martedì 28 febbraio 2017

Giornata delle malattie rare 2017 - #fightforlight


Oggi è il #RareDiseaseDay ovvero la #GiornataDelleMalattieRare. Ricorre l'ultimo giorno di febbraio, perché in effetti è un giorno raro e può cambiare di anno in anno.

L'anno scorso era bisestile e c'è stato un 29 febbraio, in quel giorno avevo scritto un post sull'argomento che per diverse ragioni mi sta a cuore. 

Questa volta voglio parlarvi di In the Woods e della campagna #fightforlight.

Sto facendo infatti un lavoro, insieme ad altri autori e blogger, con Dompé che è una delle più importanti aziende biofarmaceutiche in Italia e si occupa di portare avanti la ricerca sulle malattie rare spesso orfane di cura.

In particolare, la campagna #fightforlight vuole porre l'accento - accendere la luce e la sensibilità - sulle malattie rare degli occhi. Quando viene a mancare la luce siamo sperduti, la sua torcia sul mondo non ci può più guidare e rischiamo di sentirci molto male e soli.

Il video che vedete in alto è stato realizzato da Saatchi & Saatchi per la regia di Roberto Saku Cinardi, l'attore è Gabriele Mainetti e vuole proprio descrivere questa sensazione di smarrimento tra i bivi e gli angoli oscuri un simbolico bosco di notte.

Tuttavia, l'arte, l'attenzione, la parola possono fare qualcosa, anzi molto. Sono felice quindi di poter dare anche io il mio contributo e accendere la mia torcia: una torcia sola, si sa, è poca cosa ma tante torce accese possono davvero fare la differenza e illuminare il buio. La luce è un'entità così ricca di significati, valori, sfaccettature che rifletterci su, letteralmente, è una stupenda sfida creativa e umana.

Se mi seguite allora nei prossimi giorni potete leggere di più e in forme particolari anche il mio contributo narrativo. E vi segnalerò naturalmente i lavori degli altri partecipanti a questo progetto.

Spero che il video vi piaccia e che possiate diffonderlo e condividerlo con quante più persone possibili anche voi con l'hashtagh #fightforlight 

martedì 21 febbraio 2017

Latte macchiato: c'era una svolta


A.A.V.V., C'era una svolta, Gusti Diversi - Quelli del sabato

Torna #LatteMacchiato, una rubrica dedicata alla letteratura per bambini e ragazzi che possono già bere una goccia di caffè dentro il loro latte mattutino! Quella che vedete in foto in realtà è una tazza di cioccolata calda, che ho bevuto sfogliando questo bel libro. 

Diciotto ragazzi del gruppo Quelli del sabato - un'associazione bellissima che dal 1992 si occupa di occasioni di incontro, crescita e perché no anche divertimento per persone con difficoltà, con sede a Bellinzago Novarese e che dal 2010 ha ampliato le proprie attività strutturandosi anche sul fronte delle problematiche del lavoro e dell'integrazione e della comunicazione - hanno preso in mano diciotto fiabe molto famose - La bella addormentata, Peter Pan, Il gatto con gli stivali e molte altre - e le hanno riscritte. 

[Una nota a margine: in fondo, il senso e il valore della creazione letteraria non è forse questo? La collaborazione tra chi scrive e chi legge al fine di dare una seconda o terza o quarta possibilità ai personaggi e alle trame].

A completare l'opera, diciotto scrittori italiani - Ester Armanino, Emiliano Poddi, Lella Costa e molti altri - ci hanno messo lo zampino e il risultato è stata una vera svolta.

Un gioco molto arguto della mente, dell'immaginazione e anche dell'emotività è secondo me infatti quello di provare a ipotizzare finali diversi alle storie. Non solo quelle letterarie, ma anche agli accadimenti della vita. Questo gioco può essere davvero utile a rimettere le cose in prospettiva, a restare vivi e svegli e a concedersi e in questo caso a concedere a piccoli e grandi lettori, un finale diverso, qualche volta magari più felice, più opportuno. 

Le storie, neanche a dirlo, sono scritte proprio bene. Ed è davvero interessante l'introduzione sentita e intelligente di Laura Pezzino. Per non parlare delle delicate e colorate illustrazioni di Hikimi che fanno la differenza in questa opera che sta giustamente riscuotendo un ottimo successo di lettori e personalmente ne sono davvero contenta, augurando di raggiungere ancora tante teste e tanti cuori.

Una nota di colore e anche un po' di vanità: nella stessa domenica in cui su La Lettura del Corriere della Sera è uscito un bell'articolo di Alessia Rastelli proprio su C'era una svolta, ero presente anche io nella altrettanto bella rubrica di Nathascia Severgnini I(n)stantanee. 


giovedì 16 febbraio 2017

Chicchi di caffè

Harry Parker, Anatomia di un soldato, Big Sur - Daniele Derossi, Nel cuore dell'anatomista, Bompiani


Torna la rubrica di comparazioni letterarie altrimenti detta Chicchi di caffè!

Questi due libri sono molto differenti tra loro e l'appiglio iniziale per compararli in questa rubrica è stato solo il titolo e nello specifico il concetto di anatomia.

[Capita infatti spesso nella vita di un lettore di trovare copertine identiche, titoli analoghi, trame paragonabili. Ciò che affascina me in particolare però non è solo trovare una somiglianza estetica ma anche un po' di corrispondenza di senso e di significato].

E qui, con qualche capriola cognitiva, temporale e stilistica, vi dico che succede. 

Anatomia di un soldato è un libro di rara profondità psicologica e di rara bellezza narrativa. Il suo autore, arruolato giovanissimo nell'esercito britannico, ha perso entrambe le gambe in un'esplosione di un ordigno in Afghanistan nel 2009. Parker - che ho ascoltato presentare il suo libro qualche tempo fa alla Scuola Holden a Torino - è un ragazzo come tanti che però ha un trascorso di esperienza totalmente eccezionale, dunque da raccontare con le dovute cautele. E nel romanzo, trapela tutta questa storia vista però però dal punto di osservazione degli oggetti che hanno toccato la vita di tre personaggi tra cui uno che ricorda proprio l'autore. Dire che è una avventura emozionante e difficile è poco. Si tratta di un impegno grosso come lettori, ricompensato tuttavia da un arricchimento importante.

Anche Nel cuore dell'anatomista il protagonista è un giovane. Un ragazzo di sedici anni che lascia la sua città natale in Val di Susa per studiare medicina a Padova. Siamo però nel '500 e il giovane Giovanni si trova ad assistere alle lezioni di anatomia di Vesalio. Diventa in seguito assistente di un anatomista dall'etica discutibile e capita letteralmente in mezzo a esperimenti cruenti e inenarrabili.

In entrambi i casi si parla di corpi, di guerra, di oggetti e oggettificazioni. E in entrambe le storie, emerge tra le righe il cuore in tutte le sue forme e valenze.

Da leggere con il giusto distacco degli anatomisti-lettori. Sapendo di andare incontro a perle di bella letteratura ed emozioni talvolta assai forti. 

sabato 11 febbraio 2017

Vita da blogger: incontro con Lorenzo Marone a Milano.


Lorenzo Marone, Magari domani resto, Feltrinelli

Benché non sempre sia possibile, mi capita ogni tanto di partecipare ad alcuni incontri tra blogger e autori. Ormai nel web sono nati tanti blog letterari, tante realtà diverse e mi fa piacere notare quante persone giovani e curiose ci siano a fare questo "mestiere" che non è proprio un mestiere. 

In questo caso, ringrazio la casa editrice Feltrinelli perché mi ha sostenuta nel piccolo viaggio da Torino a Milano oltre che fatto dono del romanzo e invitata a un aperitivo stupendo al quale, come spesso mi accade, però non ho potuto prendere parte perché dovevo... prendere il treno. Insomma, consigli per giovani blogger: siate milanesi! Scherzi a parte, grazie. E lo aggiungo per trasparenza: da qualche tempo a questa parte, nella grande maggioranza dei casi in cui riesco a partecipare a incontri simili è perché l'editore mi ha aiutata, a seconda delle proprie possibilità, a sostenere lo spostamento. 


Ma veniamo al dunque. Questo post doveva intitolarsi: "Caro Michele". Rubando un titolo di Natalia Ginzburg, volevo scrivere una lettera aperta al ragazzo di trentanni che si è tolto la vita e che è passato alla cronaca e, diciamolo, anche un po' al sensazionalismo dei media, per una lettera molto dura e toccante. Per chi se la fosse persa, eccola qui. 

E avrei voluto dirgli (posto che non sia stato tutto un fake, come emerge da alcune ultime notizie nel Mar dei Sargassi dell'informazione): caro Michele, ti capisco. Tante volte anche io mi sono sentita così tanto stretta in quella nuvola nera da volerci scomparire dentro. Hai tutte le ragioni per aver fatto quello che hai fatto e intuisco, ma non sono una dottoressa, dalle tue parole un possibile disagio che probabilmente va molto al di là della crisi economica. Di sicuro, è stata una tua crisi profonda e personale a portarti al suicidio. Tuttavia, è vero ciò che dici: in molti della nostra generazione di trenta quarantenni non abbiamo ancora cominciato a vivere. Campiamo di lavoretti, di speranze, di gavetta.

E sarei andata avanti ad analizzare, a cercare di capire perché non siamo ancora riusciti, in generale, con le dovute cautele e virtuose eccezioni, a diventare adulti e autonomi.

Ma poi mi sono fermata e ho letto questo libro. 

C'è una scena di dialogo tra la protagonista Luce, avvocato di Napoli che vive ai Quartieri Spagnoli e ha trentacinque anni e una donna di nome Carmen. Luce non fa proprio l'avvocato, a dire il vero.

Fa l'apprendista.

A trentacinque anni stiamo ancora imparando... A chi non sono capitati "periodi di prova" in azienda di sei mesi, un anno. Sono chiaramente prove di sopravvivenza che di professionale hanno ben poco. Non dico niente di nuovo, comunque, ormai lo sappiamo tutti come funziona e come non sta funzionando per tutti i Michele veri o fake che siano.

Ci metto anche del mio: un giorno analizzeranno il fenomeno dei blog come questo e magari e scopriranno che tutta questa creatività nasce anche da un'esigenza di sopravvivenza emotiva e materiale. Sti blog sono nati come lunghi, lenti blues che cantiamo in attesa che arrivi qualcosa di vero, di concreto? Non lo so ancora e non lo so più.

Ma dicevo di Luce. C'è una scena che è il click che mi ha fatto fare questo libro, o il "twist" come va di moda chiamarlo adesso, anche se arriva verso la fine. In un dialogo serrato con Carmen, una donna in difficoltà che le chiede un aiuto urgente e serio. Si tratta di andare a riprendere un bambino in difficoltà e il tutto ha a che fare con la camorra. Luce ripete il solito copione dell'impotenza: si schernisce, è solo un'apprendista.

"Non sono io l'avvocato di tuo marito, Carmen, io nun so' nisciuno, è quello che ti ho tentato di dire l'altro giorno. Sono una collaboratrice, una dipendente, una che fa a' gavetta inso..."
Lei non mi fa nemmeno finire. "Nun me ne fott' che fai là dint', Luce, se vuoi bene e Kevìn, e lo so che gli vuoi bene, mi devi aiutare!.
Guardo l'orologio: sono le quattro del pomeriggio. Spengo la sigaretta appena accesa e mi alzo. 
"Che fai?" chiede lei.
"Che fai?" ripete don Vittorio.
"Quello che mi hai chiesto, mi prendo cura di Kevin".

Ed è un po' questo secondo me il senso della storia di Luce e della nostra: radicarsi nella propria vita anche quando le circostanze esterne sono il più avverse possibile. Magari con l'aiuto di bambini, cani o rondini come Primavera che si comporta in un modo inatteso e che vi lascio scoprire leggendo,

Tornando a Michele e ai molti Michele che ci sono tra di noi: un libro magari non può fare un gran che. E non è nemmeno così semplice: non sempre e non tutti possiamo fare ciò che vorremmo, a molti di noi non è concessa una vita piena, e nemmeno tanta manovra in quel poco che c'è. Ma secondo me possiamo smettere di  fare gli apprendisti quando cominciamo a prenderci cura degli altri, e di quell'altro insicuro che vive dentro di noi. La cura - come si vede dal dialogo - è sempre il motore che ci fa crescere. Non credo che i Michele della nostra società possano essere salvati da un libro, ma credo che per chi resta sia un ottimo balsamo e un buon consiglio per andare avanti. 


mercoledì 8 febbraio 2017

Post del cuore: cos'è la danza Butoh?

In questi primi giorni di febbraio al teatro Espace di Torino si sta svolgendo il Festival Moving Bodies con una speciale performance di danza Butoh.  

Ogni tanto mi piace scrivere di arti che non sono la scrittura, scorrendo indietro le pagine di questo blog potete trovare altri post sulla danza, il cinema, l'architettura, la musica, l'arte circense e altre discipline che rendono la vita degna d'essere vissuta.

In particolare, mi ha colpita la danza Butoh perché arriva dal Giappone e ha richiami con il teatro No, che mi ha sempre incuriosita. Movimenti incisivi, che toccano e smuovono.

Ho avuto l'opportunità di dialogare con una delle curatrici del Festival, la gentile Ambra G. Bergamasco, che ha risposto ad alcune delle mie curiosità.




Qui di seguito, trovate domande e risposte; e qualche immagine: spero che rimarrete colpiti anche voi dalla danza Butoh e dalla sua poesia. 

Vetrina Moving Bodies è un Festival di danza che si terrà a Torino al Teatro Espace il 9/10/11 febbraio e vedrà susseguirsi sul palco diverse discipline e forme artistiche. In una tua nota curatoriale al Festival ho letto una bella descrizione della danza Butoh: puoi dire due parole per noi "profani" ma amanti dell'arte in tutte le sue forme di cosa si tratta? Se ho capito bene la tradizione della danza Butoh, sebbene relativamente recente, affonda le sue radici culturali in un tempo invece molto lontano...


Dai miei studi, pratica e lunghe conversazioni con i maestri del Butoh, la sua più importante qualità e' quella di essere una pratica, un sistema artistico performativo che si avvale del contemporaneo. Si può dire che la sua nascita avviene grazie a Tatsumi Hijikata, che la crea poiché insoddisfatto delle realtà artistiche degli anni 50 in Giappone. Hijikata​ fonda la danza Butoh come risposta giapponese alla condizione estetica di quegli anni in Giappone, post Hiroshima. La sua necessita' era quella di rendere visibile ciò che e' nascosto, strappando la maschera, portando il corpo in ribellione in scena. Cosi' facendo, si avvale di un allenamento corporeo ferreo che riprende il Kabuki ed il NO per sviluppare la ricerca su quello che definisce Qualia - la qualità stessa delle cose.
Stimolando il corpo con richiami sensoriali, i corpi ed i sistemi presenti in ognuno di noi creano la danza stessa, al dila' del cognitivo, per danzare quello che e'.



Che tipo di sensibilità ritieni debba possedere una persona che decide di intraprendere questa disciplina?

​Parto dal presupposto che in ognuno di noi ci sia, manifesta o nascosta, una sensibilità verso la vita, i sui processi e le sue metamorfosi. Penso possa interessare molto ai disegnatori e gli artisti visivi, perché la preparazione richiede concentrazione e creatività poiché si arriva ad avere una profonda conoscenza del corpo​, a chi vuole semplicemente sperimentare la propria visione interna si se stessi e delle relazioni con l'esterno che possono nascere ascoltando semplicemente. Il Butoh e' una disciplina che io trovo accessibile poiché gioca con l'immaginazione e la capacità di stimolazione sensoriale. Questo ne indica l'accessibilità poiché non ha limitazioni fisiche, ne di formazione personale. Non e' una danza solo per gli addetti ai lavori, per essere specifici.




Se ho capito bene, c'è una stretta relazione tra Butoh e poesia, sapresti accennarci come queste due arti siano vicine e possano correlarsi?


​La danza Butoh é descritta anche come danza dell'anima o poesia in movimento poiché le atmosfere create da chi la fa, possono definirsi oniriche. In scena si portano paesaggi archetipi, trasmutazioni...posso decidere di danzare lo sbocciare della rosa, tanto quanto trasformarmi in un insetto, accettando o creando nuove atmosfere e nuove relazioni con l'esterno. La dana Butoh fa emergere il nostro interiore, partendo dal particolare, muovendosi verso l'universale e stabilendo un nuovo percepire. Questo si ottiene attraverso esercizi e tecniche corporee, e l'improvvisazione.



lunedì 6 febbraio 2017

Poetry Cafè



Torna una delle rubriche nuove e al tempo stesso vintage di questo blog. Una poesia per cominciare bene la giornata (anche se è già mezzogiorno!). Questo lunedì ho ripreso dalla mia libreria questa poetessa americana di inizio Novecento (nata l'8 febbraio 1911). 

Una poesia sulla "buona creanza" o per meglio dire uno spiraglio sui valori "di una volta" espressi dai ricordi di una bambina legati al nonno. 



La buona creanza

Per una bambina del 1918

Il nonno mi disse,
seduti a cassetta:
"Non ti scordare mai di salutare
chiunque incontri, dammi retta".

Incontrammo uno sconosciuto a piedi.
Il nonno si tocco il cappello col frustino.
"Buongiorno, signore. Buongiorno. Bella giornata".
L'ho detto e ho fatto un inchino.

Poi raggiungemmo un giovane del posto
con la sua cornacchia addomesticata sulla spalla.
"Offri sempre un passaggio a tutti;
non dimenticarlo quando sarai grande"

disse il nonno. E così Willy
salì con noi, ma la cornacchia
volò via con un gran "Gra!". Mi preoccupai.
Come faceva a sapere dove andare?

Ma volava un pezzetto alla volta
da un palo all'altro della staccionata:
e a ogni fischio di Willy rispondeva.
"Bell'uccello" disse il nonno

"e ben addestrato. Vedi, risponde
a tono quando gli si parla.
Il che è buona creanza, uomo o bestia.
Badate bene di farlo anche voi due".

Quando passavano le automobili,
la polvere nascondeva il volto della gente,
ma noi a gridare:"Buongiorno! Buongiorno!
Bella giornata!" con voce squillante.

Una volta arrivati sotto Hustler Hill.
il nonno disse che la cavalla era stanca,
così scendemmo tutti, proseguendo a piedi,
come esigeva la buona creanza.