venerdì 21 luglio 2017

Maria accanto - Intervista a Matteo B. Bianchi.

Matteo B. Bianchi, Maria accanto, Fandango


A maggio al Salone del Libro di Torino (per gli amici #SalTo30), ho avuto l'occasione di incontrare e conoscere lo scrittore Matteo B. Bianchi.

Per i pochi stolti che non conoscessero Matteo, lui pubblica romanzi dai primi anni 2000, è autore televisivo ed è il glorioso fondatore di 'tina - la rivistina di Matteo. B. Bianchi. 

Già solo dalla sua rivista si possono notare le diverse anime di Matteo come scrittore, una di quelle che più mi hanno colpita e che ho ritrovato nella bella conversazione che abbiamo avuto è una sorta di inedita e autentica umiltà. Merce rara nel mondo delle sacre lettere.

E, a proposito di sacro, il suo ultimo romanzo, Maria accanto, racconta una storia speciale. Pulita, disarmante. La storia di una ragazza qualunque dei nostri giorni, assistente alla poltrona presso uno studio dentistico, alle prese con le problematiche della società, cui letteralmente un giorno appare Maria. Proprio quella Maria, la madre di Gesù.

Lo so, a scriverla questa trama pare bizzarra ma a leggere il libro la parola d'ordine è credibilità. Ogni dettaglio, ogni reazione, ogni cosa appare (per restare in tema) perfettamente coerente. Che poi è il compito di ogni romanzo riuscito: farci entrare in un mondo con le sue regole e con i suoi meccanismi inconfutabili.

Ma non finisce qui perché poi ci ho ragionato un po' e ho ben pensato di scrivere a Matteo qualche domanda. E queste infine sono le sue risposte. Spero che vi incuriosiranno quanto hanno incuriosito me.

E se arrivate alla fine dell'intervista vi anticipo che no, non manderò la mia parcella di psicanalista :) a Matteo ma gli manderò un "grazie" grande e sincero per la disponibilità quanto la stima che ho per lui. Buona lettura!

 Maria accanto è una storia semplice e insieme complessa. A me ha ricordato in uno strano modo le storie di Kent Haruf. Apparentemente quotidiane ma intrise di una qualche eccezionalità che le rende uniche e diverse dalle altre narrazioni. Almeno, questo è l'effetto che hanno fatto a me. Nella tua storia "normale" (Betty è una ragazza qualsiasi, impiegata in uno studio dentistico) a un certo punto, infatti, fa irruzione un elemento per così dire irreale. Un'apparizione di Maria, la Madonna in carne e ossa, anzi in spirito, che diventa amica e confidente di Betty. Maria apparentemente non porta nessun messaggio ma leggendo meglio tra le righe a me è parso che invece sia lì per aiutarla ad affrontare momenti molto difficili e a superarli. In definitiva, è come se Maria volesse dire a Betty che la vera felicità è a portata di mano, è accanto, appunto, a lei. Questo è senz'altro quello che ha suggerito la tua storia a me. Confermi questa lettura? Ti suona corretta?

Intanto grazie per il riferimento a Kent Haruf, è un grande complimento che probabilmente non mi merito. Per quanto riguarda la tua interpretazione, trovo che sia del tutto legittima anche se non era quello che avevo in mente io scrivendo il romanzo. Mi sto rendendo conto che questo libro si presta moltissimo a essere decifrato in modo molto diverso a seconda della sensibilità di chi lo legge. La Madonna del romanzo non è sulla terra per dare dei messaggi e non appare per aiutare Betty in qualcosa, quanto per seguirla nelle sue attività di tutti giorni, per osservare come vivono le ragazze di oggi. È inevitabile che la presenza di Maria comporti dei cambiamenti molto forti nella vita di Betty, ma non è Maria a spingerla, in nessun modo. Betty cambia perché questa esperienza la segna molto e nessuno esce indenne dalle prove della vita. Come autore l'ho inteso alla stregua di un percorso personale, un cammino individuale di crescita non spirituale ma molto terreno. Chiaramente poi il lettore può intenderlo nel modo gli sembra più consono.

A un certo punto Betty tempesta Maria di domande importanti sull'Universo, la vita etc. Questa storia nasce anche da un'esigenza di risposta a domande filosofiche ed esistenziali che la vita quotidiana ci obbliga a mettere da parte?

Il romanzo ha un tono molto leggero, perché praticamente in tutte le cose che faccio pratico la leggerezza, che per me non corrisponde mai alla vacuità. Avendo per protagonista la figura di Maria è inevitabile che vengano toccati temi molto profondi. Maria non ha la possibilità di rispondere alle domande di Betty e però lei non può trattenersi dal fargliele. La figura di Betty è quella di ragazza del tutto ordinaria, tuttavia non è affatto banale. La presenza di Maria la stimola a riflettere moltissimo ciò che la circonda, sulla felicità o l'infelicità degli altri e anche su questioni esistenziali fondamentali. Fa tutto parte di un processo di maturazione che vive nel corso del libro. Ho scelto una frase particolare di un loro dialogo da mettere come citazione in quarta di copertina che dice: “Siamo tutte ragazze qualsiasi, sono esperienze a renderci speciali”, il che in pratica sintetizza il percorso di Betty.

Al tempo stesso, Maria pone invece a Betty domande molto più facili: cos'è Twitter?, ad esempio. E porta però, in questa immediatezza, lei e il lettore inevitabilmente a osservare la contemporaneità con occhi diversi, nuovi. Maria è come se tutto potesse ma nulla sapesse di noi e delle fatiche che facciamo. Forse una storia come quella di Maria accanto è utile in un'epoca in cui abbiamo tutto: noi stessi, internet, connessioni ma ci manca forse quel legame con la spiritualità che per secoli ha, volente o nolente, determinato l'andamento della società. Pensi che il tuo romanzo possa essere letto anche in questa luce (divina)?

Maria in realtà conosce tutto della condizione umana: conosce il dolore, la sofferenza, la felicità, il travaglio che ogni individuo è chiamato a vivere. Quello che invece non conosce (perlomeno in questo romanzo) riguarda gli aspetti effimeri e mutevoli della società, cioè che musica ascoltano i ragazzi di oggi, come si vestono, che cosa fanno nel loro tempo libero e quindi è questo il motivo per cui vuole essere accanto alla Betty e seguirla ovunque. È una Maria osservatrice, attenta e curiosissima. Le modalità di relazione attraverso i social network per esempio la disorientano abbastanza e Betty ha anche una certa difficoltà a spiegargliele, ed è evidente che mi sono divertito a inserire dei confronti fra di loro su questi aspetti del tutto contemporanei. Il rapporto che si instaura fra Maria e Betty ai miei occhi è quello di un’amicizia pura. Più si avvicina a un rapporto di amicizia standard, con tanto di silenzi, litigi e riappacificazioni, più diventa significativo e concreto.
Mi rendo conto che si tratti di un’operazione letteraria azzardata e per certi persino incredibile: che una ragazza arrivi a trattare una divinità come se fosse una sua semplice amica. È la vera sfida (anche per il lettore) contenuta in questo libro.


L'amicizia è un tema costante nei tuoi romanzi. In questo, poi, sembra essere un nucleo fondamentale. Luchino, Veronica e Maria stessa sono protagonisti di un legame con Betty molto saldo e determinante. Sembra quasi che sia proprio l'amicizia a dettare i passaggi della trama e gli snodi delle vicende. Cosa ti affascina tanto dell'amicizia da averla resa così centrale nei tuoi romanzi e in particolare in Maria accanto?


A dire la verità fino all'uscita di quest’ultimo non mi ero reso conto di quanto i miei romanzi fossero incentrati sull'amicizia, ma in verità riconosco a posteriori che forse è il tema portante di tutto quello che ho scritto. Per certi versi trovo più interessante da raccontare l'amicizia rispetto all'amore perché è una sfida maggiore per uno scrittore, nel senso che nelle storie d'amore ci sono degli eventi fondamentali, molto significativi ed emozionanti: c'è l'incontro, l'innamoramento, la tensione del desiderio, il bisogno di conquistare una persona che magari appare irraggiungibile… Le amicizie invece sono molto più sfumate. Un'amicizia nasce anche per vicende casuali e fortuite, è fatta di piccole cose, minimi gesti. Con un amico stai bene anche solo passando una serata a chiacchierare o anche restando in silenzio e queste sono cose chiaramente più difficili da raccontare. Forse per questo scelgo sempre delle storie di amicizie alternative. In “Esperimenti di felicità provvisoria” avevo raccontato di amicizie che sfociano in rapporti sentimentali, nel racconto “Al sangue” (che era stato pubblicato come allegato al Corriere della sera) l’amicizia fra una donna e uno zombie, nel volumetto “Gatta gatta” quella fra una donna e una tigre, nella favola “Tu Cher dalle stelle” del rapporto magico che si crea fra un bambino e la cantante Cher… Le amicizie assurde sono il mio pane, a quanto pare.
In “Maria accanto” proseguo questo percorso. Mi affascinava come scrittore raccontare l'ipotesi che anche un essere divino dovesse in qualche modo subire quello che è l'andamento di un'amicizia reale e quindi momenti piacevoli ma anche le difficoltà, gli scontri. All’inizio della loro relazione Maria è assolutamente consapevole che non sarà facile e mette in guardia Betty, le dice che per lei sarà una responsabilità pesante, ma la ragazza non se ne rende conto.
E tutti i rapporti di Betty (con il suo migliore amico Luchino, con quella che considera una sua sorella, Veronica, col suo ragazzo Diego e con tutti i componenti della sua compagnia) sono influenzati pesantemente dalla presenza di Maria. Betty è l’unica a vederla, ma cambia in maniera così palese che tutti si accorgono che c’è qualcosa di strano.
Penso che in qualche modo ci sia qualcosa di più silenzioso ma più epico nell'amicizia. Per esempio io ho sempre pensato che il mio primo romanzo, “Generations of love” che racconta della mia prima esperienza sentimentale e quindi il primo innamoramento, il primo tradimento e la capacità di superarlo, è basato sulla figura di Clelia (la mia migliore amica) e non quella di Sergio (il ragazzo per il quale avevo perso la testa). Come dico a un certo punto, di ragazzi ce ne sarebbero stati altri, ma lei sarebbe rimasta la sola. È su quel tradimento il romanzo, mentre tutti lo leggono come una storia d’amore gay. 
Aiuto, questa intervista sta diventando una seduta di analisi psicanalitica! Temo che adesso mi manderai una parcella salatissima.


giovedì 6 luglio 2017

Il libro del mese - Memoria di ragazza

Annie Ernaux, Memoria di ragazza, L'orma editore

Bando alle tazze, la vera (e giusta) moda del momento - nella piccola nicchia del mondo editoriale - sembrerebbe consistere in un tema tanto semplice quanto complesso: le ragazze. 

Dalle ragazze di Emma Cline a quelle di Concita De Gregorio, negli ultimi tempi si sono susseguiti libri che sviscerano questo argomento da molti punti di vista e tutti molto ricchi. C'è da dire che le ragazze, nei titoli e nei libri, sono da sempre un nucleo molto importante. Come dimenticare le ragazze kamikaze di Francesca Genti? Che nel 2009 ha anticipato due elementi che oggi (per fortuna) affollano gli scaffali delle librerie (per lo meno più che nel recente passato) ovvero le poesie d'amore e, appunto, le ragazze. 

Chiusa questa parentesi sulle presunte mode letterarie, ecco il libro che più mi ha colpita negli ultimi giorni. L'ho comprato alla libreria Luna's Torta (dove domani sera parteciperò a uno Speakers Corner leggendo dei miei piccoli racconti: se siete a Torino, passate a farmi coraggio!) e in pochi giorni l'ho finito. Di solito leggo molto più lentamente e c'è da dire che la scrittura della Ernaux è per me proprio un catalizzatore, una sostanza attivante che mi rende veloce e sveglia.

Questa storia, in particolare, mi ha avvinta più degli altri suoi libri (non ne ha scritti molti a dire il vero). Più del suo Gli anni, ad esempio, Memoria di ragazza ha rappresentato una svolta nel mio personale sentire come lettrice della Ernaux. Se, infatti, Gli anni risulta universale, totalizzante, Memoria di ragazza è piuttosto una storia minima, osservata al microscopio. 

Tutti i giochi di questa narrazione, infatti, e, si lascia intendere, di molta parte della vita interiore dell'autrice, si giocano in un unico anno, il 1958. Anno attorno al quale ruotano, appunto, le memorie di Annie che è voce narrante e demiurga di ogni cosa. Tutti gli anni di una vita, dunque, versus un unico anno decisivo. Un annus horribilis, a essere precisi, peculiare, rivelatore. Un anno che avrebbe potuto vivere solo una persona, tanto appaiono dettagliate le sue esperienze e le sue elucubrazioni ma che, e in questo tutte le narrazioni della Ernaux invece convergono, tutti si possono ritrovare. 

Cosa succede? Succede che la diciassettenne Annie nell'estate del 1958 trova un lavoretto come apprendista educatrice per bambini presso una colonia estiva. Qui, vive i suoi primi effettivi incontri con il mondo maschile e la cosa accade secondo una modalità fredda eppure incendiaria e molto complessa. Le cose con H., il primo uomo della sua vita e capo educatore ventiduenne, vanno storte per ragioni ingarbugliate che tanto hanno a che fare con la superficialità di lui quanto con l'ingenuità di Annie. 

Mentre dunque scopre la forza e la disperazione che possono dare, a quell'età, i sentimenti e il desiderio, si muovono però anche altri meccanismi attorno a lei. Si crea un branco di ragazzi poco più grandi dei bambini cui dovrebbero fare da educatori ed emergono alcune classiche dinamiche di questo tipo di ambienti (compresi gli esempi virtuosi che però Annie non riesce a emulare, troppo presa dai propri inconsapevoli impulsi). E in questo contesto, lei non sa crearsi un ruolo positivo e rispettato, diventando di fatto lo zimbello del gruppo fino ad arrivare a una forma che oggi si potrebbe collocare tra il bullismo e il mobbing e rendersi addirittura indesiderabile dalla direzione della colonia che sceglie di non accoglierla più per lavorare l'anno successivo. 

Le prese in giro, dunque, diventano pian piano giudizi, la goliardia si trasforma in scherno e queste cose la portano all'isolamento, al senso di solitudine che però agisce all'interno della compagnia, come se non riuscisse a staccarsene, a prendere le distanze e ripararsi, in una parola a proteggersi. Ma sarà ancora un altro senso a cambiare le prospettive di Annie qualche tempo dopo: quello della vergogna. Sperimentata prima in modo astratto, attraverso lo studio della filosofia e della sua amata Simone De Beauvoir, che la risveglia e riempie di concetti nuovi un vuoto esistenziale profondo e poi attraverso il corpo. Annie, infatti, comincia a soffrire di disturbi alimentari e a vivere sulla propria pelle tutti i conflitti che la abitano forse da sempre, aggravati dalla rilettura in prospettiva di quel terribile 1958.

Succedono, infine, molte altre cose che vanno a comporre queste memorie e si arriva fino al presente, ma non voglio togliervi il gusto di leggere. Di mio posso dire che questo lavoro di introspezione sottile, eppure resa con un linguaggio tanto pulito, può davvero cementare la fiducia nel valore della scrittura, nel suo senso autentico.

A che scopo scrivere, d'altronde, se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile a ogni sorta di spiegazione - psicologica, sociologica o quant'altro - , una cosa che sia il risultato del racconto stesso e non di un'idea precostituita  o di una dimostrazione, una cosa che provenga dal dispiegamento delle increspature della narrazione, che possa aiutare a comprendere - a sopportare - ciò che accade e ciò che facciamo.