domenica 30 settembre 2012

Michela Marzano, la filosofia, Torino, Spiritualità.


Ieri sono stata a Torino Spiritualità. Una serie di eventi dedicati alla spiritualità a Torino. Letterale ma vero.

Il motivo principale era ascoltare questa interessante filosofa giovane di nome Michela Marzano, in occasione dell'uscita del suo libro Avere fiducia, di Mondadori. Bel titolo, bellissima copertina e libro notevole che affronta l'argomento da tutti i punti di vista, a partire dai subprimes, passando da Kafka per arrivare a Dio. All'incirca. Stupendo già solo così, ma poi lei: dopo vi dico.

In una Torino bella e dolce da piangere. L'autunno, il cielo bianco, i palazzi e i colori di quella mostra che conducono un dialogo segreto con il tuo cuore.

Mi piacciono gli angolini. Poi un giorno spero mi passerà questa cosa degli angolini, ma per il momento, mi sono cercata un angolino.

Dal quale si vedeva il mondo.

w gli angolini.

Michela Marzano. La sua lezione faceva parte del ciclo "Anche questo è fame di vento. Cinque voci per Qoèlet". Il titolo del suo discorso, in particolare, era: "Grande sapienza è grande tormento". Dico solo che è stato tutto quanto ben al di sopra delle aspettative.

Alla fine la mia mente era così.



Allora. La filosofia io l'ho studiata al liceo. E mi piaceva moltissimo. Mi ostinavo a credere che le mie materie preferite fossero italiano e inglese. Mentivo. Era la filosofia, era la materia in cui "andavo meglio", o per lo meno che sentivo faceva per me. All'Università, a un test attitudinale un po' dei campanelli, poiché comunque poi si passava tutti e via, comunque era risultato che ero un genio della Filosofia. Mentre in Lettere sì, poteva andare, e in Storia bah, insomma. 

Invece niente, ho insistito con Lettere, per una maledetta ossessione per i romanzi, i racconti, la narrativa. E giuro che è stata la scelta più kamikaze che un essere umano potesse compiere in quel momento. E vabè. Così stanno le cose. Ho dato quindi solo un esame di filosofia - filosofia morale - grandioso, l'esame che ricordo con più emozione, su Kierkegaard, meraviglioso. Tremo ancora all'idea. E andò bene, dopo molti tormenti. 

C'è però una ragione per la quale poi non ho mai più frequentato la filosofia in seguito. Ed è l'abisso. Mentre con i romanzi mi sento al sicuro, più o meno sempre, perché, come insegnava Flaubert, alla fin fine parlano di cose da quattro soldi, terrene, banali e sporche come è la vita quotidiana; la filosofia ti porta per mano ai limiti dell'abisso e ti lascia lì. Sola.

I romanzi invece ti offrono della Barbera, mettono musica, danno da magiare agli affamati, sono gente alla mano. La filosofia è tutto quanto il resto, quello che non puoi spiegare. Il gelo e la meraviglia che trovi là fuori, la notte di Natale, in silenzio, quanto la festa è finita. 

La Storia dal canto suo poi si sa è Maestra di vita, niente di più semplice. Forse troppo. 

Ed ecco spiegato il mio personale motivo: sono una buona forchetta, amo il vino rosso, ho poca memoria, e mi piace sporcarmi le mani. 

Tuttavia ieri, come un inverosimile e strabiliante ritorno di fiamma, è riapparso alla mia mente tutto ciò che avevo abbandonato dagli anni zero a oggi nella mia vita. Che in effetti in una sola parola si può riassumere in: la filosofia. E così sono tornata studentessa, con taccuino e biro, in un angolino, a scrivere tutto, a prendere appunti. Ora, so che sarà assolutamente impossibile riassumere con dignità tutto quanto, ma ci tengo veramente tantissimo a trascrivere qualcosa, almeno una piccola parte, di ciò che ho ascoltato e capito ieri pomeriggio. Che assurge a uno dei più significativi della mia vita.

A vederla così giovane (da lontano sembrava proprio un puntino) Michela Marzano mi ha preoccupata: ma cosa dirà mai una così minuta a tutta questa gente famelica? Lei stessa si è schermita all'inizio. Mi ha ricordato un certo modo di dire nelle arti marziali che una "signorina terzo kyu" (di livello relativamente basso) può sconfiggere un omone terzo dan (un maestro). Non ci ho mai creduto, ma ieri ho cambiato idea. 

Dunque il tema era il dolore che c'è nella conoscenza. Il concetto del "più so e più soffro". All'incirca. Che sarebbe perfetto se non fosse che nella vita 2+2 non è mai uguale a 4. Nella logica sì, ma nella logica esistenziale i conti non tornano mai. Mai. Come anche il tanto vituperato concetto del do ut des. Anche quello, si diceva, non funziona mai nella vita. Non caratterizza mai veramente le relazioni umane, tutte connotate da asimmetricità. Dunque nella realtà bisogna poter lasciare la presa. Perdere il filo, perché esistono molte domande (le più importanti) destinate a restare sempre senza risposta. Quindi, solo quando "si perde il filo" si può finalmente andare alla ricerca di un senso. 

La vulnerabilità. Ecco ciò su cui si fonda la condizione umana. E più si conosce questa vulnerabilità, che ci connota tutti nessuno escluso, più si soffre. La vulnerabilità nasce da una mancanza ontologica costante, che ne è l'essenza. Anche se facciamo di tutto per riempirci di cose e di persone, restiamo soli. E qui ha citato una lettera di Claudel bellissima che dice: 

"c'è sempre qualcosa di assente che mi perseguita".

Ciò detto, bisogna allora rimettere in discussione alcuni postulati. Ad esempio quello per il quale gli esseri umani sono dotati di dignità. Riformulandolo, gli esseri umani sono fragili e dalla constatazione di questa vulnerabilità nasce la dignità e quindi il rispetto. Ecco che la dignità in sé non è una proprietà dell'uomo, ma una conseguenza dell'osservazione della sua vulnerabilità. In questa osservazione, questo riconoscimento di fragilità comune poi è presente una drammaticità. Il rapporto con la realtà è drammatico. 

Oggi (e questa è la parte che mi ha colpita di più) c'è una esaltazione della verità. Ovvero la verità è appannaggio di pochi che se ne ritengono i depositari. Invece l'etica è un modo finalmente per dare strumenti a tutti per opporsi alla vulnerabilità umana. Così la verità diventa di tutti, poiché alla sua base c'è la comune fragilità dell'uomo. Questa esperienza di conoscenza è il frutto dell'ascolto. Ed è una logica paradossale: il pensiero diventa una ricerca di equilibrio. Quindi l'obiettivo è di mischiare le cose, "complessificare" (un neologismo?) e non chiarificare. Ma a questo punto è in corso una querelle: si crede erroneamente infatti che per pensare in maniera complessa si debba utilizzare un linguaggio complicato. No: quando si ragiona di cose complicate ci vuole un linguaggio semplice.

Ora taglio bruscamente, perché è impossibile riportare tutto. Ma aggiungo una bellissima nota sull'amore. La scoperta più sconvolgente per l'uomo è quella di poter amare e odiare al tempo stesso. Riuscire ad accettare questa realtà senza senso di colpa significa crescere e andare avanti nella vita. Poiché per natura l'uomo non è mai completamente coerente. La verità di una persona si inizia infatti a comprendere nel momento in cui si balbetta. La verità emerge laddove inciampo. Perché lì tocco qualcosa di mio e mi levo la maschera

Al di là della metafora, la mancanza di coerenza ci turba tanto, ci fa soffrire negli altri e in noi stessi, poiché tutti vorremmo essere coerenti ma nessuno lo è, tanto più chi dichiara di esserlo. Con questo non significa compiacersi della propria incoerenza ma sapere che proporsi come coerenti è una menzogna

Ed ecco la fiducia: siccome siamo incoerenti, la fiducia, di cui abbiamo bisogno, poiché oggi le relazioni sono connotate invece da sfiducia, non può essere mai totale e assoluta, è una scommessa drammatica, impastata di tradimento.

Se io non ho fiducia in una persona, questa non mi può tradire. Solo chi amo può tradirmi. E questo genera sofferenza. (altra cosa è la fede: Dio non può tradire, l'uomo invece non può non tradire). 

E per fortuna: perché solo così si può crescere. Benché, è giusto ricordarlo, è sempre per amore che agiamo. Dal momento che l'io non agisce con cognizione di causa. Come disse il buon Lacan: 

"io sono laddove non sono". 

Ecco. Così si rompe il teatrino dell'io per mostrare un pezzetto di verità. Io sono laddove non penso di essere. Lontano da dove pensavo di essere. E questa scoperta fa male. In questa ottica, l'amore ha valore perché è caratterizzato dal fatto di non essere mai perfetto. Nel momento infatti in cui io amo una persona, questa non potrà mai colmare il vuoto che mi contraddistingue come essere umano.

Spesso l'equivoco sull'amore è quello di rendere una persona prigioniera dell'immagine che io ho di lei. Ma l'altro è sempre l'altro, per definizione e tutti, tutti, proprio tutti abbiamo il diritto di essere esattamente ciò che vogliamo. Come vogliamo. E quindi come convivere con l'altro?

Con l'altro io attraverso il vuoto che ci caratterizza entrambi. Questa è la libertà, la possibilità della libertà. Anche perché tutti abbiamo bisogno dello sguardo dell'altro per riconoscerci. Ma tenendo conto che dalla solitudine nessuno di noi può mai uscire. Anche se siamo con gli altri siamo soli perché la sofferenza non la possiamo comunicare mai. C'è una barriera, che impedisce la fusione. 

A volte gli altri si prodigano per noi. Possono fare anche troppo. Invece ci vuole solitudine per cercare in noi le risorse per stare un po' meno male. 

Ma in conclusione: alle famose domande esistenziali (perché viviamo, la morte etc.), quelle che ci pongono i bambini, non c'è mai risposta. Anziché sul perché, possiamo però ragionare sul come. Come fare per aprire di nuovo una porta? Accettando un punto fermo: siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri. L'indipendenza non esiste, al contrario dell'autonomia. 

C'è un'altra grande menzogna poi che affligge la contemporaneità: che l'unico modo per riuscire nella vita sia il controllo. Di sé e degli altri. Tornando quindi a Qoèlet: più si sa più si soffre: questa frase non ci esorta all'ignoranza: dietro alla conoscenza non c'è dominio ("più so più ho potere") ma c'è un'esortazione all'umiltà, che è consapevolezza del vuoto, rispetto a ciò che siamo e non siamo, ciò che conosciamo e non conosciamo. 

Voilà. Questo è all'incirca ciò che ha spiegato Michela Marzano nella sua lezione. Molto in sintesi.  E che io ho provato a riportare con i limiti che un'operazione del genere comporta. Perdonatemi se ho tralasciato qualcosa. Presa dal dubbio sul come affrontare questa esperienza, ho però deciso di fare del mio meglio per trasmettervela nel modo più fedele possibile. Non so perché, ma ho pensato che fosse interessante così. Per farvi provare un minimo delle sensazioni che ho provato io ieri.

Buona domenica!

c\_/


giovedì 27 settembre 2012

La tigre.


La tigre di John Vaillant, Einaudi. 

I libri con le foto sono grandi tesori, ricchi ed eleganti. Piacevoli veicoli di sinestesie. Specie se le foto sono belle come questa.

Moby Dick di Melville, Garzanti.

[una piccola parentesi: si diffonde in questi giorni il dibattito, la polemica qualche volta, anche da autorevoli fronti e da diverse parti del mondo, riguardante i cosiddetti bookblog come "danno" (cito testualmente questo, e segnalo questa interessantissima e illuminante risposta ma sono solo le opinioni più recenti e, forse, le più eclatanti) per la critica letteraria. Dunque: d'istinto commenterei con una sonora risata. Ma, casomai queste parole verranno lette da qualcuno particolarmente e immotivatamente interessato alle mie esternazioni, non voglio rischiare poi selvaggi copiaincolla indiscriminati e decontestualizzati in cui rischio di apparire come una matta ridanciana di dodici anni. Trattengo l'uso di faccine, per la medesima ragione. Mi limito soltanto a dire che questa faccenda per me è divertente. E mi chiedo: ma qual è il problema, poi? Quale il danno? Quale? Faccio fatica a comprendere. O è una "questione economica"? come si usa dire quando la misura cognitiva è colma. Che però, a maggior ragione, io mi ostino a non capire. Ed è senz'altro un mio limite. Ma i blog, quando si occupano di critica letteraria, in quale bizzarra maniera inficerebbero la stessa? Quanto invece a spazi come il mio, non di critica letteraria, ma denominati in gergo "bookblog" perché orientati a un "discorso" sul romanzo differente, con sguardo personale, spesso ludico, in che maniera costituirebbero un danno o una minaccia e per chi? Non riesco infatti a immaginare un critico mettersi lì a fotografare i suoi caffè insieme ai libri preferiti e a parlarne in maniera per lo più immediata ed espressionistica; nei momenti in cui mille lavori precari gli lasciano il tempo e le energie. Allo stesso modo non viene voglia a me di scandagliare i testi utilizzando gli strumenti analitici del critico di professione (pur avendoli studiati all'Università) per disparate ragioni diverse. E dunque? Cos'è che turba? Dove risiede la democrazia? Tralasciando poi che esistono le più svariate motivazioni che mi azzardo a definire sociali che possono aver portato me o altri ad "aprire un blog" come questo e sono importanti: perché non considerare quelle, e smettere di, banalmente, "giudicare senza conoscere". A scuola ci insegnavano a non "mettere l'etichetta" agli altri bambini. A bandire lo stigma dalla convivenza civile sui piccoli banchi di legno, nella prospettiva di un futuro migliore. Mi viene da pensare che quel giorno a lezione in molti erano assenti. C'è tanta voglia di sparare a zero, magari poi ritirando la mano, in sintesi, senza aver mai minimamente esplorato o indagato sul mondo che sta dietro un blog, un blogger, una voce, una persona. Insomma, credo che i detentori dei "veri" saperi, dei "veri" lavori, dei "veri" mestieri della "vera" cultura e, lasciatemelo dire, attualmente anche dei "veri" guadagni possano dormire sonni tranquilli. Se è vero che è in atto una bellissima rivoluzione, non dimentichiamoci anche però del sublime insegnamento gattopardesco, che non sbaglia quasi mai.]



Detto ciò. Per voltare completamente pagina, come direbbe una brava giornalista del tg, eccomi a raccontarvi di un libro che mi ha appassionata fino al midollo. 

Ho esitato a lungo prima di trovare una parola per descriverlo. E non l'ho trovata. Perché dopo l'uomo, c'è la tigre siberiana, e tanto è difficile parlare dell'uomo, così è complicato parlare di lei.

Non ho mai fatto segreto della mia venerazione per Moby Dick. Che ha in un certo senso cambiato la mia vita, in meglio. E per chi sa di cosa parlo, dire che La tigre mi ha permesso di riprovare le stesse illuminazioni di Moby Dick è un'affermazione forte, ma vera. 

La tigre è un racconto a metà tra il romanzo e il reportage, al termine del quale saprete tutto sulla tigre dell'Amur e su come ucciderla se non vorrete essere ammazzati voi. Come per Moby Dick, ho una predilezione anche per le tigri (cos'è che li accomuna? forse la ferocia, il mistero, la complessità, la bellezza, l'immensità). Se non ci credete, controllate qui, qui, o qui. E questa immensa impresa del protagonista, Jurij Trush, non ha fatto altro che aumentarne il fascino trasformandosi in un viaggio necessario, rischiosissimo ma pane per i denti di un lettore in cerca di scoperte e grandi amori tragici. Tra le altre cose, ho appreso da questo libro che esistono leggende su matrimoni, sì matrimoni, tra uomini o donne e tigri. Per dire che non sono la sola a essere caduta sotto questo incantesimo felino; ho avuto un gatto per anni, che non era certo come un marito, poiché non mi attira il genere, ma che ho amato innegabilmente come un fratello dai miei 4 ai 27 anni, nel bene e nel male. E sulle tigri poi ci sono infiniti racconti - pensavo a questo ad esempio - storie, fantasticherie, miti e invenzioni. 

Ma per tornare alla realtà, mentre Trush ha i suoi buoni motivi per dare la caccia a questa nemica, per cui inevitabilmente sviluppa una comprensibile ossessione, l'autore di questa opera-mondo ricca di informazioni ed evocative citazioni letterarie, anche, ci svela non poche informazioni sulla Russia, sulla sua storia e sulle drammatiche controversie della caccia alla tigre. Mettendo in luce un aspetto vergognoso di certa umanità avida e parassita della natura e le sue delicate leggi. 

E insomma questa lettura mi ha restituito un estremo bisogno di avventura. E la curiosità di riscoprire una tradizione di "libri sulle tigri" che ha come genitore Salgari il quale ha indagato molto nei suoi romanzi sul paragone tra questo enorme animale e l'uomo. Per chi volesse riacciuffare quei capolavori o se li è persi nel magma della vita o perché ancora giovane, consiglio questo e naturalmente questo

Buona lettura!

lunedì 24 settembre 2012

#DoraToFest terzo e ultimo giorno.


I 4 libri del BookRing di ieri sera al #DoraToFest.

Les Italiens di Enrico Pandiani, Instar Libri.

Il film in cui nuoto è una febbre, AA.VV., Caratteri Mobili. 

Poesie antirughe di Alessandra Racca, Neo Edizioni 

Atti impuri.






Non so se è perché mi si è aperto un qualche chakra a mia insaputa (dal momento che non so bene cosa sia un chakra...), ma ieri sera ero particolarmente sensibile e commossa.

L'idea degli organizzatori del #DoraToFest, di presentare tutti questi libri insieme, si è rivelata un mare di sensazioni, un fiume di pensieri da connettere tra loro. Perché cosa hanno in comune un noir perfettamente congegnato e ambientato a Parigi, un libro sui giovani registi di talento (tra cui l'adorabile Gondry), una rivista letteraria e una raccolta di poesie antirughe?

Tutto. Mi verrebbe da rispondere. Ed è stato bello osservare tutti questi autori, in tutte queste tre serate, disposti a concedere qualche riflessione a un pubblico di curiosi.

Oggi inizia la Social Media Week. In molte parti del mondo molte persone si stanno ritrovando in diversi luoghi fisici a parlare di luoghi virtuali. Questo è interessante. E ci andrò anche io ad ascoltare. 

The same old story: siamo persone, abbiamo bisogno e voglia di stare insieme, e poi dopo di ritirarci un po' a pensare alle emozioni suscitate da questa vicinanza. Ogni essere umano (ogni scrittore anche) ha un portato di esperienze, connessioni e punti di vista differenti e le mette in comune a suo modo per costruire il presente e il futuro. Per raccogliere le cose degli altri e utilizzarle per comporre pezzi di sé. E su questo meccanismo-base, si fonda l'umanità. Dico bene?

Quindi ieri ero lì che cercavo connessioni, che ascoltavo questi scrittori esprimersi, dire qualcosa del proprio lavoro, e presagivo già l'esigenza poi di mettermi qui in un angolino mentale, oggi, e di pensare a cosa è successo. Del perché mi fossi ritrovata in una situazione tanto bella e privilegiata, di capire anche se ho sbagliato qualcosa per correggermi, e di scrivere anche io le mie cose, le mie storie. Insomma, eccomi qui a ringraziare ancora una volta chi mi ha permesso di vivere questa affascinante avventura torinese e chi ha letto queste avventure su questo blog.

Poi è arrivato Vergassola, e tutti giù a ridere. Lo guardavo e pensavo che è proprio bravo, e sorseggiavo una bella birretta fresca. Una bella esperienza davvero, da rifare, speriamo, il prossimo anno.



domenica 23 settembre 2012

#DoraToFest secondo giorno.


Luca Gallo, Fabrizio Vespa, Fay R. Ledvinka, Monty Python.
Ieri sera, come prevedevo, il #DoraToFest (è l'hashtag su twitter) è stato molto divertente. Occhio che il divertimento non è sempre un soffio di vento spontaneo. Il divertimento, ci pensavo proprio ieri, può essere anche il frutto di una fatica, di una tensione che poi si scioglie nel ridere, nel fluire dolce delle cose. 

Di una vita di chissà quali complessità che poi diventa leggera in un secondo. E a questo proposito pensavo a FREAK ANTONI, un mito, una persona che porta nello sguardo una certa dose di mistero e dolore (magari mi sbaglio, ed è serenissimo eh) ma che poi sul palco diventa un maestro di leggerezza. Ed è questa la ragione per cui amo i comici. Perché tolgono il peso della vita dalle spalle di chi li ascolta e di se stessi. 

Pensavo a lui perché è apparso sul palco del #DoraToFest dopo che alcune ore prima ci ero stata pure io, insieme a Sara Bauducco, a presentare i bei libri che vedete nella foto. Pazzesco. Bè, vedere queste persone che sono pezzi di storia della comicità e della musica italiana mi fa un certo effetto. Avendo amato Elio e le Storie Tese, ho sempre saputo che dietro il loro talento c'era l'ispirazione di un genio, che è appunto Freak Antoni.

E non c'è niente da fare, il divertimento è il frutto di una fatica, di un pensiero, di un'organizzazione anche, di una cultura (lo dicevamo ad esempio parlando dell'Autobiografia dei Monty Python). Di occhiaie e stanchezza, di timori, tremori e grande freddo. Poi, nel momento giusto, tutto si riscalda e resta sepolto degnamente sotto una risata. E il prima e il dopo scompaiono davvero.

Quindi Freak Antoni ha fatto il suo generoso spettacolo, accompagnato da una adorabile pianista (La Mustacciova), dopo quello di Guido Catalano con il Grande Fresco (strepitoso, veramente strepitoso Guido!). E insomma, mi sono commossa. Per casa mia giravano i suoi libri di Freak Antoni pubblicati da Feltrinelli circa dal '91 ed ero ancora una bambina. Sbirciavo le sue battute sul libro, non capivo niente, ma mi mettevo a ridere. Ridere ancora ieri sera senza tregua (con attacco d'asma) e capire finalmente le battute è stato bello.

Quindi devo proprio ringraziare il Dorato anche per questa impagabile situazione, perché il destino sparpaglia sempre bene le sue carte e qualche volta ti regala quella giusta, la tua. 

Quanto ai libri: sono uno più interessante dell'altro. Abbiamo parlato dello struggente "Mal di Torino", di "Trambusto", di parole che si perdono nel doppiaggio dei film e di censura e di tante altre cose. Abbiamo cercato di agganciare tutti gli argomenti e gli autori (o loro rappresentanti nel caso degli stranieri sul cinema) sono stati tutti quanti gentili e piacevoli e garbati. 

Dunque. Se passate questa sera, c'è il BookRing finale, con altri scrittori e poeti. 
E poi: lo spettacolo di Dario Vergassola!


Eccoci. Me, Luca Gallo, Fabrizio Vespa, Sara Bauducco.

sabato 22 settembre 2012

#DoraToFest primo giorno.


Miriam Toews, Vito Ferro, Filippo Sottile i primi tre autori del BookRing del #DoraToFest

La Cartiera in Via Fossano 8 a Torino.
Angoli da fotografare.

La bibliotechina.

Dentro la Cartiera.

I banchetti di libri.
Un libro che mi è venuto in mente durante la presentazione multipla.



La prima cosa ad avermi colpita ieri, alla serata inaugurale del #DoraToFest (vedi post precedente), è stata la Cartiera. Perché se è vero che le parole sono importanti, lo sono altrettanto i luoghi in cui queste vengono pronunciate, o taciute. 

Via Fossano, 8 si trova in un quartiere difficile della città. Per farvi capire e riassumere all'osso, quando chiedi le indicazioni da quelle parti, può capitarti che ti rispondano: "la via che cerca sarebbe di là, ma non le conviene passarci" e magari sono solo le sette di sera. Un quartiere però al centro, come molti altri della città di Torino, di un'importante operazione (cominciata da tempo) di riqualificazione delle aree industriali. 

Ho una vera passione per i non-luoghi e per tutto ciò che ne consegue. Ad esempio mi incuriosisce l'idea di un non-luogo (una ex fabbrica abbandonata, quindi non più connotata e disabitata) che si trasforma in luogo, con un nome, un'identità, un'utilità, una bellezza. 

In un'epoca contraddistinta da solitudine, isolamento "nella rete", migliaia di amicizie tutte virtuali, in cui sbucano come funghi battute o vignette sul poverino che aveva centomila amici su facebook e al suo funerale non c'è nessuno etc. etc. invece noto che questo tipo di realtà, polivalenti, dove c'è una palestra colorata, un bar con ottime pizzette, una bibliotechina, un'arena per spettacoli e danze, molte sedie, laboratori per bambini, calcetti e chissà che altro che non ho ancora visto, sono più vive che mai. 

Per dire, mentre ieri cominciavamo la presentazione dei libri che vedete lassù nella foto, era in corso una fantastica partita di basket e quindi gli applausi per gli autori si confondevano con le esultanze dei giocatori e dei tifosi in palestra. Mi sono sentita coinvolta in qualcosa di più grande di me, che dava un senso anche alla scrittura di romanzi, alla coraggiosa scelta di avere una piccola casa editrice nel 2012, al mettersi lì, sulle sedie del Comune di Torino, a parlarne, a spargere parole nell'aria, sperando che qualcuno le ascolti, per passare il tempo, per stare bene insieme. Quindi, pensavo, se c'è qualche adolescente che legge questo blog, quando ti dicono "lascia perdere" che non ha senso fare le cose, ecco, quello è proprio il momento migliore per iniziare a darsi da fare.

Da ragazzina mi intrufolavo in moltissime presentazioni di libri. Volevo vedere le facce degli scrittori, sperando di ricavarne un insegnamento, di carpire un qualche mistero. Poi al momento delle "domande del pubblico" mi prendeva il panico, mi guardavo le scarpe, mi batteva il cuore. 

Adesso la vita (la nemesi!!) mi ha portata a queste serate-nostop di interviste a scrittori, che sono forse più alla fine delle chiacchierate sui libri, sulla scrittura ma anche sul senso della vita. Non ci posso ancora credere. Faccio le stesse cose di un tempo: mi prende il panico, mi guardo le scarpe, mi si accelera il cuore. Però vado. Rischio di fare scena muta, mi dimentico tutto quello che avevo pensato di chiedere ma mi lascio trasportare da quello che questi scrittori hanno da dire. In attesa sempre di un segreto, di una rivelazione. Che, naturalmente, non avrò mai. Perché, come diceva qualcuno, il bello del viaggio poi è il viaggio stesso più che la destinazione.

Detto ciò, tra le mille cose che ci hanno raccontato gli autori di ieri, un argomento in particolare mi ha colpita. Le periferie. Reali o dell'anima. Un tema su cui da qualche anno il mondo della cultura e delle arti si interroga con insistenza. Le periferie e le vite che vi abitano, la possibilità di una salvezza dal confine, dal degrado. Mi è tornato in mente, tra l'altro, quel piccolo libro che vedete nell'ultima foto, Periferie, a cura di Stefania Scateni (Laterza), che era uscito nel 2006 - poco prima stavano iniziando a bruciare le banlieues francesi che "si ribellavano alla loro stessa invisibilità". Bruciavano per farsi sentire, per manifestare un disagio, una rabbia.

Ieri sera quindi abbiamo parlato anche della periferia, del viverci, del raccontarla, del sentirla nel sangue. A me appassiona, anche perché ci sono cresciuta, per i primi ventanni della mia vita, in periferia: e quegli spazi aperti, bianchi, da cui vedevo le montagne, i giardini, la Fiat, sono il mio panorama mentale, quegli spazi da rifare, che oggi assomigliano a città di lego, che mi spezzano il cuore, spazi da ridipingere, pagine bianche su cui riscrivere una storia nuova della città, creare rituali, o almeno provarci, dove infatti adesso stanno nascendo tante idee nuove. Negli angoli dove negli anni Ottanta pullulavano mucchietti di siringhe, io oggi vedo altro, le nuove generazioni vedranno progetti, colori, musica e iniziative diverse. I tempi sono davvero cambiati. 

Poi la discussione è passata allo specifico dei singoli romanzi e a tante altre cose. E insomma mi pare che sia andata bene. E oggi si ricomincia! Voce del verbo: cascare dal sonno, ma non importa, i libri ci terranno svegli. 

E poi stasera c'è Freak Antoni!! (Insieme a Guido Catalano).

venerdì 21 settembre 2012

Dorato - Festival indipendente dell'editoria e della musica!




Buongiorno :) 

Comincia oggi, e arriva fino a domenica, per salutare l'autunno, Dorato - Festival indipendente dell'editoria e della musica. Nato da un'idea della casa editrice Miraggi, e grazie al lavoro preziosissimo di Sara Bauducco (il suo blog è delicato ed elegante e ispirante), parte questo avventuroso, secondo me importante progetto. Qui c'è la pagina facebook dove potete trovare tutte le notizie, le informazioni e cliccare, se vi piace, "mi piace". 

Lo trovo importante perché Dorato ha la ferma intenzione di concentrare un'infinità di editori indipendenti, scrittori, musicisti, artisti delle più diverse discipline in un bel posto che si chiama Cartiera a Torino, in Via Fossano, 8, che fa parte di quella straordinaria ondata virtuosa di riqualificazione delle zone industriali della città e che ospita moltissime attività rivolte a tutti, ma specialmente ai giovani del quartiere. 

E quindi, che altro aggiungere? 

Se passate da quelle parti, cari torinesi e non, date un'occhiata perché ci sono appuntamenti da non perdere (per i dettagli vi rimando alla pagina fb di prima!). Quanto a me, sarò presente per tre sere, insieme a Sara, a presentare una quantità innumerevole di romanzi, saggi, scrittori e insomma non so bene come andrà a finire, ma l'importante è che sarà divertente e ciascuno potrà dire la sua e parlare di libri in simpatia e compagnia. 

Ma è fondamentale ricordare che, dopo le presentazioni, seguiranno spettacoli imperdibili... 

Buon week end allora! c\_/






E buon inizio di autunno! :)

giovedì 20 settembre 2012

XS - Extra d'autore!



Per me Dacia Maraini (come penso per tutti i suoi lettori) è molto importante. Ho avuto modo di leggere la sua ultima raccolta di racconti e poterne scrivere qui. Ed è stata un'esperienza forte, soprattutto per il tema conduttore, che è la violenza sulle donne, di qualsiasi tipo, e non si può restarne indifferenti. Alcune di quelle storie mi tormentano ancora adesso ed è un bene.

Quanto a questioni più minute e personali, ogni volta che sento nominare questa scrittrice ho un sussulto. Mi è capitato infatti qualche anno fa, per una grande fortuna, di veder pubblicato un mio racconto sulla rivista Nuovi Argomenti. Il direttore responsabile di questa importante rivista è proprio Dacia Maraini. E il pensiero che quel mio piccolo racconto avesse ricevuto l'approvazione di una scrittrice di quella statura è rimasto tra i più felici della mia vita.

Quindi oggi mi ritorna alla mente quella stessa emozione, e sono nuovamente contenta (e onorata) di ospitare su Tazzina-di-caffè un'anteprima di un suo racconto. Il racconto si intitola Una suora siciliana, e potete cominciare a leggerlo proprio qui sotto.

L'occasione è di quelle interessanti, perché questo racconto fa parte di una nuovissima collana di Mondadori, che vede la luce proprio oggi. Si tratta di XS - Extra d'autore, una collana di testi brevi di grandi autori esclusivamente in ebook. A me piace questo tipo di lavoro che stanno svolgendo i principali editori italiani con il livre numérique come si dice in francese per indicare l'ebook hehe, e con la forma narrativa breve, di cui sono fruitrice da sempre.

Mi piace e mi incuriosisce. Dunque, spero possiate gustarvi questa anteprima e poi approfondire, per qualsiasi informazione, anche qui.   

Buona lettura! c\_/




Una suora siciliana
di Dacia Maraini

Ore 10. Comune di C.
Un liceo. In un piccolo paese fra le montagne siciliane. Tanti studenti. Che chiedono alla scrittrice impegnata di impegnarsi di più. Ma come? Un ragazzo dai capelli ricci color carota la guarda con severità. «Voi scrittori avete una voce che viene ascoltata ma non la usate come dovreste.»
Giorgia osserva il ragazzo dai ricci rossi e vede con apprensione che dalle sue spalle gracili spuntano due lunghe ali bianche che si alzano minacciose verso l’alto.
«Noi lavoriamo coi tempi lunghi» risponde timidamente.
Ora accanto all’angelo sbuca, non si sa da dove, una ragazzina dalla pancia scoperta. Ha un anello d’argento che occhieggia sull’ombelico nudo e la fissa con sorridente ardimento. «Avete un’arma e non la sapete usare», dice con voce indignata «ci lasciate marcire in questa Sicilia corrotta e violenta, senza una parola.»



Ore 12
Una studentessa dai calzettoni rossi l’accompagna a visitare il convento arrampicato sulle rocce di C.
«Qui la monaca Filomena si fermava a pregare davanti alla Madonna dell’angelo.» Ancora un angelo? Avrà la testa dai ricci color carota? Si chiede Giorgia seguendo la studentessa dai calzettoni rossi su per una scala ripida e scoscesa.
«Queste sono le celle» spiega lei aprendo una porta di legno tutta incisa e intagliata. Dentro la stanzuccia bianca di calce si vedono: un cantaro, un lettuccio, una catinella di metallo scrostato, una brocca bianca, una croce appesa sopra la lettiera e un minuscolo inginocchiatoio di legno grezzo. Accanto alla porta, sul pavimento giace una cassapanca su cui spiccano dipinti elegantemente mazzetti di fiori gialli e lilla e due pappagalli dal becco ricurvo e le ali rosse e verdi.
«E questa cassapanca?»
«Ogni monaca aveva la sua. Ci tenevano il corredo. La stessa cassapanca, quando morivano, serviva da bara.»
«Da bara?»
«Questa cassapanca è stata dissepolta durante i lavori del convento. Il corpo della suora è stato messo in una teca. Dicono che fosse integro. È in lista per la beatificazione.»
La studentessa dai calzettoni rossi ora la precede lungo corridoi labirintici che portano verso un cortile esagonale. Colonnine ritorte di marmo bianco reggono le volte di un loggiato ombroso. In mezzo al cortile un giardinetto striminzito in cui crescono disordinati polloni di rose e ciuffi di lavanda. Al centro un pozzo di pietre grigie, sormontato da un arco di ferro battuto.



Ore 13. Hotel Belvedere
Giorgia rientra in albergo. Si siede sul letto e continua a pensare a quella cassapanca dipinta a colori vivaci. Prima ci tenevano le lenzuola, gli asciugamani, la biancheria e poi ci adagiavano il corpo della monaca morta. Ma da quando in qua le bare si dipingono con fiori e pappagalli?
Cerca di immaginare la giovanissima suor Filomena giunta da qualche mese al convento di C. con la sua cassapanca piena di stoffe. Porta un velo nero appuntato sul capo. La gola è coperta dal camauro candido che le scende sul petto come un grembiulino sempre pulito e stirato. Ogni due giorni il camauro va lavato e messo a stendere. Ogni due giorni va inamidato e stirato. Come vanno lavate e stirate le camicie di cotone grezzo che le giovani suore indossano a pelle. Le piccole e fattive mani di Filomena sono sempre in moto come vuole l’ordine del convento: una donna con le mani in mano si fa preda del demonio, perciò bisogna tenerle attive: la mattina alle cinque c’è da mungere le pecore e poi scaldare il latte nei grandi pentoloni di rame. Subito dopo c’è da lavare le lenzuola e stenderle in giardino. Più tardi bisogna badare all’orto: pulire, sarchiare, togliere le foglie morte, innaffiare i pomodori e le verze. Quindi di corsa in cucina per setacciare la farina, tagliare le verdure, friggere le uova, fare lievitare il pane, sgusciare i fagioli. Nei momenti di pausa le dita dovranno cercare il rosario appeso al fianco e fare scorrere i grani mormorando una preghiera. Poi ci sarà da applicarsi sul ricamo, e verso sera, sui libri sacri e poi ancora attorno ai piatti sporchi dopo la cena, e la notte, quando gli occhi saranno gonfi per il sonno e la stanchezza, le piccole mani robuste dovranno reggere il pesante libro delle preghiere, mentre le ginocchia si punteranno sul legno ruvido dell’inginocchiatoio per l’ultimo saluto al Signore prima di coricarsi. Suor Filomena conosce il suo dovere. Da quando è stata destinata al convento che aveva appena otto anni, ha rinunciato agli specchi, ai vestiti, ai sogni d’amore. La sua immaginazione infantile non riesce neanche a concepire la qualità del sacrificio che sta affrontando. La vita indaffarata e la compagnia continua di altre ragazzine come lei la distraggono dal pensiero della segregazione. Le sue mani giudiziose intrecciano fili di seta, la sua gola, quasi in silenzio, rimugina una canzone che usava cantare assieme alle sorelle da bambina quando giocavano a scovare ranocchie nello stagno dietro casa.

lunedì 17 settembre 2012

1Caffè.

Forse qualcuno conoscerà già il bel ragazzo qui di fianco! 

Ma forse non tutti sanno che (o forse sì, visto che loro sono stati nominati come miglior sito a sfondo sociale al BlogFest di Riva del Garda - a proposito: votateli, votateli, votateli!) Luca Argentero e un gruppetto di amici hanno pensato da un po' (e lo fanno ormai tutti i giorni senza sosta) di offrire 1 caffè a tutte quelle associazioni che si occupano di solidarietà no-profit in Italia e nel mondo

Dunque comincio con gli appuntamenti, poi dico la mia. 

Se siete di Torino, o ci passate in questi giorni, potete trovare i ragazzi di 1Caffè qui, il 22 settembre, all'Istameet, il raduno nazionale degli Istagramers, che Dio li benedica ;D

Oppure qui, alla Social Media Week, dove racconteranno diffusamente il progetto, bevendo buon caffè a colazione.

Se invece siete milanesi (eh, non si può essere perfetti ;) scherzo, io amo Milano con tutto il cuore), o capitate da Milano per qualche ragione, li trovate ai #TA12 (TweetAwards!), qui! Il 6 ottobre!

O ancora, il 14 ottobre, al Festival delle Lettere, sempre a Milano, dove presenteranno una moleskine scritta da Luca. 

Ora dico una cosa personale: ho seguito questa avventura dagli esordi, e mi ha subito incuriosita perché una bella mattina ho aperto internet e ho visto una tazzina sull'orecchio di Luca Argentero (orgoglio sabaudo) e mi è preso un colpo. 

Poi ho iniziato a cercare di capire cosa fosse questo 1Caffè. 

All'inizio può intimorire: offrire un caffè, ma a chi? e come? e soprattutto perché? 
In questi casi si è sempre scettici: sarà veramente Argentero? c'è da fidarsi? è una truffa? i soldi chi se li intasca? perché è questo che secoli di esperienza negativa ci hanno lasciato in eredità, un mondo di squali, delusioni e amarezze varie. 

Poi, semplicemente, lasciandomi incantare e convincere dai post che ogni giorno loro inseriscono con pazienza sui social network ho intravisto la dedizione e l'amore che ci mettono nell'andare a scoprire le associazioni, decifrarne l'affidabilità e cooperare per ottenere più fondi per realizzare progetti umanitari importanti. Quindi il concetto era: offrire un caffè per aiutare qualcuno, davvero. 

Di esempi ce ne sono ormai tanti, se visitate il loro sito, qui, trovate gli aggiornamenti. Ogni giorno appaiono contenuti nuovi. 

E poi li ho conosciuti. Ovviamente di fronte a un caffè. E non c'è niente di più piacevole di quando una bella immagine virtuosa ma virtuale corrisponde in tutto a quella reale: mi è subito stato chiaro che 1Caffè è un progetto vero, serio, sincero. Nessuno dei partecipanti ha interesse (o bisogno) di lucrare su alcunché, la buona fede è la prima cosa che ho percepito scambiando due parole con uno di loro. C'è allora uno spirito davvero onesto dietro questa associazione, non melenso, non perfettino, non dolciastro. Semplicemente onesto.

La mia sensazione è stata di un gruppo di persone fortunate che, e ne esistono, sente l'esigenza di restituire un po' di questa fortuna a chi non ne ha. Un meccanismo più concreto di quel che si pensi, perché funziona e manda avanti le cose.

Dunque, ma io che c'entro in tutto questo, a parte le tazzine? 

C'entro perché ho il piacere di potervene parlare, sui miei piccoli spazi, con cognizione di causa: ovvero, se avete domande ditemi che gliele giro. E perché mi fido di loro.

E infine, la cosa più importante, come si fa a regalare questo caffè? QUI c'è la spiegazione. Non fatevi spaventare, è un meccanismo semplice e pure divertente. 

Allora adesso beviamoci un caffè insieme. E spero di vedervi a qualcuno di questi appuntamenti!

Buona settimana.

c\_/


domenica 16 settembre 2012

Una novità NonClassificabile.




Buongiorno :) 

Come anticipavo ieri sui SN (eh? Social Network!!), avevo in serbo una piccola novità. Ci penso da un po', ma ora si è finalmente concretizzata l'idea. 

Forse non se ne sentiva il bisogno, in una rete satura di cose, progetti, e soprattutto di infiniti BLOG. E invece. Proprio di un nuovo blog si tratta. Perché ho capito una cosa: quando tutto sembra finito, ecco invece che si ricomincia. Mi pare un po' il senso della vita, ma forse è meglio lasciare questi pensieri ai filosofi e tornare con i piedi per terra.

Eh sì insomma ho aperto anche io un nuovo blog. Sono emozionata come poche volte mi è capitato, perché è una cosa proprio mia, veramente mia, fino al midollo. E dunque mi sento un po' esposta, sul serio, più che in molte altre occasioni, ma penso ne valga la pena. Si chiama NonClassificabile. Le spiegazioni le trovate cliccandoci sopra. Ci metterò nuove cose, nuove rubriche, nuovi progetti, nuove sensazioni, nuove ossessioni (cit.) e nuovi racconti.

Tazzina-di-caffè però resterà sempre attivo! Lo orienterò forse più sui libri (e il caffè) e tutto ciò che ci ruota intorno. O almeno questa è l'intenzione. 

Uhm, potrà apparire forse un tentativo di sdoppiamento della personalità, ma assicuro che si tratta piuttosto di un modo per corrispondere sempre di più a quello che si dice "essere se stessi" o per usare paroloni quanto meno "cercare" di corrispondervi. Proviamo un po' e vediamo cosa succede!

p.s. Ringrazio tantissimo chi ieri era presente 
alla libreria Coop di Torino, l'ho apprezzato veramente molto (e penso anche Luca Gallo). Si è parlato del suo romanzo Prossima fermata Trambusto (per le info vedi post precedente) e ci siamo divertiti. 

p.p.s. mi fate sapere se vi è piaciuto il nuovo blog?

giovedì 13 settembre 2012

Prossima fermata Trambusto alla Libreria Coop di Torino!





Avevo già conosciuto l'autore di questo romanzo - Prossima fermata Trambusto, Luca Gallo, Editore Intermezzi  - in questa occasione qui. Ed era stato un delirio di case editrici, scrittori, birrette, emozioni forti, una festa inebriante e c'era anche Mao!

Ma, ecco, se potessi trovarmi di fronte lo scrittore per una seconda volta, con calma e tranquillità, magari un sabato pomeriggio in libreria, in un'atmosfera più concentrata, vorrei poter parlare con lui di alcuni di questi punti:


  • Immenso. Questa parola è l'incipit del romanzo. Cominciamo da qui. Capirete bene che questo è un libro che si presenta ambizioso. Ed è giusto, perché credo anche io nella famosa affermazione di Calvino nelle Lezioni americane, che non mi stanco mai di rileggere: "L'eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverata in molti campi d'attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là di ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una sua funzione". Ok, caro Luca, è chiaro che "siamo in missione per conto di Dio", ed è vero: questo è un romanzo ricco, pieno di immagini, citazioni, metafore, ironia, svolte impreviste, amore, violenza, tenerezza, tristezza, domande e alcune risposte. Vediamo un po' dunque cos'è questo Trambusto.

  • Trambusto. Trambusto è "una città solidale, creata per una popolazione rinata dalle proprie ceneri, un'alternativa alla detenzione, un'alternativa alla comunità". Trambusto è un campo, all'aria aperta, mi ha ricordato un campeggio, dove le persone che si sono macchiate di un qualche reato, non così grave da finire in galera, non così insignificante da restare a piede liberò per la città si raccolgono, si ritrovano, ritornano, secondo il progetto, alla vita con nel bagaglio una seconda chance. Trambusto non esiste davvero, è l'idea che ogni romanziere però prima o poi vorrebbe avere. Assomiglia a un non-luogo, ma fortemente connotato. Un'utopia (o distopia) che nasce nella mente dell'Architetto-educatore Scarpitta (in buona fede), che prende vita nel romanzo, ma che poi prende anche una sua strada. Trambusto è il regno del possibile. Ed è anche esteticamente suggestivo. La sua particolarità è quella di essere costituito da diversi tram in disuso, riadattati ad abitazioni, ridipinti, resi vivibili e dignitosi, quasi belli da vedere. E lì può succedere qualsiasi cosa. Dovrebbe essere il terreno ideale per la riabilitazione, ma ne scopriamo le criticità nel corso della lettura. I suoi lati luminosi come quelli oscuri. Un'aura di perfezione lo circonda, come anche un alone di negatività.

  • Lama, Chioma e Tarek, Cortés, Torino. Questi sono i cinque personaggi principali della narrazione. Oltre all'Architetto-sognatore (e al suo micidiale suocero potente). Tra loro ci sono anche un cane e una città. La città in questione è Torino. Una Torino altra rispetto, credo, all'immaginario collettivo. Una Torino radiografata ovunque, ambiziosamente inclusa tutta, proprio tutta, quasi come uno stradario, come un elenco telefonico, pare ci sia cascata dentro la totalità dei suoi abitanti. E non sempre lo sguardo è clemente, spesso è impietoso, spietato, reale. Molto, troppo sincero. Viene da chiedersi: ma come siamo combinati? bè, è anche questo il compito di uno scrittore: restituire una visione almeno onesta delle cose. Qui, sappiatelo, c'è molta crudele onestà. A questo proposito, chiederei a Luca: com'è la vita a Torino per uno scrittore di romanzi nel 2012? che aria tira da queste parti? cosa ami, cosa salveresti di lei, cosa invece ti amareggia, vorresti cambiare? ma soprattutto, qual è secondo te la miglior pizzeria di Borgo San Paolo? (questa la capite se avete letto il libro).
  • L'inferno. Per arrivare a Trambusto bisogna essere passati da una qualche sorta di inferno. Ed è un inferno che assomiglia tanto a quello di Bosch, o che affonda le radici nell'infanzia, e che è un'immagine-chiave della storia. Questo mi è parso uno dei concetti più chiari dell'intera vicenda. Un inferno di cui è difficile liberarsi. Un inferno che riguarda la storia personale di ciascun personaggio, la sua identità incerta, per le più diverse, ma poi simili ragioni. Alla fine (non proprio la fine-fine, che non svelo, naturalmente, e che fa un po' brillare gli occhi) pare che tutti i fili di questo intricato gomitolo si incanalino nella loro "giusta" direzione, quasi fossero predestinati. E allora gli chiederei: in Trambusto mi pare che poi tutto sommato ci sia una visione deterministica della realtà, ma è davvero così? "Nonostante l'impegno, se porti con te il segno della sventura, non ne puoi uscire". La tua esperienza di scrittore e uomo porta a questa conclusione? 
  • La politica. Questo è un tema così triste, nella vita vera, che forse solo un romanzo ci salverà. Vediamo qui scorrere alcuni personaggi tremendi, da film dell'orrore (ma assolutamente plausibili), intenti nelle loro peggiori porcherie. Chiederei a Luca se questo è anche un libro politico, se secondo lui un romanzo può oggi prendere una posizione (se queste esistono ancora e davvero), svelare una realtà distorta e malata e proporre qualcosa di nuovo. Trambusto è un sogno, ma che ha molto a che fare con il mondo del possibile.
  • Piante e animali. "La sconfitta del Male grazie all'unione dell'uomo e dell'albero, considerò Lama". C'è un pensiero ecologista, di tanto in tanto, che prende forma nei corsi di giardinaggio, nei discorsi di alcuni personaggi. E c'è un rispetto e un affetto per gli animali molto forte. La stigmatizzazione dei combattimenti tra cani a scopo di lucro è evidente. Vorrei allora chiedere a Luca se lui pensa che questo tipo di attenzione all'ambiente circostante possa saltare fuori dai libri, fuori dal mondo delle idee, e accedere al mondo reale, se possa contribuire alla soluzione di problemi o non sia solo, in fin dei conti, un'utopia. Gli chiederei cosa ne pensa del vivere sostenibile, la decrescita e tutte quelle belle cose lì.
  • Andrea Pazienza. Le devastanti avventure cittadine di Lama ("dove non arriva la mano arriva la lama") mi hanno ricordato i fumetti di Andrea Pazienza, in particolare le storie di Zanardi! C'è un'ispirazione di questo tipo? chiederei al nostro autore.
  • Tarek. Mi ha ricordato invece un po' il Candide di Voltaire. "Gli italiani mi chiamano arabo con disprezzo, i tunisini mi chiamano italiano con disprezzo". Ma lui è al di sopra di qualsiasi definizione. Costituzionalmente incapace di odiare (e di dire le parolacce), di serbare rancore, di recriminare ma molto capace di prendersi cura del suo cane e dei suoi (pochi) cari. Mi pare la quintessenza della bontà, dell'ingenuità che però in rari casi è una forza. Vorrei chiedere a Luca se questo personaggio può rappresentare un suo desiderio di scardinare i biechi pregiudizi sugli extracomunitari, se ha voluto dipingere "lo straniero" così, come buono assoluto, per reazione ai troppi luoghi comuni che si ascoltano spesso. Se c'era un'intenzione, per lo meno.
  • Le donne.  Questo è un romanzo molto maschile. Ci sono maschi impegnati nelle più diverse occupazioni, imbevuti dei più diversi spiriti, attratti dalle più diverse passioni o depressioni e sofferenze. Le donne invece sono poche. Variegate, deludenti, ma anche portatrici di qualche speranza (penso al personaggio della Croce: i nomi comunque sono molto significativi nel libro). 
  • Ichnusa. Perché a pagina 210 un personaggio si beve un'Ichnusa
  • Progetti per il futuro? domande del pubblico?

 Eh insomma tutta questa premessa per dire che in realtà avrò proprio la fortuna di poter presentare Prossima fermata Trambusto e dialogare un po' con il suo autore sul serio alla Libreria Coop di Torino in Piazza Castello questo sabato (15 settembre) alle 18. Cercherò di introdurre questi e altri argomenti, curiosa delle sue risposte. 

L'appuntamento è segnalato qui, sulla pagina fb della libreria. Se passate da quelle parti, ci trovate lì. Se avete qualche domanda da fare a Luca anche voi, è l'occasione giusta!

Spero di vedervi sabato!

c\_/ 

lunedì 10 settembre 2012

Where are you from? (un raccontino).


Il furetto mi ha tagliato la strada e io ne ho avuto paura. Solo dopo qualche secondo di spavento, ho capito che era un essere vivente, legato a un guinzaglio, e che dall'altra parte della cordicella rosa c'era una persona, Eleonora, con i suoi grandissimi occhialoni neri. E soprattutto, ho capito che era una cosa vera e non il frutto della mia fantasia. Ma per un istante ho anche pensato: eccole lì, le allucinazioni. Invece non era quello il mio momento per impazzire, si trattava soltanto di Fischio, il furetto di Eleonora.

 - Da dove arriva? 

Mi pare sempre la domanda migliore. Quella che si impara a scuola a lezione di inglese. Where are you from? Quanto mi piaceva pronunciare le prime volte questa frase. Perché è proprio la domanda delle domande, quella da cui tutto comincia.

- Dal cassonetto dell'immondizia, purtroppo.
- Davvero? Che brutto.
- Nell'organico, l'avevano messo.

In effetti nel male, c'è sempre una certa coerenza. Dato che Fischio era ancora vivo, anzi pronto a una seconda esistenza, sebbene riciclata. E quindi poi ecco che Eleonora apre il cassonetto il giorno giusto nel momento giusto e qualcosa di nuovo rinasce. 


sabato 8 settembre 2012

Festivaletteratura di Mantova.


Desideravo andare a Mantova da un po' di tempo.

A Mantova intendo, in particolare, al Festivaletteratura.

Ma ogni anno succedeva qualcosa di oh scusate, mentre scrivo, queste immagini mi distraggono e vorrei essere ancora lì. In quell'atmosfera che non posso definire altro che magica. Comunque questa volta, ho deciso, costi quel che costi, ci vado! E così è stato. Regola numero uno: mettersi in testa una cosa e perseguirla finché essa non si avvera. Astenersi desiderosi di atterrare sulla luna senza navetta spaziale e mitomani vari. Per tutti gli altri, non smettete di sognare sogni come questo. Può essere che prima o poi si avverino. 

La città è stupenda. E sono felice di esserci andata per la prima volta proprio adesso, in un frangente delicato per Mantova, di ricostruzione dopo il terremoto. Si sente la ferita e la voglia di guarigione. Per il resto, è esattamente tutto come l'avevo immaginato così tante, ma tante volte.

Ok. Non è vero niente di ciò che ho scritto fino a ora. O forse sì. Che ne direbbe Pietro il Ballista? Lo vedo perplesso.

Bella, gentile, accogliente e vispa. Sognante, e in pieno fermento. Mantova è il posto ideale in effetti per un festival della letteratura: tutti gli incontri con scrittori e intellettualoni si dislocano nei luoghi-cardine della città e tu con la tua cartina te li vai a cercare e tra una cosa e l'altra senti profumi buoni, campane che suonano e bici che sfrecciano alla massima velocità. Le case, i palazzi, i monumenti: tutto è elegante, rassicurante, sobrio. In uno dei miei spostamenti, mi ha pure intervistata una TV della Barilla (sic.) sulle mie abitudini alimentari e sul futuro dell'umanità!

Avevo prenotato, giorni prima, due appuntamenti. Uno per ascoltare Francesco Targhetta, autore di un curioso romanzo in versi per Isbn edizioni: era da un po' che puntavo questo libro, ma non avevo mai avuto modo ancora di leggerlo. Ora è qui con me, con anche una dedica bellissima. Siamo coetanei e nell'aria si respirava una certa "solidarietà generazionale". Grazie Francesco! In quel frangente, ho anche conosciuto la mitica ragazza che si occupa di @SpritzLettera (cliccate, se potete!) e abbiamo brindato allegramente con uno spritz, seguito da tazzina di caffè: la fantasia al potere!! :) L'altro incontro per il quale avevo acquistato il biglietto è stato quello con Aimee Bender, tra le mie scrittrici USA preferite. Vederla dal vivo, dopo aver letto i suoi libri, lo confesso, è stata una grandissima, irripetibile emozione. Meravigliosa e full of grace! Lei però, a differenza di Mantova, la immaginavo diversa. Come minimo "con un ferro da stiro al posto della faccia"...

Per il resto del tempo ho girato per Mantova, pensando a quanto fossi contenta di essere lì. Forse troppo. Non mi pareva vero. Ogni tanto mi sono sentita anche un po' spaesata. Boh, è strana la vita. 

Fortuna che poi ho incontrato alcune colleghe. 

Questa piazza è incantevole. Qui si è tenuto l'aperitivo inaugurale del Festival. Che personalmente ho mancato per ascoltare Targhetta. Che tutto ciò sia messo agli atti, mi raccomando!!

Tazze e biro.

Quello è un po' il quartier generale del Festival. Letture, musica e una libreria.

Ci sono dei ristorantini fantastici. 

A un certo punto ho tentato di partecipare anche a una lezione di Simonetta Agnello Hornby (in foto un dettaglio del Palazzo Slow Food) in cui raccontava piatti della tradizione siciliana. Come temevo, tutto esaurito. Idem per i laboratori sul ritratto di Marcello Fois. 

Dunque ho ripiegato, ma mi è andata anche bene, su una trattoria. Mezze maniche alla zucca e calice di Valpolicella. Uguale, la felicità.

Poi sono finita in un mondo fatto di ghiaccioli. Dal momento che, di colpo, è esplosa l'estate. 

Ah, preziosa, amabile città. 

A ogni angolo c'era qualcosa da guardare.

Laggiù appare una lavagna a cielo aperto, dove si tenevano argute lezioni di vita. In quel baretto con gli ombrelloni bianchi ho mangiato una schiacciatina. 

Librerie ovunque.

Non c'entra nulla con la foto, ma il pubblico di questo festival mi ha incuriosita. Non solo addetti ai lavori ma tantissime persone semplicemente desiderose di vedere che succedeva e forti lettori. Essi esistono, e lottano insieme a noi. Le mie vicine di stanza nel B&B, per dire, erano due ginecologhe!  

Tra le altre cose, passavano qua e là bislacchi personaggi a distribuire acqua gratis. L'etichetta mi pare quanto meno interessante.

Aimee Bender mentre dice all'interprete: Il mio numero preferito è il 9. E ho pensato: il mio invece è l'8. Tra lei è me c'è quindi solo un unico, piccolo grado di separazione: yeah questo è il mio giorno fortunato!

Conclusioni: vorrei senz'altro tornare a Mantova il prossimo anno. Alle cose belle, è proprio vero, ci si prende subito gusto.