domenica 27 settembre 2015

Il senso del ridicolo a Livorno.















Sono ancora a Livorno, in un ufficetto elegante dell'hotel dove ho alloggiato, il Gran Duca.
In attesa di rientrare a Torino. Ringrazio a tal proposito Stilema per l'ospitalità: un ufficio stampa così "visionario, idealista, talvolta surreale", come recita il suo "chi siamo" sul sito, da aver scommesso sulla presenza dei blogger al festival.

Le mie giornate al Senso del ridicolo sono state fitte di eventi, rimando a twitter, facebook e instagram per vedere le mie cronache fotografiche e brevi racconti degli incontri. 

Come è stato questo evento? Beh, gli eventi sono eventi. Personalmente, devo molto agli eventi letterari perché in questi anni mi hanno permesso di imparare molte cose, conoscere meglio le persone (questo processo però non finisce mai) e vedere alcune belle città italiane. E quel che ora so è che tutti, proprio tutti gli eventi si connotano per ritmi serrati, città da esplorare, incontri, retroscena, stanchezza, fretta, improvvise esplosioni di gioia, perdita della sensibilità dei piedi, vinelli, straniamento e last but not least: ricchezza.

Mi concentrerei sulla ricchezza. Perché ciò che differenzia un festival culturale dall'altro naturalmente sono i temi, le persone chiamate a partecipare, ma soprattutto a fare la differenza è la ricchezza che riesci ad accumulare tu che saltimbanchi tra un appuntamento e l'altro, i beni di lusso interiori che ci riesci a distillare. 

Questa volta si parlava di comicità, umorismo, inciampi, sberleffi, derisioni, fastiti ridicoli, scene ridicole, rendersi ridicoli, satira e secondo me tutto questo ha a che fare proprio con la ricchezza. 

Da Maurizio Bettini, a Francesco Cataluccio, da Gioele Dix a Enrico Mentana ad Alessandro Bergonzoni ad Annalena Benini e molti altri ospiti (con grande dispiacere questa sera mi perdo Maccio Capatonda, indimenticato autore di Intralci e mille altre cose), tutti si sono orientati fino a convergere su una certezza: chi sa ridere, in tutti gli ambiti - letteratura, politica, arte, web, religione, spettacolo, vita quotidiana - è una persona ricca. Dunque, lo dico per quelli della mia generazione di squattrinati, il ricco è colui che impara a ridere. 

Tutti gli osptiti, a seconda della propria formazione, età, e sguardo sulle cose, hanno detto la loro sul comico, sulla risata. Spesso si è riso molto in sala. Trovo la risata qualcosa di rassicurante, dove si ride almeno un po', mi sento a casa. Forse perché la vita può fare paura a tutti in qualche momento. E ci si ritrova davvero umani e compresi non solo quando si condividono le sfortune, ma anche e soprattutto quando si ride insieme. 

A me interessa questo tema, come raccontavo nel post precedente. Mi interessano i comici, non solo perché spesso, come si sa, sono persone malinconiche e introverse. Ma perché, a differenza di tutti i malinconici e introversi, hanno qualcosa di diverso da offrire grazie alla loro arte. Se lasciati in pace, ovvero fare il loro lavoro, si mettono lì, e ti fanno ridere. Ti strappano un sorriso (anche se poi bisogna vedere come sta una bocca cui è stato strappato un sorriso, come si è chiesto Bergonzoni durante il suo intervento-spettacolo Estenuanze). Qualcuno in questi giorni ha detto che la comicità è per forza autentica, perché non si piò simulare una risata. A meno di non essere attori, ma è sempre molto chiara la differenza tra una risata vera e una recitata, come uno starnuto, per intenterci.

Per questo ho capito una cosa in queste giornate. Il riso, la risata, è preziosa come l'oro. Una cosa rara, che permette di fare tante cose importanti per il benessere ed è bello accumularla e dividerla con le altre persone.

La reazione immediata è dunque ora, a caldo, di andare a leggere o rileggere autori comici, da Groucho Marx a Flaiano, passando da Campanile e Francesco Piccolo.

Questa era la prima edizione del Senso del ridicolo. Mi pare che sia andata molto bene, ogni incontro era gremito, con lunghe file di attesa. Una sola pecca, che vuole essere una proposta e un invito per il prossimo anno. Fino a oggi, non so negli eventi della giornata perché non li vedrà, non si è parlato di una parte della comicità contemporanea e internazionale importante, che è la stand up comedy. Per il prossimo anno sarebbe bello assistere a spettacoli di questo tipo. Gusto mio, ma credo che la stand up sia un po' il futuro della comicità, oltre che una bella fetta di presente. L'ho imparato a scuola qui.

Adesso torno a casa, molto più ricca di quando sono partita. Auguro lo stesso anche agli altri partecipanti al festival, ma anche a quelli che hanno la fortuna di sentire la bellezza e la riposante magia del ridere. E che Aristofane sia con noi!   


venerdì 25 settembre 2015

Il senso del ridicolo.

Il senso del ridicolo

Umorismo, comicità, satira: sentite come suona bene? Ecco, da oggi a domenica a Livorno non si parlerà d'altro che di questo. E lo si farà molto seriamente, con ospiti di tutto rispetto. Il direttore artistico è Stefano Bartezzaghi, basterebbe questo per capire. Ma poi ci saranno Francesco Piccolo, Alessandro Bergonzoni, Altan, il mitico Maccio Capatonda e molti altri.

Questo tema mi sta molto a cuore. Per un anno intero ho frequentato anche una scuola di recitazione e scrittura comica, questa. 

E addirittura mi sono trasformata nel piccolo clown Angolina per un po'... Ma questa è un'altra storia. 

Comunque tutto ciò è per dire che ho la fortuna di seguire questo evento e lo racconterò qui e sui miei canali social, in particolare su Instagram e su twitter dove sono sempre @tazzinadi 

Siate ridicoli e rideteci sopra.

martedì 22 settembre 2015

Laboratorio Formentini per l'editoria, in silenzio si lavora bene.

Laboratorio Formentini per l'editoria
In un angolo discreto di Milano, in una bella giornata di sole, la prima di questo autunno, nasce un nuovo spazio dedicato tutto all'editoria.

Ho sempre pensato che negli angoli si nascondano le cose più belle e i punti di vista più inediti, ma a chi importano queste mie elucubrazioni sulla geometria? Passiamo a qualcosa di interessante per davvero: il Laboratorio Formentini per l'editoria. 

Un tempo appartenenti alla canonica di una chiesa sconsacrata, i locali, dall'aspetto che qualcuno alla conferenza stampa ha definito "borgesiano" (è vero...) e labirintico di via Formentini 10 a Milano, da oggi ospitano un nuovo polo di valorizzazione del lavoro editoriale in tutte le sue forme e per tutti i suoi soggetti. Dalle case editrici, agli autori, ai traduttori, alle scuole. 



 Luisa Finocchi ha moderato la conferenza stampa dalla quale è emerso che la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori gestirà gli spazi messi a disposizione dal Comune di Milano, con il sostegno economico della Fondazione Cariplo. L'intervento di Giuseppe Guzzetti, il presidente della Fondazione Cariplo, mi ha colpita tra gli altri per la sua disarmante incisività: ha paragonato la cultura al nutrimento, in un parallelismo immediato con il cibo, ha ricordato infine che nel mondo un milione e ottocentomila bambini continuano a morire di fame. Alla base del suo discorso c'è un obiettivo, spero perseguibile, ovvero che la cultura possa generare sviluppo economico e personale. 

Un pensiero a latere: trovo utile per le persone giovani mettersi ogni tanto in ascolto delle persone di esperienza. Abbiamo bisogno di consigli e di prese di posizione ferme e stabili. A me pare che il Laboratorio Formentini voglia essere proprio questo: uno stabile punto fermo dove rifugiarsi, crescere, trovare valore.
 

Questo video ha introdotto i lavori della mattinata, descrivendo per immagini le fasi di lavorazione che hanno reso il Laboratorio lo spazio nuovo e agibile che è diventato. Il merito va ad Alterstudio Partners. 
 


 Una delle parti più interessanti a mio avviso è stata questa piccola mostra di scritti - biglietti, lettere, auguri - inviati a Roberto Cerati, strorico presidente dell'Einaudi, mancato da qualche anno, che sosteneva che leggere sia un'attività solitaria ma che il libro mobiliti energie, stimoli curiosità e crei relazioni. Questi biglietti ne sono la prova.

Tra gli altri, i biglietti di Giulio Einaudi.

Bruno Munari.

Italo Calvino.


Anche la mostra per pannelli Milan, a place to red, che accompagna i visitatori del Laboratorio Formentini sui tre piani, sorprende per la sua immersione in un mondo culturale che vede in Milano il fulcro tra passato, presente e futuro. Un futuro che secondo me è sobrio e silenzioso. E internazionale. Si pensi solo che questa mostra ha già circuitato in parecchi Paesi del mondo, dalla Cina alla Francia, dal Cine alla Polonia.



Sono una torinese anomala, di quelle che amano Milano. Era mèta delle mie gite fin da ragazzina, e ho pensato spesso di trasferirmici a vivere. Poi non l'ho fatto perché ho trovato un "angolino" (vero e proprio, una piccola mansarda) nella mia città, e qui sono rimasta. Però a Milano ci vado spesso, e sempre per ragioni legate ai libri, per far fronte alla mia sete di sapere e di buone sensazioni. A Milano ci sono circa 600 - s e i c e n t o - marchi editoriali: la speranza viva e fortissima è che questo porti sempre più lavoro serio e retribuito perché come diceva una scrittrice che ne sapeva parecchio di tante cose (Virginia Woolf): Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene se non si ha, mangiato bene. Restando quindi nella metafora del nutrimento, avere un posto dove trovare cibo è un toccasana, e lo sarà per le generazioni future. Il Laboratorio Formentini lavorerà infatti molto con le scuole e con gli attori dell'editoria talvolta più sacrificati, come i traduttori. 

Sono molti i progetti in programma, per consultari vi rimando al sito del Laboratorio, qui. Cito solo una delle realtà che più mi incuriosiscono, anche perché rientra nei programmi della Libera Università di Anghiari (da un'idea di Duccio Demetrio, che ho letto molti anni fa studiando il tema dll'autobiografia e che consiglio), ed è l'Accademia del Silenzio.

 In conclusione, in tempi di crisi, è bello trovare accoglienza silenziosa in nuovi spazi. 

mercoledì 16 settembre 2015

Di presentazioni, amori e sbagli ben fatti.

Pedro Chagas Freitas, Prometto di sbagliare, Garzanti

Questa estate (è ancora estate per qualche giorno ma insomma ci siamo capiti!) ho partecipato a un blog tour e ho regalato, a chi passava da queste parti, un pezzetto di questo romanzo, qui.

Finalmente poi ho letto integralmente il libro, e ho partecipato, la settimana scorsa, il 10 settembre, a una bella prresentazione alla libreria Lirus di Milano insieme ad altri blogger, giornalisti e lettori vari: ne ho messo un micro video su Instagram, dove sono approdata da poco, a proposito se volete passatemi a trovare qui!

 Dunque dunque. Com'è andata? Bene! Queste sono le cose che mi piace fare e che mi fanno sentire viva, ognuno ha le sue e alla fine ho capito che queste esperienze, quando possibile, mi piace di tanto in tanto concedermele, dico partecipare a eventi letterari. Presentazioni ricche di contenuti e dialogo ma anche all'insegna della levità, e al contempo molto professionali. Grazie dunque Garzanti per l'invito. 

Questo libro è un libro di frammenti: molte storie fotografate da parole incisive ed evocative, composte, mi è parso di capire fin da subito, come una costruzione Lego.  

Ed è questo, parto dalla fine, l'aspetto che mi ha colpita di più. C'è infatti una metafora dell'amore - tema centrale del libro - che è la mia preferita in assoluto. Ed è stata anche oggetto di una delle mie domande all'autore (portoghese, insegnante di scrittura creativa). A pagina 34 compare una bambina che consegna a un bambino un mattoncino di Lego: "tieni, è per te" e, scrive l'autore: "ha fatto la più pura dichiarazione che un essere umano riesca a concepire".

Ci sono infinite accezioni dell'amore in Prometto di sbagliare, tutte molto profonde, tavolta addirittura enfatiche, ma la più bella resta per me quella lì: l'amore come costruire. Diciamo anche la più realistica, e perseguibile. 

La presentazione è stata ricchissima di altri spunti. Naturalmemente, non potevano mancare le domande sui riferimenti letterari, e tra Camus e Saramago, è spuntato Faulkner. Ed è allora che mi si è accesa in testa una ulteriore lampadina. 

Premessa: questo romanzo è un best-seller internazionale. Duecentomila copie vendute e decine di ristampe. E si nota che c'è molto sudore dietro. Tanto che una delle mie domande è stata di spiegarci un po' la definizione che nel libro c'è dell'artista, ovvero un "professionista del sudare". E Chagas si è dilungato un po' dul discorso del sacrificio, della devozione e del duro lavoro di scrittura, che è un autentico sforzo, fatto di routine che "dovrebbe diventare poema". Insomma dicevo: ho una convinzione, ovvero che dietro certi successi così clamorosi ci sia spesso (ahimé non sempre) del buono, del valore inestimabile e universale. Quando Chagas ha citato Faulkner, ad esempio, ho compreso di colpo e meglio la struttura corale - a più voci - e sperimentale del libro e l'ampiezza di vedute dell'autore. 

Questo è quindi un libro costellato di frasi memorabili (vedonsi i miei post-it nella foto...), da sottolineare etc, ma a un secondo sguardo è anche un omaggio a una tradizione letteraria importante e a un tecnica narrativa articolata. 

In una parola: un lavoro ben fatto. Inoltre, uno dei temi forti del progetto narrativo ruota intorno all'errore, allo sbaglio per amore. Tanto è vero che, come avevo accennato sui "social", a questa presentazione era associato un esperimento proprio di #socialwriting. Ovvero i partecipanti potevano consegnare all'autore un foglietto con su scritto il proprio "più grande sbaglio in amore" e lui ne avrebbe tratto una storia. (Per aggiornamenti, potete seguire la pagina Facebook del libro qui).

Avevo diligentemente portato anche io il mio foglietto, ma all'ultimo non sono riuscita a consegnarlo :) Ho notato però una quantità notevole di partecipanti e foglietti. Ho trovato rincuorante osservare quanti sbagli tutti fanno e quanto resta incredibilmente bella, certe volte, la vita.


martedì 8 settembre 2015

Cosa ho letto, leggerò, voglio leggere da qui a Natale!

 Cari miei, come va? A leggere sui social e non solo, si è capito che settembre is the new Capodanno e per questo ho deciso di adeguarmi al sentire comune e pensare a un post che avesse il sapore, oltre che di caffeina come al solito, anche un po' di nuovo inizio. 

Spero che possa essere utile per chi legge a prendere spunto per quanche consiglio libresco, ed è sicuramente utile a me per mettere ordine tra le mie carte, comodini e abitudini malsane alla procrastinazione.

Ovvero: ho deciso di mettermi in pari con i tanti arretrati che ho da leggere. E voglio viverla come una bella avventura, non (solo) come un dovere.

Ho aggiunto il "solo" tra parentesi perché sto maturando l'idea che leggere buoni libri sia anche un dovere verso se stessi, se si cerca una vita più ricca e autentica, ne converrete. E così è che vi auguro buon Capodanno settembrino, speriamo rinfrescato da una buona aria di novità e cose belle per tutti.


Consiglio number 1. Qualcosa di vero, di Barbara Fiorio. Il titolo è dei migliori e l'autrice interessante. Tutti vogliamo qualcosa di vero. Quello che mi attrae di questo romanzo pubblicato di recente (io l'ho ricevuto a maggio, e ringrazio l'editore per il dono) da Feltrinelli è la trama nuda e cruda. La storia di Giulia, una pubblicitaria scombinata e di Rebecca, una bimba che ha voglia di sentirsi raccontare delle storie, suppongo vere. Lo leggerò presto, anche perché ci sarebbe l'intenzione di parlarne in radio, a Pillole Concezionali, ma questa è un'altra storia di cui vi aggiornerò a breve per la nuova stagione del programma. 

Barbara Fiorio, Qualcosa di vero, Feltrinelli
 
Consiglio number 2. La vocazione di perdersi - Piccolo saggio su come le vie trovno i viandanti. Ediciclo editore, di Franco Michieli. Questo è un libro che sto valutando come giurata del Premio Sinbad, ebbene sì. Ringrazio quindi il Premio per l'invio dei libri, e per la fiducia. L'autore è un geografo ed esploratore, e già questo mi incuriosisce. Chi di noi vuole essere un esploratore? Se non delle vette più alte delle montagne, di sicuro del nostro mondo - per ciascuno diverso - e delle nostre vite. Quindi ben venga. "La bellezza misteriosa dell'orizzonte bianco di neve, ondulato e disabitato, gelido e luminoso, disteso intorno a noi in ogni direzione, non dipende dalla sua estetica e nemmeno dalla sua potenza, ma dall'infinità di storie che là dentro potrebbero avvenire e coinvolgerci". Gli aspetti creativi e spirituali dei viaggi sono ciò che sembra emergere da questo libricino magico, andrò sicuramente avanti nel viaggio.

Franco Michieli, La vocazione del perdersi, edicicloeditore

Consiglio number 3. Shame on me: questo mattone (in senso buono neh!) di Rizzoli, Il cardellino, a detta di tutti un capolavoro indiscusso, me lo sono comprato io tempo fa e non l'ho mai finito. Adesso mi sento in colpa e quante cose si fanno per senso di colpa? Tante, troppe. Una volta tanto, però, sarà una cosa buona. E così finalmente scoprirò come va a finire questo "travolgente romanzo sinfonico che vi farà riscoprire tutto il piacere della lettura" - e se lo dice Michiko Kakutani sul New York Times (e sulla quarta du copertina) chi sono io per contraddirla? P.s. ho letto comunque i primi capitoli, e meritano.

Donna Tartt, Il cardellino, Rizzoli

 Consiglio number 4. I ragazzi burgess. Ho molto amato i romanzi precedenti di Elizabeth Strout, in paricolare Olive Kitteridge. Lei è davvero un genio della frase, della trama e dell'ambientazione consolidata, nei suoi scenari sperduti e solitari del Maine. Se ho letto bene in rete, è in arrivo il suo prossimo atteso romanzo. Ne scrive così pochi, e con tale maestria, da meritare tutta la nostra attenzione. Ho ricevuto anni fa il libro da Fazi, che ringrazio. Questo ritardo nella lettura è un classico caso, doloso e doloroso, di procrastinazione malvagia: quel farsi del male da soli che non porta da nessuna parte. Insomma, basta, finisco anche queto capolavoro, all'inseguimento di questa famiglia (sempre del Maine negli Stati Uniti) disgregata e composta di personaggi tanto diversi tra loro quanto affini nella fragilità umana. 

Elizabeth Strout, I ragazzi Burgess, Fazi

Consiglio number 5. Nel mondo a venire. Anche questo romanzo, di Ben Lerner, edito da Sellerio mi è stato inviato per il Premio Sinbad, ed è in lettura. Questo è uno di quei libri che avrei sicuramente acquistato. A partire dalla copertina stupenda che è un'illustrazione di Konstantin Kalishko, a colpirmi è stato nel complesso il progetto edioriale ambizioso e raffinato. La storia è di quelle sui trentenni di oggi, in chiave distopica sullo sfondo di una New York in balia di sconvolgimenti climatici vari e pericolosi. Crisi e maturazione, passaggio dall'età tardo-tardo-tardo adolescenziale a quella adulta (ma avverrà mai?), il cuore che comincia a perdere i colpi, anche da un punto di vista fisico... mi dice qualcosa? Vi dice qualcosa? Hem, sì, leggiamolo fino in fondo va. 

Ben Lerner, Nel mondo a venire, Sellerio
Consiglio number 6. Famiglia, di Natalia Ginzburg. Questo libricino fatto da due capitoli - Famiglia e Borghesia - gironzola a casa mia da un po'. L'ho già letto ma non ricordo più, e comprato per avere tutti i libri della Ginzburg, e credo che l'opera ora sia ormai quasi completa. Questo libro racconta "qualcosa di vero", nell'intenzione della sua autrice di calarsi nella società del proprio tempo e narrarne le sfaccettature con spietata ironia e lucidità. Siamo nel 1977 e i ritratti riguardano la fine di un secolo, e un millennio, che fa ancora capolino nell'indolenza e nella confusione nelle cose quotidiane. Non sempre, per fortuna, e meno male però che qualcuno si è messo lì a narrare ciò che vede. La famiglia è un tema caro all'autrice la quale è molto cara a me e spero a molti di voi. 


Natalia Ginzburg, Famiglia, Einaudi
Ciao!