sabato 31 dicembre 2016

Il libro dell'anno, per un anno tra amici

Amos Oz, Tra amici, Feltrinelli

Giunto l'ultimo giorno dell'anno, ecco il libro che ho scelto per rappresentare il 2016 e per un buono auspicio nell'anno nuovo. 


Innanzitutto, ho scoperto e imparato una cosa. Ovvero che anche gli ultimi giorni di un anno sono importantissimi e possono determinarne il colore, i sapori e il ricordo. Questo libro mi è capitato proprio verso la fine di questo anno per me speciale e davvero è diventato il simbolo di qualcosa su cui rifletto da un po' di tempo. 

Non posso negare di sentirmi felice, in questo momento. Non capita tutti i giorni, anzi, lo sapete tutti, non capita quasi mai. Eppure tutti, proprio tutti, possiamo dire di aver avuto un giorno felice nella vita, uno o due. Per me oggi è uno di quei pochi ed è bello poterlo condividere con voi.

Uno dei motivi per cui sono felice è perché dopo tanto pensarci in questo momento sento vicini alcuni amici come non mi era mai capitato nella vita. 

Personalmente, ho sempre avuto grossi problemi con l'amicizia. Se il mitico Tiziano Ferro ci ha insegnato che "l'amore è una cosa semplice", chi sa dire qualcosa di definitivo sull'amicizia?

Per molti anni ho creduto di essere una asociale. Se vi chiedete cosa passi per la testa a quel tipo di amici che vi tirano pacco, rispondono dopo ore, non chiamano quasi mai, arrivano in ritardo, potete chiedere a me. Potrei scriverci un trattato. Ma per fortuna, ci ha pensato questa meravigliosa donna. Questo è stato il periodo in cui, grazie a Susan Cain e alcuni altri, è andata di gran moda una parola: introversi. Ecco svelato il mistero della mia vita. Ero introversa e non lo sapevo. Qualche volta ho creduto, ed era vero, di essermi comportata da maleducata, questo sì. Ma non avevo mai dato un nome al mio carattere: introversa. Che non vuol dire timida e, soprattutto, non vuol dire asociale. 

Ho sempre saputo di amare molto le persone. Molte, forse troppe volte ho rifiutato di stringere legami per paura di provare sentimenti di amicizia troppo forti.

Questo è stato un anno bello per me, ho appena detto di sentirmi felice. Ma è stato anche un anno in cui ho visto andarsene alcuni amici di famiglia. Una in particolare che mi è stata vicina come un angelo custode in quei momenti in cui non sai dove sbattere la testa. E ho scoperto il valore degli amici. Quelle persone che se ti guardi indietro ci sono sempre state, non ti hanno mai giudicata, si sono anche molto arrabbiate se è il caso, e scelgono di essere sempre al tuo fianco. Per il solo fatto che, senza motivi specifici, sentono di volerti bene e tu senti lo stesso. Questo è incredibile, ed è una delle cose più straordinarie e notevoli di questa vita.

Questo piccolo libro racconta in verità molte storie di non-amicizia, anche. E l'amicizia si tratteggia per sottrazione, come spesso accade si definisce qualcosa attraverso ciò che quella cosa non è. 

L'ambientazione è perfetta per esplorare i comportamenti sociali: un kibbutz! Facile nelle nostre vite fatte di piccoli nuclei separati, ritrovarsi ogni tanto a brindare e poi ciao. Provateci voi a vivere in un kibbutz, per di più negli anni cinquanta in Israele, dove le regole sono qualcosa di molto ben definito, dove proprio per questo sembra che nessuno le rispetti per davvero. Dove la convivenza è una scelta forzata ma talvolta si trasforma in scelta autentica. Dove i sentimenti seguono l'istinto e la ragione non può nulla e dove la compassione alla fine aggiusta le cose.

Ma badate, Oz in questa storia di destini intrecciati, di racconti brevi fatti di personaggi che ritornano e si incontrano, non offre facili spiegazioni:

Tornata nella sua stanza, Osnat si è versata un bicchiere d'acqua con succo di limone e si è tolta i sandali. E' andata scalza alla finestra aperta e ha pensato che quasi tutti hanno bisogno di più calore e più affetto di quanto gli altri sono capaci di dare, e che questo scarto fra richiesta e offerta non ci srà mai nessun comitato del kibbutz che riuscirà a colmarlo. Il kibbutz, pensava, cambia forse un po' le regole sociali, ma la natura umana non è affatto semplice. Invidia, meschinità e cattiveria non c'è modo di estirparle con una votazione all'assemblea del kibbutz.

Ed è vero, Osnat pensa queste cose, queste parole. Eppure, e Amos Oz riesce a compiere un piccolo miracolo letterario, lei non agisce così. Vedrete nel racconto. Non segue, nei suoi gesti, questi pensieri. Lei si comporta diversamente. Dice, dice, ma poi fa. E l'amicizia alla fine mi sa che è questo. Fare. Magari poco. Senza nemmeno accorgersene. Diciamo che è un fatto di esserci. Ognuno nel proprio modo, estroverso o introverso che sia. 

Qundi questo è il mio augurio. Trovare i propri amici. A me è successo, a ben vedere, ne ho trovati pochissimi e credo sia quella la natura dell'amicizia, essere rara. Infatti, è una questione di ricerca di materiali preziosi. Ed è buffo perché non sai nemmeno spiegare perché una pietra preziosa lo sia più di altre: lo sai e te la tieni stretta.

Insomma, spero che il vostro nuovo anno sia tra amici, come questo libro. E che gli amici che non ci sono più restino con noi nel ricordo. Il cuore lo sa e, come ha scritto Grazia Deledda in una delle sue pagine, "il cuore non invecchia mai". Buon anno e buone letture a tutti!

sabato 24 dicembre 2016

Il libro di Natale e auguri di cuore

Amy Levy, La storia di una bottega, Jo March

Questo è il mio libro di Natale e spero diventi un po' anche il vostro libro delle feste.

Un unico libro e nessuna lista perché non so voi ma a me le liste di libri di Natale (e dire che in passato ne ho compilate anche io su questo blog) mettono ansia. Mi fanno l'effetto inferiorizzante: oddio sono tutti bellissimi e non riuscirò mai a leggerli. E a voglia a segnarmeli su un quadernino, aggiungere ai preferiti i 3000 fantastici siti e blog e video con i meravigliosi book haul o ritagliare gli articoli di giornale e metterli in agenda. La sensazione è sempre la stessa, di perdermi qualcosa.

Così per questo Natale 2016 ho deciso di fare un respiro profondo, guardare la pila impressionante delle mie letture arretrate (questo libro dovevo leggerlo dal 2013!) e pescare quello che secondo me sarebbe stato il libro perfetto per queste feste e anche un po' per questi nostri tempi.

Personalmente, ho un legame molto stretto con il 1800. Nel bene ma ahimé anche nel male dentro di me vive un personaggetto dickensiano che ogni anno mi guarda con gli occhioni tristi e pieni di sentimento scordandosi che nel mezzo sono successe tante cose. Comunque l'Ottocento in fatto di letteratura, soprattutto inglese, ha davvero sfornato una serie di opere magnifiche.

Questo piccolo gioiello letterario, in particolare, racchiude in sé una storia tanto femminile quanto universale. In analogia con le più note piccole donne - non a caso la casa editrice, che è anche agenzia letteraria, si chiama Jo March - La storia di una bottega racconta di quattro sorelle, Gertrude, Lucy, Phyllis e Fanny, che appartengono alla buona borghesia londinese di fine secolo (ormai sapete quale...). Improvvisamente, le giovani Lorimer perdono il papà e con lui ogni possibilità di sussistenza morale ed economica. A dispetto dei tempi, allora, che le vogliono disperate e in cerca di qualche ripiego per sopravvivere, le quattro giovani decidono di fare una cosa che oggi ci piacerebbe molto: si mettono in proprio e aprono una bottega in Baker Street.

Follia pura? Vi ricorda qualcosa? A me questa storia ha ricordato la generazione dei giovani e meno giovani di oggi, alle prese con la perdita dei punti di riferimento lavorativi e strutturali. Una generazione di italiani il cui welfare è rappresentato per lo più dalla famiglia e cui tocca fare i conti con le emozioni controverse suscitate da questa condizione. 

Ma soprattutto la storia di queste ragazze mi ha ridato energia. 

L'energia che emerge nei momenti difficili può essere qualcosa di sorprendente. Creatività pura al servizio della voglia e della necessità di stare al mondo.

Quello che non vi ho detto, e in questo risiede la splendida modernità del romanzo breve di Amy Levy - pubblicato nel 1888 - è che la bottega in questione non è una bottega qualsiasi ma uno studio di fotografia. Uno strumento che oggi ci appare quasi scontato ma che in quegli anni era al centro di infiniti dibattiti, di mille riflessioni: cos'è la fotografia? Arte o cronaca? Sopravviverà la pittura? E tanti altri quesiti che questo libro sembra incarnare.

Spoiler: come andranno gli affari alle Lorimer? Da fan dei lieti fini natalizi non posso che essere felice di comunicarvi che le cose andranno bene. Trionferà l'amore, trionferà la giustizia che premia gli intraprendenti. Ma per arrivare a vedere i risultati della propria fatica sia lavorativa che sociale e psicologica le ragazze dovranno attraversare una serie di pregiudizi e di paure in un'epoca in cui anche solo camminare accanto a un uomo sconosciuto, per una donna, era considerato uno scandalo.

In questo libro delicato e ingenuo non mancano momenti di grande drammaticità e ogni capitolo è anticipato da una citazione, ad esempio: "Se è nobile una cortesia ricevuta, più gradevole è quella resa. Sia legge lo scambio di cortesia, e condizione di Bellezza". A. H. Clough 

Insomma, una lettura inglesissima, leggera e rigenerante, natalizia e rassicurante. Non così paiono, se ho capito bene dalla sua biografia che ignoravo, le altre opere della stessa autrice. Si tratta dunque di un raggio di luce uscito dalla sua penna nonostante tutta l'oscurità di un animo che sembrerebbe essere stato molto oscuro. Quindi a maggior ragione, da leggere pensando alla luce, alle lucine di Natale e alle nuove possibilità. Buona lettura e auguri!


[Ringrazio l'editore per il gradito invio. Traduzione di Valeria Mastroianni e Lorenza Ricci, in copertina fotografia di Edward Linley Sambourn. Euro 12]

lunedì 19 dicembre 2016

Esplorare la città - incontro con il Parco Colonnetti e con chi lo ha reso più bello

 Qualche giorno fa sono andata a correre, per la prima volta di sera, nel parco del mio quartiere.

A un certo punto, ho avuto paura e mi sono accorta che era troppo tardi per tornare indietro. Ma paura di cosa? Di niente, in verità, perché di fatto non c'era nulla da temere. E, per quanto sia convinta che non sia proprio il massimo della vita mettersi a fare le cose da soli al buio, ho comunque capito che si trattava di un preconcetto da decodificare. E il preconcetto è questo: io, come tante persone, ero sicura, lo sono diventata per lo meno a metà del mio tragitto, che una ragazza che corre da sola in un parco di periferia dopo le diciotto "corra" effettivamente un pericolo. Ma il preconcetto non si ferma lì, ed è sul discorso "di periferia" che si è concentrata la mia attenzione. 

Quando vivevo in centro, correvo anche alle otto di sera, nel parco più famoso di Torino, il Valentino, e non avevo paura. Cos'ha il Colonnetti, il parco di Mirafiori Sud, all'estrema periferia del capoluogo piemontese, che faceva tanta paura? E la risposta è di nuovo: niente. Tanto è vero che sono ancora viva e sono qui a raccontarvelo. 

E tra l'altro è stato bello fendere la nebbia, pestare le foglie e sentirsi congelare il naso.

Flash-back. Ho vissuto nel pieno centro della città per circa tre anni, in una mansardina conficcata in una delle vie più belle, eleganti e chic della città.

Alcune persone, quando raccontavo che mi ero trasferita in centro, hanno commentato: "Hai fatto i soldi, eh?" - persone un po' ottuse, non me ne vogliano, data l'equazione grossolana. Quello che invece ho scoperto e che ora so del centro è che non ci vivono solo i "ricchi", ma tantissime persone che faticano ad arrivare alla fine del mese. 

Personalmente, avevo fatto quella scelta perché, vivendo da sola e non potendomi permettere un'automobile, volevo poter accedere comunque agli eventi della città senza pesare troppo su amici e conoscenti cui toccava riaccompagnarmi a casa. Vivendo lì, potevo sempre dire: "Tranquilli, sono a due passi", qualsiasi fosse l'evento cultural-ricreativo in questione, ed era vero. Pagavo poco quella casetta e ci sarei rimasta anche ma era in condizioni non buone. Tuttavia, sono stati anni belli per me in cui ho capito molte cose della vita. Ok, ora resta l'altro 99% da capire, ma dai, ammettiamo che è stato un buon inizio. 

Insomma, per quanto le cose nel mio portafoglio (e per quanto può fregarvene, beninteso) non siano cambiate, e non mi possa ancora permettere, con il mio lavoro, un'auto, l'anno scorso ho avuto comunque l'imperdibile opportunità di cambiare casa e ho scelto di trasferirmi in periferia. Ho vissuto nel quartiere Mirafiori di Torino (quello della FIAT) per i primi vant'anni della mia vita, per cui conoscevo la zona e per me la parola "Mirafiori" più che evocare macchine, smog ed emarginazione, tirava fuori da cilindro quella parola tanto cara a tutti che è: casa

Così, quando, cercando un alloggio, per puro caso sono capitata in un appartamento di quel quartiere, il mio cuore mi ha detto che ero nel posto giusto. 

Ciao! Di solito però non corro con il cappotto buono :)

Qundi ecco, questa è la storia di una persona che dal centro si trasferisce in periferia e indovinate cosa mi è capitato di sentire? "Hey, allora hai fatto bancarotta?". A riprova che la gente un po' tonta lo è davvero. Neanche a dirlo, la risposta, come alla prima domanda, è sempre no, ma la mia consapevolezza di quanti pregiudizi esistano su dove vivi e perché ci vivi siano tanti, la maggior parte da sfatare, è cresciuta sempre più. 

Trasferendomi in questo quartiere, ho imparato a muovermi di nuovo sulle lunghe percorrenze con i tram e, nonostante io non sia più da sola, sono tragitti che chiunque può percorrere in completa autonomia anche fino a tardi la sera, con qualche accorgimento.

Un'altra coincidenza, in questo cambiamento di casa, è stato l'incontro con Alessandra Aires: eccola qui, so che state ammirando anche voi i suoi capelli!

 
Alessandra Aires ho avuto il piacere di conoscerla perché è stata ospite mia e della mia collega Erica in un programma radiofonico che si chiama Pillole Concezionali su Radio Banda Larga


Il tema del Congresso mondiale degli architetti paesaggisti era "Tasting the Lanscape" ovvero gusta, assaggia, prova il paesaggio e Alessandra, tra le altre cose, in quanto presidente dell'AIAPP Piemonte - Associazione Italiana Architettura del Paesaggio, ai nostri microfoni aveva raccontato sia il convegno sia un po' del suo lavoro e del suo percorso. 

A colpirmi particolarmente, era stato il fatto che tra i molti lavori di Alessandra, che è architetto del Paesaggio, c'è l'opera di riqualificazione del parco Colonnetti Nord.


L'opera di riqualificazione di un quartiere come questo è stata impegnativa ma ripagata da alcuni cambiamenti importanti. Il fermento che - nonostante la crisi economica - sta coinvolgendo il quartiere di Mirafiori e in particolare Mirafiori Sud e Borgata Mirafiori è considerevole, qui vi lascio un link per informazioni dettagliate.  

E così ho deciso di contattare ancora una volta Alessandra e di chiederle di accompagnarmi in una passeggiata nel parco per farmi raccontare come è stato lavorare a questo progetto. 

Quello che mi premeva era che questo momento restasse immortalato in qualche modo, per non perderne la memoria e quindi ho chiesto a una fotografa dallo sguardo unico, Marta Pavia, che potete trovare sul web anche come Zuccaviolina e ammirare i suoi scatti, di testimoniare la nostra chiacchierata per mostrarvi come si possa stare bene in quel parco e quanto sia stato emozionante sentirselo raccontare da chi lo ha migliorato negli ultimi quindici anni. 

L'incontro con Alessandra Aires si è trasformato da semplice chiacchierata ad avventura nel bosco, scoperta ed esplorazione di un luogo ricco, anzi ricchissimo di particolari fantastici. 

Mentre lei si inoltrava nel "suo" parco, raccogliendo istintivamente anche una cartaccia (se le cose si capiscono dai dettagli, in quel momento ho realizzato quanto ci tenesse), e Marta scattava fotografie, ho assaporato un momento che mi è parso irripetibile.

Insieme, abbiamo osservato i cavalli di un piccolo Centro Ippico che si trova proprio a ridosso del Colonnetti e che propone lezioni di equitazione ma anche riabilitazione e ippoterapia. Ho scoperto che una volta al Colonnetti c'era un aeroporto e questa cosa molti torinesi non la sanno.  

Ho conosciuto il Dahu, il buffo animale mitologico alpestre con una zampa più corta dell'altra, simbolo delle Universiadi di Torino 2007 che sta a presidiare il campo di atletica che taglia in due il parco - della serie non di soli Glitz e Neve vivono i piemontesi! Abbiamo poi scovato uno strumento poeticissimo e nascosto tra gli alberi che sembra un enorme grammofono e serve per ascoltare i versi degli uccelli. 

Ho ascoltato i nomi di ogni singola pianta che Alessandra conosce a memoria. E ho potuto notare quali stradine nuove sono state create nel parco e leggere tutti i cartelloni informativi che compongono un percorso naturalistico per le scuole e per i curiosi che vogliono conoscere la storia di una parte della città incredibilmente ricca di passato.

Ne avrei tante altre di cose da raccontare, ma tocca a voi scoprirle se andrete a visitare questo quartiere e il suo mondo, all'ombra del Mausoleo della Bela Rosin, tra i palazzi alti, la Fiat, gli orti urbani, la Casa nel Parco, i colori delle foglie e i nuovi abitanti (come me).

Ringrazio ancora una volta Alessandra Aires per aver dedicato del tempo alla mia personale esperienza con la stessa cura che ci mette nel cambiare in meglio gli spazi e le città e Marta Pavia per averci accompagnate in questa camminata e per aver apprezzato la mia pasta e ceci come solo un'amica può fare...

Infine, mi raccomando: correte responsabilmente e se possibile, come tutte le cose, fatelo alla luce del sole.



lunedì 12 dicembre 2016

Chicchi di caffè - parla e taci memoria!

Vladimir Nabokov, speak, memory, Vintage International - Maxim Biller, taci, memoria, L'orma editore
Torna la rubrica dedicata alle mie (personalissime) comparazioni letterarie. Spero che vi divertirete a leggere questi due libri, proprio come è successo a me. Provo un vero gusto infatti nel proporvi questi chicchi di caffè e queste chicche letterarie che possono allietare le vostre ore di lettura e riempiendole di ironia, talvolta sarcasmo oppure malinconiche - appunto - memorie altrui e collettive.

Il primo dei due libri che vedete nella foto per me ha un significato particolare. Ho letto Parla, ricordo per la mia tesi di laurea, un tot di anni fa, incentrata sulle autobiografie in particolare nella letteratura angloamericana. Nabokov con il suo memoir ci rientra a pieno, essendo per eccellenza il russo naturalizzato negli USA, e soprattutto la sua autobiografia è una pietra miliare di quel genere. 

La mia copia è americana ma se lo volete in italiano, Adelphi lo ha pubblicato con una copertina secondo me di pregio.

The cradle rocks above an abyss, and common sense tells us that our existence is but a brief crack of light between two eternities of darkness.

[La culla dondola sopra l'abisso, e il buon senso ci dice che la nostra esistenza non è altro che una piccola crepa di luce tra due infinite oscurità]

Spero mi perdonerete la traduzione un po' artigianale, ma è per trasmettervi il senso. Questo era l'incipit dell'autobiografia di Vladimir Nabokov: un'apertura di quella crepa di luce che lascia spazio alla memoria della sua vita la quale, attraverso immagini e parole, prende corpo in questo libro.
Con un esplicito rimando a quel titolo, ecco apparire nelle nostre librerie nel dicembre 2015 un libro creato appositamente per il pubblico di lettori italiani, per la casa editrice L'orma editore (benemerita promotrice negli ultimi tempi di interessanti pubblicazioni e che ringrazio per avermi spedito il libro, su mia richiesta) che invita quella stessa magnifica e pericolosissima funzione del cervello umano, ossia la memoria, a tacere, anziché parlare.

E il libro in questione è allora taci, memoria, del pirotecnico scrittore tedesco, di origine ceca, classe 1960, Maxim Biller.

Nella curata traduzione di Marco Federici Solari e con la bella copertina di Antonio Almeida, in cui campeggia un autoritratto di Bruno Schulz, questa raccolta di racconti appare in una collana che coltiva l'ingegno dei lettori anche attraverso un gioco finale in cui ogni libro della collana stessa, che si chiama Kreuzville, e questo è il dodicesimo, si trasforma in una piccola ricodificazione grafica in chiave scacchistica: davvero un'idea piacevole: merita avere il libro già solo per questo (trovate il gioco nelle ultime pagine). 

Ma tornando al libro: si tratta di una serie di nove racconti di cui uno prende il titolo dell'intero libro. Sono tutte storie in cui la memoria dell'Olocausto si intreccia con un presente talvolta delirante e soprattutto molto, molto letterario (vi risparmio il name dropping ma gli autori e le citazioni sono innumerevoli). Colpisce, tra tutti, l'ultimo: Nella testa di Bruno Schulz che, come intuibile, mette al centro la figura dell'autore polacco delle Botteghe color cannella - qui colto nell'atto di scrivere una commovente e rivelatrice lettera al suo mentore Thomas Mann. 

"Esimio, stimatissimo, caro signor Thomas Mann", scrisse con una grafia lenta e scrupolosa in un giorno d'autunno sorpendentemente caldo nel novembre 1938 un omino serio e sottile nel suo taccuino - e subito depennò la frase.


E in questo, come in tutti i racconti di Biller inclusi nella raccolta, la proverbiale ironia ebraica si compenetra con il confronto costante e inestinguibile con un passato che assurge a collante e al contempo ponte levatoio tra generazioni. In taci, memoria, ma anche in Un figlio triste per Pollok ci sono padri e figli a confronto nella dialettica classica della poetica ebraica che però ci tocca tutti da vicino: che fare del passato? Come relazionarsi con i padri? Come superarlo e valorizzarlo, rispettarlo e al contempo tenere fede all'unico arduo compito del presente che è quello - a conti fatti - di progettare il futuro?

Vi lascio questo link musicale che si intona con l'incipit nabokoviano! E buona lettura.



 

lunedì 5 dicembre 2016

Scoprire Carlos Ruiz Zafón.


L'uscita dell'ultima parte della tetralogia del cimitero dei libri dimenticati - Il labirinto degli spiriti - creata da Carlos Ruiz Zafón - il conseguente suo arrivo in Italia per raccontare e promuovere il libro - è stata anche l'occasione per un incontro tra l'autore e alcuni blogger e giornalisti.

Ringrazio la casa editrice Mondadori per l'invito che ha reso possibile il mio piccolo viaggio dalla nebbiosa terra sabauda fino alla nebbiosa terra milanese dove si è svolto l'evento.  

Come certi treni della vita, l'opera di questo autore mi era passata di fianco negli anni senza che vi salissi sopra o, più opportunamente nel caso dei libri, ci cascassi dentro. Così quella di ieri è stata prorpio un'occasione inaspettata di conoscenza e di scoperta.

Ho cominciato un mesetto fa prendendo in biblioteca Il gioco dell'angelo (che non è il primo, ma l'unico che avevano nella biblioteca disponibile) e mi sta piacendo molto. Ho cominciato anche la lettura del "labirinto" ma non ho ancora finito. 

Quello che mi ha colpita dai primi assaggi di queste opere è una scrittura corposa e insieme minuziosa (come è spesso rilevabile nelle lunghe narrazioni) e autentica, diretta, non artefatta. Scopro che i personaggi di questi romanzi sono spesso scrittori e che Zafón sembra proprio aver creato uno di quei mondi grandi, grandemente popolati, dove ho notato che le persone amano viaggiare, esplorare, abitare e crescervi. 

Ho ascoltato le domande degli altri partecipanti con interesse e ho formulato la mia che era per forza di cose semplice e poco addentro alla storia. Più una curiosità, in punta di piedi. 

Rilevo a latere che dalle situazioni più all'apparenza neutre, dove ci si pone in una condizione di rispettosi spettatori e in totale ascolto, sono poi quelle da cui si apprende di più. Tanto è vero che alla semplice domanda: "ha intenzione di scrivere altri libri per bambini?" ha fatto seguito qualcosa di più di una semplice risposta di circostanza, è stata piuttosto una piccola lezione sulla scrittura e sull'essere scrittori. Ed eccola qui, rielaborata un pochino:

"Quando scrivevo libri per ragazzi sentivo che c'era qualcosa che non andava, non ero completamente sincero, sentivo di essere fake. Notavo che la condizione di molti scrittori e dunque anche la mia era quella di essere come appesi a una corda che si sta pian piano erodendo e il rischio era, per tutti, di cascare nel dirupo e scomparire. Il timore di tutti gli scrittori (e il mio) era: essere dimenticato e dunque non poter più fare l'unica cosa che sai fare, ovvero appunto lo scrittore. 

In quel momento ho capito qual era il problema. Prima, scrivevo pensando a cosa sarebbe potuto essere notevole per gli altri. Cosa fa vendere, cosa piace. Ma non funzionava affatto. In seguito ho deciso di scrivere solo quello che volevo io, che piaceva a me, così è nata la quadrilogia. Sostanzialmente si scrivono storie per vivere meglio, per vivere di più".

A me le indicazioni sull'autenticità colpiscono sempre molto e valgono per tutti. Questa risposta mi ha regalato molti spunti di riflessione e me la sono portata a casa custodendola gelosamente. Anche le altre risposte sono state degne di nota. Si spaziava dall'ambientazione a Barcellona, alle influenze letterarie, da temi politici a quelli storici. 

Mi ha colpita una risposta sulla comicità di un suo personaggio, in riferimento al quale ci ha ricordato che "il comico è l'unico che può dire la verità, perché nessuno lo prende sul serio. Se dici la verità - e non sei un comico - ti uccidono". 

Ho trovato infine molto toccante la risposta sul personaggio Mauricio Valls - il cattivo per eccellenza. Zafón ci ha tenuto a sottolineare quanto questo tipo di personaggi, nel mondo, siano numerosi. "Personaggi potenti che rubano le vite degli altri o ci passano sopra lasciando dietro di sé strisce di miseria, che calpestano senza porsi alcun tipo di problema pur di prevaricare e la cosa più sorprendente è che ricevono molti consensi, sono applauditi da parecchie persone". 

Dico un'ultima cosa sulle saghe (sulle serie, su tutto ciò che è a puntate): in questo momento della mia vita di lettrice le considero un lusso. Un lusso psicologico che è difficile concedersi, quasi un premio. Mi piace l'idea di poter scegliere quella saga lì, proprio quella e non altre, e accodare al suo autore così tanta fiducia da dedicargli tanto tempo, tanta affezione, tanta attenzione. Per me, è molto, davvero molto difficile farlo ora. Sento la fretta di leggere tutto, diversificare, e cadere di conseguenza nella frettolosità e nella confusione. Un buon proposito per l'anno nuovo, che sembra lontano ma è lì dietro che ci aspetta, potrebbe essere avventurarmi in una di queste lunghe, lente, appassionanti avventure di gente che ne passa di tutti i colori, cresce, afferra una qualche forma di senso, di valore in questa vita o anche solo in quella fatta di parole e immaginazione. Potrei cominciare con Zafón, come hanno fatto negli anni milioni di persone che ne leggono ogni riga con grande passione. 


lunedì 28 novembre 2016

Café au lait - siamo tutti #Robinson


Per la rubrica sulle letture alternative, libri da paesi lontani, editoria indipendente, bibliodiversità, digitale e in generale tutto quello che ti fa dire olè! - ho deciso di dire la mia, casomai ne sentivate l'esigenza, su un nuovo inserto culturale. Parto però da una piccola premessa.

Ho sempre avuto la sindrome del "l'hanno fatto prima di te". Similmente a molti, ho passato tanti anni a proporre idee per articoli e rubriche a giornali ed editori, come ogni buon giovane aspirante scrittore! 

Qualche volta queste idee sono state usate, magari tempo dopo e non da me, però almeno ho avuto la riprova che erano belle. Altre volte erano idee senza valore, ed  stato giusto che non trovassero spazi. Qualche altra volta ancora ho scritto per un po' presso qualche testata e collaborato con qualche editore.

Molto, molto, molto più spesso mi è stato risposto semplicemente: "siamo già pieni", "non c'è budget", "non ci interessa", "abbiamo già i nostri collaboratori". Un classico che in molti si sentono ripetere, ci sta, è normale.

Anche per questo motivo (oltre a mille altre ragioni) quasi nove anni fa ho aperto questo blog. Per avvicinarmi a fare qualcosa che volevo, come volevo, ogni giorno in un non-luogo dove potessi avere io stessa l'autorità di decidere delle mie parole, senza che ci fosse qualcuno assunto prima di me, eternamente più potente di me.

Così fu che, in un panorama web-editoriale in cui si parlava di libri associandoli alle immagini in vettoriale delle copertine, nel 2008 o giù di lì ho pensato di fare un passetto in un'altra direzione, un po' un salto nel buio, e di fotografare direttamente con i miei mezzi i libri che avevo a casa abbinandoli a tazzine di caffè e all'occorrenza altri oggetti domestici. Avevo tratto ispirazione per questa idea dai foodblog che già si comportavano così con il cibo. 

L'unicità ovviamente sta in ciò che si dice, prima ancora che sul come, eppure quella nuova formula: tazzine + libri + pensieri liberi sulla lettura, mi servì a comunicare profondamente con molte persone e a raggiungere tanti lettori ed editori. A oggi, sono ancora parecchie le persone che mi mandano i propri scritti chiedendomi una recensione o una valutazione: ne approfitto per scusarmi per i ritardi mostruosi nelle risposte, sto cercando soluzioni a questa cosa e nell'anno nuovo (marzo circa) ve le racconterò.

Dovete sapere inoltre che in quei giorni a fare questa cosa specifica in rete o sui giornali non c'era nessuno e che da lì in avanti è nata invece la moda di farlo.  Ho la presunzione sensazione (non la certezza per carità) di aver, nel mio piccolo, ispirato molti (sento già la vocina del "fuori i nomi" ma non posso farlo perché ne ho perso il conto, sono troppi, giacché le mode funzionano così e non è che ci sia uno che ha un merito in particolare, non è questo che voglio dire) e per la prima volta comunque ho sperimentato cosa vuol dire fare qualcosa per prima o tra i primi. Fine della sindrome "lo hanno fatto già prima di te", inizio della sindrome "lo fanno dopo di te ma meglio e ci guadagnano".

Così ultimamente me ne sto tranquilla a osservare cosa accade nel mondo, e ad aspettare che nascano nuove idee di modo che io stessa possa ispirarmi agli altri, magari al contrario funziona di più. 

Insomma il mood era questo fino a che domenica in edicola anche io ho comprato l'inserto culturale di Repubblica. Ero curiosa di scoprire qualcosa di nuovo.

Per temi e contenuti, Robinson mi ha dato una grande lezione. Di vita, prima ancora che di scrittura. Ho capito che non importa se qualcuno fa qualcosa prima, dopo o durante te. La cosa importante è fare. La notizia dunque è che nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma.

Ah, già, qualcuno nel 1764 aveva già avuto un'ideuzza su libri e caffeina...

Di inserti culturali dunque ne sono sempre esistiti, ne esistono altri, ne nasceranno altrettanti. Eppure, nasce Robinson. Non so se mi spiego, voglio dire che le possibilità di scrittura, di arte, di argomenti, un po' come si dice delle cose buone come l'amore, si moltiplicano, nascono e rinascono e "il libro degli eventi è sempre aperto a metà". Cito la Szymborska non a caso perché ci sono articoli molto belli su di lei. E c'è un fantastico racconto inedito di Murakami. 

In ogni caso, avevamo fame. Anzi, per l'esattezza, ci sembrava di aver inghiottito il vuoto cosmico, quella era la sensazione. 

Questo l'incipit stupendo e se siete della mia generazione vi ci ritrovete senz'altro. La fame. Non solo quella fisica, di cui nel mondo soffrono veramente le persone, ma anche la fame di spazi, di saperi, di novità, di approfondimento, di lavoro vero. 

In effetti, siamo tutti e sempre e ogni giorno e ancora dei Robinson su un'isola sconosciuta. Stuck in the middle of nothing. E ci tocca, come diceva qualcuno, restare affamati. Ed è quello che farò nel mio piccolo anche io.

E ringrazio le occasioni di apprendimento come questa, molto forti e belle. 

Infine, nell'era del "siamo tutti qualcosa", sento di affermare: "siamo tutti Robinson Crusoe". 
Ops, anche questo l'ha già detto qualcuno prima di me... (qui).

 Qui invece il video in cui Mario Calabresi, il direttore di Repubblica, racconta Robinson in una location a me molto cara, la libreria Luxemburg di Torino. Buona lettura!

lunedì 21 novembre 2016

Il libro del mese - 7-7-2007 di Antonio Manzini

Antonio Manzini, 7-7-2007, Sellerio editore Palermo


"Come li ho fatti i soldi? Ho arrotondato. Ho arrotondato sui carichi di marijuana sequestrati, ho rubato le bustarelle di qualche assessore quando li ho beccati con le mani in pasta, ho rivenduto due quadri, sì! L'ho fatto!" Ma non aveva mai fregato la povera gente, non aveva mai chiuso gli occhi davanti al potente che glielo ordinava. 

Confesso: ho comprato questo libro in un supermercato. Da brava lettrice forte, non sono proprio una fan della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), però al supermercato ci vado e quando c'è da fare la spesa grossa vado in quelli grossi, come la maggioranza della gente. 
Questo libro se ne stava lì sullo scaffale in mezzo alle pubblicazioni mainstream. Di solito non lo faccio. Li guardo, ma raramente li compro. Ne ho comprato uno in Autogrill questa estate e mi ero ripromessa di smettere. Ma questo non potevo lasciarlo lì e rimandare, forse mi sarei scordata di comprarlo in seguito e avrei perso qualcosa di importante. A mia parziale discolpa, dico che c'era un forte sconto...

La colpa è proprio uno dei temi del libro. Che colpe abbiamo quando siamo messi alle strette? Che attenuanti?

Prima però devo dire una cosa. Ho comprato questo libro per il titolo e la copertina. Non conoscevo l'autore e la sua saga noir con protagonista questo antipatico, scorbutico (la sua risposta tipo agli stress della vita è: "sticazzi" tanto per inquadrarlo), vicequestore, romano, di Polizia. Né sapevo che ci fosse una serie televisiva sulle sue avventure. 

Hem, non ho la televisione da tre anni e non me ne vanto!

E la cosa che devo dire è questa: il titolo riporta una data che ha a che fare in modo molto preciso con la mia vita. Non solo sono nata in un giorno con tutti i numeri uguali - 8/8/1980 - ma in quel ormai lontano 7-7-2007 è successo qualcosa che ha cambiato la mia vita in modo irreversibile.

Avevo ventisei anni e vivevo in casa con i miei genitori. Benché avessi già affrontato una buona dose di difficoltà, avevo la fortuna di avere una famiglia di lavoratori e mi stavo impegnando a ricavarmi una nicchia di sicurezza e serenità, pensavo di essere in salvo e mi sbagliavo. Stavo lavorando a una traduzione dall'inglese e di lì a poco dovevo cominciare uno stage (l'ennesimo, ma questo prometteva bene) in un'agenzia di pubblicità. Mi avrebbero pagata anche: ben, se non ricordo male, 250 0 300 euro al mese, ma era per sei mesi e forse chissà, dopo...

Un mese prima di quel giorno di luglio però mia madre ebbe un grave incidente di salute, un ictus e un infarto insieme, e siccome era nel pieno dei suoi anni si può dire che la sua vita fu spezzata a metà da quell'evento. Restò un mese in ospedale di cui due settimane in coma farmacologico. Lasciai a metà la traduzione, ma cominciai lo stesso lo stage e la andavo a trovare in pausa pranzo con mio padre. 

Paradossalmente, il mese di ospedale fu il più semplice. Il difficile cominciò quando, proprio il 7-7-2007 - in una giornata calda e afosa - mia madre tornò a casa. Non parlava più, era diventata afasica e aveva qualche difficoltà di movimento. Io provai quella sensazione che, per assurdo, provano le neo-mamme con il neonato il primo giorno che è a casa: e adesso che faccio?

Divenni, per un anno intero, la mamma di mia mamma. La portai a logopedia, fisioterapia e tutte le cose che finiscono in -ia, la mia agenda era piena come quella di un Presidente degli Stati Uniti. E intanto lavoravo. Passò un anno e mia madre tornò abbastanza in forma, mi occupai delle pratiche per il suo rientro al lavoro, e intanto chiesi al mio capo il part-time (lo stage si era nel mentre trasformato in contratto a progetto). Ero stanca e avevo bisogno di riposare, ma mi fu negato e mi ritrovai a casa e senza un lavoro. 

Ho passato molto tempo a chiedermi perché molti dei miei coetanei avessero la possibilità di vivere la giovinezza, divertirsi, fare figli, uscire, mentre io perdevo opprotunità su opportunità e avevo quella grossa sfida da superare. Dicono che la vita (o Dio per chi ci crede) ti da quello che puoi sopportare, e in effetti tirando fuori un grosso carico di amore e di forza, ce l'ho fatta, mia madre è ancora viva e sta meglio e io sono qui, a raccontarlo. Soprattutto, mi fu chiaro che esistevano sofferenze anche ben più grandi della mia e imparai il senso della gratitudine.

Nel febbraio del 2008, infine, nel pieno della crisi economica, ho aperto questo blog. Nello stesso periodo uscì il mio primo racconto pubblicato su una rivista importante, Nuovi Argomenti, che parlava proprio di ciò che era appena accaduto, ma questa è un'altra storia. 

Tornando a quel 7 luglio fu così intenso per me, per mille ragioni. Pochi giorni dopo ad esempio perdemmo anche il gatto che era stato con noi per 24 anni, fu strano, non piansi mai una piccola lacrima per lui, me la cavavo in un qualche modo. Detta così non si capisce però più di tanto, perché sono sempre i dettagli a fare la differenza e che hanno reso le cose davvero complicate, ma siccome è una storia intima e vera i dettagli li tengo per me. Però ecco quel che voglio comunicare è che quando un titolo ha così a che fare con te, lo compri subito, non aspetti, e lo accatasti amorevolmente tra un surgelato e la carta igienica.

Devo dire che ho fatto bene. Pur avendone scritto uno e pubblicato nel 2013, per chi se lo fosse perso, eccolo qui! non sono una lettrice accanita di noir. 

Lo schema in genere è troppo semplice, ci sono i buoni e i cattivi e si risolve sempre tutto nel lieto fine. In questa storia invece non funziona affatto così. Schiavone è odioso, un mezzo delinquente e non è buono nel senso stretto del termine ma compie il bene per gli altri e questo in un racconto, come nella realtà, è interessante. 

Quante scarpe da ginnastica hai avuto durante le medie? Non lo sai? Non te lo puoi ricordare? Io solo un paio. Prese più grandi di due numeri in prima media e durate fino alla terza!

Questa è la voce di Schiavone. Se l'è vista brutta fin da piccolo, ne ha combinate di tutti i colori  eppure fa il poliziotto. 

Scrivo questo post per chi, come me, si è sentito a lungo in svantaggio e può trovare una buona valvola di sfogo in un romanzo come questo. Se, come Schiavone, vi siete dovuti arrabattare vostro malgrado e al contempo vi siete ritrovati spesso, ad esempio, ad avere a che fare con persone che stavano meglio di voi, sapete di cosa parlo. A differenza sua, non avete senz'altro commesso reati, ma avrete visto un po' come vanno le cose, diciamo che qualche "legge del mondo" avete cominciato a conoscerla.

Una legge che mi pare di aver capito io è infine che dagli svantaggi può sempre nascere qualcosa di buono. Ma è dura. 

L'altra legge che ho capito è che un buon romanzo è sempre una buona idea, che merita cacciare qualche euro in più per comprarsene uno anche al supermercato. In questo ad esempio si segue "lo sbirro" fino ad entrare nella sua testa in una vicenda oscura e tremenda. L'omicidio di un ragazzino della Roma bene ritrovato in una cava di marmo proprio in quel luglio 2007. Il corpo viene scoperto in un laghetto artificiale (pensate che coincidenza, così accade anche nel mio romanzo dove il corpo della vittima si riesuma da un lago artificiale - fine della pubblicità!). 

E da quel momento la vita di Schiavone che ha perso la moglie, nel senso che lei lo molla quando scopre che nel suo passato ci sono alcune macchie, cambia radicalmente e non sarà più la stessa. 

Che dire di altro: mi ci sono affezionata e lo consiglio, è una lettura anche divertente e questo tutto sommato fa bene allo spirito.



giovedì 17 novembre 2016

Tazzina di sakè - La casa dello spirito dorato

Diane Wei Lianf, La casa dello spirito dorato, Guanda

Per la rubrica dedicata alla letteratura orientale di ogni tempo, questo mese di novembre segnalo un romanzo con una protagonista cui non è possibile non affezionarsi. 

L'ambientazione è contemporanea: la Pechino del post-Olimpiadi, siamo praticamente ai giorni nostri e si osserva tra le maglie della trama la città cambiare, allargarsi la forbice tra ricchezza e povertà, tradizione rurale e grattacieli che spuntano come funghi: aspettatevi la Cina di oggi, come ve la immaginate: un luogo affascinante, brulicante e contraddittorio. In piena crescita economica ma, come succede quando si cresce, in piena confusione.

E poi c'è Mei, un'investigatrice privata. Non ci si può credere, ma questi mestieri esistono sul serio e l'autrice neanche per un attimo disattente la verosimiglianza. Cascate nella storia dalle prime riche e le accordate tutta la vostra fiducia:

Mei aveva sentito dire che la Pillola dello Spirito Dorato aveva il potere di curare i cuori infranti. Non ci credeva. Era una leggenda, una storia cara alle vecchiette che masticavano semi di girasole arrostiti nei cortili delle case. Non riusciva a credere a una cosa simile, proprio come non riusciva a credere che dal respiro di Duhuang fosse nato l'universo. Era una donna di trentadue anni, moderna istruita e razionale. Se dalle pene d'amore passate aveva imparato qualcosa era che niente, salvo il tempo, può guarire un cuore infranto. Era proprio lì che si sbagliava. 

In bilico tra immaginazione e realismo, Diane Wei Liang fa sì che Mei si ritrovi a indagare sui misteri che ruotano attorno alla casa farmaceutica che produce questa fantomatica pillola, la Casa dello Spirito Dorato e scoprire lei stessa se è vero che questa medicina miracolosa fa quello che promette. In tutto questo, la trama è un noir tradizionale, aspettatevi bagni di sangue, intrighi, emozioni forti. Ma anche sapienza narrativa e puro intrattenimento. 
L'autrice poi ha una storia particolare a sua volta: parte della sua infanzia l'ha vissuta in un campo di lavoro e mentre studiava psicologia ha preso parte alle proteste di piazza Tienanmen e di conseguenza si è dovuta trasferire negli Stati Uniti. 

Non sempre la vita di un autore influisce in qualche modo sulla sua opera ma in questo caso credo di sì, non tanto per le tematiche quanto per l'impatto forte delle parole e la capacità introspettiva.

[Traduzione di Stefania De Franco, copertina di Guido Scarabottolo - romanzo inviato dall'editore, che ringrazio!]

lunedì 14 novembre 2016

#Diariodicorso - una giornata da Zandegù con Elena Varvello


Nell'eterna querelle - corsi di scrittura sì, corsi di scrittura no - mi schiero e dico sì. Capisco ovvero le ragioni del no e condivido sul fatto che l'autenticità di un autore prescinde da qualsiasi insegnamento, ma credo che i corsi di scrittura siano utili ad aiutare la voce a uscire in modo chiaro dal petto di quello stesso autore. 

Meglio e prima che se questi venisse lasciato a se stesso. E lo dico da persona che con i corsi in generale non ha un buon rapporto né fortuna. Ho frequentato un Master, è vero, ma in "progettazione editoriale", quindi ho ascoltato un sacco di lezioni tecniche sulla filiera dell'editoria e solo poche ore di creative writing. E ho frequentato un mini-corso alla Holden nel '99 (del secolo e millennio scorsi) ma troppo breve e sono passati tanti anni oramai. Aggiungo che quando mi è stato proposto di tenere io in prima persona dei corsi, la maggior parte delle volte qualcosa è andato storto o si erano iscritte troppo poche persone - tranne a un corso di aikido in un asilo infantile, sempre nel '99 (si vede che ero ispirata) che fu un successone!  

Insomma, sul tema corsi di scrittura e letteratura in generale ho tantissimo da capire e soprattutto da imparare. Potrei odiarli, della serie "la volpe e l'uva" e invece ne sono una sostenitrice. Perché sono utili.

E non sono utili solo da un punto di vista tecnico: per quanto siano decisivi a mettere in chiaro concetti fondamentali per la costruzione di un'opera letteraria, nella fattispecie romanzi e racconti, ma lo sono anche per ricaricare le energie e passare parecchie ore concentrati e insieme a propri simili, senza altre pressanti distrazioni o doveri, se non verso la propria opera (opportunità talmente rara da essere preziosa come l'oro). 

Se è vero infatti che lo scrittore si nutre spesso e volentieri di "altro" rispetto ai libri (ed è ciò che la tendenza crossdisciplinare degli ultimi tempi sostiene e fortifica), è altrettanto vero che un sano confronto, o anche solo semplicemente la possibilità di condividere pasti e pause caffè, con scrittori alle prime armi o affermati non importa, ma con scrittori, a uno scrittore non può che giovare. 

Soprattutto data la natura solitaria e introversa del mestiere. Naturalmente, lunga vita a chi sceglie invece (o chi non può scegliere ed è costretto a portare avanti) un percorso da autodidatta. Una volta non c'erano queste opportunità ed è nato Proust! (Non c'era nemmeno il Ventolin, però, che forse gli avrebbe cambiato la vita in meglio).

Dopo averci pensato a lungo, infatti, mi metto nel gruppo di quelle persone che pensano che gli strumenti e i vantaggi del progresso e della contemporaneità rendano migliore la condizione degli artisti e quindi delle opere. Sono, per restare nell'esempio, di quelli che pensano che Proust con corsi di scrittura, psicoterapia e ottimi dispositivi antiasma avrebbe scritto ancora meglio. Non credo in definitiva che il genio venga dallo svantaggio, ma che sia meglio coltivato nei vantaggi. Liberi di pensare il contrario ma ecco, ho detto la mia. E la mia posizione non sempre è stata vantaggiosa, anche qui potrei preferire il lato oscuro ma non è così, per niente. 

Naturalmente, non c'è una corrispondenza biunivoca: ahimé, i corsi di scrittura non sfornano talenti. Lasciate ogni speranza voi che entrate in una scuola di scrittura. Se non c'è talento, vocazione, amore puro per le parole e le storie, non te lo infondono i maestri. Insomma, è un'antica questione con cui fare i conti. 

Fatta questa premessina, ecco che vi racconto: sabato scorso sono stata ospite dei cari amici della casa editrice Zandegù

Ho avuto  l'opportunità di assistere e partecipare a una lezione della scrittrice Elena Varvello. 

Sono stare ore magnifiche, ma, neanche a dirlo, non è che dopo averla ascoltata, si imparano a scrivere libri come questo... 

Eppure si attinge dalla sua professionalità e si mettono in borsa alcuni attrezzi che possono in seguito essere utili a comporre, umilmente, in solitudine la propria, di storia. E non è poco.
Il tema del corso che ho seguito io era "il narratore". Ho raccontato qualcosa in tempo reale su twitter con l'hashtag #diariodicorso ma non vi voglio svelare i contenuti della lezione. Vi tocca iscrivervi! 

Posso dirvi come mi sono sentita io, che è tutto quello che so. Mi sono sentita bene. E alla fine ero stanchissima, come dopo una giornata di intenso lavoro. La sera prima avevo preparato i vestiti da mettere, come al primo giorno di scuola, e sentivo quel morso alla pancia di paura e felicità. Mettere in ordine le informazioni  mentre Elena spiegava mi ha restituito un senso di responsabilità verso la mia stessa scrittura, di serietà e di piacere. Ho pensato che è un mestiere faticoso, che poco ha a che fare con il "successo" e molto con il mistero, l'impegno e il senso delle cose. 

Ho infine amato molto il luogo, la #zandecasa. Uno spazio - sede della casa editrice e dei corsi - che sa di nuovo, una casa da poco inaugurata, tutta bianca - cosa che dava quel senso di sacralità rituale che secondo me hanno questo genere di incontri, quando riescono - ma anche piena di colori. Si sta bene da quelle parti e vi cosiglio sinceramente di passarli a trovare in Via Exilles 18 a Torino. 

Una precisazione: i corsi Zandegù non sono solo per aspiranti scrittori o narratori letterari, ma trattano diversi aspetti della scrittura e del lavoro per cui vi consiglio di sbirciare il loro sito e trovare quello che fa per voi. 

Un'ultima cosa carina: tra i partecipanti al corso, c'era anche Matteo Bertone che oltre a essere un amico, è uno scrittore e illustratore che merita. Matteo tra l'altro presenta questa sera proprio Elena Varvello presso la libreria Mondadori di Vercelli, per cui, se potete, fate un salto ad ascoltarli!






venerdì 11 novembre 2016

My cup of caffè

Don DeLillo, L'uomo che cade, Einaudi

Dopo il risultato delle elezioni americane tocca fare come quando tu o quelli a cui vuoi bene fate qualcosa che non va: continuare a volerti e a voler loro bene lo stesso, e amen. Lo dico perché l'America (del Nord e del Sud) è un posto cui sono legata, che ho studiato e che rispetto. Le letture più importanti della mia vita vengono da lì, e DeLillo è una di quelle.

Siccome questa rubrica riguarda proprio le mie letture angloamericane (che è ciò in cui mi sono laureata e con cui sono diventata adulta) il dubbio mi è venuto: che fare? Su Trump e Clinton si sono scritti fiumi di inchiostro e io non sono certo una politologa.


Purtroppo non si trova più in rete, ma quando uscì Punto Omega ci scrissi, nel 2010, uno dei "post" di cui andavo più fiera, su una rivista indipendente online che si chiamava Indie Riviera.


Da Body Art nel 2001 rimasi molto colpita, mentre sono un po' più ignorante sulle prime opere, di cui ho un ricordo da studentessa ma meno attuale. 

Credo contestualmente di essere una delle poche persone al mondo a non aver ancora letto Zero K (tradotto a quanto pare magistralmente da Federica Aceto), DeLillo è stato a Torino, presentato da Culicchia (che ha presentato anche me, giuro è vero) almeno a giudicare dall'Internet e dalle infinite condivisioni di informazioni e articoli su quel libro. Rimedierò, ma intanto mi è successa questa cosa. 

Dovete sapere che L'uomo che cade è in assoluto il primo libro che è apparso su questo blog. 

Ho aperto il blog il 14 febbraio 2008 e il 15 parlavo di questo romanzo in due sole righe, prima ancora di iscrivermi a twitter e di affacciarmi dunque alla sua forzata brevità, ecco qui il mini-post. 

Poi mi è accaduto il 9 novembre di quest'anno di guardarlo sbucare dalla mia libreria (uno dei pochi libri risparmiati dal topo, per saperne di più, guardate qui ).

Ci penso un attimo e capisco che il 9/11 è l'opposto dell'11/9, che è il tema del romanzo stesso.

L'uomo che cade, cade dalle Torri Gemelle e la storia di questo libro è tutta lì, in quell'episodio che ha cambiato (forse) il mondo. 

Ognuno di noi ha il suo ricordo di quel giorno, io (perdonatemi l'autoreferenzialità di questo blog) avevo 21 anni e quel pomeriggio dovevo rispondere a un'intervista radiofonica perché avevo scritto un articolo su Marie Claire che parlava di "biotipologie", va a sapere che sono, non me lo ricordo più. E così lo speaker (non mi ricordo manco la radio) voleva saperne di più e mi telefonò. Parlavamo quel pomeriggio di sole come reduci - soli - nell'Universo perché nessuno ha mai ascoltato, credo, quella conversazione radiofonica, dal momento che tutti, ma proprio tutti quelli che ce l'avevano erano incollati alla tv per capire che diavolo stesse succedendo.

DeLillo infine con questo romanzo interlocutorio e doveroso fa quello che deve fare uno scrittore: ha preso quei fatti, enormi, di una complessità senza rimedio; li ha digeriti, rielaborati e confezionati in una forma d'arte fruibile per noi comuni mortali. 

Le prime tre pagine sono la perfezione letteraria pura (non ho idea di come sia Zero K ma se è così, ottimo auspicio!). E dunque il libro si suddivide in tre parti, ed esplora tre tematiche: la storia di una famiglia, come si dice, "disfunzionale", la storia intima e impietosa dei terroristi e la storia di un artista. 

Questo libro è un messaggio piuttosto chiaro del suo autore che, non saprei dirlo con parole meno semplici, punta all'essenziale, al "punto omega". Per me, risente, o trae giovamento, di un lavoro di lima serio, intimo e definitivo. Questa è la voce di un autore che torna al nocciolo delle radici della base della sua scrittura e della scrittura di tutti, punta e si consuma nell'universalità che ci tocca tutti. Lo fa a partire da qui, forse un po' prima, e a quanto pare lo fa per arrivare a Zero K. 

E se non è un messaggio, è senz'altro una dichiarazione di intenti e una indicazione stilistica. 
Non lo so, ma credo che funzioni proprio come gli affetti più cari: ti vuoi bene solo cambiando. Continuo a voler bene a quella parte di mondo che per me ha significato così tanto, nonostante tutto. So che è un sentire comune, vediamo cosa succederà. Intanto è morto Leonard Cohen, vi lascio con un suo brano. Buon ascolto.



mercoledì 9 novembre 2016

Taccuino-di-caffè - una novità!


Cari amici, ci ho pensato un po' e visto che va un sacco di moda e - udite udite - soprattutto in vista di alcuni epici ed epocali cambiamenti (scherzo eh) che ci saranno per voi amati lettori di questo blog dall'anno nuovo, ho deciso di introdurre una piccola novità!

Il nostro beneamato taccuino settimanale di notizie libresche, editoriali internettiane (e non) si trasforma e diventa una newsletter! 

Insomma se vi iscrivete - neanche da dirlo, ma naturalmente gratis, cioè non vi arrivano le pentole di Mastrota a casa se cliccate -----> qui, dal prossimo mercoledì potete leggere le mie notiziole, i miei pensieri, monologhi interiori e stream of consciousness vari e soprattutto gli eventi che mi riguardano o che mi colpiscono del mondo della scrittura mondiale direttamente nella vostra casella di posta.

Beh, sono proprio contenta! Che dire? Buone letture

martedì 8 novembre 2016

Post del cuore: quando un libro è più di un libro ma la realizzazione di un sogno

Katia Bernardi, Funne - le ragazze che sognavano il mare, Mondadori

Questo è senz'altro più di un libro e mi fa piacere dunque raccontarvelo in questa rubrica che ho chiamato "post del cuore". Mi preme infatti l'obiettivo di restituire ad alcune parole il loro senso più autentico (modesto no come proposito?). Ovvero: il cuore, un po' come i sogni, si è trasformato nel tempo, favorito dall'Internet forse o dal cinismo imperante, chi lo sa, in un concetto astratto, mentale e dunque all'apparenza stucchevole. Invece per quanto mi riguarda ho scoperto che tutto sommato il cuore è anche un criterio, oltre a un muscolo, che con i suoi movimenti guida le scelte, in definitiva tutta la vita. 

Questo libro l'ho scoperto da un amico e ringrazio l'editore che me lo ha inviato. Ma forse presto o tardi l'avrei incontrato per vie traverse, per conto mio e mi ci sarei immersa dentro, come in un'onda marina benevola. 

 Dicevo che è più di un libro perché Funne è anche un documentario, anzi nasce proprio come progetto audiovisivo. Vi inserisco qui il teaser del documentario che, completo, è stato presentato ufficialmente il 22 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. 

L'autrice di entrambi i progetti si chiama Katia Bernardi, di lei sappiamo che è di origine trentina e che per far avverare i sogni indossa un berretto giallo (che si vede nella sua foto in quarta di copertina).

Insomma tutta questa storia è talmente bella e delicata e tenera, ma anche seria e professionale, che a me ha smosso e toccato il cuore e la fantasia.

A partire dalla dedica che, tra le altre cose, dice:

A tutte le Funne di Daone, perché i sogni non hanno età e, davvero, non è mai troppo tardi. 

Ma chi sono le Funne? E qual è il loro piccolo sogno che diventa così grande da avverarsi?

Le funne (che vuol dire "donne") sono alcune signore tutte sull'ottantina, abitanti di Daone, un paesello sperduto tra le montagne del Trentino, 588 anime contate e poche, molto poche cose da fare. Per questo, la gran parte della vita sociale delle anziane del paese confluisce nel Rododendro, un circolo per pensionati che più normale non si può immaginare. Tombole, briscole, balli lisci e mini gite fuori porta: poco spazio per fantasticare. 

Tutto tranquillo, peccato che la crisi economica colpisca spesso dove fa più male, e così anche le casse del  Rododendro piangono: tocca inventarsi qualcosa per finanziarne le già scarne attività. 

Da quel momento in avanti succede qualcosa che mi piace sempre trovare nelle storie che funzionano, e che secondo me dà senso a tutto quanto (cioè le nostre vite): la crisi diventa l'occasione per far lavorare l'immaginazione, accende gli animi e più le cose si fanno difficili più energie tocca mettere in azione. Di lavoro dunque si tratta, quindi niente scorciatoie, però è bello, è una fatica bella. E così nascono le idee. 

Come siano poi arrivate a desiderare di vedere il mare, loro che non lo avevano mai visto, è la trama stessa del libro e del documentario, che lascio al gusto di chi leggerà e guarderà. 

"Al mare" sussurrò con una vocina flebile la dolce Irma.
"Al mare" ripetè poi con un tono poco più forte.
Calò il silenzio nella sala del Rododendro quel mercoledì mattina. La parola 'mare' tolse a tutte il fiato. Davvero. Per un lungo istante non si udì alcun rumore. Solo, in lontananza, il rumore del mare.

Ora, sul finire di questo post, pensate a un posto. Concentratevi, magari a occhi chiusi per qualche secondo. Quel è il vostro posto del cuore? Potrebbe essere anche un tempo o qualcosa che ancora non sapete di volere o che nemmeno esista per voi. Qual è il vostro mare?

Pensateci, sognatelo e magari seguite l'esempio di Katia e del suo berretto giallo per avverarlo, leggendo come ha fatto lei e come hanno fatto loro. 


giovedì 3 novembre 2016

Taccuino di caffè


Chi va piano va sano e va taccuino! Ed eccomi qui a fine giornata a segnalarvi le tre cose della settimana che mi hanno colpita. Alert: compilare questo taccuino da un lato è semplicissimo (il mondo è pieno di cose belle e che colpiscono!) dall'altro, lo ammetto, è sempre più difficile. All'inizio, nella notte dei tempi, era semplice: non c'era un ciufolo di niente in giro (non è vero, ma per capirci) ed era un gioco da ragazzi tirare fuori ogni settimana qualcosa di originale. Adesso il web non dico che è saturo di notizie e cose belle ma addirittura ne è stracolmo: blog, siti, social tutto pullula di cose, cose, cose. Gente, gente, gente, pensieri, sorrisi, libri, facce, arcobaleni, fiori e fauna rigogliosa, sovrabbondante, eterogenea eppure incredibilmente uniforme: tutti facciamo la stessa cosa. Quasi tutti. Guardo gli youtuber, ad esempio, e scopro che all'estero (ma cos'è l'estero visto che le loro case, voci, cose risuonano nelle nostre manco fosse una magia degli zingari di Cent'anni di solitudine?) ce ne sono parecchi prenennemente connessi, che raccontano e filmano la gran parte della propria vita, da quando ancora assonnati dormicchiano nel letto fino a cosa mangiano a cena e al momento di tornare a dormire. Tutto è sotto l'occhio della videocamera (che non si chiama più così, ovviamente), si sentono di dire ciò che indossano, ciò che pensano, come stanno in ogni istante. E totalizzano milioni ( m i l i o n i) di visualizzazioni ogni giorno. Questo è il futuro? Mi piace? Sono domande che vi farete immagino anche voi. La risposta è non lo so, è chiaro. Magari il futuro non è questo ed è invece una minuzia che spunta domani mattina e rimescola le carte, e noi non ne sappiamo ancora niente. 

In attesa di queststo futurino simpatico e innocente, tornando coi piedi per terra, ecco le tre notizie dunque, perché credo che alla fin fine la reazione, ovvero la risposta immediata al mare magnum di cose, cose, sia mettere saldamente addosso le proprie lenti e con esse osservare:

1) Ahahahahah Naturalmente, nella migliore delle tradizioni, ho scritto ahahahaha restando serissima e fissando torvamente il pc, ma questa notizia mi ha fatto davvero un po' ridere, però con un po' di preoccupazione addosso, magari condividendola con voi mi sentirò meglio: su Literary Hub ho letto questo esilarante articolo. A seconda delle dichiarazioni raccolte da più fonti, la giornalista ha stilato un elenco delle letture dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Si notano talune divergenze. La mia risata è scattata alla seconda lettura preferita di Donald Trump. Leggetelo, è in iglese ma piuttosto chiaro... 

"Bambino", il gatto di Mark Twain
2) Animali e scrittura Questo è un tema che mi affascina tanto, scivo tanti racconti sugli animali e altrettanti ne leggo (l'ultima mia passione a tal proposito è stato il Bestiario di Dino Buzzati, me ne sono innamorata). Per caso, ma qualcuno direbbe che il caso non esiste, mi sono imbattuta in questo bellissimo articolo di Maria Popova (molti forse la conosceranno, è la regina del blogging letterario), eccolo qua, un excursus su scrittori e rispettivi pet! 

3) Audiolibri in biblioteca Riprendo la notizia da Il Libraio.it, eccola qui.  Una benemerita biblioteca civica, quella di Cesano Maderno, sta portando avanti un bel progetto di lettura tramite audiobook che meriterebbe di essere diffuda in tutte le biblioteche italiane.

Buona lettura a tutti!