martedì 31 marzo 2009

Ravanare nel torbido.

Sono apparse le fotografie riprese dai tre video in cui Soria disturba e aggredisce verbalmente e un po' anche fisicamente il suo "maggiordomo". In un'immagine poi si vede anche la sua anziana madre, Jolanda, che annuisce quando il "professore" gracchia di voler sottrarre 50 euro dallo stipendio del "servo" per un cappuccino malriuscito. Tra l'altro, della serie "chercher la femme" (scusate il francese, si scrive così?). Comunque: mamma mia che orrore.

Mai raccontare i sogni/10.

Ho sognato che i confini di un mare molto azzurro erano in realtà una città alta dal perimetro rotondo. L'orizzonte così era uno skyline argentato e scintillante di piccole finestre a quadri. Poi di fronte a questo paesaggio enorme apparivano quattro-cinque blocchi di colore denso, come pezzi di lego grandi e lisci come grattacieli. Uno rosso e uno blu, uno giallo e uno verde. E io guardavo queste cose, indossavo una specie di cappotto di plastica, spostavo i sassolini della spiaggia con la punta dei piedi e dicevo: "non sono poi così saggia come sembro".

lunedì 30 marzo 2009

Esercizi di sopravvivenza/3.

Tutti hanno credo, consapevolmente oppure no, il proprio posto segreto, quel punto della città in cui inspiegabilmente si sentono un po' più allegri o speranzosi. Il mio è Piazza Robilant. Una piazzetta piccola e tonda di passaggio dove non c'è nulla di significativo da ricordare, salvo forse una vecchia giostrina dei cavalli che gira indefessa d'estate e d'inverno. Quattro panchine in croce e un bar-gelateria all'angolo dove ogni tanto mi prendo un caffè o un gelato quando ne ho realmente bisogno. Girare per quella piazza e in quelle vie che ci si immettono mi fa sentire come un globulo rosso che si mette a circolare nelle vene e nelle arterie della città riprendendo vita e rivitalizzando la circolazione bloccata e svaporata. Se prima i pensieri e le sensazioni sembravano sgonfiati e privi di una direzione, dopo una passeggiata lì riprendono la retta via e scopro sempre qualcosa che avevo dimenticato.

venerdì 27 marzo 2009

Scene della Torino Brava/8.

Al solito bar dove mia mamma e io abbiamo pranzato tutti i giorni di questo lungo rigido inverno, ci sono i soliti tre personaggi al tavolo rotondo. L'anziano e i due giovani. Quando parla l'anziano e io sono immersa a testa bassa nella torta salata agli spinaci, penso sempre stia parlando il giovane perché proviene da quel tavolo una voce alta, accesa come uno squillo di trombetta. Poi alzo lo sguardo e vedo che invece è lui, l'anziano che racconta sempre qualche novità. Sa tutto e lo spiega ai due giovani. I giovani sono un maschio con la barbetta e una femmina paffuta con i capelli corti. Sono ben affiatati, insegnano qualche atrusa materia nella scuola del vicinato. Arriva poi il cagnolino, più o meno a metà pasto. E' piccolo come un topino ma suscita puntualmente l'ira funesta di mia mamma che ha paura dei quadrupedi sguinzagliati nei luoghi pubblici. Poi c'è il barista con i capelli rossi e il tatuaggio. Avrà diciotto anni e si ostina a darmi del "lei". "Posso servirle il caffè?". Mentre l'altro che ne avrà al più diciannove ha capito e mi tratta da pari. C'è la cuoca con gli occhiali spezzati, sempre indaffarata e protesa verso le facce dei clienti: vuole scoprire se i suoi piatti sono piaciuti. Lo vuole sapere costi quel che costi. E poi il proprietario, un signorone grosso di trentadue anni. "Signora coraggio" dice l'altro giorno a mia mamma. "Che ne sa lei?" Risponde mia mamma che dice tutto quello che pensa in faccia senza pensarci due volte. "Che ne sa lei delle malattie?" In effetti il signore è il ritratto della salute, ha un bar, ha i suoi clienti fissi: che problemi può avere lui? "Signora: questo ragazzo qua che vede davanti a lei una volta era paralizzato" Dice che a diciassette anni ha avuto un incidente. E' stato in coma e poi paralizzato. E adesso è lì tutti i giorni a guardare il mondo dalla finestrona della tavola calda e a ripere la sua frase preferita: "Da bere cosa vi porto?" E io a rispondere sempre la stessa cosa: "Due naturali grazie".

Se venissero a prendere me?

"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari,
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei,
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare".

Bertolt Brecht




mercoledì 25 marzo 2009

Mai raccontare i sogni/9.

Più che un sogno è stata una devastante sensazione che se ci penso mi batte il cuore ancora adesso che sono sveglia. Mi ero appena addormentata ieri notte quando ho sentito dei passi netti e decisi aggirarsi per la casa. Sentivo il rumore e vedevo nella mente le gambe di una persona sconosciuta e aggressiva che cercava nelle stanze. Indossava degli stivali neri di gomma, poteva essere un soldato nazista a giudicare dalla camminata. Nel sogno, che è durato poco più di un secondo, forse due, non avevo scampo perché questi passi entravano poi inequivocabilmente anche nella camera dove c'ero io. Mi sono svegliata di scatto poco prima che si avvicinasse al letto. Ammazza che paura.

martedì 24 marzo 2009

A gentile richiesta...

Avevo deciso di chiudere questo piccolo blog e di non tornarci più. Quella della cassa integrazione era una scusa: avevo deciso di lasciar passare il tempo fino a farlo morire di stenti per autoconsunzione! Ma ieri una persona per me molto importante (mia mamma) mi ha chiesto di riaprirlo. O meglio, mi ha detto che la lettura di questo blog le dava allegria e la teneva in contatto con me e con l'esercizio della lettura in un modo unico e difficile a spiegarsi. Sarà strano, sarà incomprensibile agli altri, sarà un segno dei tempi ma questa cosa mi ha fatto così piacere che ho deciso di rimettermi a scrivere ogni tanto. Per chi leggerà e per mia mamma prima di tutto: rieccomimi. Ciauz.

martedì 10 marzo 2009

Crisi.

"Sto vivendo una crisi e una crisi c'è sempre
ogni volta che qualcosa non va

Sto vivendo una crisi e una crisi è nell'aria
ogni volta che mi sento solo

So che rimarrò distratto per un po'
Quindi rimarrò altrettanto distante

Quando inizia una crisi è un po' tutto concesso
quasi come a carnevale

Quando è in corso una crisi dimentico tutto
e posso farmi perdonare

So che rimarrò un po' assente da scuola
e forse non andrei nemmeno al lavoro


Quando arriva una crisi riaffiorano alcuni
ricordi che credevo persi

Cosa penso di me cosa voglio da te
dove sono cosa sono e perchè

Ho il sospetto che non sia un buon esempio
camminare a un metro e mezzo da terra

Molto spesso una crisi è tutt'altro che folle
è un eccesso di lucidità

Sta finendo la crisi e ogni volta che passa una crisi
resta qualche traccia

Infatti ultimamente rido per niente
e non mi nascondo più facilmente
e malgrado sembri male
cambia solo il modo di giudicare

Sto vivendo una crisi e una crisi c'è sempre
ogni volta che qualcosa non va"


Colgo al volo l'impressione di questa vecchia canzone dei Bluvertigo per capire in modo definitivo che la Crisi è arrivata anche dalle mie parti. C'è crisi, la crisi che è peggio del '29, c'è grossa crisi. In tempo di crisi purtroppo si risparmia. Quanto a me, devo anch'io risparmiare. E risparmiare anche le parole: poiché questa crisi è grande e ce ne potrà essere bisogno in futuro. Metterei allora le mie parole negli scatoloni, sotto vuoto, sotto canfora per fare un cambio di stagione di parole. Allora avviso che questo blog sarà messo in cassa integrazione per un po'. Arrivederci.

domenica 8 marzo 2009

Domenica.

Non chiedersi niente la domenica, guardando il fiume argentato e rifratto di piccole dune solcate da papere e germani reali. Non chiedersi niente, all'ospedale. Non chiedersi niente se finisce il latte nel frigo, se finisce il freddo, se finisce l'illusione di essere sempre uguali. Non chiedersi niente, con i vestiti di casa, non chiedersi niente nell'inondazione di luce. Non chiedersi niente nel vapore, nel mattino, nel tramonto, nel buio di un nuovo giorno.

venerdì 6 marzo 2009

Scene della Torino Brava/7.

Un edicolante di corso Trapani oggi ha deciso di regalare a ogni donna insieme al giornale un ciuffetto piccolo di mimosa. Senza dare nell'occhio, si girava verso l'interno dell'edicola, prende va il giornale e ci metteva sopra la mimosa.

E un baluginio di luce sbuffa sotto gli occhi della donna che ne rimane stupita. Così nel circondario si vedevano stamattina queste fiammelle luminose nelle sporte delle donne, come a voler invitare il sole a non essere timido e a mettere il muso fuori dal cielo bianco. Manca un niente alla primavera. E le vie di Borgo San Paolo lo dimostrano. L'aria oggi profumava, mi sono messa gli occhiali per vedere meglio la città. Il signore con le pantofole e il cappello da baseball mi ha guardata con la fronte corrugata e la sigaretta, che tiene come fosse una biro, si consumava solitaria senza che lui si decidesse a fumarla. Tutto restava in attesa. Poi sono entrata in libreria e ho trovato un libretto di Luciano Bianciardi che costava un centesimo. Uscita da questo shopping sfrenato, il tram è arrivato subito. Sul tram con il libretto e la mimosa e il sole nascosto e qualcosaltro ancora nel cuore di inesprimibile mi sono detta che è il mio giorno fortunato.

mercoledì 4 marzo 2009

Erika e Omar.

Ieri sera a Matrix hanno fatto vedere per la prima volta i video di Erika e Omar che parlano. Li si è visti in volto dopo anni in cui venivano oscurati perché minorenni. Dal 2001 a oggi questa vicenda è entrata nell'inconscio collettivo e ci ha lavorato minando alle basi la sicurezza di dormire sonni tranquilli. Due ragazzini che più normali non si può hanno massacrato in modo brutale due persone, di cui un bambino. E a vederli parlare, questo senso di normalità ha trovato la sua ineluttabile conferma.
Un famiglia normale, quella di Erika. Una famiglia figlia del suo tempo: una mamma/amica, un papà permissivo. Benessere e libertà. Vederli parlare è stato come guardare in faccia la realtà dopo anni di mistero. Potevano anche essere strani, parlare in modo confuso, avere negli occhi un balenio di follia. E invece erano perfettamente bravi e normali, come qualsiasi giovane italiano. Un po' sperduti, un po' lenti di comprendonio magari, ma comunque tremendamente normali, come se ne vedono tanti in giro. E sempre lo saranno, lì nelle loro cellette o agli arresti domiciliari a non pensare a niente, a pensare a se stessi e a quelle quattro cose da fare che li aiuteranno ad andare avanti nonostante tutto. Quanto a me, non ho digerito e ho dormito veramente poco. Perché li ho guardati parlare nel dormiveglia e le loro vocine normali, i loro concettini normali, le loro faccine ingenue da angioletti normali mi hanno tormentata tutta la notte e hanno avvelenato i miei sogni.

martedì 3 marzo 2009

Revival.

Sotto la posta di Libero ecco che compare un banner.

"Rivivi gli anni '80. Sul tuo cellulare".


E' il delirio totale. Posto che si tratta della pubblicità di un videogioco, Pac Man, che si usava negli anni in questione. E' comunque il delirio. Leggere una frase del genere tra una mail e l'altra.

Certo che però, quasi quasi, a ben pensarci, potendo, volendo non sarebbe male rivedersi minuto per minuto la propria infanzia sul telefonino. Via sms, mms, video, suonerie a ricordare tutte le immagini e i rumori di quegli anni stupendi. Mancherebbe l'odorama a ricordare il profumo di biscotti e primavera che c'era nella mia cameretta. E il "tattorama" per sentire la morbidezza dei giocattoli, la morbidezza del mio gatto buonanima Cinzio, che ho anche sognato stanotte poverino.

Me ne starei proprio tutto il giorno china sul mini schermo fino a far lacrimare gli occhi dalla fatica. Vorrei vedere sfrenatamente il meglio di me. Il momento in cui ho avuto più felicità, allegria, serenità, bellezza, amore, dolcezza, colori, salute, sogni, speranze, promesse, regali, amici, saggezza, temperanza, energie, delicatezza, intelligenza. Provo idiosincrasia per questi tempi attuali. Per l'accidia e la sporcizia del tempo che è passato. Per la disattesa, per l'ingiallimento di quello scintillio argentato di mille colori che era il caleidoscopio della mia mente di bambina. Pagherei per riaverlo. Pagherei con tutti i libri che ho accumulato, con tutte le mie cose di ventottenne stanca e agitata, per un giro sulla giostra dei miei 4 anni.

Il tacchino.

"Il tacchino va bene per il Natale,
ma il Natale non va bene per il tacchino".

(Proverbio inesistente)

Una giornata uggiosa.

Ma che sapore ha una vita malspesa?

lunedì 2 marzo 2009

Prendere posizione!

Il mio sogno segreto è sempre stato quello di rispondere a sequenze interminabili di domande a contrapposizione nel corso di una inutile e rituale intervista demodè condotta da inviati televisivi svogliati e prezzolati. Ma visto che non accadrà mai questa cosa, non sarò mai famosa, mi faccio da sola alcune domande e mi rispondo.

John Lennon o Paul Mc Cartney?

Paul Mc Cartney.

Juve o Toro?

Juve.

Torino o Milano?

Torino.

Pasta o riso?

Riso.

Latte o caffé?

Caffé.

Mare o montagna?

Mare.


Ecco fatto.

I cercatori di silenzio.

"Oggi si dà alla parola diverso una dimensione fisica o psichica limitata alla sfera affettiva, personale. I veri diversi, per mia esperienza, sono altri, e sono di sempre: sono i cercatori d’identità, propria e collettiva, e nazionale, e d’anima. Coloro che videro il cielo, che mai lo dimenticarono, che parlarono al disopra dell’emozione, dove l’anima è calma. Che non credono, o credono poco, ai partiti, le classi, i confini, le barriere, le fazioni, le armi, le guerre. Che nel denaro non hanno posto alcuna parte dell’anima, e quindi sono incomprabili. Quelli che vedono il dolore, l’abuso; vedono la bontà o l’iniquità, dovunque siano, e sentono come il dovere di parlarne. I cercatori di silenzio, di spazio, di notte, che è intorno al mondo, di luce, che è intorno al cuore. Questi diversi, che vorrebbero semplicemente dare il senso del segreto umano, e trovare, o indicare, il rapporto di dovere tra vita e vita, non dovrebbero, io penso, essere considerati scrittori moralistici o politici. Ma è quello che si fa, quando non hanno difesa di confratelli, e lo spazio per loro, nel paese, va vertiginosamente rimpicciolendo. E’ quello che si fa, se non hanno denaro proprio e, ripeto, sono fragili. A loro la vita viene sottratta con la sottrazione dell’altro - che ora parla altra lingua! E quando vorrà mostrare a che cosa, nel suo paese, e sotto gli occhi di tutti, sia ridotta la vita - discarica e ammazzatoio, dopo allevamento e oscuramento - lo si indicherà come guastatore e visionario. E del resto, poco per volta, facendo scendere su di lui, per ogni libro, la cappa del silenzio o, alzando i megafoni della distorsione, gli saranno tolte credibilità e fiducia - che pure esaltano e consolano le vite mutuate e asservite - gli saranno tolti lecito guadagno e quella sempre sperata indipendenza…".

(Anna Maria Ortese, Corpo Celeste. Copiato e incollato dal sito personale di Giuseppe Genna http://www.giugenna.com/)

Silenzio...

"Verso i trent'anni avevo capito, contrariamente alla mia amata Hedda Gabler, che una misurata non comunicazione è il cemento degli affetti. Ogni volta che ho detto tutto, qualcuno è stramazzato".

(Rossana Rossanda, La ragazza del secolo scorso)

Penso al valore del silenzio per capire cosa si vuole veramente. Per capire dove sta l'errore. E chi l'ha commesso. Quando non ce la faccio proprio più, sto zitta anche per due giorni di seguito. Come un sonno da svegli. Funziona.

domenica 1 marzo 2009

A cosa serve (esattamente) la cultura?

"Non è esatto pensare che i veri acculturati conquistino la tolleranza e l'amore per la democrazia. I capi delle SS, lo Stato maggiore della Wehrmacht e perfino i dirigenti della Gestapo si commuovevano ascoltando la Settima, la Nona e persino i Quartetti di Beethoven, adoravano Mozart e Haydn, assistevano con raccoglimento all'Oro del Reno e al Tristano e Isotta. Poi uscivano da questi bagni dell'anima e andavano a scannare gli ebrei, gli zingari e gli omosessuali. La cultura è uno degli elementi della civilizzazione, ma ce ne vogliono molti altri per umanizzare l'animale uomo".

(Eugenio Scalfari su la Repubblica di venerdì)