popolato la vita di lei, mentre lui non c'era, o se c'era, suonava il violoncello. 

Quindi la parte affascinante da un punto di vista narrativo è che questo, per me, è un meraviglioso giallo. Molto umano, istintivo. Ma è un giallo! Lui infatti ricostruisce la donna che ha creduto di amare, con cui ha cresciuto i bambini, attraverso racconti disarmanti, ex fidanzati e persino una suora con cui intrattiene uno scambio di mail bellissimo. L'autrice per scriverla si è infatti consultata con una suora vera!

Ecco, non è che io possa aggiungere molto altro alla bella serata di ieri. Se non che Gramellini è strepitoso, ama i lieti fini ed è un gran conoscitore delle 50 sfumature di grigio; si è documentato a tal proposito su svariati blog. Ecco dunque svelato a cosa servono sti blog!

E poi sì, posso aggiungere che questo romanzo è ricco, ma come quei gioielli sobri e non sfarzosi, magari quell'unico, piccolo, di oro bianco, che ti ritrovi poi tutta la vita, perché è il più semplice, il più reale, quello che non perdi più perché fa parte di te. Quello che non hai magari ma che se avessi sarebbe proprio così. Un libro del genere. Molto italiano, poiché è anche un bel viaggio in luoghi diversi, che si riempiono di valenze e significati. Ci sono dentro dei poeti, dei ricordi, delle esigenze, molti desideri e un uomo cui, per la prima volta, sembra di aver visto le stelle.





giovedì 29 novembre 2012

Dell'incontrare Paolo Giordano a Milano.

 
Il Pavè, a Milano, è un posto stupendo. Un po' shabby chic, un po' sognante, profumi buonissimi, di pane appena sfornato, dolcini, focacce, vino e sedie e colori belli, delicati. Le mie foto non rendono giustizia. Milanesi, andateci più che potete, finanziate questo giovane piccolo mondo appena nato, soprattutto perché è il posto ideale per parlare di libri, non so come, si è creata un'atmosfera bella, adeguata, fin da subito. Ma c'è una ragione per cui ho fotografato così poco. 

Ieri sera dunque: incontro tra Paolo Giordano e una lieta congregazione di blogger (ma c'era anche qualche giornalista).  Non conferenza stampa, qualcosa di più raccolto. Per parlare insieme, a lungo, del libro e di tante cose. Dopo varie riflessioni filosofiche e architettoniche, si è deciso: lo scrittore siederà lì, su quella poltroncina. A rivederla adesso, sembra davvero portare il suo nome. Tutto intorno c'eravamo noi, in cerchio, una cosa bella, un tantino surreale. 

Laggiù alcune copie di Il corpo umano. Le mie foto vi sembreranno parche, meste, modeste. Ribadisco, c'è una ragione.
Ecco Paolo Giordano. Mi ostino a immortalare gli scrittori e le scrittrici ovunque io vada. Smetterò. Dico una cosa, che vale per tutti, indistintamente: essi sono sempre infinitamente, incomparabilmente più belli e belle di persona che in qualsiasi immagine voi possiate mai trovare su questo blog. Sappiatelo. Non son proprio capace.


Ma ecco la ragione di così poche foto, e di pochi tweet anche, se qualcuno avesse seguito l'hashtag #ilcorpoumano su twitter. Oddio, qualcosa ho provato a raccontare. Ma dovete sapere che.

Mi è stato offerto un incarico di responsabilità. 

Che, in confronto, la linea d'ombra (riascoltatela, se avete tempo...) è una passeggiata nei boschi a raccogliere fragoline selvatiche.

Gli amici di Mondadori, che non smetto di ringraziare per la visionarietà con la quale organizzano questi incontri, che infatti, a mio modesto parere, riescono sempre particolarmente bene e sono utili a fare il punto della situazione sui libri, a un certo punto hanno ben pensato di propormi di rompere il ghiaccio e cominciare per prima con le domande. In quanto torinese. Dunque per affinità elettive con l'autore. Affinità sabaude. 

Ora. Chiedere a un torinese di rompere il ghiaccio è come chiedere a un nero di non avere la musica nel sangue. Un'utopia. Ma è solo quando si ha il coraggio di sfidare grandi ambizioni, con il cuore aperto, che le cose funzionano. Infatti, è andata magnificamente. (Poi però vi mando il conto del cardiologo!).

Paolo Giordano, come si potrà facilmente immaginare, è un essere umano. Prezioso e raro, ma sempre umano. Quindi, sopportate le fotografie (vere e professionali) di rito, sembrava avesse tutte le intenzioni di stare a proprio agio per qualche ora, nella più assoluta normalità. 

E si è appollaiato sulla sua poltroncina.

Rotto il ghiaccio, gli ho domandato ciò che mi ero ripromessa. Ben sapendo che, poche ore prima, lo aveva intervistato Linus a Radio Deejay, così, per dire. Con quella calma lì.

Partendo dalla sua maestra Elizabeth Strout, la mia curiosità sulle sue opinioni a proposito di Limbo di Melania Mazzucco e sul percorso tramite il quale è arrivato a scrivere questo nuovo libro. Le domande poi di tutti si sono susseguite con un bellissimo ritmo ed erano davvero tutte molto pertinenti e interessanti e la formula assomigliava proprio a quella di una conversazione informale ma concentratissima. C'era una vera, sana curiosità di tutti.

Le cose importanti che mi ricordo. Perché la vera ragione per cui ho fotografato poco è che poi sono rimasta intrappolata e avvinta in questo dialogo così bello, così musicale che ci ha coinvolti tutti personalmente e direttamente che non riuscivo a interagire in modo serrato con le tecnologie. Poi si trattava di una situazione unica, forse irripetibile. Faticavo a staccarmi dal contatto visivo con gli altri e mettermi a scrivere trincerata dietro al computer. Comunque. Le cose importanti che mi ricordo. 

I personaggi del libro. Argomento principe. Credetemi, sono un coro di voci complesse, strazianti, liriche e bellissime. E, veniamo a sapere, corrispondono ciascuna a una parte della mente dello scrittore. Il che significa che sappiamo cosa è destinato a morire, cosa a proseguire nel tragitto. 

Della vita, della scrittura.

Sappiamo anche del divertimento che c'è stato in questo lavoro. Perché c'è anche questo. Per difesa personale, non vi dico l'orrore nel quale discenderete leggendo tutto il romanzo, perché certe emozioni sono troppo private e saprete voi come affrontarle. Però c'è stata anche la parte felice, il piacere di comporre che hanno gli artisti. Come lo ha detto ieri sera, mi pareva convincente.

La copertina. Fantastico. Sapete che la fotografa è la stessa della Solitudine dei numeri primi? Lei, una cosa meravigliosa. Non perdetevela. So che lo volevate sapere. E c'è un episodio incantevole. Ovvero. Paolo Giordano, prevedibilmente, tormentatissimo per questo problema della copertina (Bè, come dargli torto: sappiamo cosa ha scatenato quell'altra). Un bel giorno, in preda allo scoramento, dopo mille riflessioni, consulta il sito della fotografa. E trova la foto di un soldato abbracciato dalla sorella. Che è esattamente uno degli snodi della trama del romanzo. Il destino.

C'è da dire che questo romanzo sembra proprio puntellato da scatti del fato che, uno dopo l'altro, ci hanno rivelato una gioiosa complessità. In una parola. Non è un libro di guerra. Non solo. Non solo. Quando siamo lettori ci abituiamo a mettere l'etichetta. L'ex libris degli argomenti. Libro d'amore. Libro di formazione. Libro morboso. Libro a lieto fine. Libro di guerra.

No, no non facciamolo. Non in questo caso almeno. Paolo Giordano ci tiene. E devo dire, come lettrice, dopo ieri sera, ci tengo molto anche io. Perdere la varietà tematica e immaginifica di questo romanzo è perdere molto. 

Si è parlato delle donne. Di come ne escono fuori da questo libro. Ci ha spiegato che lui ha in mente sempre una donna, la sua, quando scrive. Ed è per lei che lo fa. Quindi ha scelto di raccontarle, le donne, con fedeltà e sincerità. Tutte in effetti sono costruite, come personaggi, in modo coerente e contraddittorio, non sono migliori degli uomini, come sarebbe invece facile scivolare in un libro di guerra. Ecco un'altra ragione per cui questo non è solo un libro di guerra.

Poi ci sono tutti i conflitti. C'è il lavoro di anni: difficile riassumerlo in poche righe, rielaborarlo. Immaginate l'attività frenetica del mio cervello in questo momento!

Ah, poi c'è quel fatto delle ragazze venete. Ma è solo per chi ha letto tutto il romanzo. Insomma, pare ci siano stati dei fraintendimenti e che certa stampa locale si sia mobilitata sui motivi per i quali l'autore sia a parte di certi segreti sulle abitudini di queste fanciulle. La risposta è: immaginazione, fantasia! 

Ecco un altro punto fondamentale. Lo dico davvero, per tutti quelli che passassero di qui, anche i più distratti. Questo è un concetto chiave per vivere sereni, per capire come va la vita. Gli scrittori sono creature meravigliose. Ma, a meno che non sia dichiarato, quello che raccontano NON necessariamente l'hanno vissuto. Davvero, è importante. Questo è il peggior equivoco che si possa creare intorno a questa questione. Faletti ha scritto Io uccido, ma non ha ucciso, veramente, nessuno. 

E siamo passati a parlare del politicamente scorretto, che dovrebbe essere in un certo senso uno dei principi del bravo scrittore. Non che egli sia cattivo, ma che sia libero di affrontare qualsiasi tema senza esser assimilato a ciò che ha scritto. Siamo nel 2012 ma gli scrittori si ritrovano ancora oggi a dover dipanare questa misteriosa, ambigua, vischiosa matassa. L'arte e la vita. Due rette parallele?

E infine i finali. Il tema del finale è un tema scottante per questo autore. Non c'è persona vivente che non abbia notato qualcosa di strano nel finale della Solitudine... 

Anche questa volta, dunque, ci siamo resi conto, c'è qualcosa di controverso. Al punto che ha ammesso. Sì. Ho un problema coi finali. 

E meno male, così non finirà di scrivere. C'era una domanda su questo che mi sono dimenticata di fare. Me l'aveva posta una ragazza di nome Silvia, via mail. Riguardava proprio i progetti futuri di altri romanzi. Silvia: gliel'ho scritta via mail, vediamo cosa ci risponde.

E poi ci sarebbero tante altre cose. I video, ad esempio. Li trovate qui. Il suo viaggio, quello che ha creato il paesaggio del romanzo. Il modo in cui i personaggi si costruiscono. Per gesti, per avvicinamenti. Il bisogno di silenzio e raccoglimento. 

Fine.

mercoledì 28 novembre 2012

Domani: Daria Bignardi al Circolo dei Lettori.


Buongiorno: sto per partire per incontrare Paolo Giordano (grazie per le domande che mi avete scritto, ne ho scelta una!). Poi invece domani incontrerò lei.

Ovvero lei. Sinceramente, questa è fortuna. Una bella felicità che mi respira un po' nel cuore, vorrei capitasse a tutti prima o poi almeno una volta qualcosa di simile. Leggere un libro che ti piace, parlare con la scrittrice. Ma poi. Stiamo parlando di Daria Bignardi. Una creatura, assicuro dai pochi momenti che ho avuto modo di parlarci, innanzitutto esistente, ovvero vivente, ovvero non l'abbiamo solo immaginata in tutti questi anni. Ma poi è avantissimo. Non trovo altre parole. Nel senso che, data la sua vita, potrebbe, non so, banalmente tirarsela molto di più. Invece resta curiosa, resta umile e si diverte, a quanto sembra. Una creatura che è qui ma conosce qualcosa di misterioso sul futuro. Sarà bello ascoltarla domani sera a Torino (al Circolo dei Lettori) e poi scambiare qualche altra parola. Diciamo che tutto questo ha  per me il sapore di qualcosa di assolutamente unico. E il libro è bello, ma molto. Ha risuonato dentro di me per giorni. Ha una luccicanza buona. 

Yo.

lunedì 26 novembre 2012

Paolo Giordano - Il corpo umano - appuntamento a mercoledì.


Paolo Giordano, Il corpo umano, Mondadori.

Ecco il secondo romanzo di Paolo Giordano. 

Eccolo lì. Nella sua fragilità. Nella sua bellezza. Nel suo dolore. Nella sua quiete, in quella umiltà, nella sua ambizione, nella sua durezza. 

Un libro all'incirca su: quando sei nel posto peggiore del mondo, il più pericoloso, e i segreti del tuo stesso corpo, della tua stessa vita, ti minacciano, tutto ti minaccia, tutto ti mina piano, per smottamenti, per sgretolamento, o forte, per esplosioni, comunque però alle basi di qualsiasi vera "bolla di sicurezza" possibile. 

E non è detto che questo posto sia necessariamente l'Afghanistan; anche se è proprio lì - nella fob (forward operating base) - che la storia, che gli accadimenti prendono per lo più vita. Come sappiamo, la guerra in quei luoghi ci vede attivi come Paese, contempla vittime, contempla superstiti e, come tutte le guerre, anche e soprattutto l'orrore vero. 

E poi tra l'altro quello è, lo si sente bene leggendo il romanzo, anche un territorio particolarmente ostile alla vita, alla sopravvivenza proprio fisica. Poiché il corpo sa tutto, lì si debilita, per la luce, per l'aria. Il corpo sa molto, sa più di noi e non è un caso che si trovi infatti lì a fare da titolo. E non è un caso anche che tutto forse nella vita è corpo, il corpo militare, ad esempio.

Ma il libro, se possibile, dice anche altro.

Se siete umani, siete italiani e siete mediamente lettori di romanzi allora saprete già tutto di questa seconda attesissima avventura di Paolo Giordano, o molto: la sua genesi, la sua lunga gestazione, i tormenti etc. etc. Vi sarà bastato ascoltare magari questa intervista da Fazio qualche tempo fa e siete già sufficientemente istruiti. Per i pochi che se la fossero persa, è qui

Fa dunque un po' paura anche solo pensarci. Che questo scrittore drammaticamente sabaudo ha venduto milioni di copie di libri in tutto il mondo, quando aveva appena 25 anni e non si sa come è ancora vivo, ancora integro, ancora torinese. E soprattutto fa un po' paura a me il pensiero di incontrarlo mercoledì. Una peculiare circostanza. Insieme ad altri blogger, avrò in effetti l'opportunità di scambiare qualche parola con lui.

L'avevo già visto e ascoltato leggere stralci del Corpo umano, in un'atmosfera a dire il vero apocalittica, ad Anteprime, qui, questa estate. Mi aveva molto colpita, soprattutto perché la lettura riguardava uno strano matrimonio e attacchi di panico: due argomenti che, se sei una signorina sui trenta non possono non destarti una certa curiosità, giusto? Non fosse altro che per esperienza diretta (gli attacchi di panico, naturalmente. Sempre che una pluriennale convivenza non sia assimilabile in tutto e per tutto a un matrimonio vero, beninteso. Ma questa è un'altra storia - ma ricordate che siamo su un blog e ci sono delle sacrosante regole di non-privacy da rispettare!). 

In quella occasione, comunque, non avevo osato avvicinarlo, anche perché non c'era proprio spazio fisicamente e un via vai generale, una fretta, una calca. E poi è tutta una cosa di torinesi, prima cioè che un torinese ne avvicini un altro anche solo per far due parole devono passare mesi, anni di riflessioni micidiali, di smarrimento del pensiero, e poi arrivano i milanesi e risolvono tutto in un attimo e ti salvano. Grazie dunque amici di Mondadori per questa bella e felice opportunità.

Ed ecco dunque il punto. Le domande. Le domande agli scrittori è la cosa più misteriosa che mi sia capitata nella vita. Sto veramente implorando il destino per districarmi in questo assurdo doppio legame, fantastico e stregato, in cui sono finita negli ultimi tempi. Ovvero: passo ormai la gran parte della mia esistenza, da un po', a formulare e infine rivolgere domande-agli-scrittori. Ma questa cosa mi sta lentamente disintegrando il sistema nervoso. Poiché ogni volta mi agito tantissimo. Sono colta prima da vuoto mentale, siderale, successivamente da sintomi cardiocircolatori, infine da spossatezza. Eppure non ne posso fare a meno. Al punto che, se tutto va bene, come spero, e come vi avevo iniziato a preannunciare qualche tempo fa, è capitato anche a me di scrivere un romanzo vero ma soprattutto di aver trovato qualcuno che se ne prendesse cura con amore vero (una casa editrice vera). Ma anche questa è un'altra, bellissima, storia, di cui vi dirò più in là. E comunque dovrò pensare a domande da farmi da sola, il che, suppongo, sarà piuttosto divertente.

Insomma, torniamo al punto. L'incontro con Paolo Giordano di mercoledì 28 novembre, a Milano. 

E dove se no?

Avrei preparato in anticipo delle domande. Le ho preparate. Poche, ma se ci sarà tempo e si potrà entrare nel merito del romanzo, allora spero sgorgheranno spontanee anche lì sul momento. Le domande-base da cui volevo partire sono queste. Le metto per voi. Affinché possiate incuriosirvene, e quindi tornare poi a leggere le sue risposte. E soprattutto per chiedervi una cosa. Ma la chiedo dopo. Prima le domande.

1) (Inevitabile) La solitudine dei numeri primi. Sembra essergli arrivata anche un po' come un dono divino. Da giovanissimo. Come una grazia, giusto per non esagerare. Una cosa esplosiva. Tralasciando la pur lodevole valenza letteraria, è stato un libro davvero percepito dai lettori come in stato di grazia da ogni punto di vista. Commerciale, si sa. Ma anche di contenuti. La violenta fascinazione della città, il suo male che scorre come il fiume. Personaggi magnifici. La sua luce perlacea, la sua confusione precisa, triste. Vera. Ma anche da un punto di vista compositivo, assomiglia proprio a una felice e perfetta congiuntura. Il corpo umano sembra invece provenire da tutt'altri spazi. Da un inferno diverso. Dall'Inferno stesso, forse. E c'è anche in effetti una scrittura diversa. Un linguaggio più letterario, più virtuoso ma anche più dolente, sgraziato. La voce è più roca e profonda. Si direbbe la voce proprio di un giovane esordiente, seppur clamoroso, che diventa uomo. Mi incuriosiva dunque sapere il percorso di tutto questo. Non umano, che sappiamo già un po', vedi Fazio. Ma quello di scrittore. Cioè le letture, ad esempio. O altre stesure. O vuoti. Strategie. Se ha scritto altro nel mentre, racconti, accenni di romanzi. Ah, le domande chilometriche dei blogger!

2) Ho ascoltato Paolo Giordano intervistare "la sua maestra" Elizabeth Strout al Salone del Libro a maggio. Mi chiedevo se e come lei sia entrata in Il corpo umano. 

3) Ci sono "scrittori di guerra" che ha amato e letto durante la stesura del romanzo. (Forse questa era già inclusa nella prima...).

4) Ha letto Limbo di Melania Mazzucco? Che ne ha pensato? 


Ne avrei un'altra su Torino. E qualcuna sui personaggi del libro. Ma le tengo di riserva. Immagino che gli altri blogger avranno anche altrettante cose da chiedere. Magari più interessanti!

La cosa che volevo chiedere a voi invece è questa: se avete delle curiosità su questo romanzo, o su Paolo Giordano e la sua scrittura, sentitevi liberi di scrivermele, nei commenti, su twitter (io sono @tazzinadi), su facebook, via mail, o per posta tradizionale, in quel caso però mandatemi anche un pensierino, un segnalibro, un porta gioie, che ne so, qualcosa di memorabile! E io, citando ovviamente il vostro nome, soprannome o che altro, gliele rivolgerò diligentemente.

Comunque è tutto vero e accadrà mercoledì. Buona settimana.




sabato 24 novembre 2012

Mina.


Quando si dice, le possibilità della vita. Le sue sorprese qualche rara volta. Mina che, come si usa dire, "torna sulle scene", con questo disco, American Songbook. E canta questa canzone. In questo periodo, non so se è normale, io vivo un po' a occhi chiusi. 

Consiglio. Chiudete gli occhi ancora una volta, ascoltatela così. Pensate un po' a quello che vi piace. 



venerdì 23 novembre 2012

L'amore vero.



Invece questa sera, dalle 19 in poi, sarò alla Libreria Linea 451 in via Santa Giulia, 40, a Torino. 

A presentare un bel libro con grande piacere e curiosità. 

L'amore vero l'ha fatto solo con me

Che titolo, che copertina. Già da questo, vale la pena capire e ascoltare. Tanto è vero che leggendo ho già capito che lo scrittore ha tante cose da raccontare, avrei la tentazione di dirgli: vai, parla tu tutto il tempo. Ma una qualche parola più o meno intelligente di introduzione mi industrierò a tirarla fuori pure io!

Comunque adesso ho iniziato a conoscere questo autore, Alberto Mossino, attraverso il suo blog. E ho appreso che è stato anche finalista (e mi sembra anche particolarmente amato) al Premio Calvino. Secondo me, farebbe piacere scoprirlo anche a voi.

Il libro è una raccolta di 26 storie, racconti brevissimi, fulminanti. Racconti di prostituzione e tutto ciò che ci gira intorno, soprattutto ciò che poi ne segue quando queste donne (strepitose, a dire la verità) cercano più o meno consapevolmente di ricostruire la vita in un Centro di Accoglienza torinese dove capita qualsiasi cosa. E dove il fantastico signor Ugo, protagonista vero della faccenda, prova a far fronte ai disastri ma anche alle sorprese che l'umanità a volte sa offrire.

Queste donne, si diceva, sono strepitose. Mi è piaciuto tanto lo sguardo su questo mondo: ironico, sincero, molto sincero. Sono tutte storie vere, tra l'altro. Molto comiche. Molto drammatiche. Dove si osserva la prostituzione sotto l'aspetto più reale, quello di un'esigenza micidiale, pericolosa, violenta e bestiale di stranissime, dolorose forme di amore. O di qualcosa che ci assomiglia. O di qualcosa e basta. C'è davvero un istinto sociologico in queste storie ma tanta anche narrativa pura e spassosa. 

Come una sorta di Spoon River di bizzarri viventi tutti gravitanti in una Torino senza fiocchetti.

Ho pensato anche un po' a De Andrè, chissà se ci ho preso? Lo chiederò stasera all'autore di questo libricino leggero e breve nella forma, vasto e profondo nella sostanza.

Se potete, passate a trovarci che secondo me passiamo una bella serata insieme.

giovedì 22 novembre 2012

A una lumaca.


Marianne Moore, Le poesie, Adelphi


Chiudete gli occhi e immaginate qualcosa di importante. Non dovrei dirlo, ma fidatevi di me. 

A una lumaca è il titolo di una delle poesie più piccole e più belle di questa raccolta. Che mi è saltata tra le mani ieri, dopo tanto tempo che non la aprivo più, per caso, come la gran parte delle cose importanti della vita, o forse no.

Ho letto infinite volte alcune di queste poesie. Al punto che è stato facile ritrovarle nella memoria perché le avevo segnalate anche bene, con i post-it, con le sottolineature, lasciandoci dentro piccoli parafernalia: una foto in bianco e nero, un biglietto di teatro, con una data che coincide proprio forse con il momento in cui devo aver abbandonato alcuni dei miei libri in un angolo, convinta del contrario. 

Su questo poi c'era già pronto sulla copertina il cerchio tondo lasciato da una tazzina, si vede che già leggevo bevendo caffè, come molti, a dire il vero. 

Ho amato queste poesie (tanto quanto quelle della Szymborska). Con la stessa curiosità, la stessa ricerca di nutrimento, di sortilegio buono.

Mi ricordo ora e all'improvviso, mentre scrivo, di essere stata anche una lettrice più austera, più composta, più lieve. L'incanto che si creava tra le parole e la mia mente, e gli occhi, era di una qualità diversa. C'era un contegno sacrale, vestale, orientale in quello che facevo. Chissà se è capitato ad altri. Adesso ho più un atteggiamento da festa, da party, prendo il libro come un gioco, un diletto. Chissà se è normale. Chissà. Niente contro le feste, eh. Anzi. Forse ce ne sarebbe molto più bisogno.

Questi versi (non in rima e lo si chiarisce bene nella poesia dal titolo - ah, che titolo - Il passato è il presente, dove la Moore parla di Abacuc e lo fa come un ruscello di fonte cristallina) avevano un potere su di me incredibile, ipnotico, ipnagogico anzi - ovvero tipico di quelle immagini che sopraggiungono alla mente poco prima di addormentarsi. 

Leggevo questi versi superiori, eleganti, ironici, coltissimi e poi di colpo elementari, chiari, come scritti su un quaderno di un bambino. E pensavo, pur non conoscendola, poiché è nata nel 1887 nel Missouri, vorrei essere lei, e con tutte le mie forze. Anzi, di più, vorrei che queste parole fossero le mie. E così, in un certo senso, è stato, perché alcune me le ricordo ancora a memoria. Ritrovare i propri libri della vita è la cosa più formidabile mi sia capitata, tra quelle belle. Come una finestra che si apre sul tuo vero paesaggio. 

Ma poi, i titoli.

La mente è una cosa che incanta. Oppure Eppure. O ancora. La logica e "Il Flauto magico". O anche: "Digerisce durissimo ferro".

E ho anche ritrovato, è qui, è qui!, quel verso che credevo fosse della Szymborska, che ho sempre conservato da dire, che ho sempre detto a me stessa o agli amici quando ne avevano bisogno:

"come Pilgrim, costretto ad andar piano
a trovare il suo rotolo; stanchi ma pieni di speranza - 
non essendo speranza la speranza
finché non sia svanito ogni motivo 
di speranza; e indulgenti, pronti a considerare
l'errore del proprio simile
col cuore di una madre - 
donna o gatta".

Donna o gatta in effetti non me lo ricordavo, neanche Pilgrim, ma la parte in mezzo della speranza sì, eccome. La poesia in questione si chiama L'Eroe. Niente meno. 

Le parole, come le usa Marianne Moore. In un modo in cui, dopo averle lette, ti senti un genio. Ti senti al sicuro. Ti senti figlia e madre e saggia e, oddio, anche gatta, a quanto pare. Scusate.

Il lettore di questi versi si sentirà comunque baciato, dalla fortuna, depositario di rivelazioni piccole, luminose o filosofiche. Sì, è filosofia, è lavoro, è poi anche istinto purissimo, sembra di stare di fronte al lago più azzurro del mondo. 

Poesie come discorsi, ciascuno su qualcosa di importantissimo, qualcuno di un difficile da stare male, altri leggeri come piume sulla guancia. 

"Cagnolino che corri per il prato ad addentare la biancheria / e sostieni di aver preso un tasso". 

Dolcezze infinitesimali che arrivano magari dopo una discettazione magniloquente sulla critica letteraria, nella stessa poesia, che si chiama Cogliere e scegliere. Consigliatissima. 

Caramelle, a volte. Ma di quelle nutrienti. Un po' da farmacia dello spirito. Anzi, no. Di quei frutti piuttosto che ti vai a staccare nei boschi, rischiando di morire. E poi invece si scopre che sono i più vitaminici. Vitamine per la mente. E, ne sono convinta, anche un po' per il cuore e per i muscoli. 

Perdonatemi. Per tutto questo amore. Ma lo dice la Moore stessa, nella poesia dal titolo Voracità e verità a volte sono interdipendenti.

"Si può - lo so - essere perdonati,
si può, per un amore senza fine".

E siccome abbiamo iniziato piano, con una lumaca. Finiamo leggendocela tutta:

To a snail

"Se 'la concentrazione è il primo dono dello stile',
tu la possiedi. La contrattilità è una virtù,
così come modestia è una virtù.
Non già l'acquisizione di una cosa qualsiasi
capace di adornare,
o la qualità incidentale che per avventura
si accompagni a qualcosa di ben detto,
non questo apprezziamo nello stile,
ma il principio nascosto:
nell'assenza di piedi, 'un metodo di conclusioni';
'una conoscenza di princìpi',
nel curioso fenomeno della tua antenna occipitale".


Dopo, ti senti un genio. Ti senti felice.

mercoledì 21 novembre 2012

Chi ti credi di essere?


Alice Munro, Chi ti credi di essere?, Einaudi.

Alcuni libri di Alice Munro che ho letto in questi anni, con molta passione.


Un'altra domanda che bisogna farsi quando si ha un "bookblog", oppure anche in generale quando si fanno le cose, prima o poi, è proprio questa. Prima che te la facciano gli altri. Oddio: la fanno comunque, ma non te la dicono! Quindi fattela tu, e ti togli il dente.

Ma che sto farneticando: "consigli a un giovane bookblogger?". No. Non so se il mondo è ancora pronto per tutto questo. Chi mi credo di essere, per l'appunto.

Quindi cambiamo completamente argomento, come dicono al tg, e parliamo di cose serie. Anzi, non proprio serie, di cose drammaticamente belle: l'ultimo libro di Alice Munro.

Ultimo uscito per Einaudi, in verità: in due giorni passati nella città della moda è stato il mio unico acquisto (Sono masochista? No, è solo parsimonia, ma va bene, la consiglio, ti fa sentire più forte nelle avversità). Perché la sua prima edizione risale in realtà al 1978, ma se non ci si fa caso non ce ne si accorge quasi. Tanto sono vividi questi racconti-romanzo.

Dicono che oggi vada di moda la formula magica: racconti intrecciati come fossero un romanzo. Ma secondo me è perché sotto sotto piace a tutti chiacchierare davanti a un caffè. Ci ho pensato e credo che infatti questa "formula" sia molto antica, la usava anche Calvino, per dire, se non erro. 

Questa ultima pubblicazione einaudiana è benemerita perché arriva infatti a colmare un vuoto-di-munro che si crea nel cuore dei suoi lettori. Arriva con il titolo giusto, al momento giusto, con la copertina giusta, molto bella! E con una storia, per così dire, di formazione, in cui c'è un bel personaggio ben definito, molto nitido, costante, persistente, deciso e decisivo che matura e poi torna bambina. 

Rose.

Non so voi, ma io leggendo sento il bisogno molto spesso di creare legami forti. Con i personaggi.  Con chi li ha raccontati. Anche se la Munro non l'ho mai vista nemmeno in fotografia. La adoro ma non so perché non ho mai cercato le sue foto in rete. Misteri. 

Quindi è geniale il racconto breve in cui però il personaggio ritorna perché crea come un vento di novità nella mente del lettore, ma anche colma quell'esigenza forte di sicurezza che sentiamo tutti, almeno in certi momenti della vita. 

Detto questo non significa che Rose e la sua storia siano rassicuranti. Tutt'altro. Rose comincia ad apparirvi nella mente, sotto gli occhi, per la prima volta, prendendo botte. Botte da re. Intenta a decodificare queste botte, intenta a decodificare i mali della vita, inventandosi mondi, anzi modi strani di essere, come è tipico di alcune vittime. 

Poi voi crescete con Rose. Leggete i libri che legge lei. Qualcuno, senza motivo, vi pianterà i suoi occhi dilanianti e vi chiederà: Chi ti credi di essere? Farete una fatica mostruosa a sopravvivere, a uscire dalla povertà (non è facile), a uscire dalla gente sbagliata, la vedrete ingegnarsi con l'astuzia e la disperazione dei forti. 

"Rose aveva un bisogno di immaginare le cose, di pedinare assurdità, che superava anche quello di tenersi lontano dai guai, perciò, invece di prendere la minaccia sul serio, si perdeva a rimuginare: ma come saranno le botte da re?"

Funziona così, in effetti, per certi personaggi creati così bene. Si arriva a sapere cosa pensano poco prima di un piccolo massacro. Lei pedina assurdità. Ma sarà proprio quell'intuizione disperata a salvarla? L'intuizione di inseguire lo stesso qualcosa, qualcosa che non sa nemmeno lei?

E poi ritroverete la grande scrittura secca e affidabile della Munro. Le sue parole che, nella tessitura piana della trama, spuntano di colpo con doni valenti e portatori di significati. Doni che non capisci sulle prime di ricevere. Doni di cui si prende contatto solo dopo, molto dopo. Quindi, leggendola, non ci vuole fretta. Ci vorrebbe una spiaggia solitaria. Un lungo viaggio, una casetta in montagna, una settimana bianca, un mese bianco, un anno bianco. 

Ah. Invece se qualcuno avesse interesse a sapere il mio racconto preferito della Munro, esso è contenuto nella raccolta In fuga, e si chiama Scherzi del destino. 

Per pedinatori di assurdità! Enjoy.

martedì 20 novembre 2012

Emmaus.








Ecco, dicevamo, a proposito delle differenze tra avere un blog e scrivere su un giornale vero. 

Ce n'è una che mi consente di tornare adesso, volentieri, senza scadenze, senza remore, a parlare con una discretissima fierezza di Baricco, mentre sono certa che un eventuale direttore di giornale alla settecentesima volta in cui parli di Baricco o sei Baricco, o sei licenziata. 

Sempre che esista ancora il concetto di "lavoro", là fuori. E dunque, il suo opposto; giacché il significato di molte cose è esploso ultimamente, come in Zabriskie Point, e siamo qui a vedere i cocci per terra. 

O comunque, se non è proprio così semplice come la faccio io, (e so bene che potrebbe non esserlo, anzi) non ditemelo, non lo voglio sapere, voglio illudermi che va bene, che venite qui per me, perché mi volete bene, perché siete curiosi di ascoltare i miei pensieri, perché volete sapere ciò che penso dei libri e perché avete dieci minuti liberi ma soprattutto perché tutto ciò ha un senso, la mia vita ha un senso, questo blog ha tantissimo senso. Se mi sbaglio, per favore, dai, non fatemelo capire. 

Almeno non questa sera.

Si diceva: Emmaus. Chi mi vuol bene e viene qui a leggere per sapere come me la passo, malgrado le incombenze della vita, sa quanto io ami Baricco. Ma non è proprio amore, è più voglia di qualcosa di buono. Scherzo. Volevo dire che è qualcosa che travalica tutto. 

E i motivi sono tanti. Il più semplice, quello che ho già accennato annoiando qui un bel po' di volte, e senz'altro comprensibile ai più, è che se tu sei una studentessa del classico (dai gesuiti, tengo a precisarlo, perché c'entra con Emmaus) una che sta iniziando a crescere con i libri, che i libri nel mentre stanno iniziando a crescere dentro di lei, e a vivere una sua infinitesimale e tormentatissima vita interiore, esci da scuola con il tuo zainetto Invicta e le Clarks sempre slacciate, prendi il tram numero 18, vai all'Auditorium del Lingotto a Torino, ti siedi sulla seggiola e vedi cose simili a questa, e questa, e questa, e infine questa, o altre che vi consiglio di scoprire o riscoprire perché sono piene di strano e immutato fascino, sfido a non cadere, letteralmente, in una sorta di incantesimo perenne, per la vita. Nemmeno in un romanzo di Murakami si suscita una simile malia. Inutile ostinarsi a resistere stolidamente a tutto questo, giudicando per il bieco gusto di farlo.

Ma in generale sfido chiunque, specie i detrattori di Baricco (non avete idea delle mail che mi arrivano dopo averlo adulato citato a Librinnovando, non aggressive, direi, ma buffe: suscita sempre reazioni fortissime anche nelle piccole cose, come può essere la mia esperienza, e tutto ciò è incredibile, fa riflettere sulla natura umana!); sfido chiunque allora a rifare quelle cose in quel modo, a restituire i libri al mondo, l'opera, la musica, i classici ai giovani, agli occhi e alle orecchie di tanta gente con quella ispirazione, con quello splendore, che poi a riguardarlo nemmeno era splendore, c'era molta umanità che non avevo capito allora, perché, appunto, vedevo solo lo splendore. Sì, erano anni diversi, lenti, era tutto diverso, è stato giusto crescere, cambiare. Ma ora che ci penso in una cosa Baricco non è mai cambiato, almeno a giudicare dai video delle sue ultime apparizioni: quelle improbabili magliette bianche oversize a girocollo: ma perché, perché? Pazienza: a parte ciò, tutto ora è cambiato.

E pur tuttavia basta un click, e quelle cose si riaccendono, come le luci di Natale.

E non sono solo sensazioni, sono saperi antichi tramandati in uno stato di grazia mai visto né prima né dopo, bisogna riconoscerlo. E in tema di luce, una cosa che non avrei mai immaginato sono proprio le nuove diottrie di cui è stata in grado di dotarmi la vita dopo tutto questo tempo. Tante cose sono cambiate, tutto cambia etc., ma Baricco in fondo è ancora lì che scrive dei libri e parla molto, specie negli ultimissimi tempi, e io onestamente sono ancora qui che, con pazienza, cambio lenti, provo ad averne cura, ne ho cura, e vedo improvvisamente cose diverse. Poiché tutti sanno che dove c'è luce c'è anche ombra, ed eccoci qua. 

A Emmaus. Una parentesi che c'entra poco, ma mi piace, è che nella Cena in Emmaus di Caravaggio c'è il dettaglio pittorico più interessante che conosco, guardate qui. E il nome prende forma proprio da quel fatto biblico lì.

Ma torniamo a noi. Emmaus. L'ho letto qualche sera fa, l'avevo tenuto per ultimo, sapendo che sarebbe stato destabilizzante. Era uscito in un periodo complicato per me, difficile. Da tempo avevo smesso di leggere libri e stavo ricominciando, non potevo ripartire con Baricco. 

Infatti si è rivelata una lente diversa per osservare tutti gli altri, proprio tutti, tranne forse i saggi, ma magari anche quelli, di sicuro Oceano Mare. Chi si è stolidamente convinto che il mondo di Baricco sia un mondo sognante, ingentilito non credo abbia letto con calma, o abbia compreso tutto (non che io abbia compreso tutto, tutto eh) e comunque non ha letto Emmaus

Altra cosa che non si potrebbe fare su un giornale vero, ma nemmeno su un blog che aspira ad assomigliarvi o ne è un satellite, è parlare a oltranza dei fatti propri. 

Dunque ciò che a una prima istanza mi ha colpita di questo libro, dopo il titolo, è invece proprio l'analogia spaventosa, spaventosa, con la mia vita, con i fatti miei. Vita mesta, ma forse per questo piena di indefinibili, conturbanti emozioni, nella stessa città, mai nominata, che è Torino, credo cinque o sei anni prima che nascessi. Lo stesso habitat solo all'apparenza granitico, quella classe sociale lì, le stesse tende verdi, gli stessi silenzi, le stesse luci e le stesse ombre. (Per capire ancora meglio ciò che farnetico, c'è questa intervista qui). 

E poi, i preti. Quel sentire, quella vena di violenza silente a volte, di quell'essere che è profondamente, inesorabilmente cattolico e inesorabilmente torinese e che è inconfondibile e a volte spietato. Il volontariato, per me era al Cottolengo, un universo parallelo al nostro, popolato da creature di fantasia, da fantasmi assoluti, con le vecchiette bloccate in quegli stessi letti, a fare le stesse cose. Non riesco a dimenticarle più nemmeno io, è impossibile. A me capitava, a differenza del protagonista (senza nome) del romanzo, di sentirmi sì "piena", sì forte e migliore, ma anche disperata. Piangevo molto, non riuscivo poi a tornare bene nelle mie minuzie da adolescente, mi massacravo di pietà, di sensi di colpa. C'è da dire che queste vecchiette versavano in condizioni davvero inumane. Ma a parte questo, stessa musica. 

I ricchi, anche. Quel modo di osservarli brillare sia da vicino che da lontano, nella mia scuola ad esempio c'erano un sacco di persone come quelle del libro, e io ne ero stregata e respinta al tempo stesso, ma facevano più o meno quelle cose lì, che mi parevano sempre un miraggio. E le amicizie che si sgretolano, che si trasformano in triangoli (anche se ciò che accade a un certo punto nel libro in verità poi io non ero capace nemmeno di immaginarlo), le feste in cui ti senti idiota, le feste eccitanti in cui non sai se c'entri o non c'entri. La preghiera. Il bisogno di una qualche bontà superiore, una spiritualità mistica, una sicurezza; il coraggio. La tristezza nera, che non ha un nome, non ha mai il suo nome. L'amore che non è mai amore, non ha mai nome, mai. 

Poi ho pensato. Che sia Torino che fa questo effetto? Città magica. Città che può far paura, città bellissima, tremenda. Che sia la nebbia a custodire così tanti misteri? Non lo so, ma ho capito, si capisce, perché poi questo scrittore, per lo meno nei libri, abbia rincorso sempre ben altre atmosfere, come dargli torto? Anzi, meno male.

"Così, tagliati fuori dal tragico, riceviamo in eredità la bigiotteria del dramma - insieme all'oro zecchino della fantasia".

L'oro zecchino! La fantasia. Certo, senza Emmaus però mancava un tassello. Si è detto che c'è un prima e un dopo, però io non ne sono così sicura. Tanto non sono una critica, posso dire di tutto un po'. Per me invece non è detto affatto che Baricco continuerà su questa strada qui. Magari torna ai luoghi lontani, alle contee. Magari invece resta qui, a casa. O smette di scrivere o scrive invece più spesso, "come avere un blog". Chi può dirlo. 

Poi, che altro aggiungere? Si potrebbe forse dire dello "stile" di Baricco. Che non è un pleonasmo! Lo stile sporco, emotivo, che si alterna come un imprevisto a tratti di rigore adamantino? No. Meglio lasciar perdere.

Questo in fondo è solo un blog. Per quanto mi riguarda, solo una sorta di cesta dei giochi, in cui riporre gli oggetti più belli, cui tengo di più, che vorrei poi ritrovare domani uguali. Niente di più. Anche se, ripensando alla mia cesta dei giochi di vimini vera di quando ero bambina, non riesco però a immaginare niente di più amato e inestimabile. Basta, mi si è spezzato il cuore scrivendo. Buonanotte.




domenica 18 novembre 2012

Librinnovando!


Librinnovando a Milano venerdì (e poi sabato Bookcity) per me è stato inebriante. 

Inebriante.

Inebriante.

Inebriante.

Un angolo di terra per me. Giusto, perfetto, dolce, gentile. Molto dolce. Molto gentile. 

Bello.

Con tanti amici (sotto questa bandiera quante cose interessanti c'erano da dire, più che altro da ascoltare).

Scintille.

Incantesimi.

Persone uniche al mondo.

E molto altro ancora. Però. Però, come diceva il piccolo video qui sotto nell'altro post, io devo, voglio, ho bisogno, sono costretta a stare con i piedi per terra. Stare al mio posto. Che è.







Ecco, giusto. Qual è il mio posto? Qual è il posto di questi fantomatici bookblogger allora? Perché in effetti ora parlo proprio come "blogger", in questo momento domenicale, perché è qui che sto scrivendo. Su un blog, il mio.

Quindi il mio posto è qui, ora. Avevo preparato un discorso vero, strutturato, in relazione alle mie slide, sul tema del bookblogging e l'etica e il rapporto con le aziende e la professione e la passione etc. etc.. E poi volevo dire molte cose a proposito proprio delle ragioni che hanno dato origine alla nascita dell'esigenza di diventare "bookblogger", almeno le mie. Non è un argomento semplice. Questa è una questione di una discreta complessità. Avevo qualche aneddoto, qualche domanda da fare anche ai presenti a proposito dell'essere blogger e del nostro destino. Un animale strano, involontario, in via di distinzione.

Niente a che vedere, per carità, con quelle di Jennifer Egan in Il tempo è un bastardo, (chi l'ha letto sa cosa dico, agli altri lo consiglio!), ma insomma ho fatto del mio meglio con queste slide che poi per ragioni tecniche che non saprei spiegare sono sparite e infine miracolosamente riapparse a metà,  insomma una situazione rocambolesca, stranissima. Specie per chi, come me, continua a non abituarsi del tutto a queste situazioni di convegni che, anziché ordinarie, mi appaiono così belle. E dunque per raccogliere le idee e tutto il resto passo molto tempo da sola e in silenzio nella vita. 

Ritrovarmi in questi momenti scintillanti, importanti e pieni di imprevisti e magnifiche sensazioni è ancora una cosa da capire, da metabolizzare, un luna park, ma anche una realtà che sento come un'enorme responsabilità.

Comunque ho spedito oggi a tutti gli interessati queste fantasmagoriche slide, e per chiunque le volesse leggere e guardare, sono a disposizione anche qui. [Considerate che sono solo spunti, suggestioni intorno a cui costruire magari un discorso. Vorrei più tempo, più vita, più sguardi, più mani che girano lo zucchero nel caffè (anche se io lo bevo sempre amaro)]. 

Come sono qui anche io, al momento, con le percezioni di ieri ancora intatte e vive, e palpitanti nella mia mente. Avrei molte cose da raccontare, da circoscrivere, ma magari lo farò un po' alla volta. Oggi volevo solo dare un segno di vita. Un seme da mettere nella terra sperando che esploda lentamente come un albero (cit.).

Perché in fondo è una domenica, uno strano giorno, sospeso nel nulla. 

Ci tengo però moltissimo a ringraziare tutte le persone che mi hanno dimostrato tanta stima e affetto, sia lì a Milano, dal vivo, con parole indimenticabili, sul serio e sia su twitter. Grazie!


mercoledì 14 novembre 2012

Librinnovando - Ora che questa avventura.






Sta diventando una storia vera.

E quindi venerdì 16 novembre sarò a Librinnovando e il mio intervento, nella sessione Social in editoria: utenti, preservation e utilizzo commerciale, moderata da Sara Bauducco, si chiamerà: 

Social media e bookblog: tra passione, professione ed etica. 

Anche l'anno scorso ho partecipato a questo bel convegno. E qui ci sono le prove. Era stata un'esperienza incredibile. Una forte emozione, per me. Ne ho accennato anche in questo post nel bel blog di Arturo Robertazzi, Scrittore Computazionale. 

Avevo raccontato, in particolare, il mio ruolo nella stesura di un piccolo libro sulla lettura digitale e il web, ma soprattutto era stato interessante ascoltare cosa gli altri avevano da dire, imparando un sacco.

Ripensavo oggi. Tra le altre cose, poi, avevo citato in alcune circostanze in quel periodo anche Alessandro Baricco, e avevo citato Bruno Munari! Ma davvero. Proprio con quella dolce incoscienza dei folli veri, quelli conclamati. Una volta tornata a casa, ricordo, mi sono detta: certo che ho rischiato grosso. Ho parlato in quel modo, davanti a tutta quella gente. 

Passa un anno, e cosa penso di fare? Cosa penso bene di fare? 

Indovinato: citerò un'altra volta Baricco e, forse, anche Munari. Così, senza aver imparato la importante lezione della prudenza. E dire che ho un anno di più. Ma, c'è una novità: lo confesso, assicuro che questa volta mi tremano le ginocchia.

Comunque ci tengo a ribadirlo: citerò fin dall'inizio, di sicuro, perché ormai ho consegnato le slide, Alessandro Baricco. Per un milione di buoni motivi. In questo blog non ho mai fatto segreto di aver letto tutti i suoi libri (sì, anche le mucche del Wisconsin, in un'edizione antelucana, non capendoci niente!) tranne uno, che però ho letto questa notte e che sapevo di dovermi tenere per ultimo, perché è uscito in un momento un po' strano e non era il caso di infierire con una lettura così bella e decisiva; ma vi racconterò con calma, un bel giorno, davanti a una tazzina di caffè doppio, mi sa.

Insomma, ho deciso, questa volta senza alcuna spensieratezza, e con profonda paura di sbagliare, direi terrore, di citarlo esplicitamente, pervicacemente proprio. 

(Comunque adesso ho un po' paura, ora che questa avventura. Argh.).

La seconda ragione è che ho voluto andare alle fonti delle cose (sia riguardo al macro tema: "il preoccupante avvento dei bookblogger nel mondo editoriale" che, per ovvie ragioni, mi sta un tantino a cuore; poiché ritengo che nei Barbari - come anche in altri autorevoli testi di altri autorevoli autori, beninteso - sia stato detto molto e bene sulla contemporaneità, ma certo si può sempre aggiungere un pezzetto. Sia proprio alle fonti della mia vita, le fonti delle mie sensazioni e dei miei primi piccoli saperi o non-saperi di adolescente, le prime parole che si staccavano come frutti acerbi dall'albero della famiglia, della scuola, il primo mondo che mi si è schiuso davanti agli occhi appena dopo l'infanzia è quello dei suoi libri, e chi lo ha letto a 13/14 anni e/o chi c'era eventualmente a quella minuta presentazione della Holden in piazza Cln a Torino sa di cosa parlo; ma lo sanno anche gli altri che per varie ragioni lo hanno intercettato nella vita, credo. Insieme al mondo di Kieslowski per il cinema e l'Idiota e Moby Dick e i Malavoglia per i classici, certo, quindi quella è la mia fonte. E come tornano le fonti, quando ne hai più bisogno, è una scoperta nuova e sorprendente, per me, oggi.

Perché lo scrivo?: non lo so, ma siete sul mio blog, mi sembra giusto presentarmi meglio sempre un pochino a ogni post. Quindi ormai sapete, se siete arrivati fino a qui a leggere, che i miei  neuroni si sono formati dunque lì, e lì vado a cercare, come in questo caso del convegno, se devo pensare a qualcosa di importante. Con una notevole ottusità anche: "ah, devo parlare di caccia e pesca? Bene: che ha detto Baricco in proposito?!". Non proprio così, ma quasi. 

La terza ragione è che su questa annosa questione del rapporto bookblogger-aziende si sono scritti in rete fiumi di inchiostro, fiumi proprio, e ho preferito evitare di infliggervi le solite cose. Importantissime, serissime, ma che conoscete già a memoria, se siete un po' pratici della rete. Ad esempio, non citerò il consueto, prestigioso, elenco di blog letterari famosi, che hanno fatto la Storia del bookblogging. Non sta a me farlo, ma soprattutto li conoscete già, li leggete già tutti i giorni, sapete già tutto. E rischierei di farvi perdere tempo prezioso. Mi piaceva invece citare qualcuno che con la rete avesse un rapporto di conoscenza scientifica per così dire, ma anche di misterioso distacco; ovvero è molto difficile trovare citazioni di Baricco a proposito dei bookblogger nello specifico, per questo ho scelto lui, almeno ho avuto agio di interpretare e rielaborare alcuni piccoli concetti riadattandoli alla categoria in questione. Uddio, credo in verità che ci ritenga dei pazzi furiosi, ma in fondo non è forse un po' anche vero?

La quarta ragione per cui le mie slide vi appariranno un po' strane, asettiche magari, è che ho voluto, come si diceva prima, andare un po' al cuore della questione, ma con sintesi e semplicità, sperando di non sconfinare, come è facile, invece nella banalità. Perché penso che in fatto di blog, bookblog & co. ci sia stata nel recente passato una sorta di ubriacatura. Un'ebbrezza. E dopo ogni bella bevuta, ci vuole un caffè forte, basico, senza zucchero, per tornare svelti coi piedi per terra.

Il tutto mi è apparso per meglio spiegare come un'immensa bolla di sapone, molto graziosa. Così, con questo lavoro per il convegno, ho pensato di prendere un ago e andarla a bucare, per vedere cosa restasse di significativo. Quali molecole? Oppure il nulla (ma non credo a questa ipotesi). Sempre tenendo conto della mia esperienza. Perché questa, credo, è la vera ragione per cui sono stata chiamata a intervenire a un convegno così strutturato e competente sull'editoria: ho un po' di esperienza sul campo di questo argomento. Mi sporco le mani tutti i giorni e so che questo è il criterio di "reclutamento" degli organizzatori: gente con le mani in pasta nella rete e che capisce un po' di editoria, amando i libri.

Non saprei teorizzare nulla, però, non sono una redazione (anche se ogni tanto ricevo mail buffe: "gentile staff di tazzina di caffè" WOW), ho i miei motivi per essere qui in questo mondo insensato a parlare di libri, sono anche io laureata con votoni etc. etc. con master, borse di studio e amenità varie, ma in definitiva, per varie ragioni (di cui un po' vi dirò magari venerdì) non appartengo proprio a nulla, nessun ordine e grado di alcunché, non ho nemmeno un lavoro fisso!

Sono solo una signorina che un bel giorno ha deciso di togliere un po' di polvere da tutti quei libri che aveva piano piano accumulato in casa, da Baricco in avanti, e di farli rivivere, prima nella mente poi nella rete, di prendersene cura perché stavano soffrendo di inedia e solitudine, sperando che qualcuno se ne accorgesse, prima o poi. 

Tutto qui. Poi, si è aperto un universo. Ma la base è solo quella. Un po' di amore. Un po' di voglia di vivere esplosa di colpo e senza preavviso. Una normale passione per le parole. Che è anche il primo punto dell'intervento. Una passione che non voleva spegnersi mai. Credo sia, per altro, un tipo di percorso simile a molti altri blogger, quindi anche su questo so che qualcuno là fuori mi ascolta e mi capisce.

E infine, come prosegue già  la canzone di Battisti?

Spero tanto tu sia sincera

Ecco: un'altra cosa che farò venerdì, spero, sarà di essere sincera. Sarà di riportare a una visione il più possibile lucida, lineare, al grado zero e molto serena di questa altrimenti confusa, fantasmagorica istanza del (book)blog, fotografandola con rispetto, e per quel che è. Senza enfasi e senza giudizi verso niente e nessuno. Vediamo solo un po' insieme cosa si fa oggi in concreto e vediamo, se c'è, che futuro mai avrà tutto ciò. Ma su questo anticipo che non ho risposte, solo domande: chissà che sarà di noi. Lo scopriremo solo vivendo!

Allora spero di vedervi in tanti venerdì. 

Chi non potrà essere presente, ma ha tempo di guardarci e ascoltarci, saremo in streaming sul sito Rai Letteratura

Grazie!