giovedì 29 dicembre 2011

La bambina di neve :)

Qualche volta mi sorprendo per il fatto che libri tanto belli vengano fuori da semplici esseri umani. 

Cara Eowyn Ivey: chi sei? Sei forse anche tu una bambina di neve? Sei forse anche tu fatta di altro, di fiabe, e non soltanto di carne e di acqua e di poche piccole inezie, come tutti noi? Sei forse tu la bellezza in persona, la perfezione della natura; la sua ciclicità? La sua violenza?


Perché è questo che a un certo punto mi sono domandata leggendo il suo primo romanzo, La bambina di neve, editore Einaudi

Alaska - Alpine - fiume Wolverine. Qui accadono le avventure di Mabel, Jack, Pruina e i Benson. Più tutti gli alci, gli orsi, le volpi argentate, le volpi rosse, le lepri americane, i polli, i cavalli, i gulo gulo e gli svariati animali boschivi e montani. Più la neve, i mirtilli, le rape, il pane, le patate, il fuoco, il caffè, l'acqua calda, il ghiaccio. Le bacche, "rosse e mature, traslucide come gioielli". O "erbe di montagna, pietra bagnata e neve fresca", che sono i sapori dei baci di Pruina. Una bambina  che poi cresce e profuma di "rododendro, sambuco, ortica, neve fresca".

 Una bambina con i capelli biondissimi, le ciglia bianche, la parvenza selvatica di un nido, i silenzi e i misteri di un animale ma la consistenza e la capacità di scatenare sentimenti di una persona vera.

Una bambina che, proprio come una fata, appare e scompare per molti anni nei paesaggi incontaminati e insieme aspri dell'insediamento agricolo in cui Mabel e Jack decidono di trasferirsi, ormai un po' avanti con gli anni, dopo la dolorosa perdita del loro unico figlio, ancora neonato. Una bambina tremante e sicura insieme, spaventata e piena di energie, generosa di piccoli doni e distaccata come qualcuno da cui non aspettarsi mai niente, qualcuno che nessuno, oltre loro, aveva mai visto nei paraggi, la cui esistenza è leggera e infinitesimale e dispettosa come quella di un fiocco di neve, ma che lentamente, per la coppia, diventerà una figlia.

E come tutti i figli, compresi quelli che non esistono ancora o che mai esisteranno: "non potevi tenerla troppo stretta né sapere cosa le passasse per la mente. Forse era così con tutti i bambini". E tuttavia a differenza di molti bambini, per molto tempo, Pruina vive da sola, è capace di cacciare gli animali (di uccidere e nutrirsi di un cigno, ad esempio), capace di scivolate tra gli alberi altissimi, di sopportare, anzi di amare solo il freddo, la solitudine dei cieli stellati, capace di afferrare tra le mani la neve, senza farla sciogliere.

Eppure anche lei ha bisogno di una famiglia, come tutti. E sarà proprio questo estenuante, miracoloso bisogno a far sbocciare una fiaba da una fiaba; una fiaba antica, che Mabel ritrova dai recessi lontani della sua infanzia, tutta illustrata, dove accadono le stesse cose che poi ritornano, simili a un destino, nella realtà. Una specie di magia. Alla quale però Mabel vorrebbe trovare un altro finale, meno spietato.

"C'erano una volta un vecchio e una vecchia che si amavano moltissimo ed erano contenti di ciò che avevano tranne che per un unico, grande rammarico: non avevano figli". 

La tenacia di Mabel, che si convince del potere del credere a una cosa per farla accadere, e la resistenza maschile di Jack potrebbero scombinare le rigide regole della fantasia, per aderire a qualcosa di più straordinario, che assomiglia più alla semplice realtà.

A me, questo libro, ha ricordato la voce di Björk. In particolare alcune canzoni, come Jóga o Pagan poetry o Hyperballad. Una voce di cristalli delicati, celesti, che però non può che uscire da una bocca di donna, assetata di vita e di desideri.

Chi di voi aveva visto questo film? Dancer in the dark? Chi ricorda questo? Il duetto con Thom Yorke? Quel film io l'ho visto, da sola, a ventanni, nel 2000, quando è uscito. (Ha poi vinto la Palma d'oro a Cannes come miglior film). In sala eravamo in due. C'era, a pochi file di distanze, un'altra ragazza, un po' più grande di me. Dopo la proiezione ci siamo prese un caffè insieme, per sopportare la devastante emozione di quella pellicola. Mai più.

Ricordo di aver pensato - poiché la storia e l'attrice Björk avevano toccato corde molto vive e profonde in me - di aver chiaramente pensato proprio questo: mai più. Mai più sentirmi così. Come Selma, la protagonista del film. E la cosa andava oltre una banale identificazione. Io ero Selma. E mai più essere Selma, era la mia nuova regola da rispettare.

Poi invece oggi a distanza di undici anni, riecco qualcosa, della scintilla, nella dolorosa leggerezza di un fiocco di neve, a riaprire quel capitolo. Una sensazione molto dolce, cui lasciarsi andare per un attimo soltanto: come i cioccolatini ai frutti di bosco che ho mangiato leggendo il romanzo. Una sensazione che adesso rivivo con maggiore tranquillità: la sensazione della bianca, assoluta, abbagliante, ottusa, innocente tenerezza della vita, con tutto lo stupore, il sangue, l'amore, lo sforzo; con tutta la velocità assassina delle bestie (che siamo anche noi), con il loro cadere sotto l'astuzia dell'uomo e viceversa, tutta l'ingenuità della speranza, la costruzione di un mondo: quando a furia di desiderare qualcosa, finisci per vederla materializzarsi sul serio lì di fronte a te. 

Sarà una bambina? O è solo il "mal d'inverno"? Sarà un sogno che si avvera? O solo il frutto clemente della disperazione? 

Comunque, di qualsiasi cosa si tratti, uscendo dal libro, non ha più alcuna importanza: resta l'impressione di aver ricevuto un regalo. Un regalo che vive chiuso in uno scrigno di ghiaccio. Disegnato a matita. Scritto sulla pelle. Simile al cibo. Vicino alle stelle. Forte come un fiume. Alto come i picchi delle montagne, tondo come un ombelico, potente come la corsa di un cavallo, sicuro come il succedersi delle stagioni, lento come il respiro del sonno, felice come un risveglio pieno di aspettative; possibile, come la storia di ciascuna persona.

Ancora non ci credo che il libro l'abbia scritto una semplice donna. Ma forse in effetti a pensarci bene non può averlo scritto che lei.


c\_/

lunedì 26 dicembre 2011

Raccontino di Santo Stefano.


Le auto in corsa scintillano fuori dalla vetrina. Si fermano al semaforo, ripartono. Scende la sera di Natale.

Dorota annusa l'aria come un gatto domestico. Gli orecchini nuovi brillano. Chiude gli occhi blu, li riapre. In arrivo, l'ultima cliente prima della festa.

Lavora da un po' in questo centro estetico. Si trova bene. Il suo concetto di bene è ampio. Dorota è generosa, ai limiti del mistero. La prossima cliente è irritabile. Dorota raccoglie le forze: pensa che dopo è Natale, andrà bene. Fabio, il suo ragazzo, l'aspetta a casa. Ci vuole un'oretta a fare le unghie alla cliente. Dorota ha un sapore in bocca di pistacchi. Sistema i gianduiotti nel piatto d'argento-plastica, dove ha sparpagliato nei giorni scorsi qualche stellina di carta, come decorazione. Dorota stacca tutti i pensieri a Natale.

Entra la cliente. Profuma di gelo e di fuori. Ha fretta, come sempre. Dorota ha già preparato tutti gli smalti. Sa che il tempo è denaro. Quale mettiamo, signora? Questo, questo. Rosso. Come l'altra volta. Ho fretta. 

Dorota rimane sorpresa quando le clienti dicono "ho fretta" oppure "non ho tempo". Lei, invece, non sa perché, ha l'impressione di non avere mai fretta, di avere sempre tempo. Una strana cosa, cui non pensa mai.

Con dolcezza, Dorota introduce la mano della cliente nella piccola vasca di acqua calda con le bolle. Intanto chiede come va. La cliente stringe le labbra, le risponde con un cenno e poi di togliere lo smalto vecchio, intanto, dall'altra mano. In silenzio, Dorota esegue l'ordine impartito. 

Squilla il telefono del centro estetico, Dorota non risponde. La cliente sospira: poteva rispondere, dice. Il telefono squilla di nuovo. Dorota si alza, cambia il CD, ma non riesce proprio a rispondere. Ha paura di perdere tempo, sta andando in confusione. La signora è acuminata, imponente e la sua pelle sembra pungere come un riccio.

Finita la manicure, Dorota dice: mi raccomando, signora, aspetti qui tranquilla che si asciughi lo smalto. Le unghie della signora sono bellissime, rosse, luccicano, come pietre marine. 

La signora è di fretta, è di fretta. Soffia due volte sulle unghie dipinte, riflette su qualcosa, gira sui tacchi alti, il rosso è come sangue; dall'esterno, la signora assomiglia a un motore in partenza, rumoroso. Poi dice: va bene così, devo andare, e si infila il cappotto.

Dorota ha un sussulto. Una visione. La cliente si guarda le mani, prima di immergerle nella borsa per prendere il portafoglio. 

Si è tolto. Esclama la signora. Non vedi che si è tolto? Si è rovinato. 

Dorota non ci crede, e ci crede insieme. Cose di Natale, ma che capitano spesso al centro estetico. Ora dovrà ricominciare tutto dall'inizio, e la signora è molto arrabbiata. La musica va avanti. Scatta un'altra volta il semaforo dell'incrocio.

In questa storia, non c'è una morale: solo una piccola verità. 

domenica 25 dicembre 2011

Buon Natale!


Quando siete in cima a una montagna, per caso, e non sapete cosa fare. Quando la luce vi chiude gli occhi, l'azzurro del cielo prende il posto di tutto. Quando il bianco intorno è vivo, è infinito, è superiore, è bello, ma non siete capaci di muovere un passo. C'è bisogno di qualcosa per spostarsi, senza paura, senza sapere quel che succederà domani, ma neanche tra un minuto. 

Qui è nell'incertezza integrale che si decide di muoversi. Aspettare in silenzio lo slancio per partire. Ed è impossibile conoscere l'arrivo. E arriverà anche per me? Mi sentirò mai al sicuro? Questa è la domanda che forse ci facciamo tutti. Riuscirò? Per riuscire in grandi in prese, a volte possono servire piccoli strumenti. Qualcosa di bianco, qualcosa di blu. Qualcosa per incominciare.

A me serviva un oggetto per scivolare in cima a una montagna e qualcosa per sognare. 

A me è capitata una fortuna che non so ancora bene come si usa. 

Auguro lo stesso anche a tutti voi.

c\_/



il mio regalo.
questo è per sognare.

venerdì 23 dicembre 2011

Il mio augurio di Natale.

Scoprire qualcosa, qualcuno, senza cercare troppo, senza affannarsi troppo. Questo è il mio augurio di Natale. Stare ad ascoltare come soffia il vento, la fortuna di vedere il primo fiocco di neve. Intercettare qualcosa, lasciar perdere qualcos'altro, tenersi un segreto, rivelarne un altro. 

Un piccolo esempio.

Oggi. Otto cose di Natale.

1) Nel pomeriggio, ho comprato L'arcobaleno della gravità, di Thomas Pynchon, da regalare al mio fidanzato (che non leggerà questo blog, almeno fino a domani :), perché so che è il libro preferito di un amico che non ho mai conosciuto di persona ma di cui mi fido, più o meno come del primo sole del mattino. Come un sentiero sicuro che ti porta sempre a casa.

3) Poi ho scoperto un nuovo scrittore che non conoscevo proprio. Ho scaricato qui l'inizio del suo nuovo (secondo) romanzo, che si chiama Banduna, e che Feltrinelli pubblicherà a puntate, in forma di ebook, (lo dico col cuore: a 0,99 centesimi !!) da qui ai prossimi venerdì, settimanalmente. E già l'idea, a saperla scovare, mi sembra interessante. 

2) Poi ho letto qui di come è nato il suo primo romanzo, Troppa umana speranza, uscito per lo stesso editore un anno fa. Parla di Colombino, un orfano un po' "idiota" nella prima metà del diciannovesimo secolo. Che è qualcosa che a me colpisce in fronte. E infine ho letto che Mari si è laureato con una tesi  proprio su Pynchon.

4) Ho ascoltato una storia vera che mi ha spezzato il cuore. Non so come farò a non pensarci per il resto della mia vita.

5) Non capisco se sono felice o sono triste. Nel dubbio, resterò in silenzio per sentire meglio la risposta.

6) Il Natale può scatenare forti emozioni, risvegliare ricordi, promuovere novità. 

7) Ho pranzato immersa in discorsi sul futuro.

8) Personalmente, non credo che il Natale sia il momento dei buoni sentimenti. Penso piuttosto che sia il momento per rimandare qualsiasi cosa a gennaio. Una persona saggia mi ha augurato un po' di dolcezza; un cucchiaino di zucchero nei vostri caffè.

c\_/      

Happy Xmas! 


giovedì 22 dicembre 2011

From Bologna :)








Un tardo pomeriggio in biblioteca. A Bologna. All'Urban Center della Sala Borsa: una biblioteca grande, anzi spaziosa, elegante, ben organizzata, piena di progetti e di particolari degni di nota. Una biblioteca colorata e silenziosa - come è normale - ma che all'occorrenza si trasforma in qualcosa d'altro.

Rifugio forse inconsapevole di persone che non hanno un tetto sotto cui ripararsi e specialmente d'inverno fanno fatica e lì (ho saputo) si scaldano un po' l'anima per quel che è possibile.

Spazio aperto per bambini, ragazzi e addirittura bebè (c'è un'area bebè!). E apertissimo agli anziani che, a quell'ora di martedì 20, si enumeravano in grandi quantità seduti disciplinatamente a leggere il giornale (di carta) seduti ai tavoli insieme agli studenti imbacuccati col cappello di lana (gli studenti).

E spazio aperto a un gruppetto di persone provenienti da tutta Italia (e Berlino) lì riunite con un'aria un po' sperduta, incredula ma vispa, vivace, indescrivibile.

Eh, bè, sì ci giro un po' intorno, ma il fatto è che mi trovavo nella biblioteca presentare un libro insieme agli altri autori-bookblogger. Forse ne avete già sentito parlare (da me! hehe): si tratta di La lettura digitale e il web

Di questa prima presentazione ufficiale (wow) ne hanno raccontato già i bravissimi @ArtNite qui e poi qui e @martatraverso qui. Per il momento. Perché eravamo in tanti e c'erano anche @abcdeeFFe (un po' febbricitante ma al solito lucido e geniale), @SilviaSurano (super bella e brava etc.), @mgiacomello (che per il merito di avermi ospitata a dormire ha ricevuto in cambio una bella bottiglia di birra "spumantizzata"), @SimonelliSav (che ci ha onorati del suo lavoro, con la telecamera e la sua gentilezza) e @QwertyValentine e @MatteoBianx che ci hanno fatto immensamente contenti con la loro presenza (graaaazie). E chiuso il paragrafo per il mondo di twitter. 

Quel che mi viene in mente così di colpo mentre ci penso è che non ci credo. Credetemi, non ci credo proprio. Non ci credo di aver preso parte a un progetto così imperscrutabile e divertente. Non ci credo che quegli stessi vecchietti che alla mia domanda tremante e lieve (lievissimo) accento torinese: "conoscete gli ebook?" mi hanno risposto "NO" tuonando e tornando alle loro ben più importanti occupazioni ---> sono poi saliti su piano piano pochi minuti dopo alla presentazione per ascoltarci e alla fine ci hanno riempiti di domande e curiosità e uno si è fregato pure il mio cioccolatino.

E non ci credo di aver parlato, insieme agli altri, di come stanno cambiando le abitudini di lettura degli scrittori (ma pure le mie), così, con una specie di (finta) tranquillità, come se quello fosse davvero il mio posto. Per me è una gran cosa. Senza contare che Bologna è struggente, malinconica, soffice, in trasformazione, piena di luci e di oscurità. Che sotto Natale poi è graziosissima e fa sognare. 

Infatti poi in stato già un po' ebbro ma ancora umano ci siamo spostati tutti alla Vineria Zammù. Lì per l'occasione mi sono trasformata in un Bot. Per la precisione il bot dell'account di @Librinnovando su twitter, dal quale ho cercato di raccontare - uhm tra un chupito e un... argh non ricordo più - cosa stava succedendo in quel locale. 

E succedeva che i bookblogger si sono messi in questo mini-palco bohemien (non) fumoso e stracolmo di gente bolognese (e non) a fare un reading. Un reading da un kindle. Un reading da un kindle di eFFe. Un reading emozionante. Qualcuno ha letto 1984, ed è stata una strana vertigine. Altri hanno letto altri romanzi bellissimi e più contemporanei. Si alternavano, utilizzando però tutti lo stesso supporto digitale. Una cosa davvero curiosa. Quanto a me, non ho letto nulla perché non capivo più niente il mio ruolo di Bot dovevo onorarlo fino alla fine, e così ho solo raccontato poi al volo qualcosa sulla poesia, sulla mitica Francesca Genti e il suo lavoro con la casa editrice Quintadicopertina. Uddio: comunque, lo ribadisco, non ci credo ancora. Questo è un sogno per me.

Comunque vi dico anche che sono nati, intorno a questi temi, alcuni nuovi-nuovissimi appuntamenti, nuove idee, nuove possibilità per saperne di più. Vi aggiornerò su tutto. Ma siccome manca qualche giorno a Natale, tra poco vado alla Libreria Coop qui di Torino a fare pacchetti di libri per Casa Oz. Conoscete le loro attività? 

Allora grazie per aver letto! 

Special thanks to @lesmotslibres :)

E un super caffè colorato e prenatalizio.


:)






lunedì 19 dicembre 2011

Murakami Haruki - 1Q84 - Parte II

Come quando si torna a casa da un lungo viaggio, oggi vorrei ritornare a 1Q84 di Murakami Haruki. Se ne parla un po' ovunque (ho sentito di recente a Radio 3 un'intervista al suo traduttore Giorgio Amitrano, ne ho letto qua e là opinioni di tutti i tipi in giro per il mondo, ne ho viste alcune copie circolare sui tram e sulle metropolitane). 

1Q84. Che, come avevamo scoperto insieme nella parte I del post, che trovate qui, più che un tempo o un luogo precisi si tratta piuttosto di qualcosa di nuovo e misterioso, con regole sue da interpretare, e infatti la Q rappresenta il punto interrogativo (question mark) e non si capisce bene cosa sia successo, come i protagonisti siano balzati dal semplice anno 1984 a questa altra dimensione, stringa di tempo, vita parallela o che dir si voglia. E allora cos'altro c'è, in questo assurdo, implacabile, micidiale 1Q84?

Vi va se andiamo avanti con i numeri giapponesi? 


Perché la matematica nel libro è importante. Tengo, uno dei protagonisti, insegna questa materia in una scuola e da bambino era un piccolo prodigio.

ju san) Due lune. Un bel giorno Aomame, la protagonista femminile del romanzo, si accorge che, in concomitanza con il suo ritrovarsi in questo 1Q84, di colpo, nel cielo, appare anche un'altra luna. Più piccola, un po' sbilenca e verde. Ma pur sempre una luna. E "se già una sola luna ha il potere di far uscire di testa le persone, nel caso in cui ce ne fossero due la gente impazzirebbe ancora di più". E infatti. Noi, leggendo questo romanzo, siamo chiamati ad accettare il fatto delle due lune come vero. "La luna continuava a essere silenziosa. Ma non era più solitaria". Il modo in cui Murakami qui tratta il tema della luna, poetico e letterario per antonomasia, (anzi delle lune) assomiglia niente di meno che al dolce frutto visionario di una fantastica-ipotetica conversazione un po' alcoolica ma cristallina tra Giacomo Leopardi al suo meglio (Che fai tu, luna in ciel?) e David Bowie vestito di bianco, seduti comodi su un'ovovia sparata alla massima velocità verso la vetta più alta del mondo, ascoltando i Carmina Burana nell'iPod. All'incirca questo. Non aspettatevi altro. 

ju shi) Le ripetizioni. La lettura di questo romanzo è piuttosto impegnativa. Oltre al profondissimo, straziante scavo psicologico, troviamo un sacco di ripetizioni. Infinite volte io mi sono addormentata con il libro sulla faccia, risvegliandomi nel panico (forse nel 20?1). Ciò perché la storia è scandita appunto da queste continue ed estenuanti ripetizioni. Insomma: quasi una "coazione a ripetere" vera e propria. Ripetizioni di concetti, situazioni, addirittura frasi e particolari eternamente riproposti e rispiegati, come se tutti quanti fossimo lettori un po' distratti cui bisogna spiegare tutto, ma proprio tutto tutto. Tranne, ovviamente, l'essenziale, che resta in sospeso come nel migliore dei noir. Questo però non è uno sbaglio. O un errore da allievo di corso di scrittura creativa. Qui c'è Murakami! Quindi vediamo un po' che gli è preso. Personalmente, credo che la ragione sia questa: 1Q84 è una litania ovvero una forma di preghiera. 

ju go) La letteratura. Che "risveglia zone sopite nel fondo della coscienza". La chiave di tutto è che questo è un romanzo, anzi è IL romanzo, con le sue sublimi controversie, con la sua sporcizia, con la sua suprema ambizione, come diceva Calvino nelle Lezioni Americane. (Uhm guarda che coincidenza: lezioni tenute all'Università di Harvard proprio nel 1984). "L'eccessiva ambizione di propositi può essere rimproverabile in molti campi d'attività, non in letteratura. (...) Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione". E infatti, dico io, chi altro mai avrebbe potuto immaginare qualcosa come i:

ju roku) Little People. Ah. Dunque. Da dove cominciamo? Nessuno sa chi o cosa siano. Se non che si tratta di entità non meglio identificate e di piccole dimensioni (ma che possono variare eh), che sono in grado di uscire fuori in sei dalla bocca di una capra morta, che se una bambina li accomuna ai sette nani possono allora all'occorrenza aumentare a sette, che ce n'è uno addetto al sottofondo musicale, che costruiscono crisalidi fatte di aria, che uno ha la voce roca, che un altro ha la voce bassa e che tutti insieme hanno una forza enorme, un potere oscuro ma inequivocabile e se, ad esempio, scoppia un temporale da Diluvio Universale, potrebbe essere colpa loro, come anche la morte violenta o altre peggiori sciagure. Si è capito qualcosa?

ju shichi) Il corpo. Aomame è maestra di stretching. "Per scacciare quel senso di languore, si mise a fare stretching". Nel tempo (25 minuti) della Sinfonietta di Janáček, lei compie un esercizio di sua invenzione volto a risvegliare con minuzia tutti i muscoli del corpo. "In quel momento riuniva in se stessa l'aguzzino e la vittima". Grazie a queste sue approfondite conoscenze anatomiche, è in grado anche di uccidere con lucidità. L'essere cresciuta in una setta religiosa, le facilità il compito. E quando entrerà in contatto con il Leader, il suo ruolo nella storia si svelerà con chiarezza. 

ju hachi) Romeo e Giulietta. "Se non credi al mondo, se non hai un amore, tutto non è altro che finzione". Tengo e Aomame si amano da così tanto tempo da spezzare il cuore. Forti di questo, niente li fermerà più, neanche, forse, i Little People in persona.

ju ku) Il respiro, la meditazione. I personaggi spesso nel romanzo "regolano il respiro". E Murakami, essendo giapponese (sic.) e un maratoneta conoscerà di certo la meditazione. In parole povere, respiro e meditazione possono aiutare a sperimentare una condizione altra rispetto alla realtà, senza tuttavia snaturare il corpo e la mente. Accrescendo, anzi, eventualmente, la consapevolezza di se stessi e del mondo intorno. Quindi questo 1Q84 è una condizione altra allo stesso modo. Come i sogni. Come i libri. 

Ci sono anche altre cose qui. L'architettura giapponese. Moltissimo sesso strano. Un piccola cucina dove si cucinano cibi buoni. Le spietate dinamiche editoriali. Persone che spariscono. Domande senza risposta. Personaggi minori stupendi. La prospettiva di un cambio radicale di identità (anche con chirurgia plastica). Un ricongiungimento tardivo tra un padre in coma e il figlio (forse non suo). Un orfanotrofio. Una casa-rifugio per donne maltrattate. Il cangiante effetto che fanno i pesci rossi in un acquario. Una casa piena di cose tutte bianche. Molti film. Il banale mondo reale che entra ed esce all'occorrenza. Uno scivolo per bambini. L'enigma dell'avere trentanni. Molti soldi. Una pistola. La tenerezza infinita del finale.

Ma mi fermerei qui. Se poi avrete voglia, andremo avanti quando uscirà l'altro volume. Quanto a me, adesso regolo il respiro, e mi metto ad aspettare.

Buona settimana! 

c\_/


venerdì 16 dicembre 2011

Ieri, oggi, domani :)


E così ieri sera a quest'ora andava tutto più o meno bene e iniziava la festa natalizia di Bookrepublic. Avevo preso molto sul serio il mio compito di blogger-intervistatrice e, con tremebondo zelo da primo giorno di scuola, mi ero anche portata le domande e gli appunti scritti a penna di mio pugno su un pregiato blocco notes di Muji, e una mela da regalare alla maestra.

Poi invece la festa è cominciata subito senza esitazioni, il pandoro (ma per mia grande disdetta neanche mezzo ferrero rocher!) e altre leccornie hanno preso il sopravvento su tutto e il format domanda-risposta con quadernino  e microfono è apparso all'istante come qualcosa di desueto. Il tutto è finito  dunque a tarallucci e vino (sic.): ma in realtà, tra il serio e il faceto, qualche cosa di solo serio è successo. 

Le occasioni di scambiare due, anche tre o quattro parole sul mondo degli ebook, dell'editoria e della scrittura non sono infatti mancate. Da tutto questo è nato un video bellissimo per molti aspetti ma molto imbarazzante per altri (spero con tutta l'anima in un sapiente montaggio poiché a un certo punto le riprese, a livelli di Dogma di Lars Von Trier, hanno indugiato per fin troppo tempo all'interno della mia borsa, scrutando in profondità tra il caricacellulare e l'Amuchina da viaggio: riuscite a immaginare qualcosa di più esaltante?).

In ogni caso, ne saprete presto di tutto questo patrimonio dell'umanità e la verità è che ho imparato, in poche ore, un sacco di cose ascoltato autorevoli opinioni e sgranocchiando avventurosamente pistacchi e mandarini.

In tutto ciò, ne approfitto anche per segnalarvi una notizia fresca di oggi a proposito di futuro e che con il mondo digitale ha molto a che fare e che poi è di sicuro interesse per chi è appassionato di libri: da oggi  16 dicembre Feltrinelli ci propone una nuovissima collana tutta digitale, in cui però si sperimentano modalità nuove e divertenti. Si chiama Zoom e, se vi incuriosisce, cercatela qui: vi sorprenderà parecchio per la qualità delle proposte, i prezzi e le idee.

C'è anche un romanzo a puntate, che unisce semplicemente un'antica tradizione da feuilleton alla tecnologia contemporanea.  




E insomma poi però tutto è bene quel che finisce bene  c'era lo sciopero dei treni ieri (e oggi fino alle 21) e io non lo sapevo e così mi sono ritrovata nel cuore della notte nebbiosa milanese a vagare con un tassista cui avevano appena estratto un dente "sono molto nervoso signorina" che si è offerto di riportarmi a casa in taxi, ovvero a Torino in taxi da Milano e io sulle prime ho anche accettato (mi faceva un prezzo di favore, ma ai primi banchi di nebbia spessi come pandori ho cambiato idea) e alla fine ho trovato un piccolo e dignitoso albergo dove ho dormito vestita con Real Time in sottofondo e Alessandro Borghese che cucinava dei fantastici cup cakes. Stamane, conciata un po' così, fresca come una rosa, ho trovato l'unico treno disponibile, tra Metro ferme, code di ore per un taxi e litigi per un nonnulla, un costosissimo Frecciarossa che però mi ha riportata qui a casa di fronte a voi e al mio caffè.

Per nuove e appassionanti avventure allora ci sentiamo presto.

Buon week end a tutti.

c\_/




 
L'hotel in cui ho dormito vestita ieri notte.


martedì 13 dicembre 2011

Natale con Bookrepublic & Ledita!





Ciao :)

Un piccolo intermezzo pubblicitario, per dirvi che giovedì sarò a Milano insieme ad alcuni simpatici bookbloggers di Ledita a incontrare il mondo di Bookrepublic - una libreria italiana online dove acquistare libri in digitale. Qui, il suo interessante manifesto.

In quell'occasione, nel mio onorato ruolo di bookblogger (ancora non ci credo & ho già l'ansia ma tralasciamo) tra un brindisi in spensiarata allegria, entusiastici "buon Natale!" ed ettogrammi di ferrero rocher potrebbe capitarmi di rivolgere loro alcune domande.

Allora, cari lettori di "tazzina di caffè", vi dico che questo è il nostro momento: potete, se volete, scatenarvi con le domande. C'è nell'aria qualche curiosità da soddisfare a proposito di questi strani oggetti virtuali chiamati ebook? Su tutto ciò che li riguarda - prezzi, diffusioni, limiti e confini? Volete esprimere dubbi? Perplessità? Quesiti amletici? Approvazione?

Scrivetemi qui: noemicuffia@libero.it

La serata, con tutte le domande e risposte, sarà il più possibile twittata su twitter quasi come se non ci fosse un domani.

Divertitevi!

c\_/





venerdì 9 dicembre 2011

Racconto di Natale!


Con la velocità della luce, sta arrivando un nuovo Natale. E a Natale, in genere, se tutto va bene, si fanno sempre le stesse cose. E così ho pensato invece di cimentarmi in un'impresa (per me) diversa: un racconto di Natale! Di solito i racconti di Natale li leggo, mi piacciono, e allora ne ho scritto uno anche io, per voi. Consideratelo, se potete, con tenerezza festosa e prendetelo un po' per quello che è.

:)


Un ricordo di Natale.

Il solito rinfresco natalizio in ufficio, con il panettone e la Sprite. Alberto odia le bibite gassate. E trova assurdo che non ci sia mai nemmeno una bottiglia di vino, anche solo da tre euro del supermercato. Siamo adulti, pensa, non è che dopo un bicchiere non lavoriamo più.

Comunque: anche questa volta si ripete tutto uguale: la triste fatica di scartare i canditi e i pezzi di zucchero caramellato dal panettone scadente, il disappunto di aver dimenticato a casa spazzolino e dentifricio e perciò restare tutto il pomeriggio con quella sensazione melensa in bocca, l'eterno imbarazzo di quando ti fanno il regalo e tu non hai niente in cambio.

Come Cristina, la segretaria, eccola che arriva con qualcosa tra le mani. Oddio, Cristina. Alberto la trova, mah, non sa neanche lui. Sì, carina, ma noiosa. Più o meno un sentimento contrastato del genere. Troppo precisa, troppo silenziosa e poi però ogni tanto quegli exploit di simpatia non richiesta, poi arrossisce, poi torna nel suo angolino a picchiettare sulla tastiera. Boh. Avrebbe del potenziale, però troppo complicato.

Lei si avvicina con il regalo. No. Perché.

- ahhhh grazie.
- prego, di nulla.

E Alberto inizia ad aprire con gelido timore. Vuoto. Ecco. La noia di quei regali grandi che poi scarti scarti e dentro c'è una cosa piccola. O, peggio, l'orrore: uno scherzetto da ufficio: in realtà non c'è niente. La noia. Cristina = la noia.

- che ridere: non c'è niente. Vabè dai, io torno di là.
- guarda bene.
- ...

Sì, in fondo alla stupida scatola di cartone: una cartolina. Non c'è mai fine, dunque, alla noia?

- ahhh una cartolina. Simpatico, grazie mille. Scusa ma io non ho avuto tempo di...
- guarda bene Alberto.

Sì, sul retro della cartolina che arriva da un paesaggio noiosamente anonimo e cittadino, del tutto inutile, c'è una scritta. Due parole in pennarello.

- leggi.
- un ricordo?
- un ricordo.
- e allora? (mioddio che noia, che noia!)
- ti ho regalato un ricordo.
- ahhhhh. Figo. Grazie Cri. Ora devo proprio...
- farà effetto.
- Eh? (adesso però se non la smette m'incazzo).
- farà effetto in giornata.
- sì ok. Ciao.

E finalmente con somma gioia Alberto se ne torna nel suo ufficio, al suo tavolo, gonfio di panettone, un candito molle appiccicato sul molare, sfuggito al setaccio, e molti, forse troppi decilitri di Sprite in circolo. Nella fretta di togliersi Cristina, si è dimenticato il caffè e la macchinetta è proprio in segreteria, dove lei picchietta tutto il giorno sui suoi tasti muti. Pazienza. Sopporterò la sonnolenza, pensa Alberto.

Ma poi subito, e lentamente, lo schermo si annacqua. Lo sfondo con le foto del suo mito, Fabio Caressa, in azione con le cuffie da stadio, si scompone in tanti pixel sempre più mobili, quasi un bagliore di luci che saltellano come quadratini impazziti di una scacchiera.

Alberto adesso è a scuola, alle elementari. La festa di Natale con lo scambio dei regali. I piccoli banchi e le sedie spostate contro le pareti, la cesta piena di pacchetti "a sorpresa" in mezzo all'aula. Alberto ha una felpa blu di Benetton 0-12. Lei invece, Cristina, un caschetto di capelli sottili biondo-cenere, un kilt rosso e verde, un maglioncino di lana con un orso stampato sopra intento ad acchiappare un'ape con le zampe e la scritta: Happy Bear.

Tutti pescano nella cesta ma non sai cosa ti può capitare.

Cristina affonda la piccolissima mano e ne estrae il suo regalo. La mia macchinina! Pensa Alberto, che aveva scelto, tra le sue di casa, proprio quella macchina-robot come dono da portare ai compagni di classe, e l'aveva anche impacchettata da solo. Poverina, pensa. Una femmina non potrà capire.

Cristina tiene il suo regalo sulle ginocchia, composta, in attesa del "via" della maestra ad aprire tutti insieme. Alla vista della macchinina-robot, ci è rimasta un po' male e l'ha infilata in cartella, schiacciata vicino al tegolino del Mulino Bianco, che si era scordata di mangiare all'intervallo. Poverina, continua a pensare Alberto. A lui è capitata invece una bella matita con un pupazzo di Babbo Natale come gommina. Un colpo di fortuna.

All'uscita Alberto allora ha tirato per la cartella Cristina, che camminava zitta verso il grande portone della scuola. Hei. Le ha detto. Non ti piace vero la macchinina? Lei ha alzato le spalle e mostrato un'espressione neutra del viso. Alberto, senza troppo pensarci, ha avvicinato allora le quattro nocche della mano destra sulla sua guancia, escluso il pollice, sollevato come una piccola ala di carta velina. Niente più di una semplice carezza.

Cristina ha ringraziato, dicendo che avrebbe prestato la macchina-robot a suo fratello. Il vero regalo, naturalmente, era la carezza.





mercoledì 7 dicembre 2011

Murakami Haruki - 1Q84 - parte I

Murakami Haruki: è un mondo intero e compiuto. Come salire sulla luna, dove tutto è ancora possibile. Per visitare un mondo che non è la terra serve però un'attrezzatura molto solida, di ottima qualità, provata, sicura, collaudata da esperti.

Non so perché, ma mi ritorna adesso alla mente un ricordo lontano della mia esperienza personale: era una delle vacanze più assurde della mia vita: Florida, Cape Canaveral, John F. Kennedy Space Center. Lo Shuttle laggiù di fronte a me in un'aria estiva e cristallina di metà agosto. Era il 1995, avevo 15 anni, una maglietta enorme con una frase di Proust scritta sopra, un taglio di capelli imbarazzante, una vita davanti, una confusione senza fine, una paura costante e uno strumento bianco e complesso, che stazionava immobile a pochi chilometri di distanza, in grado di portare gli uomini esattamente sulla luna. Ricordo di essermi sentita fragile e potente insieme, come mai prima: un assaggio appena di cosa può offrire la vita, ma un assaggio molto eloquente.

E insomma avevo visitato quelle strutture spaziali; non ci capivo molto ma mi era chiaro che per andare sulla luna in sintesi è necessaria una certa preparazione: ferrea, severa, senza vie di scampo. Così oggi penso lo stesso della lettura di Murakami, in particolare di quest'ultimo romanzo-universo. Bisogna essere implacabili, seri, affilati: massima concentrazione, massima ricompensa.

Ma poiché il libro, già immenso, è ulteriormente diviso in due parti e in futuro ne uscirà un secondo, si intuisce bene la mole di questo lavoro. Come posso allora io in quanto blogger far stare tutto in un post solamente? Questa volta è proprio impossibile. Dunque, dopo una breve riflessione, ho deciso di dividerlo in (almeno) due parti: così poi quando uscirà l'altro volume potremo andare avanti insieme, se avrete voglia, nella successione delle scoperte!

:)

Le cose da dire sono tante e la forma-elenco è forse per ora la più adeguata.

Ecco a voi dunque la lista parziale delle cose che potete trovare in 1Q84 di Murakami Haruki, editore Einaudi.

(hem sì, conosco i numeri giapponesi perché sono cintura nera di aikido - giuro! - ma ho smesso di praticare nel 2003).

ichi) Aomame. Una delle protagoniste femminili del libro. Fa un lavoro che non si può raccontare, è una sportiva, passa molto tempo da sola, presta una notevole attenzione al cibo che cucina. Quando sta per compiere trentanni, per lei tutto cambia. La realtà si trasforma sotto i suoi occhi. Dice: ""O sono io che sto uscendo fuori di testa, o è il mondo che sta impazzendo". Siamo nel 1984. Ma le cose per Aomame sono così diverse che sente la necessità di cambiare anche il nome di questa data. "'Anno 1Q84. Ecco, d'ora in poi lo chiamerò così' (...). Q è la Q del question mark, il punto interrogativo. (...) 'L'aria è cambiata, il paesaggio è cambiato. Devo adattarmi il più in fretta possibile a questo mondo con punto interrogativo'". Non so a voi, ma anche a me è capitato l'anno scorso: compiuti i miei 30, ecco che iniziava il 20?0.

ni) Tengo. Uno dei protagonisti maschili di questo romanzo. La sua interiorità è agitata. Qualche volta ha un attacco di panico. Eppure da fuori lascia trasparire una certa calma risoluta o per lo meno la calma è ciò che lui cerca. Soffre molto la domenica, perché quel giorno gli ricorda qualcosa della sua infanzia. Scrive romanzi, ma è professore di matematica. Si trova a rimaneggiare da capo il bizzarro libro di una certa Fukaeri. Tengo è il respiro ritmato di tutta la storia, come se l'avesse riscritta davvero lui per farcela capire.

san) Fukaeri. Diciassette anni e la bellezza totale di quell'età. Ha un mistero. Non usa mai la punteggiatura quando parla, compresi i punti interrogativi. Ha raccontato qualcosa che forse non avrebbe dovuto e ne è nato un libro. Ciò potrebbe aver fatto arrabbiare i Little People.

shi) Little People. Possiedono intelligenza e forza. Ma non solo. Questo però è un tema così terrorizzante che preferisco parlarne poi nel prossimo post. Comunque sappiate che sono entità pericolose, meglio non averci a che fare. "Devi stare attento nella foresta. Nella foresta ci sono cose importanti, e ci sono i Little People. Per non essere danneggiato da loro devi trovare le cose che i Little People non hanno. Se ci riesci potrai uscire salvo dalla foresta".

go) Čechov. Che, con la sua "certa dose di comicità paradossale" (p. 374) è solo uno dei riferimenti culturali del libro e di Murakami in generale. Però per questo scrittore si sente davvero un amore profondo e una vera devozione. In uno dei momenti più emozionanti di 1Q84, compare Sahalin: un libro su un viaggio che Čechov avrebbe compiuto forse per "purificarsi dalle bassezze degli ambienti letterari". E lì ci sono i ghiliachi, un popolo le cui abitudini colpiscono molto Fukaeri, perché, come lei, "invece di utilizzare le strade, continuano a camminare nella foresta".

roku) McLuhan: "è stato uno che ha precorso i tempi. Siccome in un certo periodo era diventato di moda, oggi è un po' sottovalutato, ma le cose che diceva erano quasi sempre giuste".

shichi) Dickens. Tengo si accorge di essere "come uno di quei bambini sfortunati che si trovano nei romanzi di Dickens". Questo è uno spunto che Murakami ci regala: i romanzi dicono qualcosa di noi che magari neanche sapevamo. Veicoli di conoscenza umana.

hachi) Il senso di impotenza. Dal quale sempre si originano molti fatti. Quasi tutti i personaggi lo sperimentano. Qualcuno ne muore. "Sa quanto può nuocere alla vita delle persone?".

ku) Gli anni Ottanta. Che fanno irruzione continuamente. Lady D, il Walkman, il word processor, la politica: per certi versi questo è un impeccabile romanzo storico.

ju) Il Sakigake. Una setta religiosa. Il tema delle sette è molto approfondito e cruciale: e purtroppo si incastra tragicamente con il problema della violenza e degli abusi sui minori. Murakami svolge qui un compito scomodo, molto doloroso e civile.

ju ichi) L'amore. L'amore giapponese è qualcosa di speciale. Sul serio. Hanno una concezione culturalmente diversa dalla nostra: c'è anche una spietata poesia qualche volta.

ju ni) Orwell. Il titolo è un chiaro ed esplicito riferimento al Q-uasi omonimo 1984. Ma: "in questo mondo reale non c'è più spazio per il Grande Fratello. In compenso, sono venuti fuori questi Little People".

Allora per il momento mi fermo qui. Ci vuole un po' di tempo per addentrarsi in una grande impresa e 1Q84 lo è.

L'importante, per questa spedizione spaziale, è assumere tutto come vero e sospendere ogni altro giudizio.

[Continua...]

lunedì 5 dicembre 2011

Un pomeriggio in biblioteca - Milano version.






Per una fortunata circostanza, sabato mi trovavo a Milano: e, se nel pomeriggio passerete da quel luogo incantevole chiamato SettePerUno, scoprirete il perché e i particolari - vi dico solo che c'entra con @isbnedizioni :)

E comunque c'è stato il tempo di fare anche un giro della città. Per me Milano è un'entità misteriosa, simbolica e imprevedibile, dove non so perché sto sempre bene. Mi ricorda qualcosa di bello che forse ho dimenticato. Qualcosa che si rinnova sempre, come le luci natalizie o il sole del mattino.

E tra le vie della moda, mercatini di prodotti biologici e vetrine sfavillanti - nonché gente in kilt, milanesi superchic in pieno spolvero e tanta varia umanità - ecco anche una fantastica biblioteca. Nel mezzo di un quartiere che definire fichissimo è riduttivo, appare questo edificio elegante e luminoso: la Biblioteca Venezia.

Noi eravamo in due, e siamo entrati per sentire l'atmosfera. C'erano i suddetti milanesi di tutte le etnie, gente che studiava sui libri di scuola, altri che sfogliavano il giornale, altri ancora lettori concentrati di romanzi del sabato pomeriggio. Alle pareti: moltissimi disegni di bambini. L'impressione è che graviti intorno a questa biblioteca una vera community di little people under 10.

Quindi nel cuore del centro c'era un altro piccolo cuore pulsante di libri e di tavoli e sedie su cui leggerli. Questa allora è una dichiarazione d'amore: le biblioteche e ovunque ci sia della letteratura, della fantasia, della cronaca, del sapere da imparare e tramandare, delle parole ben scritte che abbiano un significato per chi le legge, sono luoghi da rispettare e salvaguardare in tutti i modi.

A volte si può avere l'impressione che leggere romanzi, ad esempio, sia un privilegio per pochi. Poi vai in questi posti, spesso insospettabilmente gremiti, e inizi a capire che certi privilegi sono anche un po' di chi se li va a prendere, lì a completa disposizione di tutti.


Sotto: le mille luci di Milano, alle tre e mezza del pomeriggio :)


giovedì 1 dicembre 2011

Nanowrimo ------> un mese dopo.

Cari lettori, amici, parenti, bloggers, non-bloggers, passanti occasionali, bambini, adulti, ottuagenari, spiriti-guida, twitters, facebookers, spammatori indefessi, torinesi, non-torinesi, stranieri, bevitori di caffè, bevitori di mojito, quadrupedi, stelle scintillanti, persone di Librinnovando, frequentatori di luna park e tutti gli altri: un mese è trascorso dall'inizio del mio Nanowrimo.


Come immaginavo, sono rimasta sotto le battute previste dal gioco, ma qualcosa ho scritto. Mi piacerebbe completare questa storia, raccontarvela fino alla fine: nella mia mente più o meno c'è già tutta.

:)

Intanto, vi ripropongo il mio incipit. E all'anno prossimo con Nanowrimo !!

Mi chiamerei Lorenzo e questa sarebbe la mia cameretta: un lampadario di paglia con appeso un gabbiano di legno che, se tiri un cordino di stoffa, si muovono le ali. Un tappeto a forma di camion dei pompieri o di taxi. Una cesta di vimini piena di macchinine, robot, dinosauri e anche un orsacchiotto marrone: perché avrei già almeno dieci anni ma un orsacchiotto marrone, in certe situazioni, può ancora fare comodo. Poi: un armadio azzurro pieno di adesivi, jeans e magliette verdi e gialle con le scritte. Una cassettiera con sopra una luce bianca a forma di alieno-uovo con le orecchie da tenere accesa la notte. Un cane di nome Tamburo che dorme nella cuccia sotto al mio letto. Un tavolo di legno pieno di fogli e matite. Molti libri di diverse dimensioni. Un trenino. Una pista di macchine da corsa. Un computer. Mio fratello. E infine, la cosa più importante: una scatola blu rivestita di velluto e piena, molto piena di yo yo. Perché io sarei un campione di yo yo: il migliore della mia città, anzi della mia nazione. Avrei tutte le coppe sul davanzale e dalla finestra di questa mia cameretta, vedrei una bella città dell’Europa fatta di luci e di palazzi alti. Ma non ho ancora capito quale. Non lo so se posso saperlo: ho provato a scoprirlo, ma non ci sono riuscito. Però è sicuro che mi chiamerei Lorenzo e sarei quasi un ragazzo, ma per il momento mi chiamo ancora Samay, che vuol dire contemporaneo e sognatore, è un bel nome ma sono troppo piccolo per giocare con gli yo yo. Dove abito ora ce n’è uno solo, di legno, dentro la scatola dei giochi, e lo usano sempre i bambini più grandi. Adesso purtroppo ho solo quattro anni, non so scrivere né leggere, e non so fare molte altre cose, anzi, a essere sincero, non so fare proprio assolutamente niente di speciale.

c\_/

mercoledì 30 novembre 2011

Signore di Corso Trapani.

Non so se qualcuno di voi ricorda questo signore. Qualche volta mi arriva qualche mail chiedendomi che fine abbia fatto, altre volte me lo chiedono gli amici e parenti addirittura :)

Con un po' di malinconia, rispondo sempre che non lo so. Era un signore anziano ma con uno sguardo celeste fuori dal tempo che, con la sua camicia a quadri, il berretto di lana, il bastone e una sigaretta bianca sempre spenta, se ne stava tutte le mattine davanti a un portone di Corso Trapani, qui a Torino.

Lo incontravo quasi tutti i giorni, fino al punto che si era creata, forse solo nella mia mente, una delicata consuetudine, come se anche lui mi riconoscesse e mi salutasse con un cenno. Per me era rassicurante, come il primo caffè bevuto ancora con gli occhi socchiusi.

Lavoravo in un ufficio ed ero sempre di corsa. Poi è scaduto il contratto e come molti di voi avranno sperimentato, ho preferito non passare più da quelle parti, perché mi dispiaceva.

Da un po' avevo smesso di pensare a lui (e a quel lavoro, e a un sacco di altre cose, perché funziona anche un po' così la vita) fino a ieri. Quando, in stato confusionale, mi recavo dal dentista. Non mi trovavo in Corso Trapani, eppure: rieccolo! Stesso bastone, cappello nuovo di stoffa color amaranto, stessi occhi - diversi da tutti gli occhi che abbia mai visto. Né giovani né vecchi, neutri, sapienti di una sapienza non-umana (ma forse tutti gli occhi suggeriscono indizi ultraterreni e non ci avevo mai fatto caso?).

Ovviamente non mi ha riconosciuta, e, come nel più classico film americano lacrimevole, quando mi sono voltata per controllare una seconda volta che fosse realmente lui, non c'era più. Puff. Sparito. (hemm era solo entrato nello studio medico u.u niente di tanto romantico).

La coincidenza vuole tra parentesi che abbia appena iniziato un libro in cui succede qualcosa di simile in un mondo molto suggestivo, ma vi racconterò sicuramente in futuro.

Comunque questo episodio mi ha ricordato ancora che personalmente mi trovo nel mezzo della mia maratona alla ricerca di un senso, un posto, una saggezza e di un'identità. Mi chiedo ora se per fare ciò sia necessario il contributo degli altri: il Signore di Corso Trapani o voi che leggete, ad esempio, oppure se è una corsa che bisogna correre da soli, con la sola compagnia di un orologino di plastica per segnare il tempo e il paesaggio circostante. La risposta è: entrambi. Un interlocutore forte, che ti guarda negli occhi e ti dice cosa pensa, e poi tu, con le tue sole gambe infreddolite a correre nella nebbia.

Qualche altra volta cerco un destino nei libri: e così oggi magari trascorrerò un pomeriggio in biblioteca sola con loro.

E se voi volete per caso leggere i post sul Signore di Corso Trapani, li trovate tutti qui.

Buon ultimo giorno di novembre :)

c\_/

martedì 29 novembre 2011

Pubblicità - La lettura digitale e il web :)


Ancora sull'onda di Librinnovando :)

Domanda a chi c'era: come state? Tutti bene? Domanda a chi non c'era: che ne pensate? Verrete il prossimo anno?

Comunque vi annuncio allora questa bella novità: dalla somma degli interventi dei bookblogger presenti, ovvero:

Silvia Surano (con Gloria M. Ghioni e Laura Ingallinella)

-------> e da un'idea di Marco Giacomello per la cura di eFFe, e introduzione di Luca Conti, è nato un libro (sia ebook che cartaceo) che si intitola La lettura digitale e il web - casa editrice Ledizioni, e si può acquistare qui.

Se poi volete il 10% di sconto e siete miei amici/lettori, potete inserire, quando vi verrà richiesto nella procedura, il codice ECCOMIMI e sarete accontentati :)

Che altro aggiungere: che bello! Spero vi interesserà. Mi fate sapere?

c\_/

sabato 26 novembre 2011

Superare il limite (Librinnovando).




Rieccomi tornata nel mio habitat naturale: vestiti da casa, tazzina di caffè, lo schermo luminoso del computer, il silenzio e i libri, di carta oppure quelli dentro milk* (per entrare nel vivo :) che mi guardano come quieti animali domestici veri e contenti di rivedermi.

Tolgo la moka dal fuoco, e sento ancora l'ansia estrema dell'attesa (giuro che non pensavo di farcela sul serio, avevo il cuore fuori controllo).

Faccio un po' di spesa: "due petti di pollo, grazie" e nel mezzo sento ancora il caldo forte dell'aula dello ied, con i suoi lampadari bianchi, gli schermi vibranti di tweet e parole e commenti e opinioni (dall'istante in cui ho formulato il pensiero "cosa diranno di me" ho rischiato la fuga).

Preparo una lavatrice e riascolto le voci dei miei amici che parlano prima e dopo di me. Gli sguardi gentili e i sorrisi di chi era lì per ascoltarci: una cosa così bella, così straordinaria che mi confonde, mi destabilizza. Sono felice, felicissima, ma al momento la cosa va davvero oltre e ho quasi le vertigini: so che ci sono persone abituate a questo, ma non è il mio caso, per me è stato un giro al luna park.

Vi scrivo di Librinnovando a caldo: le prime impressioni del ritorno, quasi dal treno. Sono felice dicevo, super concentrata e infinitamente distratta allo stesso tempo (uno stato d'animo che non immaginavo possibile). Guardo la tazzina della foto e penso che quello è il caffè che ho bevuto ieri a pranzo, poche ore prima del mio "turno", seduta tra Valentina e Giulia che in un mondo molto vitale, sregolato e parallelo si chiamano @SignorinaLave e @trustinart. E nel ricordarlo, non riesco ancora a crederci.

Come vi dicevo nel post precedente, per me era la prima volta quanto a parlare in pubblico. E a un pubblico così vasto (guardate la foto sotto, e c'era anche gente in piedi, un po' ovunque) e competente nel mondo dell'editoria, ancora peggio, qualcosa che non potevo prevedere neanche in sogno. Tutti i presenti, coltissimi, preparatissimi, dunque sapevano tutto di tutto. Difficile dire loro qualcosa di nuovo, o anche solo sperarlo.

Questa è una gioia antica che esplode come un firework. L'editoria! Cartacea, digitale, di qualsiasi tipo, è il mondo che mi piacerebbe abitare da sempre.

Il mondo dell'editoria una volta era per me come un asserragliamento in lontananza che ti guarda storto, solo per chiederti: e tu chi sei?

Oggi mi pare che il ruolo del cosiddetto bookblogger sia un po' la risposta a quella domanda.
E tu chi sei?

Qualcuno che tenta di colmare quel vuoto che si crea nella stragrande maggioranza delle vite delle persone "normali": un vuoto di libri e di letture (ecco perché l'editoria è in crisi perenne, mi pare fisiologico) causato dal fatto che gli impegni si sovrappongono, le ore di sonno si riducono, il lavoro (o il non lavoro) toglie tutti gli spazi di concentrazione e se la scrittura non è diventata per tua fortuna o bravura o miracolo il tuo mestiere o la tua passione, i libri si riducono all'osso e per lo più arrivano solo a soddisfare esigenze di rarissimo svago molto extra, relax vacanziero (quando capita), distensione dei nervi prima di dormire.

Il bookblogger allora è colui che si rivolge anche a queste persone (e sono tante) con una bella notizia: hei guarda che i libri ci sono ancora, in giro ne trovi: intanto io te li racconto senza tante elucubrazioni inutili, e ti dico che sono oggetti leggeri, parlano di argomenti o emozioni interessanti, magari a volte complesse, ma sempre avvincenti. In una parola: hei c'è una possibilità anche per te (e per me). Forse qualche esperto del settore storcerebbe il naso di fronte a tutto questo, definendolo magari un ragionamento "infantile" o semplicistico. Quanto a me, lo definirei soltanto aderente al vero. Molti di noi cercano una rassicurazione, una chiave per aprire un mondo accessibile, sicuro, comprensibile, sano, chiaro, pieno di cose da conoscere, di nuove opportunità.

E sembra che per la prima volta nella storia quel mondo lontano sia quantomeno pronto ad ascoltare. L'editoria, almeno da quel che mi è parso ieri, ha oggi occhi e orecchie e ha voglia di capire cosa sta succedendo, cosa leggiamo noi, cosa ci piacerebbe sapere, quanto a volte ci siamo sentiti soli, indietro, con l'acqua alla gola rispetto ai libri ed è per questo che magari non li abbiamo comprati.

Allora ------> "Superare il limite" è una frase di Bruno Munari che a un certo punto ci tenevo tantissimo a dire durante l'intervento e l'ho fatto.

Per me Librinnovando ha rappresentato proprio questo. Superare miliardi di limiti miei personali (non ve li elenco tutti, per non spezzarvi troppo il cuore hehe). Ma anche Superare Il Limite del libro come oggetto, per essere più in tema, che può avere molte forme e non per questo in guerra tra loro (sì, penso proprio a digitale vs. cartaceo), oppure anche il limite di twitter; un universo grazioso, amabile, desiderabile che però ci ospita solo nei limiti, appunto, di 140 caratteri scritti, mentre ieri eravamo tutti anche in carne e ossa, con le nostre facce, le nostre età, i nostri cappotti, le sciarpe, la nostra pelle, la stanchezza, la paura, il nervoso, la serenità, la grazia, la bellezza o la bruttezza (a seconda di chi guarda), i nostri vestiti, i nostri occhi, la nostra voce. O ancora il limite dei rigidi confini lettore-scrittore-editore. Il limite del tempo: ne avevamo poco, è vero, ma qualcosa siamo riusciti a dire. Il limite dello spazio: le stanze straripavano. Il limite dell'emotività, il limite della timidezza che si scompone in agitazioni superflue. Il limite della geografia: vedersi per così poco, ripartire con treni e aerei per tutta Italia.

O in ultimo superare il limite dei mojito e dei cuba libre all'aperitivo post convegno: ooooops: non avete idea (chi c'era purtroppo sì: ciao amici, vi lovvo!) di quante cazzate sono in grado di sparare al terzo (?) cocktail dopo una giornata del genere. Per me d'altronde è stato un fatto così straordinario che lo sapevo che qualcosa al di sopra le righe sarebbe successo: ho perso (e ritrovato) il cellulare - con tutta la mia vita dentro - ho perso (e ritrovato) la valigia (grazie al mio amico Arturo di cui vi ho detto nel post precedente che da vero gentiluomo mi ha accompagnata fino al Bed&Breakfast deviando dal suo tragitto credo per verificare che tutto sommato non finissi in un "fosso senza un rene" (cit.) l'indomani: many many thanks @ArtNite). Ma poi la fortuna ha girato e ho trovato un posto così accogliente dove dormire (si chiama Cesena5) e dove fare colazione che se avessi 5 anni vi direi che mi sono sentita una vera principessa!

Nelle foto sotto comunque trovate testimonianze varie dei mojito, della vista dal B&B, del libro di Munari, del folto pubblico di Librinnovando.

Poi, che altro aggiungere? Ci sarebbero altre infinite cose da dire, da raccontare. Magari nei giorni prossimi raccolgo le idee. Ora mi sento strana. Felice, sì, ma anche malinconica. Sento l'esigenza di far sedimentare tutto quanto, di fare luce su ciò che è accaduto, su cosa potevo migliorare, su cosa posso fare per il mio futuro, su come posso contribuire, su che direzione potrebbe prendere il mio lavoro. Vorrei consolidare la sostanza della mia vita ed esperienze come quella di Librinnovando mettono in discussione, in gioco, a nudo, di fronte ai miei limiti e sono sicura che aiuteranno. E soprattutto vorrei regalare qualcosa a voi per ricambiare la vostra attenzione sincera.

Inizio da questo link: date un'occhiata, se potete, perché non finisce qui: Ledita :)

E restate collegati che Librinnovando ha in serbo altre sorprese per noi!

c\_/


* hem il nome del mio bianco ereader.




giovedì 24 novembre 2011

Domani :)




Hei ci siamo :) domani è il grande giorno di




Eccovi intanto il sito con tutte le informazioni e il countdown agli sgoccioli!
Dopo questa lunga attesa, venerdì mattina all'alba si parte.

(vi racconterò tutto al mio ritorno: ma se volete potete seguire l'evento con l'hashtag #librinnovando su twitter).

Dire che sono agitata è piuttosto riduttivo. Sono nel panico.

Questa è la prima volta che mi capita di parlare di qualsivoglia cosa in un convegno. (sì: ho detto due robe alla discussione della laurea ma sono passati * anni ed è anche cambiato il governo, nel frattempo u.u).

Comunque all'inizio contavo di ripetere a memoria: modello poesia di Pascoli alla recita delle elementari in piedi sulla sediolina. Ma poi l'ansia, il terrore, il bruxismo e le allucinazioni uditive e visive mi hanno convinta che non ce l'avrei mai fatta a memorizzare alcunché, a partire dal mio nome e cognome (per quanto buffo) fino al... boh, non mi ricordo già più :(

E quindi, su consiglio del mio medico di base ("eh no signorina, questa volta non le prescriverò l'antibiotico, la sua è definitivamente ansia: le consiglierei, anziché togliere lo spazio agli anziani che devono fare il vaccino per l'influenza n.d.r., di tornare a casa sua a prepararsi due slide"), ho preparato in effetti alcune slide per alleggerire l'intervento. Che a questo punto, spero, vi risulterà rapido e indolore.

L'altra consapevolezza è che parlerò nel tardo pomeriggio, quando saranno tutti addormentati e il mio contributo costituirà per essi un valido sostituto al pisolino postprandiale.

Russate, gente russate!

Fatte queste doverose premesse e prima di congelarmi in un'ebete espressione di attesa fissando il muro fino a domani (sarà poi compito del mio fidanzato svegliarmi con una secchiata di acqua gelida e invitarmi gentilmente a non perdere il treno per Milano, oltre che cucinare una frugale cena questa sera), volevo consigliarvi una lettura.

Si tratta di Zagreb, romanzo del mio amico Arturo Robertazzi che ringrazio pubblicamente per avermi aiutata in tutto questo periodo di Librinnovando (ci sarà anche lui e avrà da raccontare cose interessanti!) con precisione e generosità. Se frequentate la rete e siete attenti lettori, lo conoscerete già, comunque questo è il suo blog e questa è Aìsara, la casa editrice.

Zagreb è un romanzo che molti hanno definito "un pugno nello stomaco": non sarò io a dire che non è vero, perché è proprio così. Infatti ho aspettato oggi a scriverne qualcosa, ma il libro l'ho letto a giugno, dopo la sua presentazione al Salone del Libro qui a Torino.

Però poi è come se l'autore si fermasse anche a guardare cos'è successo dopo il pugno, per spiegarti che aveva un senso colpirti a quel modo.

Il libro parla di guerra, questo è chiaro fin dall'incipit, molto bello. Ma l'idea ambiziosa di Arturo è stata quella di non fornire riferimenti reali né all'ambientazione, né al tempo: per quanto capiamo che si possa trattare dei conflitti dell'ex-Jugoslavia negli anni Novanta.

Ad agire qui ci sono solo persone, spogliate di tutto, immerse esclusivamente nella guerra, nell'eterno "noi e loro" che scandisce e informa ogni gesto, ogni svolta, ogni decisione. C'è anche però uno sguardo compassionevole che osserva la Base come si potrebbe osservare un luogo violento della memoria. La storia si compone proprio intorno a continui flash back, un po' come in effetti funziona la nostra mente, e si avvita sull'amicizia, sulla perdita di senso e sulla paura.

Questo è un libro classico di guerra e di valori, senza dubbio e senza alternative. La scrittura è asciutta ma al tempo stesso emotiva, però mai lirica. Resta sempre aderente alle cose.

Da quasi coetanea dell'autore, mi tormentava, leggendo, la domanda: perché? Perché ha fatto questo? Perché è andato a guardare proprio lì, in quell'orrore, in quelle visioni. Poi ho letto un'intervista in rete dove Arturo con semplicità rispondeva più o meno a questo stesso quesito: perché durante l'adolescenza siamo stati travolti da quei conflitti: in tv, sui giornali: era un continuo computo di vittime, di disastri, per quanto mi riguarda anche di "temi" sui banchi di scuola. C'è chi poi da queste cose si protegge, cambia canale, non sopporta, dimentica e c'è chi invece vuole saperne tutto, e ci scrive un bellissimo romanzo. Quindi grazie Arturo, per aver traghettato una che si proteggeva verso un atteggiamento completamente diverso.

E a domani :)