sabato 30 aprile 2016

My cup of caffè - Il libro dei bambini di A. S. Byatt.

A. S. Byatt, Il libro dei bambini, Einaudi

Bentrovati nella mia rubrica mensile dedicata ai libri di area anglofona. Ho scelto questo bel romanzo, che ho ricevuto in dono da Einaudi qualche anno fa in occasione di un incontro per blogger e giornalisti (non relativo all'autrice), e che ringrazio, per diverse ragioni.

Intanto, questo è un libro che racchiunde un po' la quintessenza dell'anglofonia, dell'anglitudine, dell'inglesità che dir si voglia. Ed è quasi completamente in Inghilterra che è ambientato, salvo rapide escursioni a Parigi e Monaco, tra il 1895 e il 1919 - con lo scoppio e lo svolgersi della Prima Guerra Mondiale. 

Per una recensione molto accurata e dal taglio squisitamente storico, rimando alle parole di Wu Ming, qui.

Tutto comunque ha inizio a South Kensington, nella galleria del principe consorte del Victoria & Albert Museum di Londra.

Per una piccola immersione nelle opere d'arte, nelle descrizioni affascinanti e nello sguardo peculiare dell'autrice, rimando invece a un testo della traduttrice del romanzo stesso, Anna Nadotti, sul sito Einaudi, con tanto di immagini e in particolare quella del candelabro di Gloucester che ha un ruolo nella storia.

 La protagonista è Olive Wellwood, scrittrice di libri per bambini.

Quando non aveva idee per le sue storie, si ispirava, con una certa riluttanza, alle fiabe segrete di Tom, Dorothy, Phyllis, Hedda, riscrivendone dei passi in forme più facili, pubbliche, ammorbidite e semplificate. Non c'era alcun esplicito sottinteso che le storie dovessero restare inviolate. Le storie sono storie, si diceva Olive, che vengono ripetute e si rifolmulano all'infinito, come i vermi troncati, o il ramificarsi delle vene d'acqua e di metallo. Le storie dei suoi figli contenevano elementi presi da altri narratori - anche il suo sincero Thomas incontrava la regina degli elfi con una gonna di seta verde come l'erba; e nell'universo di animali mutanti della storia di Dorothy, il sinistro talpone doveva molto al terrore infantile suscitato in Olive stessa della Mignolina di Andersen. C'erano passi che scriveva e riscriveva, a volte trasformandoli radicalmente, a volte senza quasi cambiare una parola. Uno degli incipit di Tom sottoterra era stato riscritto qualche tempo dopo l'incipit originale, ovvero l'incontro con la regina del Paese degli elfi. Forse poteva usarlo per scrivere una fiaba vendibile, Tom avrebbe messo il broncio e lei gli avrebbe spiegato che non si trattava della stessa fiaba, e gli avrebbe confidato, da donna a uomo, l'angoscia di una crisi finanziaria. 

E questo è uno stralcio tra i tanti della complessità del romanzo. La vita adulta di diverse famiglie e generazioni - con la Storia che le scorre dentro - in contrapposizione con l'esigenza di proteggere i bambini, di accudirli e di conviverci. Copio da una citazione del suddetto articolo di Wu Ming dal romanzo della Byatt:

I fabiani* e gli scienziati sociali, gli scrittori e gli insegnanti videro, in modo diverso dalle generazioni precedenti, che i bambini erano persone, con identità, desideri e intelligenze. Videro che non erano né bambole, né giocattoli, né adulti in miniatura. Videro, in molti casi, che i bambini avevano bisogno di libertà, avevano bisogno non solo di imparare, e di essere buoni, ma anche di giocare e di essere selvaggi.

Questo passo mi ha colpita e ho scelto di focalizzarmi su questa antica lettura (il libro è uscito in Italia nel 2009) a partire da un fatto di cronaca. Mi riferisco alla bimba uccisa da un pedofilo vicino di casa che l'ha scaraventata giù dal balcone in un quartiere di Napoli. Posto che i fatti di cronaca lasciano spazio sempre al sensazionalismo e saziano la fame di morbosità che c'è in molti di noi,  questa volta mi sono sentita più spaventata del solito, e penso di non essere la sola. Siamo una città italiana nel 2016 e nessuno è in grado di proteggere una bambina da un omicidio di tale efferatezza. Anzi, gli adulti mentono e tengono il segreto, tanto è vero che a svelare, dopo anni, il nome dell'assassino alle istituzioni è una bambina a sua volta, amica della vittima. Come mai? Cos'è questa se non un'emergenza medica, morale e spirituale? Come spesso accade, chi scrive non può fare molto, se non scriverne, di fronte a ciò che sente come ingiusto, come pericoloso. Il senso di impotenza che mi coglie di fronte a storie del genere personalmente non so far altro che incanalarlo in parole da diffondere. I libri possono fare anche questo, ovvero rendere sensibili ad alcuni temi. Tornando al romanzo, qui i bambini sono proprio personaggi decisivi. Devono affrontare molte sfide, e spesso ce la fanno.

Questa è certo una lettura impegnativa e difficile, molto gustosa e raffinata ma che richiede uno sforzo importante. Ci sono però parecchi attimi e frasi che ripagano della fatica e danno speranza.

Mentre il paesaggio andava somigliando sempre più al caos primordiale, l'ingegnosità umana si faceva sempre più disperatamente metodica e inventiva.

Buona lettura!

 *Il fabianesimo è un movimento nato in Gran Bretagna nel XIX secolo, di stampo socialdemocratico, politicamente si rifaceva alla tattica "temporeggiatrice" di Quinto Fabio Massimo, da cui il nome.

mercoledì 27 aprile 2016

Taccuino di caffè!



Volano le giornate ed è sempre mercoledì, tempo di taccuini e di caffè! Questo sarà un taccuino breve, ma intenso. Ovvero, sono di corsa e riesco a stare poco al PC ma quel poco, eccolo qui:

1) Mr Taccuino. Leggete se potete questo simpatico resocondo dell'antico rapporto tra taccuini e letteratura, su Finzioni!

2) #SalTo16. Ma lo sapete che tra gli inventori dell'hashtag #SalTo ci sono anche io? Finito l'autoincensamento, ecco che è uscito il programma del Salone di questo 2016, a breve vi scriverò tutti i miei appuntamenti. Tema #Visioni. Read more... 

3) #Twitincipit. Ricevo e volentieri diffondo un'iniziativa speciale per chi ama scrivere: si possono twittare in 140 caratteri i propri incipit ed essere selezionati per completare il romanzo che si sogna di scrivere insieme a un autore consolidato come Lorenzo Marone. C'è tempo fino al 29 aprile e la premiazione avverrà al #SalTo16 il 14 maggio. L'iniziativa appartiene al concorso IoScrittore. Read more...

lunedì 25 aprile 2016

Festa della Liberazione - Il partigiano Johnny - Fenoglio.

Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Biblioteca della Pléiade Einaudi - Gallimard

Ho un piccolo rituale: tutti gli anni il 25 aprile leggo un passo di Fenoglio. Il 25 aprile è una delle feste più importanti per il nostro Paese e Fenoglio è, a mio parere, ma non sono certo l'unica a pensarlo, uno degli scrittori che maggiormente ha saputo cantare le gesta degli eroi di un periodo storico tanto complesso quanto signiticativo per l'Italia. 

Raccontare gli anni della Resistenza, i partigiani, e farlo con un linguaggio tanto accurato e rivoluzionario è stato il suo merito. Senza contare che Fenoglio morì giovane, appena quarantenne, e che questo suo capolavoro fu pubblicato postumo.

La vita di Fenoglio, se non bastassero le sue opere a certificarlo, è stata sintomatica di un tipo di autore, e di essere umano, di quelli che ne nascono pochi, molto pochi. Come scrive Dante Isella nell'introduzione a questa mia copia (che mi porto dietro dall'Università e cui sono molto legata):

Strano destino, il suo (perché proprio da esso occorre partire), che con una mano gli ha fatto dono di una rara vocazione di scrittore, integra, assoluta, a cui votare tutto se stesso; ma che ha chiuso l'altra a pugno, concedendogli una vita avara, troncata a soli quarant'anni. Così che molto del moltissimo che gi riuscì di scrivere, è stato pubblicato sulle carte ritrovate dopo la sua morte. Non solo: il suo vivere appartato in un angolo dell'antica provincia piemontese, estraneo all'establishment letterario e libero dalle feroci gabbie ideologiche degli anni in cui gli toccò d'operare, l'aiutò senza dubbio a mantere intatta, come riconobbe Calvino, la carica necessaria per scrivere, quando nessuno più se l'aspettava, il romanzo che tutti avevano sognato (dando così coronamento e senso al lavoro di tutta la sua generazione); quella che però fu una feconda scelta di vita, non potè, nei rapporti con i detentori del potere letterario, editori e maitres à penser, non costargli un altissimo prezzo di incomprensioni e di soggezione, tra soprassalti d'orgoglio e repentine, disarmate obbedienze.

Prosegue Isella vedendo in Fenoglio una sorta di opposto di Pavese. E se prorpio vogliamo interpretare la vita come una contrapposizione di poli, forzando un po' le cose, io mi sento in questo momento più vicina a Fenoglio, ma questo è un gusto personale, come spesso accade su questo blog.
Cosa posso aggiungere sul romanzo in questione? Non è una lettura semplice, anche se semplice è la trama: uno studente come tanti, affascinato dalla letteratura inglese, decide, dopo l'8 settembre, di lasciare la sua vita ordinaria e di combattere come partigiano nelle colline delle Langhe.

Aleggiava sempre intorno a Johnny una vaga, gratuita, ma pleased and pleasing reputazione d'impraticità, di testa tra le nubi, di letteratura in vita... 

Seguirlo, tra azioni partigiane, armi, fughe, camminate, agguati, disperazioni e "disastrosi malesseri" alternati a entusiasmi improvvisi e giovanili è una delle avventure umane e letterarie più importanti che si possano fare studiando la nostra narrativa. Personalmente, ho questi ricordi di gioia assoluta, nel leggere di storie paradossalmente di affanno e dolore, gusto di un linguaggio che frammista l'italiano e l'inglese, il greco, i tre puntini, la sobrietà e l'estro. 

L'ultimo capitolo si intitola La Fine ed è proprio la fine della guerra, la Liberazione. Credo che questa, come altre, sia una lettura necessara a tenere vivo il ricordo di cosa siamo stati capaci di fare, in ogni senso, nella Storia recente, per provare, ognuno a suo modo, per quel che è possibile, a costruire un futuro. 

giovedì 21 aprile 2016

Quattro tazze di tempesta e una tazzina di caffè alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

Federica Brunini, Quattro tazze di tempesta, Feltrinelli
Alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Via Romagnosi, a fianco della storica sede di Via Andegari, eravamo più di quattro, ma le tazze c'erano tutte. Una prevalenza di donne attorno a un tavolo profumato di carta, di Storia e di una miscela di tè molto buona, abbiamo discusso con l'autrice del suo romanzo, ma non solo.

Come sempre mi si perdoni l'autoreferenzialità ma - come spesso accade ai lettori - questa volta mi sono sentita coinvolta dalla situazione più del solito. 

Innanzitutto, si parlava di tazze. Ho sempre pensato che la tazza racchiuda in sé valori importanti. Oggi come oggi il web è colmo di un'iconografia legata al rituale del tè e del caffè associato ai libri, qualche volta mi sento responsabile, in parte, di aver contribuito agli esordi di questa moda, altre volte penso che tutto ciò alla fine abbia un senso. Soprattutto se le tazze sono sbreccate, scalfite dal tempo.

Lei era una tazza spaccata. Si era frantumata contro la vita o contro la morte. Ammesso che tra le due ci fosse differenza. Era un oggetto inutile e inutilizzabile. Era... non era altro che un frammento, uno scarto. E perdeva vita da tutte le crepe. Quale sostanza avrenne potuto rimetterla insieme e rinsaldarla?

Quelle tazze che ci tocca frequentare, toccare e lavare ogni giorno, col rischio che cadano a terra, col rischio che perdano smalto. Ovvero noi stessi.

Incontrare l'autrice di questo romanzo - corale e femminile - è stato curioso e interessante. I temi sono passati dalle maglie della trama all'attualità, dalla maternità al trascorrere degli anni in relazione alla percezione di sé. Le protagoniste, Viola, Alberta, Mavi e Chantal, sono quattro donne alle prese con l'affacciarsi del quarantesimo anno di vita. C'è chi ha realizzato molto e perso tanto, c'è chi è rimasta indietro, c'è chi è cambiata radicalmente. Tutte sono alle prese con una qualche tempesta. A me è venuta in mente quella famosa battuta di Paperino e Zio Paperone:

 - Qual buon vento ti porta Zio?
- Vento di tempesta Nipote!

E da lì si capiva che sarebbe successo di tutto. Così è anche in questa storia. Ambientata prevamentemente in un paesino delizioso del Sud della Francia (tenete d'occhio la pagina fb di Feltrinelli perché c'è un concorso interessante!), questa storia porta ogni personaggio in un altrove tempestoso, fino al culmine di una delle più belle scene del libro secondo me che è quella di una vera e propria tempesta di foglie di tè. Il tè è importante perché Viola lavora proprio in un negozio di tè e li prepara a seconda dell'umore delle persone. 

Un'altra coincidenza che ho sentito vicina è di tipo numerologico: l'autrice è particolarmente legata al numero quattro, mentre per me è il suo doppio il numero cui sono più affezionata, l'otto che compare in modo massiccio nella mia data di nascita. E poi ancora mi sono ritrovata nella voglia di scrivere sopra ogni cosa, nel desiderio di crescere e nel coraggio che serve per guarire, per cavarsela nella vita. Sono partita da casa un po' giù di corda e sono tornata indietro un più forte. Il mio bagaglio di ritorno era comunque pieno di dubbi, paure, amarezze e delusioni, come quello di tutti, ma è proprio vero che 


non c'è problema che una tazza di tè non possa ridimensionare.

 

mercoledì 20 aprile 2016

Taccuino di caffè!



Tra allergie, allegrie e la primavera che esplode con i suoi cieli carta da zucchero, i suoi soli giallo limone e i suoi verdi bellissimi che ti fanno pensare: uau, sono viva! Ecco che tutto sommato torna il mio taccuino settimanale sugli eventi letterari e non, torinesi e non! Buona lettura!


1) Giornata mondiale del libro. Il 23 aprile sarà la giornata mondiale del libro e del diritto d'autore. In un'epoca in cui scarseggiano i libri, ancor più i diritti, per non parlare delle giornate (tempus fugit), direi che è una buona notizia in sé. Per sabaudi, urge ricordare che gli eventi in città legati al libro sono e saranno molti e imperdibili. Read more...

2) The Nest. Ieri ho letto un articolo di Nadia Terranova su Cynthia D'Aprix Sweeney: un'autrice americana che è già caso editoriale per due motivi: ha cinquantacinque anni ed è un'esordiente e le è stato offerto un anticipo da un milione di dollari. A me ha colpito per un terzo motivo, tutto personale: per quel che vi può interessare, da qualche tempo sto lavorando a una storia che si inditola proprio Il Nido. Orbene: se voglio anche io un milione di dollari prima o poi, mi toccherà cambiare il mio titolo ;) Scherzi a parte, read more...

3) African publishers. La scrittrice Sarah Ladipo Manyika sul book blog del Guardian spiega in un post perché ha scelto di pubblicare con un editore africano. Nel post è ben spiegato come gli autori africani siano oggi sempre più numerosi e rispettati, considerati da premi e dal mercato, a fronte però di un'editoria ancora debole. Read more...  (eng) 


Visto che si parlava di nidi, ecco la mia canzone per oggi. Qui. 

lunedì 18 aprile 2016

Café au lait!

Francesca Genti, La febbre, Castelvecchi

Dopo un mese esatto, torna la rubrica café au lait: letture alternative, libri da paesi lontani, editoria indipendente, bibliodiversità, digitale e in generale tutto quello che ti fa dire olè!

Torna con un libro del 2011:

"Giorno dopo giorno il mare avanza, inesorabilmente mangia la città, metro per metro, come un colloso melanoma. Scordatevi l'azzurrità e la freschezza dell'acqua, il sapore del sale, l'effervescenza delle onde, questo nuovo mare è nero, composto quasi esclusivamente da catrame, tuttavia, se si vince la pigrizia e ci si spinge al largo se ne incontrano porzioni più pulite, non più nero catrame, ma fango e detriti. Ci si mette un po' ad abituarsi, ma poi ci si fa il callo e non su rinuncia, di tanto in tanto, a una bella nuotata".

All'indomani del fallimentare Referendum sulle trivelle, mi è tornata in mente questa scena di questo romanzo molto potente e raffinato, che l'editore mi ha aveva inviato all'epoca e che ringrazio ancora. 
L'autrice è una poetessa ed editrice di grande talento. La sua casa editrice si chiama Sartoria Utopia, ed è un progetto pieno di luce e bellezza. Il romanzo La febbre, invece, di contro, è una distopia, dove la bellezza della scrittura però è fatta salva. In un'Italia in cui ci si lamenta che non esistono scrittori veri, che sappiano scrivere sul serio, Francesca Genti è una di quelle autrici che smentiscono tutti i luoghi comuni. Lo stile qui è curatissimo e nonostante lei sia una poetessa questa prosa - rara eccezione nella sua corposa produzione di versi - è degna di capolavori assoluti come La strada di Cormac McCarthy, Body Art di Don DeLillo e Cani neri di Mc Ewan. Questi sono i riferimenti che a me sono venuti in mente leggendo, ma se ne possono ritrovare altri. Per me questo è un gioiello editoriale anche per titolo e copertina.

I protagonisti sono tre amici in età avanzata che si trovano a vagare ai limiti di una città ormai distrutta dal degrado, tra Orti Transgenici, capannoni di fabbriche e un perenne tramonto senza giorno e senza notte. L'unica attività strutturata è un gioco al massacro: vince chi riesce a contare il maggior numero di cani che si suicidano. Gli animali sono molto importanti in questa storia: ci sono bestie misteriose e mutanti che rendono il mondo descritto da Francesca Genti un vero Universo con le sue regole precise. E ci sono guardiani violenti ovunque. In una società dove tutto è consentito, la pornografia è la normalità e l'amore è trasgressione, non resta speranza e non esiste futuro.

"Avere la fortuna di possedere una maschera a raggi infrarossi e guardare il fondale è un'esperienza unica. Sotto c'è la città che il mare ha mangiato".

 Ma a cosa servono le distopie? Per quel che posso capire io, ad esempio della questione delle trivelle (posto che non ho gli strumenti per sapere davvero), è che ad abusi e a trascuratezze di tutto ciò che è vitale e naturale corrispondono degli scenari possibili come dirette o indirette conseguenze. Chi scrive una distopia vuole lanciare semplicemente un campanello d'allarme, è una voce che ricorda cosa potrebbe succedere, se. 

"Case, fabbriche, centri commerciali completamente ricoperti, annegati nel catrame, sono diventati tane di creature che si sono adattate velocemente al nuovo ecosistema".

Trovo che questo genere di romanzi abbia una funzione sociale, oltre che letteraria. Non solo un esercizio della fantasia, ma anche dell'etica, del senso di responsabilità. E spero lo ricercherete, questo libro, in un'epoca mordi e fuggi in cui i romanzi durano meno di cinque minuti sugli scaffali.

venerdì 15 aprile 2016

Il libro del mese. Numero undici di Jonathan Coe.


Jonathan Coe, Numero undici, Feltrinelli
A Jonathan Coe sono legata da questo ricordo qui. Un incontro, in occasione dell'uscita, nel 2013, del suo Expo 58, organizzato da Feltrinelli, che ringrazio per avermi inviato anche questo romanzo. 

Come sempre, premettendo che siete sul mio blog, sarò un po' autoreferenziale: Jonathan Coe in quell'occasione, dopo le interviste di tutti i giornalisti e blogger, mi disse: Ah, vuoi fare la scrittrice? Beh, allora tra cinque anni sarai al posto mio, circondata da blogger e giornalisti, a rispondere alle domande sul tuo libro

Da quel momento sono passati tre anni, ne ho ancora due di tempo per far avverare la profezia di Coe, dite che ce la faccio? 

Ma tornando a noi. Possiamo passare allo scopo vero di questo post: ovvero, il libro del mese!

Numero undici vuol dire che è il suo undicesimo romanzo. Ma non solo: è un numero-guida che ritorna in tutte i blocchi narrativi, o lunghi racconti, di cui si compone la storia. Sono racconti singoli, che però hanno in comune i personaggi principali - Rachel e Alison - e uno stile di scrittura che i lettori di Coe più accaniti dicono essere un grande "ritorno" dopo alcuni romanzi, compreso Expo 58, in cui l'autore aveva sperimentato stili diversi, meno corposi forse. Senz'altro c'è il ritorno della famiglia Winshaw, protagonista della gran parte dei libri di Coe.

Rachel non era mai stata a un banco alimentare. Aveva letto degli articoli che ne parlavano, in rete o sui giornali. Ma non ci era mai entrata. Il banco era stato istituito in quello che, negli altri giorni della settimana, doveva essere un caffè, situato in una strada stretta che si distaccava dalla via principale. A ognuno dei tavolini di metallo era seduto un gruppo familiare, i cui membri non avevano davanti a sé alcuna consumazione, ma stringevano in mano dei voucher in attesa che i loro pacchi fossero pronti. Nessuno portava su di sé i segni esteriori della povertà. 

E, mi viene da dire, è su quei "segni esteriori" che Coe si mette a lavorare in una delle linee narrative più interessanti del romanzo.
Questa è una storia che va a stanare le principali problematiche della nostra contemporaneità. Da un uso dissennato di social network come Twitter alla "nuova" povertà cittadina, a forti dosi di politica con tutte le sue ingannevoli illusioni - viste da un punto di osservazione specificamente inglese: la Gran Bretagna come lo specchio dei cambiamenti di oggi. In particolare, si concentra su un drammatico fatto di cronaca: il suicidio di David Kelly, l'uomo che aveva scoperto alcune grossolane bugie di Tony Blair a proposito della guerra in Iraq. 

A me è parso un libro di "lavoro", un romanzo sul lavoro, sui diversi lavori del giornalismo, sulle istituzioni, sulla polizia, sul cinema e sul carcere e sulle loro astruse dinamiche. Qualcuno potrebbe definirlo un'opera-mondo. Chi lo legge da sempre potrebbe definirla un'opera-Coe. Mentre per me, che sono sua lettrice da poco, è stata un'esperienza di lettura molto divertente e insieme impegnativa, nel senso migliore della parola.
 

mercoledì 13 aprile 2016

Taccuino di caffè.



Notizie dal web che escono nel mondo, e notizie dal mondo che entrano nel web. Taccuino alla mano, questa settimana le notizie sono tante, così tante che ho ben pensato di selezionare quelle che sento più vicine, perciò, sarà un taccuino Turin version, non solo editoriale, mi perdoneranno i miei 5 lettori extra sabaudi, che gli altri 20 so che sono a km 0. Siete pronti? Via neh.


1) #vistadaqui. Se non vi era chiaro, e non lo era neanche a me, i blogger conquisterranno l'Universo in quanto ambiscono a vette assai alte. In allegra compagnia di vlogger e  - soprattutto - di instancabili instagramer (una o due m? Lo trovo scritto in tutti i modi...). Ieri sera l'ho capito in modo definitivo quando un manipolo di persone molto curiose e cellular/tablet/macchine fotografiche alla mani ha letteralmente invaso la Mole Antonelliana (non sabaudi, perdonate l'autoreferenzialità). Il motivo era un progetto molto interessante promosso dalla Compagnia di Sanpaolo e che prevede anche un concorso fotografico e una buona dose di interattività. Il vincitore avrà a disposizione 10.000 euro da destinare a un'associazione no profit del territorio a sua scelta. Read more... 

2)  AR - RABA - TTIAMOCI. Mi sto affezionando di settimana in settimana sempre di più al Laboratorio Rabadan. Faccio parte di un gruppo di lettura (che darà il meglio di sé in un evento speciale per il Salone Off del Salone del Libro, vi aggiornerò) ma le possibilità che il laboratorio offre sono molteplici: dall'arte pittorica al cucino a molto, molto altro. Se volete osservare con i vostri occhi alcune delle opere realizzate dai partecipanti al laboratorio, potete andare (oh, torinesi!) nei locali del bel polo culturale Lombroso 16 in quel di San Salvario. Il progetto di arredo urbano rientra nell'ambito di #IFLA2016 - congresso internazionale di architettura del paesaggio. Read more...

3)  Cucina di Comunità. Oggi è uscito un gran bell'articolo di Alessandra Chiappori, una giornalista  - che ha scritto anche una tesi di laurea su alcuni aspetti di Italo Calvino (c'è altro da aggiungere?) - sulla rivista Mentelocale.it. Lascio alle parole di Alessandra la descrizione di un progetto legato alla cucina e all'aggregazione di diverse persone, e sarà anche un libro. Buona lettura!

Pero oggi, niente musica, vi lascio un video tratto da City Lights di Charlie Chaplin!

lunedì 11 aprile 2016

Tazzina di sakè.

Goli Taraghi, La signora melograno, Calabuig

Qualche giorno fa mi sono immersa, e spero di avervi fatti immergere, in un'atmosfera persiana, qui.

Dopodiché, mi è letteralmente ricascato tra le mani questo bel libro, che avevo letto quando ho avuto la fortuna di fare la giurata al Premio Sinbad - un premio internzaionale per l'editoria indipendente. Questo piccolo e importante libro prosegue allora quel percorso persiano e ne arriva al cuore. 

  Goli Taraghi racconta un Iran personale e universale: un Iran pre-Rivoluzione, quello della sua infanzia e quello del ritorno a Tehran dopo il suo esilio a Parigi. Il tutto attraverso le lenti di una scrittura felice e pulita, dentro i meandri di una famiglia con tutti i suoi ruoli, i suo personaggi definiti e in via di definizione:

Un paio di settimane più tardi la zia ci annunciò che aveva ottenuto un visto per il Canada e il marito aveva deciso di lasciare l'Iran appena possibile. 
Mia madre sospirò:
"Magari potessimo andarci anche noi!".
Mia nonna si arrabbio:
"Neanche per sogno, il nostro posto è qui e dobbiamo tornare alla nostra casa e alle nostre vite!".
"Quale vita?!" rispose mia madre tra le lacrime.

Un Iran da cui scappare, cui restare ancorati, donne forti, dolore, gioia, emozioni sottili e grandi. Tante donne dal carattere inossidabile o fragilissime, ma tanti altri personaggi colorati, ambigui. Amore e violenza, paura e speranza.

Divisa tra le sue tradizioni più care - scrive in persiano - e l'effetto corroborante e salvifico della sua Parigi, questa scrittrice per me è stata una scoperta, spero sarà altrettanto per voi. 

Due note a margine: complimenti per la traduzione dal persiano ad Anna Vanzan e alla casa editrice per la copertina con frammento di un calligraffito iraniano.

Ah, beh, poi se volete sapere chi è la signora melograno del titolo vi tocca leggere tutto il romanzo! 

venerdì 8 aprile 2016

Esercizi preparatori alla melodia del mondo di Maurizio Crosetti


Maurizio Crosetti, Esercizi preparatori alla melodia del mondo, Baldini & Castoldi



Leggendo Esercizi preparatori alla melodia del mondo, per prepararmi io stessa all'incontro con il suo autore Maurizio Crosetti, giornalista di Repubblica, ho sperimentato diverse sensazioni che, nella frenesia della quotidianità, e nella darwiniana lotta alla sopravvivenza, a volte mi capita di dimenticare e trascurare. 

Ad esempio, ho vissuto l'emozione di un ragazzino che incontra una ragazzina e, senza dirle una parola, se ne innamora e la ascolta, sbirciando in punta di piedi da una finestra, suonare alle lezioni del Conservatorio della mia città (Torino). Una città che dicono essere fredda, ma dal cuore caldo come la sciarpa rossa che porta quella bambina che suona così bene il piano e che, semplicemente, quando diventa grande scappa dal proprio talento, perché il destino, o la sua storia, la portano altrove.

Quindi il ragazzino diventa grande, e si ritrova a svuotare un pianoforte, attaccarlo a una bicicletta e andarlo a suonare in giro per il mondo, in tutte le "piazze del dolore", applicandoci sopra il simbolo della pace, fino a Parigi, davanti al teatro Bataclan, dove il 13 novembre scorso hanno perso la vita quasi cento persone per un atroce attacco terroristico. Un viaggio senza fine alla ricerca di non si sa cosa, forse di lei, forse di una forma di felicità.

Suono per me, viaggio per me. Mi accade un po' ovunque di sentirmi unito agli altri, al pubblico di passaggio, incontri effimeri che vivo come un ponte per tornare a me stesso.

Ve lo ricordate lui? Ecco, il protagonista di questo romanzo gli assomiglia. E il suo autore, durante l'incontro di ieri con alcuni blogger e giornalisti, lo ha confermato: è stata la scintilla da cui è nata una storia di fantasia. Una storia di ritorno a se stessi.

Ah, è proprio quello che ci si scorda nelle corse quotidiane: amare, e tornare a se stessi. Come diceva Pennac, l'amore e i romanzi (fatti della stessa sostanza) dilatano il tempo della vita. Ma non sempre è facile trovare il tempo per queste due cose, che hanno la stoffa dei miracoli. 

Qualche volta però succede che questo tempo si crei inaspettatamente. A me è successo con questo invito da parte di Baldini & Castoldi, che ci ha omaggiati anche di alcuni materiali e un bel poster dei Peanuts, che io amo molto (la copertina del primo numero di Linus). Queste occasioni, che per ogni persona sono diverse, ti riconnettono con quel tempo "altro" della lettura che accade solo se autentico, solo se sincero. Questo è un libro che, come ha scritto anche Andrea Bajani, merita di essere preso sul serio, perché va al cuore delle cose: è onesto quando parla della musica, lo è quando va indietro nell'infanzia dei protagonisti e non fa sconti. E, fatto non secondario, ha una bella copertina curata da  pastinadesign.

Ieri Crosetti ha risposto alle nostre domande sul suo mestiere di giornalista da tanti anni, e adesso anche di scrittore. Ci ha parlato di scrittura e cronaca, di talento e duro lavoro, esercizio, allenamento all'osservare e al costruire storie. 

Una nota a margine: a me ciò che ha colpita è anche il mondo degli artisti di strada. Un mondo con le sue regole, il suo terreno umido di dolori e fertile di gioie. 

Quanto a me: conosco i luoghi di questo libro. Sia quelli reali che quelli imponderabili dell'anima torinese, spero che molti altri vorranno scoprirne i misteri e i regali.

mercoledì 6 aprile 2016

Taccuino di caffè!



I taccuini sono importanti. Come immagino molti di voi, anche io ne ho tanti. Su cui annoto qualsiasi cosa. Spesso non sto a rileggerli, è il gesto estemporaneo ad avere valore. Altrettanto spesso però poi mi servono, quegli appunti, per cose pratiche, per idee o progetti.

Questo taccuino virtuale è nato qualche anno fa quando già la rete pullulava di cose e informazioni, ma non come adesso. Adesso è il Mar dei Sargassi. Davvero, qualche volta ho una vertigine, c'è troppo di tutto. Altrettante volte penso che ora più che mai serva invece concentrazione - per ciascuno di noi - su poche ma importanti cose. Qui vi metto le cose importanti per me, sicura che tutti abbiamo le nostre e che possa essere interessante curiosare nelle "cose importanti" degli altri. 

Dunque:

1) Esercizi Preparatori. Domani incontrerò il giornalista Maurizio Crosetti nella sede della casa editrice Baldini & Castoldi. Il suo libro, Esercizi preparatori alla melodia del mondo, mi ha colpita perché è una storia di arte pura, che nasce dall'amore. L'amore più semplice e reale, quello tra bambini, che si trasforma in musica, ricerca di sé, melodia. Sono sempre più convinta che la scrittura e la lettura, come diceva anche Pennac (che ho riscoperto oggi in un gruppo di lettura ad alta voce di cui faccio parte), siano atti d'amore. Spero mi seguirete anche su @tazzinadi per qualche tweet in diretta. Read more...

2) Elena Ferrante sono io. Ho letto questa bella intervista di Nicola Lagioia a Elena Ferrante. Ciò che mi ha colpita è la definizione di scrittura come atto di superbia. Come una sorta di diritto autoarrogato di raccontare sé, il mondo, gli altri: ma a che titolo? 

3) Elogio della distanza. Un'altra intervista mi ha colpita particolarmente, ed è quella di Federica Buongiorno al filosofo coreano Byung-Chul Han sul blog Doppiozero. Si tratta di un'analisi, una riflessione lucida sulla nostra società della prestazione dove la libertà è illusoria, e lo sfruttamento delle energie viene da dentro, rendendoci di fatto "schiavi" di smartphone e sciami digitali, e ci fa perdere il senso sacro della distanza dagli altri in maniera talvolta pericolosa e degradante. Da approfondire. Read more...  


A questo taccuino abbino questa canzone: Imagine.
Byung-Chul Han
Byung-Chul Han
Byung-Chul Han

lunedì 4 aprile 2016

Chicchi di caffè - Persia edition.

Chiara Mezzalama, Il giardino persiano, edizioni e/o - Marjane Satrapi, Persepolis

Qualche giorno fa ho rivisto un film (preso in biblioteca) del 2007, che già mi aveva molto toccata all'epoca - Persepolis - e in contemporanea ho finalmente cominciato a leggere un romanzo che avevo da un po' sul comodino.

Queste due opere dell'ingegno mi hanno subito ispirata un nuovo percorso tematico per la rubrica di "tazzina" dedicata alle analogie artistiche, le comparazioni e i fili rossi che uniscono le menti umane anche a grandi distanze di tempo e di spazio. 

Questi due lavori, ben riusciti, hanno molte caratteristiche comuni. Intanto, sono autobiografici. 

Chiara Mezzalama* è un'autrice romana che vive a Parigi. Suo padre è un diplomatico e, per seguire l'attività del genitore, Chiara ha trascorso la sua infanzia all'estero. Il romanzo affonda le radici proprio in questa esperienza intensa di vita e in particolare nel periodo in cui il papà di Chiara, dall'estate del 1981, viene nominato ambasciatore dell'Italia a Teheran. Così, alla piccola tocca sbarcare in un mondo sconosciuto e misterioso:

Non era la prima volta che ci trovavamo in un luogo così affollato. Eravamo stati in altri aeroporti mediorientali, ma lì, in quello di Teheran Mehrabad, c'era qualcosa di diverso. Gli uomini avevano il volto scuro per la barba, molti erano vestiti da soldato e portavano il fucile a tracolla come fosse una borsetta. Le donne erano in nero, velate nei chador dalla testa ai piedi. Alcune stringevano il velo tra i denti per avere le mani libere e tenere valigie e bambini. Per mia fortuna a nove anni si è ancora considerate bambine, ma molte mie coetanee portavano già il foulard in testa. E perciò tutti, tutti, ci guardavano. Fu questo a spaventarmi, più dei kalasnikov, degli stivali di cuoio, dei veli neri, del rumore e del clima di tensione che si respirava da quando eravamo sbarcati.

Anche la piccola Marjane, in Persepolis, ha nove anni quando comincia il film, poco prima della Rivoluzione iraniana. La piccola crescerà in un Iran destinato a trasformarsi fino all'epilogo tragico della guerra con l'Iraq e la decisione dei genitori di farla espatriare a Vienna per garantirle un destino (solo all'apparenza) migliore. 

Anche Chiara vivrà le contraddizioni dello stesso periodo storico, ma da un punto di vista diverso e peculiare, quello del giardino dell'ambasciata, dove erano vissuti i principi persiani, con il suo portato di magia e mistero. 

In entrambe le protagoniste si nota uno sguardo privilegiato. Anche Marjiane ha un suo giardino protetto, che è il rapporto con una famiglia, in particolare la nonna, ma anche i genitori e lo zio, che la proteggono e la amano. Ma la guerra è la guerra per tutti, e si fa sentire con violenza nelle immagini del film come tra le pagine del romanzo. Ed è questo giardino, reale o metaforico, che dà la forza alle protagoniste per diventare se stesse, essere artiste.

La Persia, oggi Iran, pulsa in queste due opere parallele come un mondo complesso, lontano da noi eppure onnipresente, anche oggi, sulle pagine di tutti i giornali. Ed è utile - e addirittura bello - impararne la storia, la cultura, le difficoltà attraverso questi capolavori della contemporaneità.

 

*Ringrazio l'editore per l'invio in lettura del romanzo. 

venerdì 1 aprile 2016

Blog tour Mondadori - Volevamo essere Jo - Emilia Marasco

Anche io sono Jo March. Sono passati alcuni anni, anzi secoli, ma sono sempre qua. Ho fatto tutto quel che c'era da fare: ho venduta cara la pelle per seguire i miei sogni. Mi impegno molto, vivo da sola, faccio fatica, ho le lacrime in tasca, vengo fraintesa, mi arrabbio, mi pento, sono umana, sono quella che ero a sedici anni ma mi sto facendo crescere i capelli, scrivo dei romanzi, li mando alle case editrici e poi mi metto a pregare che vada tutto per il meglio, combatto e inciampo nei miei sbagli più di quel che sarebbe giusto. Mi prodigo per gli altri senza rendermene conto. Casco. Mi rialzo sempre. Ho le spalle larghe e tanta pazienza. Non sono più una ragazzina, ma ho ancora le stesse speranze di quando ero piccola.

"Essere indipendente finaziariamente, meritare le lodi delle persone che amava, questo era ciò che desiderava con tutto il cuore e il felice esordio di quel giorno le appariva di ottimo auspicio". 

(Louisa May Alcott, Piccole Donne)



Ho ricevuto, come altri blog, da Mondadori il pdf in anteprima di questo romanzo: Volevamo essere Jo di Emilia Marasco.

Conosco Emilia Marasco come fondatrice di Officina Letteraria e ho deciso di leggere il suo libro. 

Mi ha riportata indietro nel tempo, e in contattato con le prime emozioni letterarie di una ragazzina che è ancora in me, come in tutti, nascosta da qualche parte. 
Da questo romanzo si sente bene l'influenza del teatro, per il quale scrive l'autrice. In breve, fa rivivere a quattro amiche, nella Genova di metà anni Settanta, la storia del romanzo ottocentesco più letto e amato dalle piccole donne di svariate generazioni. 

Cosa ho imparato? A tornare in profondità a quelle sensazioni. A cos'è davvero che ha acceso alle origini, mie, vostre, di tutti quelli che scrivono e leggono per mestiere, la miccia dell'immaginazione. 

E così è stato che sono andata anche a ricomprarmi Piccole Donne e l'ho riletto da adulta. E mi è piaciuto di più.


Louisa May Alcott, Piccole Donne, Bur