lunedì 30 gennaio 2017

Tazzina di sakè

Mitsuyo Kakuta, La cicala dell'ottavo giorno, Neri Pozza 

Ecco un altro libro che mi ha accompagnata durante le vacanze di Natale. L'ho preso in biblioteca, incuriosita dal fatto che nel titolo ci sia un 8 che è il mio numero. 

(Per inciso e per la cronaca sto anche leggendo Le otto montagne di Cognetti e ne racconterò senz'altro). 

Ho preso questo libro in biblioteca anche per onorare questa rubrica alla quale sono molto affezionata, dedicata alla letteratura orientale. Ho letto nella mia vita parecchi libri scritti da giapponesi, come l'autrice di questo romanzo e sono una delle mie grandi passioni letterarie. 

Mitsuyo Kakuta, classe 1967, ha vinto in Giappone numerosi premi prestigiosi e questo libro è stato un best seller da più di un milione di copie con tanto di serie tv e film ispirati alla sua trama.

Una storia feroce che si potrebbe definire, volendo cedere alle definizioni, un thriller psicologico dai tratti noir. 

Per chi conosce un po' la letteratura giapponese, non dirò niente di nuovo ma a chi si aspetta una storia soave e delicata rivolgo l'invito a pensarci due volte prima di leggerlo. Nel senso che a essere delicata e accurata è la scrittura dell'autrice, sapiente e tradizionale, ma la storia è di quelle inquietanti. 

Questa è una vicenda che ricorda un po' il film Attrazione fatale: un tradimento che vede al centro il personaggio misterioso e ingenuo di Kiwako, che sconfina nel crimine. Bugie, ossessioni e follia incontrano un epilogo inaspettato e una peculiare comunità simil-hippy, la Casa degli Angeli, di donne che si nutrono di frutti della terra dove la protagonista, dopo aver rapito una bambina, trova asilo. 

Tutto è "strano", straniante e inquietante ma credibile. Le analogie con il film citato non finiscono qui: la particolarità di questo romanzo è anche l'ambientazione storica, ovvero gli anni Ottanta, descritti dietro al filtro della vita quotidiana di una grande azienda di intimo giapponese. 

Una lettura, come si dice in questi casi avvincente, la quintessenza della letteratura giapponese contemporanea. 

domenica 29 gennaio 2017

Latte macchiato

David Almond, Skellig, Salani Editore


Con l'anno nuovo cominciano alcune rubriche nuove e ne tornano di vecchie, nuova vita per me e spero anche per voi. Questa nello specifico è nuova nel senso che ho parlato spesso su questo blog di libri per bambini e ragazzi e vorrei che diventasse un'abitudine più stabile. 

La rubrica si chiama Latte macchiato e insomma sì questo blog si sta trasformando pian piano in un bar: tra caffè, tazze, latte e biscotti. Sarà che ce l'ho nel DNA il discorso del dare del cibo: i miei bisnonni piemontesi erano fornai e quelli siciliani tenutari di una locanda. Il destino ha voluto che non ereditassi nel concreto purtroppo quelle attività ma a voler credere a queste strane corrispondenze, è possibile che l'istinto di ristorare mi sia passato nel sangue, chissà.

Ma bando alle ciance: questa rubrica si chiama così perché si vuole occupare di quei libri che possono leggere i ragazzi che già mettono una goccia di caffè nel loro latte, insomma young adult ma a modo mio, nel senso che non sono un'espertona del genere, per cui vi propongo ciò che leggo e ciò che secondo me può cambiarvi la giornata.

Ho letto questo libro nelle vacanze di Natale e consiglio per la lettura proprio un momento così, un po' in bilico, che possa favorire una riconnessione con i momenti più ispirati, gioiosi e autentici della vostra infanzia. 

Skellig è una storia che diventa subito la vostra storia-guida. Siamo in inverno, la primavera un lontano miraggio. Una famiglia composta da mamma, papà, Michael e una bambina appena nata si trasferisce in una casa nuova, in Falconer Road. Lo fanno perché c'è un bel giardino, peccato che al momento sia più simile a un foresta ostile e piena di spettri. E c'è un garage diroccato pieno di robacce appartenenti ancora al precedente proprietario. 

Il papà si dà un gran daffare per mettere tutto a posto, ma la sua sfida è molto più grande: sopportare, insieme alla moglie e al figlio, la malattia gravissima della piccolina. La sorellina di Michael infatti sta per parecchi giorni tra la vita e la morte e tutti non possono fare altro che aspettare e avere fiducia. 

In questo percorso difficile però ci sono degli aspetti interessanti, incontri memorabili. C'è Mina, una bimba sveglia, intelligente e piena di idee. E soprattutto c'è Skellig. Un essere a metà tra l'uomo e qualcosa di misterioso. Tanto misterioso come le strane ossa che gli spuntano sulla schiena, simili ad ali. Una creatura rassegnata, dalle apparenze di un homeless che vive di nascosto nel garage e si nutre di birra e di insetti e avanzi cibi del vicino ristorante cinese. 

Da questi incontri infine nasce qualcosa di nuovo, delicato ed emozionante. La scrittura costruisce dettagli così giusti e profondi che sembrano stati scritti con legnetti e foglie anziché sui tasti di un computer, e forse possiamo immaginare che sia così. Non so nulla di questo autore, senz'altro mi andrò a informare, ma questa lettura è arrivata un po' per caso, dopo tanti anni che se ne stava lì ad attendere. 

E merita davvero, perché questo è uno di quei libri della vita. Magari siete già adulti, ma Skellig compie il miracolo di trasportarvi lontano dove la vostra curiosità e la scintilla che si è accesa alle origini delle prime letture è nata e depositarsi proprio lì, a comporre la struttura del vostro mondo interiore. Mi chiedo se si possa volere di più da un libro. La risposta è che questo racconto lungo vi dà anche quel di più, di qualsiasi cosa abbiate bisogno, lì dentro ci sono alcune fondamentali risposte.

Buona lettura! 

venerdì 27 gennaio 2017

Giornata della Memoria



Ieri ascoltavo alla radio (Radio Tre) una lettura ad alta voce del Diario di Anna Frank. I commenti, dopo la lettura, erano commossi: il conduttore della trasmissione e gli ascoltatori si mostravano colpiti dalla intramontabile ironica e sensibile intelligenza di una ragazzina costretta a vedersi sottrarre la vita e gli affetti e qualsiasi sicurezza senza poterne decodificare le ragioni. Essendo tra quegli ascoltatori, mi sono sentita anche io così, molto vicina a quella voce piccola e forte, una penna che aveva capito già tante cose dell'essere umani.

Per questo mi sono resa conto ancora una volta che quello che possiamo fare noi qui e adesso non è mai molto chiaro e fa sempre sentire inadeguati.

Tuttavia, in questo Giorno della Memoria per ricordare le vittime dell'Olocausto i libri - le parole scritte - sembrano essere il regalo che ci hanno fatto proprio quelle vittime. Perché sono sicura che noi che li leggiamo oggi siamo i loro lettori ideali, i futuri abitanti della stessa terra che per loro è stata tanto ostica e spietata. 

Siamo proprio quelli a cui volevano, con disperazione, con pervicacia, parlare. Di fronte a questo tipo di esperienze, immagino, ci si accorge che la contemporaneità è uno scalino per l'eterno: questi libri sono libri spirituali, oltre che opere letterarie. 

A me viene spontaneo leggere ogni anno Primo Levi ma sono sicura che ognuno può trovare il proprio nume tutelare, in relazione a questi temi, in molte pagine diverse. 

"Come sempre avviene, la fine della fame mise allo scoperto e rese percettibile in noi una fame più profonda. Non solo il desiderio della casa, in certo modo scontato e proiettato nel futuro: ma un bisogno più immediato e urgente di contatti umani, di lavoro mentale e fisico, di novità e di varietà". 
(La tregua) 

Se mi fermo a pensare ai miei nonni, che hanno visto e qualche volta vissuto quelle esperienze, mi rendo conto che a noi contemporanei è data la possibilità di quelle novità e di quella varietà di cui avevano fame loro. O per lo meno, abbiamo quasi sempre e quasi tutti da mangiare ogni giorno. Tocca allora a tutti costi - anche quando sembra più difficile - onorare questa fortuna di cui qualche volta, fuori da ogni retorica, ci dimentichiamo; perché è vero che abbiamo una fame profonda come la loro ma quello che ci hanno lasciato è il dono di non essere più vittime della Storia, nel senso che è il nostro dovere stare con gli occhi bene aperti affinché - frase che pronunciamo ogni anno oggi - le cose non si ripetano.  


lunedì 23 gennaio 2017

Poetry Cafè

Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mondadori

Sono contenta di riportare in auge una vecchissima rubrica vintage di questo blog! Poetry Cafè! Una poesia per dare respiro alle giornate piene di scadenze.

Non saprei spiegare, soggettivamente, cosa rappresenta per me la poesia. Immaginate qualcosa che vi fa stare molto bene, come una mattina fresca ma con il sole. Per me la poesia è questo. E se devo dirne una che più si avvicina a questa idea di felicità semplice, ma ricercata (perché in fondo quelle giornate belle sono rare) è I limoni di Montale.

Chi l'ha letta senz'altro ne ricorda una prima volta sui banchi di scuola. Per me è così. Un ricordo lontano ma ancora vivo, di promesse di futuro, le luci del pomeriggio che filtrano dai vetri dei corridoi, l'odore della cancelleria e della macchinetta del caffè e parlano di come sarai, di ciò che ti aspetta. Eccola qua, sperando faccia bene al vostro lunedì. 

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantanoi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

venerdì 6 gennaio 2017

Il libro dell'Epifania!

James Joyce, Gente di Dublino, Einaudi

Ed ecco il mio consiglio di lettura per questi ultimi giorni di vacanze natalizie. Quest'anno c'è un ponte incredibilmente lungo con questa grazia di due giorni più pieni di ferie che vanno senz'altro onorati con qualche buona pagina.

La grazia è anche proprio il titolo di uno dei quindici racconti raccolti in questo libro che è tanto famoso e su cui a me piace spesso ritornare, su questa mia copia costata Lire millecinquecento e che ho ereditato.

A me ricorda i tempi della scuola superiore e devo dire che tutte le volte in cui penso all'Epifania mi viene in mente proprio questo libro. Avevo una professoressa di inglese meravigliosa al liceo, australiana, che ci insegnò, con lungimiranza, qualcosa di Joyce e non potrò mai scordare la lezione sulle epifanie contenute in queste storie. 

In poche e brevissime (e riduttive, perdonatemi) parole, nella maggioranza di queste storie, scritte tutte nei primi anni del Novecento e pubblicate nel 1914, i personaggi - abitanti, come dice il titolo, tutti della città di Dublino - nell'eterna lotta tra il restare e il partire, tra il grigio della quotidianità, con le sue sicurezze, e le promesse  di un altrove, con le sue paure allegate, vivono una sorta di "paralisi" psicologica e qualche volta anche fisica e di tanto in tanto sperimentano delle epifanie

Letteralmente, l'epifania è l'apparizione del divino ma qui la parola assume una valenza più intima e "modernista", nel senso che si inseriscono, queste epifanie, all'interno del lavorio interiore dei personaggi, incarnato dalla tecnica dello stream of consciousness, ovvero del flusso di pensieri del personaggio stesso.

Un esempio su tutti è quello di Eveline in cui la giovane protagonista è combattuta fino all'ultimo tra il restare a gestire una famiglia disgregata e, si direbbe oggi, molto disfunzionale, tra lutti e maltrattamenti, o partire per Buenos Aires con un soldato. Nel momento della drammatica decisione improvvisa di restare, al porto, mentre lui è sulla nave, si sente un grido ed è l'epifania di Eveline, la consapevolezza intuitiva che qualcosa di profondamente doloroso le era appena successo.

E via così. Da allora, dai tempi dei miei studi lieceali, sono spesso ritornata con la memoria a queste epifania. E all'ultimo e al più noto e amato di questi racconti, I morti, in cui alla fine scende sulla città una memorabile nevicata che esprime tutta la purezza e la speranza del mondo. 

Insomma, una lettura (o, per i dotti all'ascolto, una rilettura) che consiglio di cuore in questa giornata di Epifania, in cui si aspetta la neve e forse anche qualche speranza.

Tanti auguri a tutti e che sia tutto sereno.