mercoledì 30 novembre 2011

Signore di Corso Trapani.

Non so se qualcuno di voi ricorda questo signore. Qualche volta mi arriva qualche mail chiedendomi che fine abbia fatto, altre volte me lo chiedono gli amici e parenti addirittura :)

Con un po' di malinconia, rispondo sempre che non lo so. Era un signore anziano ma con uno sguardo celeste fuori dal tempo che, con la sua camicia a quadri, il berretto di lana, il bastone e una sigaretta bianca sempre spenta, se ne stava tutte le mattine davanti a un portone di Corso Trapani, qui a Torino.

Lo incontravo quasi tutti i giorni, fino al punto che si era creata, forse solo nella mia mente, una delicata consuetudine, come se anche lui mi riconoscesse e mi salutasse con un cenno. Per me era rassicurante, come il primo caffè bevuto ancora con gli occhi socchiusi.

Lavoravo in un ufficio ed ero sempre di corsa. Poi è scaduto il contratto e come molti di voi avranno sperimentato, ho preferito non passare più da quelle parti, perché mi dispiaceva.

Da un po' avevo smesso di pensare a lui (e a quel lavoro, e a un sacco di altre cose, perché funziona anche un po' così la vita) fino a ieri. Quando, in stato confusionale, mi recavo dal dentista. Non mi trovavo in Corso Trapani, eppure: rieccolo! Stesso bastone, cappello nuovo di stoffa color amaranto, stessi occhi - diversi da tutti gli occhi che abbia mai visto. Né giovani né vecchi, neutri, sapienti di una sapienza non-umana (ma forse tutti gli occhi suggeriscono indizi ultraterreni e non ci avevo mai fatto caso?).

Ovviamente non mi ha riconosciuta, e, come nel più classico film americano lacrimevole, quando mi sono voltata per controllare una seconda volta che fosse realmente lui, non c'era più. Puff. Sparito. (hemm era solo entrato nello studio medico u.u niente di tanto romantico).

La coincidenza vuole tra parentesi che abbia appena iniziato un libro in cui succede qualcosa di simile in un mondo molto suggestivo, ma vi racconterò sicuramente in futuro.

Comunque questo episodio mi ha ricordato ancora che personalmente mi trovo nel mezzo della mia maratona alla ricerca di un senso, un posto, una saggezza e di un'identità. Mi chiedo ora se per fare ciò sia necessario il contributo degli altri: il Signore di Corso Trapani o voi che leggete, ad esempio, oppure se è una corsa che bisogna correre da soli, con la sola compagnia di un orologino di plastica per segnare il tempo e il paesaggio circostante. La risposta è: entrambi. Un interlocutore forte, che ti guarda negli occhi e ti dice cosa pensa, e poi tu, con le tue sole gambe infreddolite a correre nella nebbia.

Qualche altra volta cerco un destino nei libri: e così oggi magari trascorrerò un pomeriggio in biblioteca sola con loro.

E se voi volete per caso leggere i post sul Signore di Corso Trapani, li trovate tutti qui.

Buon ultimo giorno di novembre :)

c\_/

martedì 29 novembre 2011

Pubblicità - La lettura digitale e il web :)


Ancora sull'onda di Librinnovando :)

Domanda a chi c'era: come state? Tutti bene? Domanda a chi non c'era: che ne pensate? Verrete il prossimo anno?

Comunque vi annuncio allora questa bella novità: dalla somma degli interventi dei bookblogger presenti, ovvero:

Silvia Surano (con Gloria M. Ghioni e Laura Ingallinella)

-------> e da un'idea di Marco Giacomello per la cura di eFFe, e introduzione di Luca Conti, è nato un libro (sia ebook che cartaceo) che si intitola La lettura digitale e il web - casa editrice Ledizioni, e si può acquistare qui.

Se poi volete il 10% di sconto e siete miei amici/lettori, potete inserire, quando vi verrà richiesto nella procedura, il codice ECCOMIMI e sarete accontentati :)

Che altro aggiungere: che bello! Spero vi interesserà. Mi fate sapere?

c\_/

sabato 26 novembre 2011

Superare il limite (Librinnovando).




Rieccomi tornata nel mio habitat naturale: vestiti da casa, tazzina di caffè, lo schermo luminoso del computer, il silenzio e i libri, di carta oppure quelli dentro milk* (per entrare nel vivo :) che mi guardano come quieti animali domestici veri e contenti di rivedermi.

Tolgo la moka dal fuoco, e sento ancora l'ansia estrema dell'attesa (giuro che non pensavo di farcela sul serio, avevo il cuore fuori controllo).

Faccio un po' di spesa: "due petti di pollo, grazie" e nel mezzo sento ancora il caldo forte dell'aula dello ied, con i suoi lampadari bianchi, gli schermi vibranti di tweet e parole e commenti e opinioni (dall'istante in cui ho formulato il pensiero "cosa diranno di me" ho rischiato la fuga).

Preparo una lavatrice e riascolto le voci dei miei amici che parlano prima e dopo di me. Gli sguardi gentili e i sorrisi di chi era lì per ascoltarci: una cosa così bella, così straordinaria che mi confonde, mi destabilizza. Sono felice, felicissima, ma al momento la cosa va davvero oltre e ho quasi le vertigini: so che ci sono persone abituate a questo, ma non è il mio caso, per me è stato un giro al luna park.

Vi scrivo di Librinnovando a caldo: le prime impressioni del ritorno, quasi dal treno. Sono felice dicevo, super concentrata e infinitamente distratta allo stesso tempo (uno stato d'animo che non immaginavo possibile). Guardo la tazzina della foto e penso che quello è il caffè che ho bevuto ieri a pranzo, poche ore prima del mio "turno", seduta tra Valentina e Giulia che in un mondo molto vitale, sregolato e parallelo si chiamano @SignorinaLave e @trustinart. E nel ricordarlo, non riesco ancora a crederci.

Come vi dicevo nel post precedente, per me era la prima volta quanto a parlare in pubblico. E a un pubblico così vasto (guardate la foto sotto, e c'era anche gente in piedi, un po' ovunque) e competente nel mondo dell'editoria, ancora peggio, qualcosa che non potevo prevedere neanche in sogno. Tutti i presenti, coltissimi, preparatissimi, dunque sapevano tutto di tutto. Difficile dire loro qualcosa di nuovo, o anche solo sperarlo.

Questa è una gioia antica che esplode come un firework. L'editoria! Cartacea, digitale, di qualsiasi tipo, è il mondo che mi piacerebbe abitare da sempre.

Il mondo dell'editoria una volta era per me come un asserragliamento in lontananza che ti guarda storto, solo per chiederti: e tu chi sei?

Oggi mi pare che il ruolo del cosiddetto bookblogger sia un po' la risposta a quella domanda.
E tu chi sei?

Qualcuno che tenta di colmare quel vuoto che si crea nella stragrande maggioranza delle vite delle persone "normali": un vuoto di libri e di letture (ecco perché l'editoria è in crisi perenne, mi pare fisiologico) causato dal fatto che gli impegni si sovrappongono, le ore di sonno si riducono, il lavoro (o il non lavoro) toglie tutti gli spazi di concentrazione e se la scrittura non è diventata per tua fortuna o bravura o miracolo il tuo mestiere o la tua passione, i libri si riducono all'osso e per lo più arrivano solo a soddisfare esigenze di rarissimo svago molto extra, relax vacanziero (quando capita), distensione dei nervi prima di dormire.

Il bookblogger allora è colui che si rivolge anche a queste persone (e sono tante) con una bella notizia: hei guarda che i libri ci sono ancora, in giro ne trovi: intanto io te li racconto senza tante elucubrazioni inutili, e ti dico che sono oggetti leggeri, parlano di argomenti o emozioni interessanti, magari a volte complesse, ma sempre avvincenti. In una parola: hei c'è una possibilità anche per te (e per me). Forse qualche esperto del settore storcerebbe il naso di fronte a tutto questo, definendolo magari un ragionamento "infantile" o semplicistico. Quanto a me, lo definirei soltanto aderente al vero. Molti di noi cercano una rassicurazione, una chiave per aprire un mondo accessibile, sicuro, comprensibile, sano, chiaro, pieno di cose da conoscere, di nuove opportunità.

E sembra che per la prima volta nella storia quel mondo lontano sia quantomeno pronto ad ascoltare. L'editoria, almeno da quel che mi è parso ieri, ha oggi occhi e orecchie e ha voglia di capire cosa sta succedendo, cosa leggiamo noi, cosa ci piacerebbe sapere, quanto a volte ci siamo sentiti soli, indietro, con l'acqua alla gola rispetto ai libri ed è per questo che magari non li abbiamo comprati.

Allora ------> "Superare il limite" è una frase di Bruno Munari che a un certo punto ci tenevo tantissimo a dire durante l'intervento e l'ho fatto.

Per me Librinnovando ha rappresentato proprio questo. Superare miliardi di limiti miei personali (non ve li elenco tutti, per non spezzarvi troppo il cuore hehe). Ma anche Superare Il Limite del libro come oggetto, per essere più in tema, che può avere molte forme e non per questo in guerra tra loro (sì, penso proprio a digitale vs. cartaceo), oppure anche il limite di twitter; un universo grazioso, amabile, desiderabile che però ci ospita solo nei limiti, appunto, di 140 caratteri scritti, mentre ieri eravamo tutti anche in carne e ossa, con le nostre facce, le nostre età, i nostri cappotti, le sciarpe, la nostra pelle, la stanchezza, la paura, il nervoso, la serenità, la grazia, la bellezza o la bruttezza (a seconda di chi guarda), i nostri vestiti, i nostri occhi, la nostra voce. O ancora il limite dei rigidi confini lettore-scrittore-editore. Il limite del tempo: ne avevamo poco, è vero, ma qualcosa siamo riusciti a dire. Il limite dello spazio: le stanze straripavano. Il limite dell'emotività, il limite della timidezza che si scompone in agitazioni superflue. Il limite della geografia: vedersi per così poco, ripartire con treni e aerei per tutta Italia.

O in ultimo superare il limite dei mojito e dei cuba libre all'aperitivo post convegno: ooooops: non avete idea (chi c'era purtroppo sì: ciao amici, vi lovvo!) di quante cazzate sono in grado di sparare al terzo (?) cocktail dopo una giornata del genere. Per me d'altronde è stato un fatto così straordinario che lo sapevo che qualcosa al di sopra le righe sarebbe successo: ho perso (e ritrovato) il cellulare - con tutta la mia vita dentro - ho perso (e ritrovato) la valigia (grazie al mio amico Arturo di cui vi ho detto nel post precedente che da vero gentiluomo mi ha accompagnata fino al Bed&Breakfast deviando dal suo tragitto credo per verificare che tutto sommato non finissi in un "fosso senza un rene" (cit.) l'indomani: many many thanks @ArtNite). Ma poi la fortuna ha girato e ho trovato un posto così accogliente dove dormire (si chiama Cesena5) e dove fare colazione che se avessi 5 anni vi direi che mi sono sentita una vera principessa!

Nelle foto sotto comunque trovate testimonianze varie dei mojito, della vista dal B&B, del libro di Munari, del folto pubblico di Librinnovando.

Poi, che altro aggiungere? Ci sarebbero altre infinite cose da dire, da raccontare. Magari nei giorni prossimi raccolgo le idee. Ora mi sento strana. Felice, sì, ma anche malinconica. Sento l'esigenza di far sedimentare tutto quanto, di fare luce su ciò che è accaduto, su cosa potevo migliorare, su cosa posso fare per il mio futuro, su come posso contribuire, su che direzione potrebbe prendere il mio lavoro. Vorrei consolidare la sostanza della mia vita ed esperienze come quella di Librinnovando mettono in discussione, in gioco, a nudo, di fronte ai miei limiti e sono sicura che aiuteranno. E soprattutto vorrei regalare qualcosa a voi per ricambiare la vostra attenzione sincera.

Inizio da questo link: date un'occhiata, se potete, perché non finisce qui: Ledita :)

E restate collegati che Librinnovando ha in serbo altre sorprese per noi!

c\_/


* hem il nome del mio bianco ereader.




giovedì 24 novembre 2011

Domani :)




Hei ci siamo :) domani è il grande giorno di




Eccovi intanto il sito con tutte le informazioni e il countdown agli sgoccioli!
Dopo questa lunga attesa, venerdì mattina all'alba si parte.

(vi racconterò tutto al mio ritorno: ma se volete potete seguire l'evento con l'hashtag #librinnovando su twitter).

Dire che sono agitata è piuttosto riduttivo. Sono nel panico.

Questa è la prima volta che mi capita di parlare di qualsivoglia cosa in un convegno. (sì: ho detto due robe alla discussione della laurea ma sono passati * anni ed è anche cambiato il governo, nel frattempo u.u).

Comunque all'inizio contavo di ripetere a memoria: modello poesia di Pascoli alla recita delle elementari in piedi sulla sediolina. Ma poi l'ansia, il terrore, il bruxismo e le allucinazioni uditive e visive mi hanno convinta che non ce l'avrei mai fatta a memorizzare alcunché, a partire dal mio nome e cognome (per quanto buffo) fino al... boh, non mi ricordo già più :(

E quindi, su consiglio del mio medico di base ("eh no signorina, questa volta non le prescriverò l'antibiotico, la sua è definitivamente ansia: le consiglierei, anziché togliere lo spazio agli anziani che devono fare il vaccino per l'influenza n.d.r., di tornare a casa sua a prepararsi due slide"), ho preparato in effetti alcune slide per alleggerire l'intervento. Che a questo punto, spero, vi risulterà rapido e indolore.

L'altra consapevolezza è che parlerò nel tardo pomeriggio, quando saranno tutti addormentati e il mio contributo costituirà per essi un valido sostituto al pisolino postprandiale.

Russate, gente russate!

Fatte queste doverose premesse e prima di congelarmi in un'ebete espressione di attesa fissando il muro fino a domani (sarà poi compito del mio fidanzato svegliarmi con una secchiata di acqua gelida e invitarmi gentilmente a non perdere il treno per Milano, oltre che cucinare una frugale cena questa sera), volevo consigliarvi una lettura.

Si tratta di Zagreb, romanzo del mio amico Arturo Robertazzi che ringrazio pubblicamente per avermi aiutata in tutto questo periodo di Librinnovando (ci sarà anche lui e avrà da raccontare cose interessanti!) con precisione e generosità. Se frequentate la rete e siete attenti lettori, lo conoscerete già, comunque questo è il suo blog e questa è Aìsara, la casa editrice.

Zagreb è un romanzo che molti hanno definito "un pugno nello stomaco": non sarò io a dire che non è vero, perché è proprio così. Infatti ho aspettato oggi a scriverne qualcosa, ma il libro l'ho letto a giugno, dopo la sua presentazione al Salone del Libro qui a Torino.

Però poi è come se l'autore si fermasse anche a guardare cos'è successo dopo il pugno, per spiegarti che aveva un senso colpirti a quel modo.

Il libro parla di guerra, questo è chiaro fin dall'incipit, molto bello. Ma l'idea ambiziosa di Arturo è stata quella di non fornire riferimenti reali né all'ambientazione, né al tempo: per quanto capiamo che si possa trattare dei conflitti dell'ex-Jugoslavia negli anni Novanta.

Ad agire qui ci sono solo persone, spogliate di tutto, immerse esclusivamente nella guerra, nell'eterno "noi e loro" che scandisce e informa ogni gesto, ogni svolta, ogni decisione. C'è anche però uno sguardo compassionevole che osserva la Base come si potrebbe osservare un luogo violento della memoria. La storia si compone proprio intorno a continui flash back, un po' come in effetti funziona la nostra mente, e si avvita sull'amicizia, sulla perdita di senso e sulla paura.

Questo è un libro classico di guerra e di valori, senza dubbio e senza alternative. La scrittura è asciutta ma al tempo stesso emotiva, però mai lirica. Resta sempre aderente alle cose.

Da quasi coetanea dell'autore, mi tormentava, leggendo, la domanda: perché? Perché ha fatto questo? Perché è andato a guardare proprio lì, in quell'orrore, in quelle visioni. Poi ho letto un'intervista in rete dove Arturo con semplicità rispondeva più o meno a questo stesso quesito: perché durante l'adolescenza siamo stati travolti da quei conflitti: in tv, sui giornali: era un continuo computo di vittime, di disastri, per quanto mi riguarda anche di "temi" sui banchi di scuola. C'è chi poi da queste cose si protegge, cambia canale, non sopporta, dimentica e c'è chi invece vuole saperne tutto, e ci scrive un bellissimo romanzo. Quindi grazie Arturo, per aver traghettato una che si proteggeva verso un atteggiamento completamente diverso.

E a domani :)









domenica 20 novembre 2011

L'effetto-Baricco: Mr Gwyn.



L'effetto-Baricco è un po' come l'effetto-wow.

(Vi avevo raccontato del mio personale effetto-wow-Baricco qualche tempo fa qui :).

Per me, che sono cresciuta proprio a suon - perché è un suono, lui, oltre che uno scrittore etc. etc. Il "suono-Baricco" - di Baricco, la cosa è iniziata proprio molto presto. Insieme ai mattoni-libri-di-scuola, Verga ad esempio, parallelamente, c'erano Oceano Mare, Castelli di Rabbia, poi Novecento, Seta, City e tutto un mondo che si componeva intorno a quel peculiare modo di usare le parole, la mente, le immagini, la musica, la faccia, persino i capelli.

Poi, a un certo punto, c'è stata un'interruzione. Durata anni, in realtà. Più la scuola Holden - quando è nata correva l'anno 1994 - diventava grande e potente, più io, come lettrice, diventata universitaria e poi boh, mi sentivo piccola, quasi come se lo scrittore fosse finito per diventare la scuola e basta (ciò mi fa pensare alla lobby degli alberghi, che c'è in questo suo ultimo romanzo, o all'epilogo di uno degli ultimi libri che ho letto: L'inconfondibile tristezza della torta al limone di Aimee Bender -----> non vi dico di più per non spoilerare!). E insomma mi sentivo sempre più distante da quella voce, da quel sound che tanto mi aveva colpita, e che alla fine aveva tutta l'aria di uno strano silenzio.

Però, come scrive lui stesso in questo suo adamantino Mr Gwyn, editore Feltrinelli:

"Di cosa siamo capaci, pensò. Crescere, amare, fare figli, invecchiare - e tutto questo mentre anche siamo altrove, nel tempo lungo di una risposta non arrivata, o di un gesto non finito. Quanti sentieri, e a che passo differente li risaliamo, in quello che sembra un unico viaggio".

Eh sì infatti è così: è successo di tutto nella mia (nella vostra, nella di tutti) vita, ma quelle sensazioni di lettura quasi infantile (perché a quattordici anni cosa sei?) sono ancora lì. Più vive che mai. E sono rivolate ancora fuori, all'apertura della prima pagina del romanzo, come farfalle imprigionate per troppo tempo. Non è un caso forse che l'epigramma di Mr Gwyn, a pagina 7, sia un verso di Paul Valéry che dice: Tout commence par une interruption?

Quindi ecco che tutto ricomincia per me da quella interruzione: riecco il "mio" Baricco (perché anche io, come tutti i lettori del mondo, ho la fortuna di rendermi conto che i libri che leggo si rivolgono a me, proprio a me, e leggono tra le righe della mia mente, mentre io leggo loro, per restituirmi qualcosa che avevo perso e "riportarmi a casa" cit. ma non vi dico di cosa!) con questo nuovo personaggio (ma il nome lo conoscevamo già) di Mr Gwyn. In una Londra odierna ma fantasmagorica, Jasper Gwyn è un celebre ed acclamato scrittore che di colpo - ma poi capiamo anche il perché - decide di smettere con tutto quel mondo ("sforzarsi di essere cordiale con i colleghi che in realtà lo disprezzavano": ma basta! - le prime tre pagine sono suggestive - con una lettera spedita al Guardian e di cambiare mestiere una volta per tutte).

E così decide di mettersi a fare il copista. Cos'è il copista? Il copista è uno che copia qualcosa. Ovvero il ritrattista. Nella fattispecie lui, non sapendo dipingere né disegnare, pensa bene di farlo con le parole. Ritratti di parole.

Ora: poiché, come si diceva sopra, questo libro si rivolge a me, e proprio a me ;), ecco che mi è tornato alla memoria un mio piccolo progetto di qualche anno fa.

Dunque: sì, lavoravo proprio come copista - per dirla con un linguaggio più contemporaneo: "addetta al data entry" - inserimento dati - in una grande casa editrice. Lavoravo volentieri lo giuro e sì, se ve lo state chiedendo: ero precaria e sì, se ve lo state domandando: il contratto a progetto, rinnovato molte troppe volte, un brutto giorno, è scaduto e, pur avendo implorato di restare, non sono più tornata lì a inserire quei dati anagrafici delle professoresse - era una casa editrice di scolastica.

Il lavoro, a dirla tutta un po' alienante, mi aveva però dato lo spunto per quell'idea di cui vi parlavo. E l'idea era pressapoco la stessa che viene a un certo punto al nostro Mr Gwyn: quella di ritrarre le persone con le parole. Non dipinti, non fotografie, non descrizioni: solo parole per raccontare le persone. Tutto questo si chiamava data entry, era un blog, era durato solo alcuni mesi, e, se avete tempo, lo trovate ancora qui.

Mr Gywn però si spinge oltre - è pura arte contemporanea un po' à la Vanessa Beecroft - e il suo, di progetto, profondo, folle e ambizioso, è quello di mettere i suoi soggetti completamente nudi (sul serio, naked) e farli poi vivere sulla carta attraverso frammenti di storie: ma di nuovo non vi dico altro perché ci tengo proprio che lo leggiate voi.

E poi ci sono delle lampadine (una delle mie passioni, insieme alle tazzine: cioè io adoro proprio cambiare le lampadine, come i carabinieri: mi sento importante), c'è una ragazza grassa ma bella, Rebecca, che per prima si presta ai ritratti e a togliersi i vestiti, c'è lo strepitoso Tom che è l'amicone che tutti vorrebbero avere, c'è una signora-fantasma con un foulard impermeabile, ci sono ancora delle lampadine delicate e preziose come piccoli animali (ne vorrei una qui con me: amo le lampadine, le considero gioielli, le considero luce) e ci sono tanti riferimenti a cose persone fatti città e nomi (non) realmente accaduti: non so perché - Paranoia? Pedanteria? - alcuni personaggi, da torinese, mi è sembrato quasi di conoscerli o per lo meno di averli già visti da qualche parte...

Altri per niente, altri ancora non ci sono più. Ma c'è lo scrivano Bartleby: Melville è una nota passione di Baricco, fin dalla copertina a impronta digitale, e c'è quel suddetto effetto-wow-meraviglia che mi ricorda quel pezzetto di cielo che ogni tanto guardavo, sollevando gli occhi dai libri, nella casa di campagna dei miei nonni, in certe estati solitarie dei nineties che non finivano mai, e aspettavo qualcosa, un po' di vento, un po' di felicità, e che si rinnova allora dopo diciassette anni - che in tutto questo tempo non c'è stato solo Silvio ma anche qualcos'altro, qualcosa che, per quanto mi riguarda, è destinato, alla luce di Mr Gwyn, a non finire più.


"Jasper Gwyn diceva che tutti siamo qualche pagina di un libro, ma di un libro che nessuno ha mai scritto e che invano cerchiamo negli scaffali della nostra mente".

Buona domenica :)

c\_/

venerdì 18 novembre 2011

Anche a Roma ----> zero gradi!


Sono contenta di ospitare questo bookcrossing: perché poi ho iniziato anche io a leggere In città zero gradi, ed è spassoso, (non) natalizio e gioiosamente invernale. Già dalle prime pagine non ho potuto fare a meno di simpatizzare con Kurt: battuto in vivacità da una sedia sotto la quale passa la gran parte del suo tempo. E se ho ben capito c'è anche una storia d'amore tenera, comica e inaspettata, come tutti gli amori ben riusciti.

E comunque questo gioco del bookcrossing continua: se siete a Roma domani mattina alle dieci, questo indizio è per voi:

Se il bottino vuoi trovare
cerca un po' di ricordare
chi erano Emmi e Leo
e com'è nato il loro amore.
Il libro appena uscito
dietro uno schermo è riparato
dove s'incontra tanta gente
che non si vede veramente
Proprio vicino a un bel teatro
attualmente un po' Occupato
c'è un locale in cui la posta
si può aprire senza busta
Se hai capito la poesia
dopo una grande libreria
lo soluzione è già arrivata
e la vittoria è conquistata.

Se lo trovate, mi dite poi se vi è piaciuto? :)

Intanto buon week end!

p.s. io domani faccio un viaggetto: mi porterò molte cose da leggere!

c\_/

giovedì 17 novembre 2011

Bookcrossing - In città zero gradi :)

In quale città ci sono zero gradi in questi giorni?

Di sicuro a Milano, domani mattina alle 9, perché sarà liberata la prima copia del romanzo In città zero gradi (sì, quello del post dell'annuncio e del cagnolone Kurt !!).

Se siete di Milano o capitate per caso da quelle parti, ecco l'indizio per trovare il libro:

Da un fossato è circondato,
dagli Sforza fu abitato.
Di Claudio è il chioschetto
che custodisce il libretto.
Nella piazza del castello,
(al 5, c'è il cartello!)
e il romanzo lì ti aspetta
prendi un caffè se non vai di fretta.

Se lo trovate, bevetevi un caffè anche per me :)

Buon bookcrossing a chi vorrà partecipare!

mercoledì 16 novembre 2011

#Engaging11 e un piccolo mistero svelato.



E dopo aver corso tutti quei chilometri come una maratoneta etiope (vedi due post sotto); lunedì mattina ho preso un treno e sono andata a Milano per il convegno Engaging the reader, scoperto grazie a Giulio Passerini che, tra le altre cose, ha contribuito a organizzarlo (lo dico: proprio egregiamente!) ed è autore di questo bellissimo blog (che molti di voi penso già conosceranno :).

Giunta all'Università Cattolica del Sacro Cuore - sede del workshop legato al Master in Professione editoria - mi sono subito persa negli infiniti chiostri del suggestivo edificio milanese che è immenso ed è un labirinto e per un attimo mi pareva di stare ne Il nome della Rosa - mistero e gelido rigore ecclesiali che conosco bene, avendo frequentato una scuola di gesuiti!

Come per magia, ho però infine trovato l'elegantissima aula e da lì in poi ho teso le orecchie: fin dai primi minuti era chiaro che si trattava di uno degli eventi più curati e interessanti cui abbia preso parte. Oltre alla gentile accoglienza di Giulio e i suoi colleghi, proprio sembrava che dal titolo alla realtà del convegno si fosse creato un vero ponte, da percorrere in sicurezza: "engaging the reader" ovvero "coinvolgere il lettore" e, in quel caso, anche il partecipante alla giornata di studio.

Seria, intensa e ricca sì, ma anche in un certo senso leggera, perché leggera è la lettura: l'argomento infatti è: "editoria digitale ed ergonomia della conoscenza". E molto pertinente, in tal proposito, è stato quindi il primo discorso di apertura del Prof. Jean-François Gilmont durante il quale passavano in rassegna sul proiettore alcune immagini di testi e frontespizi antichi: una straniante ricognizione sull'evoluzione della forma del libro, e perciò anche della lettura e della scrittura.

Vorrei raccontarvi poi ogni singolo intervento, ma mi limito a segnalarvi i miei highlights, affinché anche voi possiate scoprire gli stessi progetti e le persone che hanno colpito me, appollaiata lunedì sulla comoda seggiola di velluto rosso :)

1) Molto coinvolgente il contributo del giornalista Rai Michele Mezza sul giornalismo 2.0 che ha messo a fuoco l'importanza della sesta W: così stringente per l'informazione di oggi: While: Mentre i fatti stanno accadendo, il giornalista ne rende immediatamente conto ai suoi lettori, con i quali interagiste in real time.

2) Illuminante anche l'analisi di Nicola Bruno (dell'agenzia Effecinque) sugli esperimenti delle app per iPad di due colossi come New Yorker e Wired.

3) Curioso l'esperimento interamente digitale del magazine Dove, raccontato Alessandra Ferraris, di Rcs Periodici.

4) Mario Tedeschini Lalli, del Gruppo Editoriale L'Espresso, ha moderato la prima tavola rotonda con una sua esaustiva esposizione sul "processo reticolare" che si impone nel mondo digitale in cui, per semplificare molto, "tutto è connesso".

5) Un bel personaggio: Oliver Reichenstein di Information Architects che ci ha ricordato le 5 guidelines della retorica antica, però applicate alla modernità ;)

6) Molto affascinante anche il progetto LOG607 raccontato da Tomas Barazza. Guardate qui.

7) Un bellissimo terzetto: Gabriele Pedullà (che ha presentato l'Atlante illustrato della letteratura italiana di Einaudi, una cosa immensa e spettacolare), Maurizio Ceccato (che ci ha immersi a ritroso nella storia della rivista WATT, moooolto bella) e Andrea Braccaloni (che ha raccontato Left Loft). In una parola: è tutta editoria, baby.

8) Un'ultima ma non per importanza sessione, per me tra le più appassionanti nonostante l'ora tarda, è stata quella legata al rapporto tra lettura ed emotività (perché lo sapete cosa capita alla mente quando leggiamo?). Passando dalle strabilianti attività di Studio Azzurro. E al concetto di "esperienze immersive" ormai piuttosto diffuso nell'arte contemporanea.

Saluti e applausi per tutti.

Quello che ho capito io, riassumendo all'osso, è che l'avvento del digitale può rappresentare un arricchimento vero per l'editoria e la lettura, che questa bella trasformazione è agli albori ma anche decisamente in atto. Mi ha illuminata una considerazione di Michele Mezza (punto 1) sul fatto che l'ebook può cambiare non solo il modo di leggere ma anche quello di scrivere: perché un po' questo argomento avrà anche a che fare con il mio piccolo intervento a Librinnovando - che tra l'altro si avvicina: siamo a -9 :)

Dulcis in fundo: se volete sapere quale mistero si nascondeva dietro al post di ieri sul tenero cagnolone Kurt, guardate qui! (thanks to Feltrinelli).

Buon metà settimana!


p.s. nell'immagine in alto: "una tazzina torinese a Milano".


martedì 15 novembre 2011

Un annuncio.


Ricevo e volentieri pubblico questo annuncio del mio amico Max:


Anche quest'anno Kurt passerà il Natale a casa. Il suo padrone (io), no di certo. Perciò siate così gentili da prendervi il mio cane. Kurt è mansueto, poco impegnativo. È un bravo cane.

Per maggiori informazioni: qui.

domenica 13 novembre 2011

Stratorino! 7,5 km di corsa.


Ecco lassù nella foto i miei cimeli podistici :)

Era una mattina di novembre, questa di oggi, particolarmente fredda. Il meteo diceva sole ma le ansie più ataviche che martellano dalle profondità del mio animo inquieto insinuavano l'esatto contrario: e se piovesse?

Come spesso accade, verso le otto: non ci trovavamo in nessuna di queste due possibilità: non pioveva, né c'era il sole. Il grigio-Torino vegliava invece su tutte le migliaia di sabaudi (no: c'era gente da tutto il mondo, perché si correva anche una maratona vera: 42 chilometri di lieta torinesità) accorsi per le tre gare di questa domenica quanto mai sportiva: la Junior Marathon: hehe i bambini che corrono, fa tenerezza. La suddetta maratona (non so se ce la farò mai, ma ora però punto alla mezza e lo annuncio: tenterò i 21 chilometri a dicembre per la Royal Half Marathon per Telethon!! ok, vabè: casomai mi porto un libro da leggere!). E infine, ci siamo: la nostra gloriosa Stratorino: 7,5 chilometri con partenza da Piazza San Carlo (il salotto buono di Torino) e arrivo sempre lì in un previsto simpatico clima festaiolo.

Alla partenza ero agitata: guardavo l'orologio digitale sopra il palazzo a sinistra di Via Roma che segnava +9° non so, a me sembravano di meno: avevo brividi e fitte intercostali psicosomatiche, starnuti, visioni catastrofiche della vita, delirio di rovina. Per un attimo ho pensato: non la faccio.

Perché, sapevo bene, mai sottovalutare le sfide piccole: è vero che avevo già corso la Tuttadritta (qui!) ed erano 10 km ed ero, per così dire, solo all'inizio della mia brillante carriera di runner. Ed è vero che poi ho corso questa. Bella faticosa. E questa: forse la mia preferita. Quindi oggi era, cavoli, la mia quarta gara! Eppure, non so perché, ero molto più tesa del normale. Credevo sinceramente che avrei interrotto a metà, per mettermi a camminare, perdendo la sfida (con me stessa, chiaramente!). Ed è proprio quello che fa più paura, in genere. Perché gli altri: bè, le variabili sono sempre le stesse e molteplici:

ci sono quelli bravi, che tirano come vento da est e lasciano indietro solo mucchietti di foglie gialle a vorticare.

E ci sono anche quelli che li vedi così e sei sicura, per quanto sono male in arnese, che questa volta li supererai di netto - le mie rivali numero uno: le anziane. Con i capelli bianco latte e le chiappone: le peggiori ossia le più svelte di tutte: giuro che ancora non ho capito come fanno; o quelli col passeggino che scanna senza pietà - e invece appunto ti superano dopo il primo chilometro: e il mondo va veloce e tu stai indietro.

Così, alla soglia del terzo, ho, come sempre, stramaledetto il mondo, la vita, il Comune di Torino, Piero Fassino, gli agnolotti del plin, i rubatà e naturalmente il mio fidanzato che - nel mio immaginario alla David Lynch di quell'istante - era forse già arrivato e si fumava un sigaro in vestaglia di seta dentro un lascivo bagno turco, alla faccia mia.

E come sempre invece al quarto-quinto qualcosa è cambiato. La vita e il sangue che ti scorrono dentro sono potenti come il fiume che punta alla sua ineluttabile destinazione: le guance diventano rosse, il sudore sulla fronte che ti dice che stai facendo qualcosa di reale e tangibile, le gambe che spingono sul serio: e quella ostinata voce - la tua - che ti comunica (grida) che ce la farai, che ce la stai già facendo. (Sì, poi ti giri e sei in coppia e perfetta armonia con il solito tredicenne sottopeso e paonazzo, forse tisico, ma va bene, va bene lo stesso).

I tamburi che di tappa in tappa incitavano i corridori sono stati la cosa più emozionante. C'è una corrispondenza cuore-tamburo che non sapevo. Che fortifica. C'è un tipo di musica che simpatizza con la resistenza, con la ferocia.

Il primo, in Corso Cairoli, lungo il Po: una batteria suonata da un bambino bravissimo: ho alzato gli occhi da terra e c'era la grande distesa d'acqua, sovrastata dall'elegante architettura bianca di argini e ponti, le piante brumose, protettive come caverne, la folla in continuo movimento puntinata di molti colori dentro cui la mia maglietta nera scompariva, si tingeva di verde, di blu, di rosa, di rosso fuoco, di giallo squillante, di nulla che scompare nel tutto: come un urlo che diceva: fai tutto, ma non smettere di correre. Pensa quello che vuoi, ma non camminare. La fatica, la fatica: pensavo, come tutte le altre volte, che era quello il mio problema. La fatica, esiste, bussa alla tua porta, non puoi non aprirle. Solitamente provo a fregarla, offrendole un caffè zuccherato per addolcirla. Ma a volte invece comanda lei: si stufa delle mie moine e mi sfida con violenza. E quando ti capita, tu le devi gridare contro.

Comunque, ansimando asmaticamente, sono arrivata a tagliare il traguardo (e, credeteci o no: anche con un netto miglioramento rispetto al tempo della prima gara, uhm un 6% circa ecco) non ho camminato, ma alla fine mi sembrava di svenire: tutti i sabaudi etc. accalcati e piantati lì come una massa critica, un muro umano informe e fastidioso, lame di gelo che tagliavano sotto il collo.

Però la medaglia mi ha ritemprata: a me piacciono queste cose: i gadget :) E finalmente, tra coppie, gruppi, classi di runner professionisti, famiglie, cani, palloncini, iPod, ecco anche il banchetto della frutta e della colazione. Marmellata, fette biscottate e mele gialle. Sì, è proprio lì che arriva il bello: avevo finito, la mia guerra per oggi era finita e l'avevo di nuovo vinta.

p.s.

Come preannunciato in qualche post fa per l'uscita del suo #1Q84, ho pensato correndo a Murakami Haruki, al più tenace, sincero maratoneta scrittore che io conosca.

C'è qualcosa indubbiamente che va oltre lo spaziotempo.


venerdì 11 novembre 2011

La donna in gabbia & la tazzina in giallo.


Eccomi qua: partecipo anche io come altri allegri blogger all'iniziativa legata agli ebook di Marsilio Editori. Ciascun booksblogger poteva scegliere un ebook da caricare sul suo eReader e poi raccontarlo sul blog. Semplice e carino.

Una piccola premessa: vi dico che la paura è una mia prerogativa: sono una persona che ha sempre paura di quasi tutto da sempre ineluttabilmente. Paure vere, paure immaginarie, paure giustificate o prive di fondamento: paure di qualsiasi tipo. Anche per questo bevo caffè: per tirarmi su, per darmi energia, per sentirmi forte e adulta.

E così, negli ultimi tempi, mi sono appassionata un po' a noir, crime novel, gialli, polizieschi cose spaventose di questo tipo. Proprio per guardare in faccia la paura e capire di cosa è fatta: magari è anche divertente o ha un senso e potrei anche capire quale. Ho iniziato con Jo Nesbø e conto di proseguire fino a che mi passa :)

Ed è proprio per questo che ho scelto questo libro-ebook.

La donna in gabbia.

Perché voglio scoprire dove si nasconde quella parlamentare danese e aiutarla a scappare dalla sua prigione, insieme al detective Carl Mørck!



(suspance)


mercoledì 9 novembre 2011

1Q84 con cerimonia del tè.


Se con Aimee Bender (cfr. post precedente) avevo raggiunto la felicità, oggi sarei proprio arrivata all'illuminazione Zen :) dal momento che sul mio tavolino si trova attualmente l'ultimo e atteso e importante e affascinante e storico romanzo - in realtà sono due - di Murakami Haruki. #1Q84. @Einaudieditore.

E siccome l'evento è mondiale, anche io vorrei partecipare alla festa con la mia piccola cerimonia del tè. Quindi per oggi niente caffè, ascolto la Sinfonietta Janáček - se leggerete l'incipit capirete perché - in posizione seiza (chi la conosce?), faccio un inchino, socchiudo gli occhi a mandorla e incomincio a sfogliare con calma questo oggetto prezioso.

Mi sembra di avere sotto gli occhi (sempre a mandorla) qualcosa di importante, di così magnifico. In questi giorni stanno uscendo libri incredibili: mi ritrovo di colpo faccia a faccia con l'inaspettato e la meraviglia ------> spero lo stesso anche per voi che passate da queste parti.


p.s. e in omaggio al maratoneta-scrittore vi annuncio che domenica correrò la Stratorino (7 sabaudissimi km e molti gadget e buon cibo e frutta finale) pensando a lui e al premio che mi aspetterà: la lettura integrale di questo libro.

c|_|




lunedì 7 novembre 2011

L'inconfondibile felicità di un attimo fa.


Un attimo fa ero seduta sul divano con questo libro tra le mani, una tazzina di caffè fumante sul tavolino giallo Ikea, l'allarme di un'auto che suonava in strada, l'inconfondibile cielo grigio della mia città, le luci delle case già accese alle quattro del pomeriggio, gli stivali di gomma appena sfilati.

Leggevo, leggevo e a un certo punto ho alzato la testa e ho pensato molto chiaramente: questo è uno degli attimi più felici della mia vita. Forse il più felice di tutti.

E non era successo un bel niente di speciale, né di bello, né di nuovo. Le solite cose, la solita giornata, le solite destabilizzanti paure, le solite grandi speranze, il solito amore, le solite fortune, le solite sfortune, la mia solita faccia nello specchio, il solito silenzio, il solito rumore. E allora? Cosa c'era di tanto unico?
Cos'è che mi ha fatto alzare, senza ancora aver finito tutto il libro (ma quasi) e correre qui in scivolata a raccontarlo?

Possibile che un libro abbia questa forza, questo senso, questo valore e questo potere di rendere un momento qualsiasi il più felice di una vita? Possibile che io mi sia sentita come Rose. Una bambina di nove anni che sente le emozioni, gli stati d'animo, le aspettative, l'umore delle persone dentro i cibi che queste hanno cucinato.

- nella torta della mamma, sente il suo dolore. In un panino del bar sente la fretta, nel brodino della mensa il rancore, nel lecca lecca: il nulla del processo industriale etc. etc. -


Eppure Rose, quando scopre questa capacità, non è poi così tanto felice. Anzi, la sua viene scambiata per un'allucinazione psicotica e a un certo punto finisce anche al pronto soccorso.
Boh, sarà che anche io proprio da quell'età ho iniziato con le mie fantasie terribili (panico, ipocondria) o meravigliose (sogni a occhi aperti, mondi strabilianti) che fossero e un po' me lo ricordo. Sarà che quello di sentire le emozioni è un privilegio, un regalo che puoi avere in dono alla nascita oppure doverlo conquistare con fatica. Sarà che è proprio quello il segreto della vita. E io non sono ancora riuscita ad afferrarlo in pieno, riconoscendolo però come un'illuminazione in questo romanzo.

Comunque, se potete, non perdetevi l'ennesimo capolavoro di Aimee Bender, dalla copertina perfetta (progetto grafico di Riccardo Falcinelli che strikes again), dove l'indiscutibile talento narrativo stringe la mano a raffinate e profonde rivelazioni psicologiche.

E se potete, ascoltate anche bene quando qualcuno la prossima volta vi prepara una torta, scoprirete che quella persona sembra felice ma invece è triste, o viceversa.

Da accompagnare come non mai a una bella tazzona di caffè bollente.

:)

giovedì 3 novembre 2011

Jukebooks - Quintadicopertina!

Raccontare un racconto può essere qualcosa di altamente strano.

Perché che cos'è un racconto? In genere lo si incastra in qualcos'altro di più ampio: altrimenti detto: una "raccolta di racconti". Così bella impacchettata e bon, come si dice in zona sabauda.

Ma se qualcuno ne prendesse un bel po' e li mettesse a disposizione dei lettori a cifre simboliche affinché questi si possano comporre un ebook personalizzato seguendo il proprio gusto ?

In fondo non è poco. Ed è un gioco, un esperimento di lettura come solo la rete può contemplare.


Quindi ecco Quintadicopertina che è una bella casa editrice (cliccateci su e vedrete il suo mondo) e che, come vi avevo raccontato anche nel mio taccuino (hehe) su Setteperuno, ha creato proprio un vero Jukebox, che per sua natura si chiama allora Jukebooks, in cui anziché canzoni si possono collezionare racconti e comporsi un ebook personalizzato. Niente male: è un po' come un iPod della letteratura.

Il racconto che per il momento ho letto io si intitola
Cose da fare per bene.
L'autrice è Silvana Mosca.
E inizia così:

Ogni mattina, dopo essermi svegliata e preparata un buon caffè doppio, mi impegno molto nella scelta dei vestiti, della gonna, della camicia, del rossetto.

Senza spoilerare maledettamente, vi dico solo che la protagonista, che indossa parecchie parrucche, ha preso una decisione molto drastica e dovrà portarla a compimento per bene. E, insomma, si sa che "la mente comincia a lavorare benissimo quando vuoi una cosa a ogni costo" e così la seguiamo in questa sua chirurgica organizzazione senza pietà. A interferire però con il suo definitivo progetto, arriva l'olandese Lucas, spacciatore ma non di quello che state immaginando.

Comunque: questo è un racconto molto potente, e insieme non so come ma anche infinitamente delicato, fulminante, tenero e insospettabile. Tutto quello che potrebbe essere, è leggermente traslato e in sostanza non è. In una parola, è una sorpresa.

Nota personale: l'ho letto un giorno in cui ero un po' triste, come oggi (già passata eh). Ma per la sua astrusa forza e per la sua assoluta limpidezza, questo racconto ha alleviato la mia malinconia regalandomi un effetto disturbante e insieme ricostituente. Ve lo consiglio.

Tempo di lettura: 15 minuti.

martedì 1 novembre 2011

Nanowrimo.

Nanowrimo!

Cos'è? Il National Novel Writing Month a cui partecipano attualmente più di 250.000 persone in tutto il mondo: da non crederci.

Nanowrimo consiste nella assurda idea di scrivere un romanzo in un mese, ma non un romanzo qualsiasi; il capolavoro deve raggiungere obbligatoriamente, per vincere il gioco, la somma considerevole di 50.000 parole.

Altrimenti, mi spiace, you lose!

Hem: l'anno scorso ho partecipato e non ce l'ho fatta (troppo pochi caffè mi sa). Ora ci riprovo!

Perché?

In effetti...

Bè, perché questo progetto è interessante. Ci sono eventi collaterali, ad esempio, molto benemeriti, come il NaNoWriMo's Young Writers Program per bambini e adolescenti, ci sono, sparpagliati qua e là, incontri, letture, raduni. Se ci si iscrive, si ricevono autorevoli consigli e letterine (le simpatiche "pep talks") da scrittoroni come Dave Eggers e Aimee Bender, solo per citarne due che mi piacciono. Senza contare che almeno 90 romanzi sono stati completati e pubblicati grazie a questa idea e che due tra loro, Water for Elephants di Sara Gruen e The Night Circus di Erin Morgenstern sono anche arrivati primi nella classifica dei Best Sellers del New York Times.

Insomma: ti senti parte di qualcosa di globale-mondiale e cool attraverso la rete, rimanendo però incollata al tuo computerino: cosa c'è di più contemporaneo e antico insieme? Dunque il bello del gioco alla fine è la consapevolezza che gli altri stanno facendo la stessa cosa allo stesso momento, cioè raccontare una storia che avevano in mente per tutto il mese di novembre.

Ma comunque vi rimando a questo link per il mediakit con tutte le informazioni che vi servono.

Detto ciò, puntando ovviamente alle vette del New York Times e non un centimetro di meno, ecco il mio incipit-nanowrimo:

:)

Mi chiamerei Lorenzo e questa sarebbe la mia cameretta: un lampadario di paglia con appeso un gabbiano di legno che, se tiri un cordino di stoffa, si muovono le ali. Un tappeto a forma di camion dei pompieri o di taxi. Una cesta di vimini piena di macchinine, robot, dinosauri e anche un orsacchiotto marrone: perché avrei già almeno dieci anni ma un orsacchiotto marrone, in certe situazioni, può ancora fare comodo. Poi: un armadio azzurro pieno di adesivi, jeans e magliette verdi e gialle con le scritte. Una cassettiera con sopra una luce bianca a forma di alieno-uovo con le orecchie da tenere accesa la notte. Un cane di nome Tamburo che dorme nella cuccia sotto al mio letto. Un tavolo di legno pieno di fogli e matite. Molti libri di diverse dimensioni. Un trenino. Una pista di macchine da corsa. Un computer. Mio fratello. E infine, la cosa più importante: una scatola blu rivestita di velluto e piena, molto piena di yo yo. Perché io sarei un campione di yo yo: il migliore della mia città, anzi della mia nazione. Avrei tutte le coppe sul davanzale e dalla finestra di questa mia cameretta, vedrei una bella città dell’Europa fatta di luci e di palazzi alti. Ma non ho ancora capito quale. Non lo so se posso saperlo: ho provato a scoprirlo, ma non ci sono riuscito. Però è sicuro che mi chiamerei Lorenzo e sarei quasi un ragazzo, ma per il momento mi chiamo ancora Samay, che vuol dire contemporaneo e sognatore, è un bel nome ma sono troppo piccolo per giocare con gli yo yo. Dove abito ora ce n’è uno solo, di legno, dentro la scatola dei giochi, e lo usano sempre i bambini più grandi. Adesso purtroppo ho solo quattro anni, non so scrivere né leggere, e non so fare molte altre cose, anzi, a essere sincero, non so fare proprio assolutamente niente di speciale.

:)

Da oggi al 30 del mese, ne scriverò un pezzo al giorno. Poi vi riaggiorno: se è diventato un romanzo vero, vi dico poi come andrà a finire e vi racconterò tutti i particolari !!

Nel frattempo: buone feste, qualsiasi cosa o persona stiate festeggiando e commemorando tra oggi e domani.