domenica 30 dicembre 2012

Più lontano ancora e buon 2013!


Jonathan Franzen, Più lontano ancora, Einaudi 

All'inizio di ogni articolo del libro, che è una raccolta di piccoli saggi (o meditazioni) su vari aspetti della vita e della letteratura, c'è il disegno di uno step per la realizzazione di un origami. 

Seguendo all'incirca queste istruzioni, si arriva a creare una barchetta!

Nel mentre, ho imparato a fare anche una tazzina di carta: è semplicissimo.

Questo è il libro che aspettavo, con il quale ho deciso di concludere il mio 2012. 

E di cominciare il 2013.

Potrei dire che è il mio libro dell'anno. 

Finito proprio il penultimo giorno. Lo aspettavo perché su questo tipo di libro, a più riprese, lavoro da molto tempo: in quello che arriva, infatti, scoccherà il decimo anno dalla mia laurea, era l'ottobre del 2003, e da allora, anzi forse da prima, mi appassiono e mi interesso a questo genere di opere. 

Nella mia tesi, che riguardava la scrittura autobiografica, ho studiato per lo più di Esperienza, di Martin Amis. 

Ho adorato quel libro. E per poterne parlare a ragion veduta, ci ho girato intorno con quanta più cura che potevo, toccando con la mente e con il vecchio pc a pedali anche i Memoirs di Kinglsley Amis (il padre), il Palimpsest di Gore Vidal, Speak Memory (bellissimo) di Nabokov, L'opera struggente di un formidabile genio (uscito da pochissimo, che mi aveva appassionata) di Dave Eggers, Borrowed Finery di Paula Fox (e ci avviciniamo al nostro), Il Diario di Hawthorne, Finestre Alte di Larkin. I Diari di Anais Nin, The Liar's Club di Mary Karr, Autobiografia di mia madre di Jamaica Kincaid (vi sfido a trovare un'autobiografia come si deve in cui la mamma e il papà non permeino ogni singola riga di tutto quanto), dunque l'Amleto di Shakespeare (sic.), l'immancabile Autobiografia di Alice B. Toklas della Stein, e tanti tanti tanti altri, da Tennessee Williams a Carlo Feltrinelli che racconta il padre (e dunque se stesso, ovviamente, per proprietà inversa) in Senior Service - che mi permetto qui di consigliare, per capirne qualcosa in più. 

E poi da Marias a Proust a Amy e Robert Lowell, fino, naturalmente, a lui, al prode e nostrissimo Jonathan Franzen. 

In particolare, Come stare soli. Il quale mi è servito, tra le altre cose, a capire che la mia natura solitaria aveva (spero) anche un senso, oltre a crearmi sempre  un sacco di guai con gli amici.  

Perché, vi chiederete, questo improvviso name dropping? Questo sfoggio di pioggia di nomi illustri? 

Non certo per dimostrare che leggevo libri anche prima che le case editrici cominciassero a spedirmeli a casa (ma non è questo il caso)! O per dare prova del fatto che anche i blogger sono andati a scuola! No, per un altro motivo.

Per consigliare a chi non avesse ancora mai esplorato questo mondo prospero, laterale e centrale insieme, della tradizione della scrittura autobiografica. In quegli anni, mi ero concentrata sulla letteratura angloamericana, ma il mondo vasto e affascinante del memoir, naturalmente, non conosce confini di spaziotempo.

A muovermi in quella matta ricerca di vite intrecciate di scrittori, era stata un'esigenza famelica, che andava oltre l'ambizione di prendere un bel voto. Mi spingeva il desiderio di cercare maestri. Di vita e di scrittura. Pensavo, cioè, che se avessi imparato a vivere come una scrittrice, magari lo sarei diventata. Quindi, oltre alla lettura dei romanzi, mi impuntavo sulla lettura di questi libri paralleli, ancora più affascinanti, ai miei occhi, delle opere stesse di narrativa. E poi certo volevo capire come funzionavano le famiglie degli altri, com'è che se ne usciva vivi dal bisogno di scrivere.

Ma, come ben sappiamo, O poeta é um fingidor, e dunque, una cosa che ho capito col senno di poi, è di diffidare delle autobiografie degli scrittori. Lo dico con amore, continuando a leggerle e ad adorarle. Però, solo più alla stregua di altre, meravigliose, composite, bellissime opere di narrativa cui semplicemente piace mascherarsi da verità. Immergersi in questi libri, dunque, è un po' come il Carnevale della lettura. Il più bel gioco che potesse capitarvi di giocare. Il più serio.

Ed è con questo spirito, che mi sono avvicinata a Più lontano ancora. Che ci ho navigato dentro con forza, con amicizia, leggerezza e dedizione. 

Quello che sapevo io, poiché ne erano stati pubblicati stralci sul New Yorker l'estate scorsa, se non ricordo male, era che questa raccolta conteneva un toccante brano di Franzen sull'amico David Foster Wallace. Sulla sopravvivenza all'amico. E sullo spargimento di parte delle sue ceneri. Dunque, conoscevo il mio destino di lettrice. Quello di soffrire, di affrontare questo dolore. Infatti è così. Ma mi è andata bene, perché il primo di questi saggi si intitola per l'appunto:

Il dolore non vi ucciderà. 

In effetti, è vero. 

E quel primo piccolo saggio omonimo corrisponde al discorso di Franzen per la cerimonia di conferimento delle lauree al Kenyon College, nel maggio del 2011. All'incirca il periodo in cui, anche qui se non ricordo male, gli venivano rubati gli occhiali a una presentazione di Libertà. E qui subito dice qualcosa che ho sempre ricercato, infatti, in questo tipo di saggi-manuali-testi sapienziali per imparare tutto:

Farò quello che fanno di solito gli scrittori, cioè parlare di me stesso nella speranza che la mia esperienza abbia qualche affinità con la vostra.

Lo trovo sincero, e sublime, ed è quello che io voglio. Come persona che aspira anche a scrivere, poi, ho trovato molto utile, molto davvero, il capitolo che si intitola proprio La narrativa autobiografica

Dove Franzen torna con tenacia a uno dei suoi grandi temi, che è quello della vergogna. Dello struggle tra l'essere "una brava persona" e lo scrivere romanzi. O racconti. 

Ero impantanato nella vergogna per la mia ingenuità, dice. 

E racconta come si sia scontrato, nella stesura delle Correzioni, nell'eterno problema dello scrittore: cosa penseranno di me. Insomma, sul senso di colpa. 

Questa parte è bellissima. Si entra proprio nella sua cucina, si sente il sapore del suo intelletto, che gira sul fuoco, che arde, che cerca soluzioni. La soluzione che ho capito io è: scrivere sempre, scrivere tutto quello che si vuole, essere leali con se stessi: chi ti vuole bene continuerà a farlo, qualsiasi cosa tu abbia scritto. La scrittura in fondo non è la vita, sono solo sogni diversi, raccontati a parole, e tentativi di bellezza o di mistero o di intrattenimento. Il resto, non ha molta importanza, e non ha a che fare con la morale. 

Bè, c'è da dire che il Nonno Franzen, come lui stesso si definisce a proposito di certe posizioni un po' rigide sulle nuove tecnologie, è una fonte, forse proprio per questo essere nonno, di insegnamenti, per me, inesauribile. Tra le cose che non mi importano, infatti, ci sono anche le sue esternazioni un po' da trombone (sempre parole sue, se non erro) che però a me fanno tenerezza. Un'altra cosa che ho imparato da lui è che non si deve andare per forza d'accordo, per volersi bene. Direte che è ingenuo; infatti anche io ho vergogna, non sapete quanta, per la mia ingenuità. Dopo tutto, è un'esperienza comune a molti.

E poi, c'è David Foster Wallace. 

(Ma prima, non posso non dirvi di un fulminante, brevissimo e idiosincratico saggetto sul comma-then, cioè sull'abusato "virgola poi" che Franzen, inutile stupirsi, detesta a morte. Impeccabile trombone!).

Era amabile come può esserlo un bambino, ed era capace di ricambiare l'amore con la purezza di un bambino. Se l'amore è comunque escluso dalle sue opere, è solo perché David non aveva mai davvero pensato di meritarselo. Era prigioniero a vita sull'isola del proprio io.

Dopo aver tentato di leggere DFW, e qui ci sono le prove schiaccianti,  cercando di fare fronte a tutto, è invece dopo queste poche semplici parole che ho capito davvero la natura della mia stessa curiosità per lo scrittore prematuramente scomparso suicida. 

Si vanno forse a cercare i maestri di vita, sperando che ci spieghino perché siamo fatti in un certo modo, attraverso esempi illustri. Se un genio come DFW, di cui qui emerge però anche la natura dipendente, manipolatoria, mistificatrice, depressa, attrice e incontrollabile, pensava di non meritarsi l'amore, allora la vita (non) ha senso anche per noi. In una parola, con questo libro impariamo dai dolori degli altri, che ci sembrano più sopportabili. 

Dunque: DFW, proprio lui, l'adorabile, il delizioso scrittore gentile non pensava di meritare l'amore? Quanto si sbagliava. 

Quindi questo saggio, il più rappresentativo, da cui il titolo e la copertina del libro (che ho comprato con i miei soldi prima di Natale in un giorno che poi si è rivelato anche un po' fortunato), racconta comunque il viaggio solitario di Franzen, con le ceneri dell'amico, nell'isola Masafuera ("più lontano") che si trova nel bel mezzo del Pacifico meridionale, con le sue "inaccessibili pareti verticali" e "popolata da milioni di uccelli marini e migliaia di otarie orsine ma non da esseri umani".

Qui, Franzen può finalmente (ma vedremo con che esiti) dare spazio alla propria cupa natura meditabonda e al suo essere un noto birdwatcher. Un'attività affascinante, di osservazione, di purezza, conoscenza e cura verso i volatili che, fatalmente, annoiava invece molto DFW; e la vita in questo sancisce, simbolicamente, la differenza tra i due amici. Uno conservativo, vivo, osservatore, calmo, per così dire, e razionale, attaccato alla terra e al cielo. 

L'altro, consegnato per sempre alla posterità, al mito, al sacrificio degli affetti e dell'osservazione in favore dell'eterno.

Detto in parole povere. 

Infine, tutto il resto. Franzen ci dona uno stancante e decisivo viaggio nelle sue esperienze (bello il capitolo Cieli silenziosi ad Assisi - dove si dice di San Francesco che con gli animali, come è noto, ci parlava anche), nelle sue letture: dalla sua maestra Paula Fox, alla bellissima difesa di Alice Munro, al curioso La più grande famiglia mai narrata in cui si profonde in lodi a un bizzarro romanzo, guarda caso sul tema della famiglia, di Christina Stead. 

Passando da certi episodi di vita così pieni di significati (vedi Calabroni), a excursus inveterati ma edificanti sul matrimonio, sulla coppia, sul nonsense.

Ecco, io finirei, anzi inizierei l'anno così. Con del sano nonsense. Ma anche con le cose care e sensate,  di buon senso, cui si ritorna, lo sto imparando adesso, ciclicamente nella vita. 

Con i maestri che ci si va a cercare tra le pagine dei libri. Che poi si ritrova dentro di sé, magari imperfetti, ma sinceri. Con la scrittura, con il pregio delle differenze, con l'amore che non è come pensiamo noi. 

L'ultima frase del mio ultimo (e primo) libro dell'anno è dunque questa:

E d'un tratto sono di nuovo innamorato. 

Che, poi (scusi Franzen per il comma-then) è questo l'unico auspicio o buon proposito che faccio a me stessa e a voi per l'anno nuovo. 

Di sentirci sempre innamorati. 

Di cose o persone consuete o di cose o persone nuove, ciascuno saprà e sceglierà il suo modo. Ma la sostanza, spero per tutti, sia questa. Sentirci di nuovo innamorati, d'un tratto. 

Per tutto il 2013 ma anche oltre.

mercoledì 26 dicembre 2012

Taccuino di caffè - Xmas edition!






Buon Santo Stefano! 

La giornata in genere molto importante e insieme molto interlocutoria. Qualcosa è finito (le malinconiche ma affettuose cene degli avanzi sono lì a testimoniarlo), qualcosa di nuovo comincia proprio adesso (e che si fa dunque a Capodanno? Si ode sussurrare piano piano tra i fumi delle tisane rilassanti). Per me è stato un Natale curioso. Diverso dagli altri, anche se all'apparenza uguale. Tenero e pieno di cose buone ma anche di riflessioni e di scelte. 

In questi momenti festivi ho pensato molto, e a molte cose e altrettante ne ho capite. Ad esempio, il senso della vita! Almeno della mia hehe. Insomma, in pochi giorni, mi sembra di aver macinato, non so bene perché, alcuni mesi di esperienza. Capita anche a voi? Chissà. 

Detto ciò, però, la magica, fantastica e affascinantissima rete dei nostri sogni, mentre noi siamo qui a brindare ignari e baldanzosi, a scartare i regalucci, a progettare discese in snowboard - santo cielo, mi tocca superare il trauma (cranico) dell'anno scorso e tornare sulle piste: sapevo che il momento sarebbe arrivato, dunque, se potete, pregate per me e per le mie ginocchia! - continua a produrre miliardi di news a getto continuo. 

Mai distrarsi un attimo, quindi, che essa ci travolge di imprescindibili, esaltanti novità e a noi il compito crudele di industriarci alla bell'e meglio per starle dietro. 

Quindi, a dispetto delle bollicine che ancora gravitano nel nostro cervello natalizio, ai datteri che impastano di dolcezza la nostra mente e al gelo che ci galvanizza l'anima, mettiamoci sotto con il taccuino! 

1) Telegrafico. Una interessante panoramica made in UK dell'anno libresco appena passato ce l'ha fornita, proprio nel giorno della vigilia, il Telegraph che, tramite l'arguta penna di David Robson, ha rapidamente ripercorso il 2012 con i suoi highlights editoriali. Superserious. 

2) Snoopy. Letta su Finzioni qualche giorno fa, questa notizia mi ha rallegrata. A quanto pare, Graphicly Digital Distribution e Peanuts Worldwide si sono accordate per digitalizzare ben 60 raccolte a fumetti dei Peanuts. Schulz è il mio filosofo di riferimento, questa per me è proprio una bella cosa.  Sotto sotto, anche Franzen ne sarà contento!

3) Storie attorno al fuoco. Sapevate dei podcast di short stories del Guardian? Mi sembra una bella idea. Ti metti lì, ascolti queste avventure di sottofondo, ti ipnotizzi per un po'. Che poi è il divertente delle avventure da ascoltare. La voce di Nadine Gordimer, qui, mi ha proprio spezzato il cuore. 


Musica per tutto questo: Aretha Franklin, I say a little prayer.






domenica 23 dicembre 2012

Il racconto di Natale.




Questo è il mio raccontino di Natale.

Ed è il mio modo per fare gli auguri a tutti voi che passate da queste parti, vi ringrazio tanto e vi auguro il meglio, che possiate essere felici per la maggior parte del vostro tempo. Con affetto.


Viaggio di amici di Natale


La luce era scesa in salotto; la poltrona gialla da chiara, diventava scura. 

Lily guardava la televisione, che brillava di raggi blu e arancio, ma non capiva bene le parole e la trama dello sceneggiato. Dopo tanti anni in Italia, certe cose restavano ancora senza senso. La giornata al ristorante l'aveva stancata, mancavano due giorni a Natale, non si era ancora fatta la doccia, e aveva in mente suo figlio che le aveva detto di uscire un po' prima, perché aveva le guance scavate e gli occhi con le lacrime. 

Aveva piegato una trentina di tovaglioli, messi sullo scaffale, profumati di pulito. Aveva bagnato le piante, perché quello era il suo compito principale. Oltre a piegare i tovaglioli e stirarli.  

Ora, seduta sulla poltrona di casa, al buio, con la tazza di tè colma a metà, prima di alzarsi, si era passata una mano sullo chignon di capelli grigi. Non era spettinata. Si era guardata la gonna marrone di velluto. Era elegante? Non se l'era mai chiesto. Quella era la prima volta. Era un dicembre rapido, senza il tempo per fare domande. 

Si era alzata per entrare nella veranda e ascoltare Singer. 

Di solito, lo ascoltava tutte le mattine alle cinque. Lui la chiamava con la prima nota, lei conosceva tutta la scala, ma quella era il richiamo del risveglio, sotto il cielo indaco, prima che si alzassero dal letto tutti gli altri. Singer era riconoscente, perché Lily in cambio della piccola canzone gli metteva l'acqua nella vaschetta e il miglio. 

Penso che canti solo per me. 

Gli aveva detto lei qualche volta, in cinese, con un bisbiglio che nessuno poteva aver mai sentito nella casa, nel condominio.

E lui le aveva risposto. Sì, è così. 

L'aveva detto in italiano, perché, a sua volta, non era stato capace di imparare mai il cinese.

Singer era un lorichetto fatato, un pappagallino con le ali verdi e il capo rosso, puntini gialli sul petto,  becco crema e una macchia nera sulla nuca. La sua era una specie di montagna, che si alimentava di fiori sugli alberi e si riproduceva sempre tra dicembre e gennaio. 

Lui era cresciuto però in cattività, non sapeva nulla delle abitudini della propria famiglia, ma tutti gli anni sotto Natale cantava con più intenzione, per più tempo, con più voce. Sentiva il richiamo del freddo, che per lui voleva dire invece calore, qualcosa come una nascita. Lily lo aveva capito. Quei mesi per Singer contavano più degli altri. Anche per Lily, da quando si era accorta di quel sentimento del suo amico. 

Passava un aereo nel cielo, rasente la città, si accendevano le prime luci della sera, la nebbia copriva i tetti che Lily poteva osservare tutti i giorni dall'ottavo piano del palazzo. La famiglia era al ristorante, lavoravano tutti fino a tardi, doveva prepararsi qualcosa da sola, non aveva fame, ma tanta sete, quella sera. Le sembrava di sentire l'odore del cibo tutto il tempo nelle narici. Come se non esistesse altro. Si chiedeva se anche Singer non avesse nostalgia di altri profumi, di montagna, perché lei sapeva che lui, come stirpe, veniva da lì, come aveva spiegato il signore del negozio che glielo aveva venduto. 

Lily si era seduta sulla sediolina di vimini accanto alla gabbia di Singer, con gli occhi chiusi. 

Finita la canzone. Si era rialzata. E aveva aperto la porta della gabbia, afferrando Singer con la mano. Andiamo via? Aveva chiesto lui, come se fosse la cosa più normale del mondo. Lei non aveva risposto, ma accennato un sorriso senza mostrare i denti. Il volto era pieno di rughe, ma la sua armonia era intatta, come un mosaico di cui non si riconoscevano i confini tra i tasselli. 

Sull'ascensore erano rimasti in silenzio.

In cortile, Lily aveva liberato la bicicletta dalla catena e aveva infilato Singer in una tasca della sua borsa capiente di lana cotta, e poi messo entrambi nel cestino. Facciamo un viaggio. Aveva spiegato, sempre in cinese. Viaggio di amici di Natale. Se vuoi cantare, canta. 

Lungo una strada di ghiaccio, si erano incamminati ai confini della città. Lily vedeva poco nella nebbia, dalle fessure dei suoi occhi neri, ma teneva salde le mani sul manubrio, senza guanti, sulla linea dritta tracciata dalla pista ciclabile. Singer cantava con più voce, senza fermarsi. C'era profumo di vento e di pioggia. 


venerdì 21 dicembre 2012

Auguri riusciti! E un regalo.


Grazie a Geca Industrie Grafiche.

Italo Svevo - Un burla riuscita.

Se fate zoom alla vostra destra: ci sono anche io!

Geca Industrie Grafiche è uno stampatore creativo! Se fate un giretto sul loro sito penso che vi divertirete, perché hanno idee colte e intelligenti. E divertenti. Ogni anno si inventano qualcosa di diverso, però con lo stesso formato. Ovvero utilizzare il packaging di prodotti famosi, ma riempirli di libri, per promuovere la lettura. E poi ne fanno dono ai loro amici.

Quest'anno c'è l'iRead, ad esempio. E poi ci sono anche un calendario, un quaderno e un libro. 

Il libro si intitola Una burla riuscita, di Italo Svevo. 

Un racconto lungo o romanzo breve, una novella struggente che mi aveva molto commossa qualche tempo fa. Qui, trovate il post. Gli amici di Geca hanno letto quel post e hanno avuto piacere di utilizzarne una frase per la quarta di copertina.

Inutile dirvi quanto questa cosa mi faccia piacere. Soprattutto perché la storia è davvero bella, non solo perché esce dalla penna di Svevo, ma anche perché contiene in sé come un tesoro di poesia.

Una burla riuscita è una storia spietata, ma tenera; dolorosa, ma clemente. C'è una vicenda triste, ma ci sono le favole e questi piccoli passeri parlanti. C'è genio, e gentilezza. 

Uno di quei regali piccoli come gemme ma forti come montagne della nostra grande letteratura. 

Questo per me è un graditissimo regalo di Natale. Ed è un invito a leggere questa storia. Chi di voi avesse quindi piacere di leggerla in questa speciale edizione, può scrivermi tranquillamente via mail e vi dico. 

Nel mentre, Buon Natale. Ma ci sentiamo ancora! Dal momento che il mondo è ancora qui tra noi.

giovedì 20 dicembre 2012

Salone del Libro, creatività e 1 caffè.



Gianni Rodari, nella Grammatica della fantasia, ha scritto che "una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l'esperienza e la memoria, la fantasia e l'inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente", e in effetti ci rendiamo conto tutti i giorni di quanto avesse ragione. 

E dove conta di più la fantasia se non nel tempio delle parole? Il più famoso che abbiamo in Italia?

Saranno dunque proprio la sua "grammatica della fantasia", applicata al 2.0, e la creatività, in tutta la sua meraviglia, a ispirare il 26° Salone del Libro, come ho potuto apprendere ieri alla conferenza stampa. 

La creatività. Che bello. Mi sembra un ottimo tema, un ottimo motivo per lavorarci intorno. Lo ha spiegato Ernesto Ferrero, il cui discorso ieri è stato il più appassionato di tutti devo dire. 

Ha spiegato bene tutto quello che troveremo il prossimo anno, tutto quello che possiamo aspettarci di bello, con qualche novità, e qualche elemento già ben consolidato. Bè, per i dettagli vi rimando al sito del Salone, ma qui vi dico un po' quello che ha colpito me. 

1) L'hashtag. Fantastico: alla conferenza stampa si è annunciato l'hashtag #SalTo13. E io un po' mi commuovo ripensando a come questa consuetudine sia nata un po' con noi (e parlo di alcuni amici e pure un po' di me). Molto bello. 

2) I piccoli editori. Tutti i partecipanti hanno speso almeno una parola sulla loro importanza. Ci sarà anche quest'anno l'Incubatore; penso che ci passerò molto tempo, anche perché sarà presente LiberAria che è, sì, in effetti, la mia splendida casa editrice. 

3) La creatività manuale. Il Lingotto ospiterà esponenti di questo mondo che si contrappone, ma non esclude, alla "smaterializzazione degli oggetti". All'insegna della valorizzazione del "patrimonio di tradizioni e pratiche che sembrava dimenticato". Mi pare giusto.

3) Maestri della cucina. Ci sarà un'area dedicata alla cucina. Davvero. Mangiare al Salone è sempre stato un po' tragico. Forse avverrà il miracolo: cibi e profumi buoni in ogni dove. Speriamo.

3) Ted Talks. C'è in corso un progetto di format che si richiama esplicitamente a queste magnifiche conferenze. Di cui sono grande fan. Se non le conoscete, date un'occhiata qui! Sono happening culturali in cui le persone a più diverso titolo raccontano esperienze di innovazione in tutti i campi dell'umano. L'acronimo sta per Technology, Entertainment & Design. Le seguo da un po', alcune mi hanno spalancato la mente, altre spezzato il cuore. Quando avete qualche minuto libero, trascorretelo lì e mi direte.

4) Cile. Il Paese Ospite. Sono molto curiosa. Vi dico solo che ci sarà Javier Cercas che parlerà del suo grande amico Roberto Bolaño (Confesso, io 2666 non l'ho ancora finito. Quando accadrà, però, sarete i primi a saperlo!). Comunque questo è da non perdere.

5) D'Annunzio. Mia nonna ne era ossessionata. Era forse l'unico scrittore che avesse mai letto, e comunque l'unico con quel trasporto. (mentre mio nonno leggeva e rileggeva continuamente Rigoni Stern: che curiosa famiglia, vero?). Al punto che non posso dimenticare una proverbiale gita a Gardone Riviera a rimirare per ore e ore il Vittoriale. Ammetto che non è mai stato il mio idolo, però va detto che è imprescindibile, e che c'è un progetto pazzesco in corso di digitalizzazione di tutta la sua opera, un fatto così sinestetico!

5) La Regione Ospite è la Calabria. Si ricorderanno Corrado Alvaro e Stefano D'Arrigo, molto importante. Bene.

6) Diritti social. Un bellissimo progetto in corso d'opera si chiama b2bright.com, una piattaforma online dedicata allo scambio dei diritti, in collaborazione con gli amici di Bookliners. Che dire? Supercool. 

7) Book to the future. Quanti ricordi? Qui una testimonianza di quanto sia affezionata a questa sezione del Salone. Dove, in poche parole, è avvenuta la prima presentazione al Lingotto di un libro fatto anche da me. E sì, se ve lo stavate chiedendo, nel post c'è anche una bella foto di Baricco! Che dico? Una gigantografia, santo cielo, perdonatemi.

8) Bambini, bambini, bambini! Al mio primo Salone, avevo 6 anni. Per i bambini non c'era niente di speciale. Ah, no, c'era una marionetta che ti regalavano all'ingresso. Me la ricordo ancora come una delle cose più belle della mia infanzia. Potessi essere bambina adesso, con tutte le belle iniziativeche ci sono, ne sarei più felice. Ma, è andata così. W i bambini di oggi.

Dunque Ferrero ha concluso con una bella citazione di Valéry.

La più grande libertà nasce dal più grande rigore. 

Che mi è parsa ispiratrice e sintomatica di un Salone che si prepara a sfidare tante cose, prima tra tutte la crisi, non ultima la difficoltà che molte persone hanno nella lettura.

E questo mi dà agio di tornare a Rodari. Che nella sua Grammatica dice anche.

 Non c'è vita, dove non c'è lotta.

E io ho voglia di lottare. E spero anche voi che leggete. E che sarà un buon Salone. Lo spero davvero.



Vi mancavano le mie foto del vascello fantasma? E delle albe torinesi? 


Ebbene, eccole qui.

Dalle quali si evince che domani finisce il mondo. 

La mia serata poi è finita in bellezza. Una cena di Natale con gli amici di 1Caffè. 
Se non conoscete ancora questo bel progetto, è il momento giusto, poiché a Natale è normale fare un regalo, specie se a fin di bene. Un caffè costa solo un euro e regalarlo con un metodo di donazione sicuro ad associazioni fidate è un piccolo ma importante piacere. Ve ne parlerò ancora e ancora, perché ci tengo moltissimo e credo nella bellezza ed efficacia dell'iniziativa. Ma poi davvero cosa c'è di meglio di un caffè per stare un po' bene insieme?
 Lo penso sinceramente.

martedì 18 dicembre 2012

La foresta ti ha, annunci, antiche ossessioni.


Luis Devin, La foresta ti ha, Castelvecchi.


Una piccola premessa. Volevo scrivere questo post domani mattina, ma in verità sarò qui. 

Alla presentazione del 26° Salone del Libro, a Torino. Alle 11.

C'è un motivo per cui sarò lì domani, oltre al piacere di farlo. Sarò lì anche perché è molto facile che ben presto, da gennaio, mi troverò a collaborare proprio con il Salone. Davvero, è così. Ma vi racconterò al momento giusto. Era solo per dirvi che la mia vita potrebbe un po' cambiare, non lavorando più solo da casa, ma che farò del mio meglio per mantenere un buon ritmo qui sul blog, e per raccontarvi sempre di volta in volta dei libri che leggo e che mi piacciono.


Dunque lo scrivo adesso, perché ci tengo molto. Questo è un libro che mi ha colpita per molte ragioni. Come spesso mi accade, è stato proprio il suo autore a segnalarmelo. 

Non altrettanto spesso accade che gli scrittori siano così garbati, o che i libri segnalati siano poi davvero belli, secondo il mio modesto parere. 

Luis Devin invece, oltre a essere gentile, a giudicare dalla piccola corrispondenza che abbiamo avuto (non è un mio amico), però, è anche, per me, davvero bravo come romanziere. 

Ma, soprattutto, ha scritto un libro che ha svegliato nella mia mente sensazioni profonde e ancestrali. 

Il romanzo, il cui sottotitolo è Storia di un'iniziazione, racconta la sua esperienza in Africa centrale, nella foresta, e di un rito di iniziazione con i pigmei Baka. Ovvero lui è andato lì, e si è integrato a loro, vivendoci insieme, compiendo studi e ricerche antropologiche. E questa la nuda trama.

Ma poi, c'è lo Spirito della Foresta. 

Dovete sapere che, come vi dicevo qui, ho sempre sognato di diventare una scrittrice di romanzi. Fin da bambina, avevo le idee chiare. Solo che a me le cose troppo belle hanno sempre spaventata, quindi ho faticato molto a mettermi nell'ordine di idee e pensarci bene sul serio. Ci ho messo tanti anni a capire, cioè, che tipo di lavoro andava fatto. Detto questo, però, avevo un sacco di idee per la testa. E alcune le realizzavo anche, nel segreto della mia cameretta. 

Una di queste era un romanzo ambiziosissimo, tutto magico e poetico ed espressionistico, ambientato nella foresta pluviale! La foresta era una mia ossessione. La vedevo, la temevo, la sognavo.

Facevo forse terza media e questo era un romanzo complicatissimo, e semplice insieme. Era la storia di una ragazzina di nome Shanì (il nome che avevo dato alla mia bambola: perché era quell'età in cui abbandonavi i giocattoli di pochi anni prima, ma li avevi ancora un po' freschi nella mente). 

Questa ragazzina dunque si ritrovava sperduta in questa foresta e doveva sopravvivere. Evidentemente, mi avevano molto turbata a scuola le lezioni sulla deforestazione, mi terrorizzava l'idea di restare senza ossigeno. Come avremmo fatto a respirare, senza le foreste?

Il respiro in generale è un mio forte interesse ancora oggi.

Ci giro intorno, perché questo libro alla fine mi ha condotta dunque verso ritmi e tempi lontani, lentissimi, primitivi e candidi; quelli insomma di cui ho bisogno. Mi sono trovata quindi a cacciare con loro un elefante, e non ho potuto non pensare a Moby Dick. E ad ascoltare, non con le orecchie, lo Spirito Jenghi, che è colui da capire, da conoscere, da studiare, che determina le sorti. 

Ho avuto un Maestro. L'ho visto tra queste pagine. Ne sono rimasta sorpresa. Non sapevo infatti che l'avrei trovato mai, e per di più nei libri. Che l'avrei trovato, cioè, dentro di me e non fuori. Non fuori. 

Il Maestro dell'iniziazione ci esamina uno per uno, controlla che la pelle sia luccicante di olio e decorata e protetta a dovere.

Un Maestro che interpreta lo Spirito della Foresta, che lo traduce per te. E che controlla che tu sia abbastanza luccicante, che ti protegge. 

Nel mezzo della foresta, tra i pericoli bui, nell'imminenza del pericolo vero. Lui ti protegge. Quanto desideravo questa cosa. Quanto è dolce la scrittura, quando fa questo. Quando ti prende per mano. Solo te, nessun altro, senza nemmeno darlo troppo a vedere. Nemmeno ti stringe o ti indirizza. Ti sfiora una mano. Ti guarda per vedere se ci sei, se brilli bene, se sei viva. 

Dunque. Ogni singola riga di questo romanzo è piena di spirito, di respiro, di anima. E insieme di cose piccole, pesci, frutti, foglie, bambini. E di questo rituale che si prepara.

È un attimo.
Tutto ti succede davanti. Intorno. Dentro. 
Un attimo dopo è tutto finito. 
Le grida della gente non fanno rumore, adesso, i tamburi vibrano sotto le mani senza emettere suono. 

E ancora.

Atemè diceva sempre che ciò che siamo veramente, quello che diventiamo quando il battito del nostro cuore è più forte dei tamburi è qualcuno che neanche noi conosciamo. Io e gli altri ragazzi, i ragazzi qui vicino a me, non abbiamo più fiato. Il tempo comincia già a rallentare, rimane impigliato ai rami degli alberi. Ci sono pozze di sangue nero che scompare sotto terra. Pugnali buttati nell'erba alta, gli insetti che ci volano sopra. Con la faccia e le mani nel fango cerchiamo dentro di noi quello che i Baka chiamano njele. Il coraggio feroce. La furia del leopardo ferito alla zampa da una trappola, il morso del gorilla che protegge il suo branco. La rabbia sepolta in ognuno di noi che ci consente di non crollare, di andare avanti nonostante tutto. Dobbiamo solo trattenere il cuore più forte che possiamo, hanno detto gli anziani, dobbiamo impedire che salga troppo in alto, che si arrampichi fino alla gola. 

Il coraggio feroce. Se non lo avete adesso per qualche ragione, il libro vi potrà aiutare, spero, come ha fatto con me. 

E vi darà la notte scura. L'avventura. Il cuore. 

Il coraggio feroce, però, soprattutto. 


lunedì 17 dicembre 2012

Zoom su oggi pomeriggio.





Buongiorno, buongiorno! 

Un anno esatto fa, qui, vi raccontavo della nascita di Zoom, una nuova e speciale collana di Feltrinelli

Una collana tutta di ebook. 

Dunque, una cosa ambiziosa e temeraria. Diciamo, una sfida, all'insegna della sperimentazione e dello spirito del tempo.

Infatti a quanto pare sta andando bene, come immaginavo. 

Dunque, succede di bello che 365 giorni dopo, questo pomeriggio, parteciperò anche io e volentieri all'Hangout che l'editore ha organizzato per festeggiare il primo compleanno!

Cos'è un Hangout? Giustamente. 

Gli Hangout sono delle fantastiche ed esaltanti video chat (piuttosto diffuse all'estero, l'editore mi ha segnalato ad esempio questa per farvi un'idea...) in cui, con un moderatore, le persone possono chiacchierare e scambiarsi opinioni. 

Alle 16 dunque ci sarà questa tavola rotonda, che poi è una specie di festa virtuale, in cui si parlerà di editoria, scrittura e digitale. Ci saranno scrittori, blogger e lettori. 

E andrà tutto bene, nel migliore dei mondi possibili.

(confido di non ricadere sotto il mio consueto Effetto Pauli quanto alle nuove tecnologie!).

Vi rimando comunque alla notizia, qui, dove ci sono anche le facili istruzioni per seguire tutto quanto in diretta!

Spero che sarà piacevole per voi e che si potrà dialogare e diffondere nell'iperspazio il sacro postulato secondo cui gli ebook sono cose belle e vere e fanno bene all'anima.

(a tal proposito, non posso non pensare sinceramente anche a queste altre meraviglie!)

Quindi, se avete curiosità, interessi, desideri e suggestioni da dire e da ascoltare, questo è il posto giusto. Sono sicura che sarà divertente. 



domenica 16 dicembre 2012

Il libro segreto delle cose sacre.


Torsten Krol, Il libro segreto delle cose sacre, Isbn Edizioni.

Ritagliare, ricavare, strappare, esigere, implorare, domandare alla vita il suo senso, il suo segreto, il suo silenzio, la sua verità è ciò cui l'uomo aspira da quando all'incirca è uscito dal mare per calcare la terraferma con le sue sole gambe. 

Da allora chiediamo, interroghiamo, piangiamo, chiudiamo gli occhi, li posiamo su quelli degli altri, scaviamo buche, prepariamo nidi, pronunciamo nomi, ci ripariamo dalle violenze, cerchiamo amore, restiamo ammutoliti, sogniamo luce, sospiriamo conoscenza. E virtù. E felicità. E segreti. 

Qualcuno lo fa senza saperlo, qualcuno ci mette tutta la vita, qualcuno si arrende, qualcuno non si pone nemmeno il problema, ma incarna in modo innato questa ricerca, fa scoperte, e ne diventa simbolo. 

Da quando ho imparato a conoscere Torsten Krol, ho capito che lui è uno di questi ultimi. 

Uno che, di questi tempi, guarda le cose con un altro sguardo. Prima ho letto Callisto, che è un romanzo folle sull'America "delle roulotte" con un protagonista che a malapena si sa esprimere in un linguaggio comprensibile ma che andrà incontro alle più assurde cose. E non perdona. Bellissimo. Un romanzo che sembra sparato sulla terra da un altro pianeta, ma ne conosce i più intimi dettagli.

E poi questo nuovo. In cui si capisce che Torsten Krol, senza paura, guarda in faccia le cose sacre. Le vede. Le nomina. Le mette in un titolo. Ci scrive un libro che fa raccontare tutto dalla voce di una ragazzina, una bambina di dodici anni che nella vita fa la Scriba, ovvero scrive e riscrive tutto il tempo il nome della divinità. 

Non so perché, ultimamente, tra l'altro, mi interesso di questo genere di storie. 

Comunque quello di Torsten Krol è coraggio puro, è un concetto molto esplicito.

Ha scritto, che io sappia, solo tre libri. In Italia pubblicati tutti da Isbn. Tutti molto diversi tra loro. Ma di lui non si sa nulla. Niente e neanche una foto. Solo due cose: è vivo, e sta in Australia. 

Naturalmente su di lui ci sono ipotesi, e illazioni, che sia in realtà un personaggio famoso etc. ma questo non ci interessa per niente. E lo tralasciamo volentieri, giusto?

E poi ci sono stati un sacco di bagliori notturni, quelli che la gente un tempo chiamava aurore. Conosco questa parola perché il mio nome viene da lì, anche se tutti mi chiamano Rory, che un tempo era un nome da ragazzo - mi ha detto sorella Luka - ma nella nostra valle non ci sono ragazzi con quel nome. Io sono l'unica.

Quindi la ragazzina si chiama Aurora. E il libro è suo. Ascoltiamo la sua voce. Ed è come una canzone lunghissima che finalmente vi tiene compagnia per tutto il tempo che volete. Vi racconta tutto, senza risparmiarsi mai, vi dice come si sta, come si sente, in ogni singolo momento. E la amerete. E vi farà tenerezza. E vorrete conoscerla, sostenerla e farvi sostenere da lei. Strano. Misteri delle cose sacre.

In queste poche righe, dunque, che nel mio ebook (del quale sono molto grata a Isbn) si trovano a pagina 5, c'è già tutto quanto di pratico c'è da sapere sulla trama.

In una parola: un meteorite - la Grande Pietra - ha colpito la terra, e adesso i pochi superstiti abitano una valle piccola dove le donne, che ora si chiamano le Sorelle di Selene, governano, decidono le cose e gli uomini si dedicano ai lavori di fatica; si venera la Luna tutti i giorni. Sia per la sua bellezza, sia anche per la sua minaccia, dal momento che si sta avvicinando sempre di più alla Terra e per arrestare questo inesorabile e drammatico processo, bisogna offrirle continuamente doni e sacrifici.

Aurora, come Scriba, offre in dono la sua scrittura. Continuamente, senza possibilità di sosta.

E, quando riesce a fare però delle piccole pause dall'incessante SeleneSeleneSeleneSelene cui forza la sua penna, quando proprio la mano le duole per la monotonia di quel gesto chino sul Libro dei Nomi -  a fine giornata sorella Ursula conterà quante volte lo ha scritto e segnerà il numero sul Libro dei Numeri - ecco che stacca, e racconta, a noi, le sue storie, "non per sacro dovere ma per me", e dice tutte le cose sacre o non sacre che le capita di vedere intorno.

Scriba. Solo una persona può esserlo e io lo sarò fino alla morte, poi sceglieranno qualcun'altra per scrivere senza sosta il nome di Selene e tenere la luna al suo posto in cielo. Quindi quello della Scriba è un lavoro importante e chi fa un lavoro importante viene trattato in maniera un po' diversa dagli altri. E in fondo non c'è niente di male nello scrivere quello che penso. Conosco tutte le parole che bisogna conoscere, per cui scriverne qualcuna al di là del nome di Selene non credo sia un male, ma terrò questa considerazione per me.

Ma attenzione che Aurora a un certo punto dovrà crescere un po', scoprirà di non essere poi tanto l'unica. O di esserlo, ma non come se l'aspettava lei. Come tutti. E le toccherà scontrarsi con una perdita. Che è una piccola frana sotto i piedi, successa a chiunque; quando scopri di non essere  poi così speciale. Mentre noi però intanto ci prendiamo cura della sua tenera sicurezza. Ce ne nutriamo anche un po', a dire il vero, mi viene da pensare.

Sempre che nel frattempo la luna non ci sia crollata addosso distruggendoci tutti. Ma non lo farà e anzi non bisognerebbe nemmeno pensare una cosa del genere, perché tutto questo scrivere il nome di Selene serve proprio a far sì che la luna continui a girare intorno alla Terra, a volte più vicina, a volte più lontana. Comunque ritorna sempre, ed è per questo che arrivano i lunamoti, quando Selene riempie il cielo.

Tutto bene, dunque, finché nel villaggio non arriva una strana ragazza, di cui però non vi dico più niente. Basta. Così vi rimane il desiderio di scoprirlo da soli.

Comunque concludo dicendovi che sarà un'esperienza di lettura diversa. Né facile né difficile.

Questa sarà una piccola voce che vi parla, che vi dà forza, proprio mentre vi pronuncia, delicatamente, sotto il naso, la sua estrema fragilità.


sabato 15 dicembre 2012

Scuola Holden, Baricco, il gusto, Kate Moss, quel che ho capito io.


Lezione di Alessandro Baricco, sul gusto e Kate Moss. Ovvero la bellezza e la bellezza. E la bellezza.

A quanto pare il prossimo anno da quelle parti succede qualcosa.

Uno sguardo veloce.

Prima della lezione.

Scuola Holden.

La gente la gente la gente la gente (cit.).

Alessandro Baricco in absentia. Fotografare le cose belle, ormai è chiaro, mi riesce sempre meno. Può essere infatti molto doloroso.
Il vecchio Holden ne converrebbe. 


Poco fa ero lì nel letto a guardare il soffitto, ma non potevo dormire. Mai fare le cose d'impulso, o peggio ancora di notte, oppure farle in modo netto e definitivo. Per la vita. 

Questo post penso che sarà netto e definitivo!

Torno dunque dalla lezione di Alessandro Baricco sul gusto e Kate Moss, alla Scuola Holden, che ringrazio per la gentile accoglienza. 

Arrivavo già un po' allegruccia da un aperitivo, e questo può dare un po' il polso dello stato d'animo. 

L'estasi divina, a confronto, è una barzelletta. Per capirci bene e in fretta.

Non ho mai fatto segreto del mio amore per Alessandro Baricco. Un amore che scopro, man mano che passano i minuti della mia vita, sempre più struggente. 

Se devo infatti dire gli attimi più interessanti della mia storia, non posso non ricordare di me stessa, nei più disparati stadi evolutivi, appollaiata scomodamente sulle più diverse seggiole del Piemonte, ad ascoltare costui che racconta qualsivoglia cosa.

Per anni ho pensato che dicesse sempre robe diverse, alimentando così violentemente questo mio amore infinito. Stasera ho capito che invece Alessandro Baricco va raccontando sempre una stessa cosa, unica e sola e in modo inconfondibile, seppur variegato, alimentando comunque l'amore, ma con estrema, fatale, acuminata esattezza e precisione incredibile.

Quello che racconta è, prediligendo lo sport (oggi era il salto in alto e l'invenzione del fosbury - fatto che mi ha sempre affascinata), ma sovente anche tramite esempi musicali (questa sera l'impietosa querelle Tebaldi-Callas: indovinate chi vince?) o libreschi (qui siamo nel campo dell'infinito leopardiano) o, sempre come questa sera, sulla moda (Kate Moss e prima e dopo il mistero) di quell'impeccabile, magico, quintessenziale momento in cui tutto, di colpo, cambia.

Che poi è il senso delle cose. Della loro evoluzione. Il senso inspiegabile delle cose.

Quel momento in cui un lampo di realtà conturbante ma chiarissima, mai indolore ma anche mai senza piacere, trafigge i cuori, o anche un cuore solo, e il mondo scatta via di un gradino, e il passo cambia, e con lui, dunque, si diceva, il gusto. Il sentire. Come cambia il gusto. Prima c'era altro, poi è arrivato, ad esempio, non so, il sushi, ho pensato io. Una cosa simile. Circa. Se ho ben capito. Per me in effetti è stato così. Prima c'era l'infanzia. Poi è arrivato Baricco. Che non è qualcosa di comprensibile, è proprio la vita che entra. Questo per dire che niente come una lezione di Baricco ascoltata dal vivo e da adulta mi aveva riportata alle sensazioni di quel tempo.

Devastante macchina del tempo. Odiosa macchina. Ma anche deliziosa. Sperimentare quelle cose adesso. Mioddio. Che ho fatto di bello per meritarmi tutto questo? Oppure: che avrò fatto mai di male per meritarmi questa dolce tortura? Mai. Mai lo saprò. Regali della vita. Vendette della vita. Mah. Comunque in conclusione il mondo si sposta con questi scatti. Cambiamo, finiamo. E non sappiamo bene il perché. Però è così bello, e normale.

Ciò, per sommi capi, quel che ho compreso, un po' brilla, in estasi, più giovane del dovuto e a un metro di distanza da. Da ciò che accade dopo. 

E questa era la parte bella; tornare alla Holden, dopo tanti anni e per di più dopo aver commesso l'unico reato della mia vita. Ovvero il furto di un libro. Libro che ho restituito proprio poche ore fa, al suo legittimo proprietario, con anche un bigliettino di Natale dentro. Sì. Giuro. Con su scritto qualcosa di molto stupido e convenzionale. Sul Natale. Credo. Sentendomi una bambina. Argh.

E questa è infatti la parte brutta. Cioè la parte dolente, che ho imparato oggi. Quando mi sono sentita una formidabile idiota a un metro da una splendida serata. Tra l'altro, era da un po' che mi ronzava tra i pensieri questa sensazione, forse come un presentimento. E ora ne ho avuto la conferma. 

A me le cose troppo belle fanno paura. Mi uccidono. Sto proprio male.

Scusate se lo dico qui, ma è quello che dirò anche ai miei figli se un giorno li avrò (o forse non li avrò perché è una cosa troppo bella?). Comunque insegnerò loro a incontrare poco gli scrittori. Anzi a non incontrarli. Se mi assomiglieranno, so già che ne soffriranno. Non che siano cattivi gli scrittori. In particolare Baricco, che è sempre così lieve in queste circostanze; una persona gentile. Ma sono io che patisco. Dirò loro di non incontrare mai a meno di due metri di distanza supremamente Baricco.

Esempio pratico. A un certo punto si è creato un crocicchio. Io stavo lì intorno. Pazzesco, se ci penso adesso. Volevo un po' partecipare, che ne so, andare a bere una birretta anche io. Tragicamente. 

Capite? Mi spiego meglio: desideravo parlare. Ma per dire che? Troppe cose. Parlare, dire quello che nemmeno in mille vite nessuno potrebbe mai. Che se ci penso adesso muoio dall'imbarazzo e dalla vergogna. Ma è mai possibile? Stavo lì come i vecchietti che guardano i cantieri. Una cosa forse ingenua, ma triste. Ovviamente non ci sono potuta andare a bere questa benedetta birretta. E il risultato è quell'imperscrutabile desiderio di morire, ovvero svanire dall'Universo. 

In una parola: provare a interagire con chi si ama così tanto, cari miei, è la fine. Un tragico errore. Mai farlo. Non fatelo. Lasciate stare. Non è umano. Fa malissimo. Scrivo con malinconia. E una certezza. Non me ne volete, ma non incontrerò più gli scrittori. Non quelli che amo così. Non Baricco.

(Calma, non penso alle presentazioni di libri, che, hey, da gennaio si ricomincia anche alla Coop qui di Torino, e qualche cosa al Circolo dei Lettori etc. e altre librerie varie tra l'altro, ne incontrerò in giro, credo, un bel po' dunque, in veste di presentatrice, circa, non vi preoccupate, ce la faccio). 

Ma non lo farò mai più in questo modo così folle. Così matto. Così innamorato. Da stalker! Santo cielo. Da morire. Ho temuto di lasciarci la pelle. Mi sono sentita ridicola. Scambiare due parole. No. No. Aiuto. Mai più! Non c'è motivo. Da piangere.

In effetti, non mi regge il cuore. 

Non so. Mi sa che in questi casi preferisco il silenzio; è più adatto, e clemente.

In questo momento infatti non vorrei essere qui, ma sul picco innevato di una montagna. Dove sempre mi sento bene. Assomigliare al nevischio. Ai raggi del sole bianco. Starmene lì, da sola, con i libri. Niente persone. No emozioni. No panico. Solo il cielo azzurro. And no surprises please!





venerdì 14 dicembre 2012

Tre chicchi di moca.


Il mio amico tricheco vi augura buongiorno con un caffettino macinato!
Toti Scialoja, Tre chicchi di mocaEdizioni Lapis
Chris Haughton, Oh - Oh!, Edizioni Lapis


Parlando del lato luminoso della vita, voglio dirvi che, tra le mie fortune degli ultimi tempi, c'è quella anche di ricevere alcuni libri per bambini. Non so mai quanto meritati, ma dicono che a un regalo si risponde sempre, in genere, con un sorriso, con qualcosa di sincero. 

Anche perché la vita di cui prima è un tale crocevia di robe strane, che quando succede qualcosa di così delicato, è giusto prenderne nota. E, in questo caso, rendervi anche un po' partecipi della faccenda. 

Ho ricevuto dunque questi albi illustrati. 

Doverosa premessa: io non ho bambini al momento, ma li amo molto. Credo in loro e se mi capita l'occasione mi ci trovo piuttosto bene a giocare, raccontare storie, soprattutto ascoltare le loro  avventure clamorose, che in genere sciorinano con sguardo spiritato nel vuoto come se gli si componessero nell'iperspazio, mi chiedo: ma come fanno? (ricordo ancora le vicissitudini assurde di una bambina che oltre tutto aveva anche il mio stesso nome - ah, oggi a quanto pare è il nostro onomastico: auguri alle Noemi là fuori - che mi aveva raccontato, qualche anno fa, a una cena, di un viaggio che avrebbe compiuto lei a bordo del suo cane in un paese alquanto misterioso pieno di sassi, mostri efferati e stelline variopinte).

Insomma dicevo al momento io personalmente non ho bambini, ma ne conosco qualcuno e uno di questi due albi lo regalo, per vostra informazione, a una certa Matilde che, santo cielo, è nata pochissimi anni fa e sa già scrivere il suo nome!

Comunque. L'altro invece me lo tengo io. Perché è un librino che parla anche di caffè e di trichechi. Due mie storiche passioni. Sì, anche i trichechi, certo! 

E poi perché lo ha composto Toti Scialoja. Uno di quei poeti e pittori peculiari, un po' sulle nuvole nonché uno dei nostri padri della Resistenza. 

"Spiegò che una poesia è come una melagrana, e quando la apri scopri tesori, rossi chicchi fatti di parole".

Dice Teresa Buongiorno nella prefazione del libro.

Tre chicchi di moca, chicchi di melagrana, chicchi di parole. Non so, oggi è una giornata che mi sembra piena di sapori buoni, e di neve che ha deciso di scendere anche su Torino e di posarsi sulle nostre cose, e case e pensieri. 

Propongo di gustarcela con molta spensieratezza. E auguro buon week end a tutti.  


mercoledì 12 dicembre 2012

Taccuino di caffè.



                                           


Eccomi, eccomi, eccomi. Che giornata. Poi vi racconto. Ahh, poi vi dico tutto. 

Ma avevo promesso un taccuino settimanale. E tanto è vero che mi chiamano tazzina, che taccuino-di-caffè sia.

Cosa c'è dunque di superfantastico da segnalare dalla rete, sul mondo dei libri e affini, di questa settimana?

Vi ricordo che ciò che intercetto per questo brand new taccuino lo faccio con le mie antenne, non è detto che tutto ciò sia universalmente interessante, particolarmente acuminato, significativamente pregno di significati; ma può magari distrarvi un attimo dal via vai maledetto e maldestro della vita. Insomma, la filosofia del caffè, supremamente qui prende forma per i vostri occhi e orecchie.

Via con la panoramica.

1) Memoir. Questa è una delle mie passioni-ossessioni. Ci ho scritto la tesi di laurea (in particolare su Esperienza di Martin Amis), sui libri di memorie. Mi piacciono così tanto che mi spaventano anche un po' e ne ritardo perennemente la lettura. Per dire, ho ancora lì Il velo nero di Rick Moody da finire, per paura che mi piaccia troppo. Ciò è a dir poco stravagante, ma è la verità, abbiate pazienza. Comunque appena ho visto questa parola magica - memoir - ecco che sono andata, cautamente, a vedere di che si trattava. Curiosa intervista a Edna O'Brien, qui

2) Rebecca Dautremer. Qualche anno fa ho scoperto questa creatura sovrannaturale. Qui avevo raccontato come. E da allora ho anche io, come tanti, una vera venerazione per lei. Capite bene che, quando ho visto questo, il mio cuore ha proprio vacillato. Null'altro da dichiarare.

3) A proposito di colori. Quando ho bisogno di un po' di ossigeno, faccio un giretto su McSweeneys' oggi vado, e vedo questa cosa qui. Non so perché, mi ha messo un'allegria pazzesca. C'è bisogno, ogni tanto, specie a metà settimana, di qualcosa di spensierato e simpatico. Lo penso molto seriamente.


Musica per tutto questo: The Rolling Stones - She's a Rainbow.

lunedì 10 dicembre 2012

Nuove evidenze. I blogger, Roma, altre amenità.


Ieri. 11.30. Sala Smeraldo. A Più libri più liberi. Nuove evidenze! L'AIE ha presentato una ricerca (in previsione di un osservatorio futuro) sul rapporto tra vendite di libri e bookblog, in relazione ai media tradizionali.

C'ero anche io. 

Questi due giorni sono stati ad altissima velocità. Ma, di corsa, con la valigia, il computer, la borsa e chissà che altro, in cerca della metro, in ritardo e a digiuno, ho mollato tutto per terra e ho pensato: devo fotografare qualcosa di romano. Ed ecco il risultato. Non c'era il tempo di visitare la città eterna ma a Roma tutto è ovunque.

E un leggero sospiro di bellezza.


Di Roma avevo un peculiare ricordo. Un ricordo che ricordo con un certo sgomento. Dopo una brevissima vacanza, nel 2009, finisco al pronto soccorso dell'Umberto I. Con valori sballati e lo sfottò dei medici per via di un cacio e pepe, a loro dire, potenziale omicida di fanciulle in fiore. 

Mi ero svegliata nel cuore della notte con un dolore al costato trafittivo da non respirare, scatenando il panico nel bed&breakfast. Volevano tenermi ferma tutta la notte accanto a una suora che mi porgeva bicchieri di latte ustionante. Quando ho avvertito un po' di sollievo, e dopo aver verificato che non era un attacco cardiaco, ho firmato per poter uscire. Con un'emicrania che poi è durata per giorni. Mah. Non ho mai capito bene che è successo. Né il medico di base. Sì, bè, il cacio e pepe ha le sue stramaledette responsabilità. Comunque sono passati anni e sono ancora viva! Questo era per dire che avevo qualche paranoia nel tornare a Roma. 

Invece è andata molto bene. Ed è accaduto ciò che aspettavo da un'intera vita. Ovvero. Partecipare alla festa Minimum Fax. Qui a Torino la fanno tutti gli anni, come anche quella Fandango

Cari editori, quante ne sapete? 

Ma io non c'ero mai stata. Mai. Non so bene perché. Sabato sera invece ho visto ciò che dovevo vedere, e ora sono completamente soddisfatta. Bella musica, danze sfrenate e misurate insieme, come si conviene nel sacro mondo della lettere. E vedere degli amici lì è stato fantastico. Questo spiega che i libri sono potenti innescatori di misteriosi e musicali movimenti. Lo credo sul serio. 

Ospitata da gente romana gentile, dormendo in un lettuccio sopraelevato comodo e accogliente, ero pronta domenica mattina a esprimere una mia opinione sulla ricerca dell'AIE sui blog letterari.

Mi sembra giusto premettere che la ricerca è embrionale e che è stata condotta comunque con dedizione e desiderio di esplorare un mondo in continuo cambiamento. Quanto a me, la prima cosa che ho fatto è stata ringraziare di essere stata coinvolta e monitorata, in un certo senso studiata, come blogger. Non mi era mai capitato niente di simile, ed è interessante già solo per questo. 

Altra premessa: vi rimando poi alla ricerca vera e propria, di cui ieri sono state mostrate le slide alla tavola rotonda. Quando saranno pubblicate, ve le segnalerò. Non entro dunque qui nel merito.

Vi racconto solo le mie semplici impressioni.

Terza premessa: si sono osservati alcuni blog letterari significativi in Italia. Ci ho tenuto a dire subito, ieri, che il mio in realtà corrisponde a una persona singola, non a una vera e propria redazione, come in altri casi. Mi pare giusto dirlo perché ciò rappresenta senz'altro un motivo di diversificazione, non vorrei dire di limite, ecco, ma quando ho raccontato che mi capita spesso, nel mio salottino Ikea, in pigiama, col caffè nella mia solita tazza, di rispondere a mail con "gentile redazione di tazzina etc. etc." corrisponde al vero. Ed è un fatto che mi porta a raccontarvi la seconda cosa che ho detto ieri.

Dunque ho raccontato un po' la storia di questo blog, e della mia vita! Santo cielo quanta pazienza avete avuto voi lì presenti. Insomma, ho esordito dicendo che da bambina sognavo di fare la scrittrice. Anzi peggio, la poetessa.

Ciò ha spezzato un po' la tensione classica da conferenza ma anche qualche cuore. 

Poi insomma ho cambiato un po' idea sulla poetessa, ma quel sogno della scrittrice, da qualche parte, in qualche periferica arteria del mio sistema cardiocircolatorio, era rimasta. 

Quindi ho detto dei percorsi frastagliati, dei tragitti misteriosi e franti che possono portare un essere umano ad aprire un blog. Nel 2008 quando è nato questo raccontavo cose della mia vita, ci ironizzavo sopra, altre volte ero molto triste, poi felice, insomma, era un vero e proprio elettrocardiogramma della mia mente. 

In fondo, così è rimasto. 

Ci ho aggiunto semplicemente i libri, che avevo accumulato negli anni di studi e di stage non retribuiti, ho tolto la polvere, ho preparato un po' di caffè e ho cercato che avessero un'altra vita. Più piccola, magari, ma più allegra.

Così ho dichiarato che le mie in realtà non sono recensioni, mai. 

Sono pezzi della mia mente che stacco, come puzzle, e che metto qui, affinché qualcuno li legga e ne abbia cura. Forse è una ricerca di amore universale, di dialogo, di amicizia, chi lo sa.

Ho detto anche che non avevo mai pensato che questo potesse avere un significato commerciale. Quello che pensavo io, e che speravo intimamente, era che qualcuno si accorgesse di me. Per via di quel sogno segreto che coltivavo a dispetto di svariate vicissitudini della vita. 

Ecco dunque che mi salta all'occhio il valore che può avere lo strumento-blog. Che è un mezzo, non un organo, ad esempio, di marketing, almeno non blog come il mio. Il valore può consistere, per qualcuno come me (e questo è un preciso appello ai giovani là fuori), in una possibilità in più, differente, nuova, rispetto ai canali tradizionali (invio cv, invio manoscritti selvaggio). 

Così infatti a me è successo, e ho raccontato della bellissima avventura con LiberAria Editrice. Questa casa editrice è fresca e nuova e ci lavorano persone molto coraggiose e in gamba e sveglie. Qualcuno tra loro si beveva il caffè la mattina e leggeva anche questo blog. Ci ha trovato qualcosa, magari da coltivare, niente di già definito, ma da vedere come sarebbe cresciuto. Ed è così che quel sogno mai spento, mentre quasi non ci speravo più, ha preso luce e una sua direzione con loro e grazie a loro. E questo mio romanzo, totalmente imperfetto ma reale e vivo, uscirà a maggio, e lo dico per me ma anche per chi si chiede che senso abbia avere un blog. 

Me lo chiedevo anche io, e adesso l'ho capito. Serve a tracciare un percorso della propria vita. Il che significa che può anche servire a capirci qualcosa di inaspettato, magari che non vi piace scrivere. Non per tutti può andare come in questo caso, ad altri può servire per sapere altre cose, ma insomma ci siamo capiti.

Ho detto questo ieri perché volevo fosse chiara la mia posizione rispetto alle recensioni. Volevo fare la romanziera, la narratrice, imparare a farlo, per meglio dire, e non la critica letteraria o la giornalista. Non ne sarei mai capace. Ma non perché sono scema o inferiore, solo che sono diversa. 

E questo tipo di differenze sono la ricchezza della società, della vita, e della rete. 

Ciò specificato, amo però parlare dei libri che mi piacciono. Criterio che appartiene anche ad altri blogger. Ho un criterio di gradimento. Ho anche studiato molto, all'Università, ma anche prima e dopo, ho fatto un master in editoria, addirittura. Questo per dire che non sono fuori dal mondo dei criteri e ho presente il panorama letterario ed editoriale su cui si muovono gli scrittori di cui parlo, passati o presenti. 

Mi ha rassicurata poi scoprire che i blogger, relativamente ai libri presi in esame e ai librai interrogati sulle vendite, spostano meno vendite rispetto ai media tradizionali (Fazio) o a persone celebri*. Su questo non avevo dubbi, e mi pare anche sensato, e giusto. Quello dei blogger di libri è un mondo che, in Italia, è ancora da comprendere. Diverso è all'estero, dove hanno un ruolo consolidato e rispettato.

Poi si è parlato anche di metodologia del monitoraggio. L'AIE, se ho ben capito, sta intraprendendo nuovi e trasversali sistemi di valutazione, perché è davvero complicato tutto ciò. Molto. Ma è lodevolissima l'iniziativa. Sono sicura che avrà un seguito.

Per ultima cosa. Quando stava già finendo tutto quanto, ho chiesto ancora la parola. Avevo una lieve tachicardia, ma dovevo farlo.

E ho detto questo: io non conosco tutti gli uffici marketing di tutte le case editrici. Ma ricevo molti libri, e qualcuno ho iniziato a conoscerlo personalmente, considerando queste persone, in alcuni casi, come amici veri. Una delle striscianti maldicenze a proposito dei blogger è quella che essi siano in taluni casi in balìa delle segnalazioni e dei regali di uffici stampa o quant'altro. Che siano compiacenti. Che siano venduti. 

Dunque ho messo a parte le persone che erano lì, e lo ribadisco con forza adesso. Sì, è vero, il libro è un fottuto prodotto. Che sta sul mercato. Questo è importante che si sappia, è una consapevolezza che, specie se siete giovani, vi tocca padroneggiare. Il libro è come il motorino, le scarpe, la Wii, la chitarra, l'ukulele, che ne so, il Parmigiano Reggiano, l'iPad, gli smalti di Kiko. 

Questa è la verità. Quindi gli uffici marketing fanno il loro mestiere e, se suppongono che anche i blog, nel loro piccolo (per ora), possano spostare anche solo UNA vendita, loro tentano anche quella strada lì. Perché questo è normale. Ed è perfino sano, poiché siamo nel libero mercato. E noi tutti qui ci muoviamo. 

Però. Poiché io conosco queste persone che fanno questo lavoro, so con certezza che alcuni di loro si pongono anche, e intendo contemporaneamente, un altro obiettivo. Un compito. In alcuni casi oso dire una missione.

Che è quello di creare un discorso anche culturale sui libri. Anche passionale, anche intellettuale. Anche di ricerca. Anche umano. Anche sincero. 

Dunque i blog non sono solo potenziali spazi pubblicitari, agli occhi di queste persone. Non solo. Sono anche spazi di novità. Sono anche quei posti che prima non esistevano. Dove, con un briciolo di leggerezza, si può ancora raccontare qualcosa di nuovo. Si può delimitare un nuovo linguaggio. Un nuovo linguaggio, ecco. Nuove evidenze. Nuove cose, nuove possibilità, nuova vita.


Un'ultima cosa che ho capito però è questa. Dei libri non si sa un bel niente. Delle vendite si sa pochissimo. I blog alla fine spostano o non spostano? Troppo o troppo poco?

Fazio sposta tantissimo, ma non TUTTI i libri. Quasi tutti. E su quel quasi che si giocano i misteri della vita. Dell'arte. Della composizione. Del gusto, del destino, dell'imponderabile. 

Capisco supremamente questa cosa. Che più di tutto, che pure è legittimo analizzare, direi doveroso, può comunque ancora fortemente il mistero. Più di tutto può la magia del talento inaccessibile. Può l'amore folle e il dono innato nello scrivere, che è ciò che ancora fa vendere molto; e le storie, e le cose che stanno a cuore alla gente, che sono loro utili per i più diversi scopi (sì, penso volendo pure alla cucina, al calcio, al sesso, alle trame intricate, ai casi umani etc.). 

La conclusione di tutto ciò è che c'è un dialogo aperto, seducente, sospeso nell'aria ma anche molto concreto e materico. E che, personalmente, sono molto contenta di farne parte.




*Ok. Chi c'era lo sa. Ma è mio dovere riportare il fatto che tra le celebrità c'era naturalmente Alessandro Baricco. In particolare, per via del caso più recente che è il bellissimo, bellissimo Open. Dunque. Nella stessa ricerca scientifica, c'era Baricco, e c'ero io. Capite? Cioè io desideravo citare le sue parole sulla stella Hale-Bopp, e lui era già lì nel firmamento. Inutile dire che per me andava già bene così. E l'ho pure detto!