martedì 31 dicembre 2013

Finire (e iniziare) l'anno nuovo con splendore (serietà) e fili di lana.

Margaret Mazzantini, Splendore, Mondadori


Qualche giorno fa avrei dovuto incontrare Margaret Mazzantini a Milano insieme ad altre blogger :) Ho però avuto un piccolo contrattempo e ci sono andata solo con lo spirito e in contumacia. Ringrazio l'editore per il gentile invito. E rimando per le domande e risposte e le fotografie al bel resoconto degli amici di Critica Letteraria, qui!

Per me Margaret Mazzantini, come scrittrice, ha un particolare significato. Qualche anno fa mi interrogavo tantissimo sull'esigenza, inevitabile per qualsiasi scrittore (o artista in generale) di trovare la propria voce. Era come se avessi l'otite, non riuscivo a sentire la mia, considerato che questa voce deve esserci a qualsiasi livello di talento, per qualsiasi scrittore.

Insomma, un silenzio totale. 

Una mia amica in quel periodo mi aveva regalato Venuto al mondo. E lì - al di là della qualità letteraria che non è questa la sede per esaminare - ho sentito tra quelle pagine, volendo leggere un'autrice contemporanea, proprio una voce profonda, serrata e decisa. Quello che cercavo, sia come lettrice che come aspirante scrittrice. 

Per me, da allora, la Mazzantini è "The Voice", colei che si esprime con una voce riconoscibile. Impossibile affermare il contrario.

Quindi quando mi si è presentata l'occasione di incontrarla e di leggere il suo ultimo romanzo sono stata contenta. E voglio iniziare l'anno così. Con Splendore, con il suono di una bella voce forte e chiara che prende posizione.

Splendore è una struggente storia d'amore, proustiana, dove tutti i Frammenti di un discorso amoroso prendono forma attraverso due anime destinate a incontrarsi e separarsi in eterno, e che tocca due vite umane dagli anni Sessanta a oggi. 

Lo "splendore" del titolo vuol dire tante cose. Una volta è un'età, una volta una città, una volta un corpo, una volta un'emozione, un sentimento. 

Ed è così che vorrei proprio finire e cominciare. 

Lo splendore di incantarsi di fronte alla bellezza, al mistero della vita che prende così tante forme diverse e non si arresta mai. 

Lo splendore che ha a che fare con la luce. E dunque con le ombre, e con il fare chiarezza dove c'è oscurità. 

Ecco perché per il mio 2014 ho fatto un gioco: ho preso due fili di lana e me li sono legati al polso. Due fili che corrispondono alle due parole che vorrei mi accompagnassero per tutto l'anno. Una è proprio "splendore". L'altra è "serietà". 

Non nel senso di rinuncia alla leggerezza... Al contrario.

Serietà, come splendore, può significare tante cose. Dal saldare tutti i propri debiti, al dire ciò che si pensa agli amici. All'aspettare l'amore senza paura, senza ingannarsi, all'onorare gli impegni e gli orari. All'essere autentici, a costo di soffrire, a essere precisi e ordinati, al dire "il re è nudo", al lavorare su compenso, al rifiutare le trappole, al non sfruttare gli altri, al rimanere integri. 

Al diventare autonomi.

Ah. Si diventa sempre molto ambiziosi a Capodanno. Ma ci sta. Le feste servono anche a questo, a sperimentare il miracolo della rinascita. Dell'impegnarsi.  Come se fosse la prima volta di tutto. 

E io lo trovo bellissimo.

E volevo anche dire un infinito GRAZIE a tutti quelli che passano da qui a legere questo blog, a chi mi scrive e mi incoraggia. 

Che il 2014 sia seriamente splendido anche per voi!


P.s. Altro consiglio di lettura per l'anno nuovo: 


Primo Levi, Storie naturali, Einaudi (quella edizione che vedete l'avevo trovata su Repubblica mi pare qualche anno fa...).






giovedì 26 dicembre 2013

Regali di Natale, libri, stelle, abissi marini, Chaplin e altri contrattempi vari.


Uno dei più bei regali di questo Natale mi è arrivato da Caffè Vergnano! 

Che dire: tantissima gioia. E grazie anche a questa macchina del caffè con questo bel design - tra i primi doni natalizi entrati nella mia nuova casa - mi sono messa lì a far funzionare qualcosa di utile con le mie mani. Che fatica, e che facile... 

Ed ecco il mio post di Natale con i consigli di lettura. Anche se è già Santo Stefano e mi spiace. Ma è pur vero che questo controtempo è un po' simbolico per me. Sto rincorrendo del tempo perduto e insieme ritrovandone uno lentissimo così antico, bianco e marino (come le storie che seguono). Che strana la vita. Tutta una questione di scelte, di conseguenze, di casualità.

E a proposito di scelte, questi sono i libri che ho scelto in questi ultimi mesi.

Vi avviso: sono uno più bello dell'altro, destinatevene almeno uno per le vacanze, secondo me ne sarete contenti!

Italo Calvino, Le Cosmicomiche, Mondadori

Non ci sono parole adatte. ma bisogna pur provarci. Rarefatte, ironiche, delicate avventure ambientate nello spazio-tempo infinito. Qfwfq è il protagonista, una sorta di tutti e nessuno che è stato tutto e tutti e lo racconta. Ogni storia è anticipata da una teoria cosmologica. Se leggete La spirale, ad esempio, incontrerete una delle più dolci storie d'amore mai pensate. Per non parlare di tutti gli altri. Queste storie sono nel cielo, sono scolpite nelle stelle, e fanno moltissimo ridere. Le amerete. Poi ieri ho scoperto che alcuni pesci, alcuni esseri che abitano gli abissi marini hanno delle lucine, fanno luce, per diversi motivi scientifici seri. Sicché il fondo più profondo degli oceani è molto simile allo spazio e ai suoi corpi celesti. Che incredibile paradosso (e comunque w i documentari di Natale!). Dunque, dopo un libro sullo spazio infinito, segue un libro di mare.

Erri De Luca, Storia di Irene, Feltrinelli

Ah questo quanto mi ha colpita. Non avevo mai letto niente di lui. Avete presente quando i gatti di colpo fissano il vuoto e socchiudono la bocca come se ispezionassero l'aria? Ecco, mi ha lasciata così. Questa è la storia di una ragazzina in dialogo con un protagonista avanti con l'età in un piccolo posto di mare. Irene è cresciuta con i delfini. E questo è tutto ciò che vi basta sapere per cominciare questa avventura.

Glen David Gold, Sunnyside, LiberAria

Non so se l'ho già detto, ma ho una venerazione per Chaplin assoluta. Vorrei potergli parlare. Erano sei mesi che aspettavo di leggere questo libro, è una cosa immensa, e ne vale tutta la pena. Sunnyside è un cortometraggio con Charlot, titolo italiano: Charlot in campagna. 
Ed è il titolo di un romanzo, questo, che si basa su un fatto vero e adorabile: in una sola giornata del 1916 Charlie Chaplin viene avvistato in almeno 800 posti diversi. Ma come è stato possibile?

Grace Paley, Piccoli contrattempi del vivere, Einaudi

Secondo me questo titolo è sempre valso da solo il prezzo del biglietto. Ma poi i racconti sono fulminanti e stranissimi. Vincitrice del National Book Award nel 1994, proprio con questa raccolta, Grace Paley cuce queste vicende molto femminili con il filo raro e prezioso dell'ironia. Con lei capita di sperimentare i "qualia" (di cui ho sentito parlare all'incontro con Calasso di qualche post fa...) ovvero "piccoli eventi atomici della mente in cui prende forma la qualità". Uau. Ed è proprio così.
Quindi, come si dice in questi casi, se non ci sentiamo prima, ci si vede nel 2014!! E buone letture!

c\_/

martedì 24 dicembre 2013

Raccontino di Natale - Natività.


Ed ecco il mio raccontino di Natale! 

Tanti auguri a tutti.


Sarei rimasto dentro molto più a lungo. Avrei prolungato l’attesa all’infinito. Non tanto per il senso di protezione che mi dava quel posto, che pure era consistente, quanto perché in verità non immaginavo proprio per niente che là fuori qualcuno si aspettasse – davvero – qualcosa da me. Stavo bene. Ma neanche bene. Stavo in pace. Sono un fiore nel deserto. Pensavo, sono una quasi-stella.

Mi piaceva, anzi no: mi rassicurava. E al tempo stesso tutto era così frastagliato, da mettere a posto come pezzi di un tangram. Avevo costruito una cucina immaginaria con piastrelle fatte di carta. Cose così, cose strane, fantasie che potevo permettermi, appunto, perché mi credevo solo, mi credevo sostituibile, vano e senza impegni.

– Solo per inciso, per tornare a tutta questa idea di me, a quando è stata concepita, dico che non era il caso che mi generassero. Loro due erano giovani, studiavano, non studiavano, si volevano, volevano me, e io non lo sapevo. Non volevo nascere, come nessuno vuole. Vivevano da soli, ciascuno per conto proprio. In piccole case-capanne con bicchieri singoli, tostapani arrugginiti, coperte di lana lise e piantine rigogliose, si chiamavano “amore” uno con l’altra come se non avessero un vero nome proprio, il che mi pareva davvero molto peculiare: non sentivo niente, eppure sentivo tutto quello che era allora  in mio potere di sentire.  –


Tutto pensavo tranne che uscendo avrei pianto. Tossivo dentro, respiravo lentamente e tossivo. Non avevo mai versato una lacrima, in solitudine. Difficilmente si piange da soli. Piangere è collettivo, è plurale, come mangiare. Infatti, lì, non mangiavo. Il cibo mi arrivava con un flusso splendidamente spontaneo, come la posta pneumatica. Tutto sapeva di antico, di giusto, e tutti i cibi di mia madre, di mia nonna, avevano una loro poesia, anche quelli più indigesti, anche la peperonata, il fritto misto, il profitterol, in quella mia magia della trasformazione erano niente altro che un nettare divino.

Da soli si resiste a tutto, si diventa forti. Mi sono chiesto perché tutto quel tempo a diventare forte, per poi crollare in un solo istante. A piangere con disperazione. In mezzo a tutte quelle lacrime.
C’era sangue e mia madre piangeva anche lei, mio padre mi ha preso tra le braccia e mi osservava come si guarda una persona che soffre ma che ha un bellissimo volto lo stesso.

Mi hanno visto uscire dalla sua pancia come un pesce. Tutti dicono che nascere è come essere pesci che di colpo devono vivere sulla terraferma.

Come si respira? Come si mangia? Troppo, troppo difficile, da piangere davvero. Ecco perché si piange.

Ma perché? Io dico. Perché quel male, quel freddo, quelle luci fredde, quelle fasce. Quel sapone, quelle polveri, quella compagnia perenne di sconosciuti.

Ora era il mio turno di qualcosa. Si capiva benissimo. Toccava a me fare. Assistere muto a quei doni scintillanti che mi venivano portati da tutte quelle mani screpolate, quei nasi rossi per il freddo di dicembre.

Non ho mai voluto nascere, ora mi toccava addirittura vivere tra la gente. Fare qualcosa per queste anime in pena, donargli una luce più splendente, una piccola speranza, una risposta. All’inizio bastavano i miei sguardi, i miei sorrisi li riempivano di gioia. Dopo poco, è stato necessario parlare. 

domenica 22 dicembre 2013

Altrove!


Rolando Alberti, L'estremamente magico, Miraggi 

Miriam Toews, Un tipo a posto, Marcos Y Marcos

Eccomi-mi qua!

(per citare il vecchio nome di questo blog che qualcuno mi chiede che voleva dire: ahh misteri)! 

Questo ne avrebbe tutta l'aria, considerato il giorno in prossimità, ma non è ancora il mio post di Natale, che sta - legittimamente a ben pensarci - richiedendo tempi veramente... biblici. 

Ma perché ne faccio due: uno di libri (non che questo non lo sia) e uno con un racconto festivo.

Nel mentre, prima di parlarvi anche di un certo Splendore: "ho deciso di perdermi nel mondo" e soprattutto di lasciare che "le cose mi portino altrove, non importa dove". 

Quindi, con questa canzone che è la rappresentazione per antonomasia ormai per molti della parola altrove nelle orecchie, nel bel mezzo della frenesia delle quasi-feste, della fine per me di un lungo trasloco, di mille cose etc. etc., ho ritrovato una calma bellissima e ho letto questi due bei libri.

Ringrazio gli editori per avermene fatto dono*. 

Uno. 

L'estremamente magico. Titolo fantastico. Questo libro, che è una raccolta di piccoli testi - ai confini tra la poesia e la magia in effetti - mi ha estremamente colpita; 

la storia, se così si può dire, è quella di un bambino che nasce e cresce e diventa uomo in un piccolo paesino delle Alpi Apuane. Storia vera, dell'autore di questi versi, che eredita il mestiere del padre, pastore di capre in alta quota. 

Da lì, e solo da lì, Rolando Alberti riesce a comporre, in un italiano personalissimo, talvolta deliziosamente "sbagliato", i suoi versi. Che sono più che altro pensieri fulminanti, suggestioni magnifiche. Che scivolano dentro il cuore, e lo trafiggono. 

"Timida è la montagna,
che rossa diventa al giungere dell'inverno.
Gialle foglie ricoprono terre impervie.
L'oscura aria complice si è fatta
di una sera perenne,
in una giornata addobbata da arie scirocche.
E un sentiero mi invento tra pietre ed erbe secche,
per abbreviare il destino che dinanzi ho posto".

E così, ma anche molto di più. Leggetelo, perdetevi nella sua mente pura e cristallina e innocente. (Ottima curatela di Enrico Medda e Guglielmo Fiamma, con una sua intervista anche).

Due. 

Lei è un'autrice molto interessante. Ha scritto cinque romanzi, questo è il secondo che leggo, l'altro era Mi chiamo Irma Voth, sempre Marcos Y Marcos, che faceva eco alla sua esperienza con il cinema, ovvero una sua partecipazione nel film Luz silenciosa: io dico che è notevole, osservate questa clip con il trailer! 

Senza contare che questa scrittrice ha vinto (come si apprende dal risvolto di copertina) il Governor General's Award nel 2004, con Un complicato atto d'amore, pubblicato da Adelphi. 

Anche in questo romanzo, Un tipo a posto, si va via altrove. 

Una storia che non esito a definire strepitosa, e divertente. Di quelle davvero piene di luce e ben costruite. Siamo ad Algren, a metà anni Novanta. Algren è la città più piccola del Canada! 

E dentro ci vivono personaggi dai nomi incredibili, tipo Euphemia, Summer Feelin' o Hosea Funk! 

Algren è la più piccola città di tutte, dunque, e per questa ragione riceve un premio speciale: la visita niente meno che del primo ministro nel giorno della festa nazionale. 

Per Hosea, il sindaco, questa visita è incredibilmente importante, e non solo per ragioni politiche... 

(non svelo niente). 

E quindi farà l'impossibile per mantenere la popolazione nel numero esatto di 1.500 abitanti, che è il limite per aggiudicarsi il titolo, appunto, di "più piccola".

Esilarante tutto quanto, e poi è interessante la riflessione sulle ossessioni e l'importanza dei numeri e le regole che dettano il nostro destino, alla fin fine. 

Ecco. Siamo stati in breve tempo in due altrove differenti. Abbiamo viaggiato in lungo e in largo. Per staccarci un po' dalle contingenze e gli affanni - o anche le gioie perché no - della vita e visitare posti strani, magici, freddi, piccoli, altissimi. 


* ho tantissimi arretrati da leggere: di cui ringrazio tutti gli editori!





domenica 15 dicembre 2013

Adelphiana, temperare le matite, lo zen e molte altre amenità.

Roberto Calasso ed Ernesto Ferrero al Circolo dei Lettori - Torino


Per festeggiare il cinquantenario dalla nascita, la casa editrice Adelphi ha ben pensato di pubblicare un fuori collana immenso: Adelphiana 1963-2013.

Non una semplice strenna commemorativa, bensì un tomo (a dire il vero affascinante) di quasi 800 pagine e quasi 200 illustrazioni e 300 riproduzioni di copertine.

Compresi testi inediti, interviste etc.

Sapevo che ascoltare Roberto Calasso parlare sarebbe stata un'esperienza. 

Al più mite ma altrettanto prolifico Ernesto Ferrero ero già abituata, l'ho ascoltato molte volte, anche per via della sua attività al Salone del Libro di Torino.

Quello di Calasso è un eloquio-monstre e nella vita prima o poi secondo me può essere un evento di quelli che ti fanno svoltare, se non la giornata, senz'altro il percorso altrimenti prevedibile dei tuoi stessi neuroni.

Al pari di una sostanza psicotropa, infatti, la favella di questo incredibile caso di scrittore-editore può alterare lo stato mentale e modificarlo. Dopo, ci si sente non solo più ricchi di informazioni, ma anche più saggi e solidi, sicuri di aver fatto qualcosa, non so, di veramente utile per l'umanità.

In un'ora e mezza (generosi relatori) i due hanno dunque - tra domande e risposte - sciorinato l'intera storia della casa editrice Adelphi, dell'editoria tutta e, a ben vedere, anche del nostro Paese, oltre che dell'Universo.

Da Nietzsche a Danilo Kis alle collane scientifiche alla deliziosa Cristina Campo a Peter Cameron, al coraggio di rischiare al gusto che è "la capacità di dire no" e ritorno: impossibile racccontarvi tutto, ripetere tutto, trascriverlo qui.

Anche perché io ero lì con un altro intento, ben diverso da quello della blogger, della cronaca, del raccontare.

Ero lì sull'onda del "temperare matite". 

In che senso?

Nel senso che la vita (di tutti) è fatta di così tante ansie e questioni e difficoltà che ogni tanto mi piace fare finta che non esistano i problemi, i doveri (compreso quello di cronaca...) e ritagliare un po' di tempo per il sublime. Per sognare. Per la bellezza. Per i desideri. Per temperare le matite. 

E per dedicare - nel mezzo degli affanni quotidiani - una serata solitaria alla presentazione-fiume di Adelphiana, senza preoccuparmi di niente, del mio destino o di quello degli altri.

Salvo poi raccogliere le idee e venire a scriverlo qui o su fb, o su tw o su wa o su chissà dove, ma con un po' più di calma del solito. Solo un po' più del normale, niente di trascendentale.

Ah. Una nota di colore. Questo devo proprio dirlo: l'età media di questa presentazione (come quella di moltissime altre in verità di molti bellissimi libri) era di 25, 40, 70, 95, circa 110 anni. A un certo punto la persona che era seduta di fianco a me mi ha fatto notare, senza nascondere un certo qual senso di allarme, che un signore in seconda fila poteva essere morto, caduto tra le braccia di Morfeo. Ma. Perché?

Ma dove sono i giovani torinesi di fronte a un evento del genere, di valore epocale, come la presentazione di Adelphiana? I giovani scrittori e letterati intendo, dico quelli del mestiere che agli altri può importare come no, e non ne va del loro lavoro? Visto che si dice che in Italia siano a tonnellate? Visto che scrivere è un mestiere vero e serio! 

Ora, non dico certo che per essere bravi scrittori giovani si debba per forza presenziare a questi eventi, anzi il presenzialismo in sé ha un'accezione negativa e ha ben poco a che fare con il vero talento, che è spurio e può nascondersi proprio nei luoghi meno adatti, meno laccati e meno "giusti". Però insomma in quel momento almeno la domanda nasceva spontanea.

Domanda che prontamente Ferrero ha rivolto a Calasso. Ovvero gli ha chiesto quale parte di questa raccolta di testi potesse adattarsi a un lettore che appena si affaccia alla vita.

La risposta è stata ovviamente tutti

Ma poi Calasso è andato oltre e ha fatto un gesto che mi è piaciuto, ha detto: "mi faccio guidare dal caso". E ha aperto una pagina qualsiasi. 

Ha trovato una fotografia di un uomo sulla quarantina in moto, con un ragazzino, il figlio, seduto dietro. 

Lui era Robert M. Pirsig e il libro è Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta.

Mi è saltato alla memoria: è vero, io l'avevo letto da giovanissima, un capolavoro e un'emozione forte. Uno dei più entusiasmanti libri di avventura e spirituali che abbia mai scoperto. 

Ma poi a un certo punto ho anche pensato. Non ci sono i giovani qui? E pazienza. Mica tutto va come deve andare. Adesso io non so bene cosa fare per questo problema dei giovani che non leggono (ci sono uffici statali credo preposti all'occorrenza...). Ma dico: pazienza. Ma non nel senso di rassegnazione. Bensì nel senso di prendersi una pausa per rifletterci.

Per temperare le matite, per organizzare un pensiero su questo e molti, molti, molti altri argomenti. 

Nel frattempo, buone letture, buone matite, e a presto con i prossimi libri.

mercoledì 4 dicembre 2013

Raccontino pre-Natale.



(Amici: tradizione di questo blog è un raccontino di Natale. Per questo 2013, poiché non scrivevo raccontini da un sacco di tempo, ho voluto anticipare, e ricominciare a scriverne ancora: sempre da leggere insieme a una tazzina di caffè!! Tipo gianduiotti. Buona lettura).


Sebastiano sfogliava una rivista con il ginocchio attorcigliato al palo del tram numero 16. 

Sul display, la data era ferma al 26 di novembre, l'ora alle 15.23. In verità, erano le 23.35 dell'8 di dicembre. Il gelo di quella notte che stava arrivando gli pungeva il naso, e più volte aveva già starnutito. 

L'altro ginocchio stava appoggiato alla bici pieghevole, tenuta insieme ben salda da una catena arrugginita. 

Il blu dei suoi occhi quasi faceva luce sulle pagine bianche della rivista.

A ogni fermata salivano persone.

Diana: una piccolina sui cinquanta. Pantaloni leopardati, borsa di vernice, stivali bianchi, guantini bianchissimi con i brillantini che lasciavano le dita libere. Libere di rifornirsi di continuo dentro un pacchetto di caramelle gommose rosa fluorescente. Un tizio le sorrideva. Il figlio o forse un giovane amico.

Poi era salito Nino, vicino ai cento anni, con un cappello molto grande. Che era caduto schiantandosi sul pavimento. Risollevato da due altissimi trentenni senegalesi, aveva chiesto scusa al mondo, in direzione di nessuno. 

E alla fine era salita una ragazza. Lily. 

In testa, un cappuccio verde scuro di lana, una giacca a vento qualunque e un paio di stivali di quelli che tengono molto caldo. Tra le mani nude, teneva una cesta di vimini che aveva tutta l'aria di pesare quanto lei.

Lily si era seduta accanto a Sebastiano, e lo aveva guardato negli occhi. Per un secondo di orologio. Poi aveva guardato la cesta.

Il nero-notte delle sue pupille, incontrando il blu-giorno di Sebastiano aveva composto come una fascia appena visibile di un colore grigio molto bello, molto interessante.

Lui starnutiva troppo. Lei era quasi sfacciata, a furia di guardarlo e di scrutare le pagine della sua rivista di motori? Bricolage? Non si capiva. Sfacciata ma anche seria, come stesse studiando un caso. 

Non tradiva niente. Il suo volto era di marmo. Gli occhi di Sebastiano di ghiaccio. Di un bel ghiaccio di Natale.

Fino all'ultimo istante, lui era stato insospettabile. Nessuno avrebbe detto mai che voleva parlare. Invece, aveva, alla fine, detto:

 - Scusa.
 - ...
- Scusami, non resisto.
- Cosa?

Aveva risposto lei, con un lampo di terrore. Spingendosi all'indietro.

 - Non volevo spaventarti.

Lui era delicato. Si muoveva piano.

 - ...
- Non resisto comunque.

E si passava una mano tra i capelli.

 - Tu porti in giro di notte una cesta di vimini. Vorrei sapere cosa c'è dentro.
 - Dentro?
 - Cosa c'è dentro.
 - ...

Lily faceva pause lunghe. In cui fissava negli occhi. Non seria. Terribile addirittura. 

 - Mele. Arance. Sapone. E un libro.

Aveva inventariato le sue cose, aprendo il portello della cesta.

 - Porti queste cose con te, di notte?
 - Sì.
- ...
- Molto strana. 
- ...
- La cesta. Con la frutta e le tue cose.
- Tu leggi?

Era intervenuta lei, con una voce da gatto.

 - Tu leggi un articolo che dice: VANTAGGI DEL FAI DA TE.
- ...
- Normale? Ti sembra più normale? Meno. Strano?
- No, infatti guarda.

Sebastiano aveva schiacciato la pagina con il pollice intirizzito dal freddo. Con il palmo rosso della mano, che sembrava morbida, alla vista.

 - C'è scritto S-VANTAGGI. Tu non hai visto la S.

Lily si era sporta all'eccesso, al punto che Sebastiano ne sentiva il profumo di Giappone tra i capelli, di sapone, di mele e di arance. E di pagine di libro.

 - Quindi?
- Quindi cosa?
- Non sei solo? Sei solo?

Lily spaventava tutti con lo sguardo di pietra.

 - Sono solo. Completamente solo. Io e la bici. E la catena. Ma ho anche perso la chiave. 
- E la rivista, anche.
- E la rivista.

La città diventava una città morta. E sarebbe potuto non succedere niente anche per molte altre ore, settimane, mesi. Secoli. Lily doveva scendere, la sua casa stazionava immobile, proprio di fronte alla fermata. Aveva già le chiavi in tasca. Per aprire più facilmente la porta, senza dover rovistare troppo a lungo nella borsa.








lunedì 2 dicembre 2013

Il Magico Paese di Natale!!

Era una splendida mattina di dicembre. Era tutto precario, e terribilmente preoccupante sulle autostrade sabaude ieri mattina. E non solo. Tanto è vero che questo è lo scatto più luminoso a mia disposizione.

E fu così che questa ragazza che è un contenitore umano di energia - e cura l'ufficio stampa di tante cose ma in particolare di Il magico Paese di Natale a Govone, un bellissimo evento natalizio nelle Langhe che coinvolge il Castello, una delle Residenze Sabaude più incantevoli e tutto il paese con spettacoli e mercatini - con la mano ferma sul manubrio, mi ha letteralmente scaraventata in macchina e coinvolta in un tour per la stampa (e blogger!). Ci siamo conosciute da pochissimo. Su un treno.. Nella mitica tratta Milano-Torino, praticamente correndo. Incredibile la vita. E ora lei è un'amica, come si suol dire: mi sembra di conoscerla da tempo. Comunque. Non ci volevo andare a questa cosa del Natale. Ma perché mi davo arie da tormentata: cosa me ne faccio del Natale? Cosa me ne faccio IO, ADESSO, cuore solitario e di ghiaccio? Del. Natale? Call me Ebenezer Scrooge.

Invece poi arrivi e c'è questa silenziosa cosa.

Questa, come definirla?

Questo mistero bianco, questa sensazione di.

Gentile bellezza. Disposta in ogni più piccolo dettaglio da una mente senz'altro superiore.

Quindi immaginate il Castello di Govone, così infiocchetttato, elegante, e avvolto da musiche di Natale in filodiffusione. Con l'aria frizzantina del mattino e il profumo di neve. You'd better watch out! You'd better not cry... 

Nooo, non sono mie quelle impronte. ;)

Ok, quindi da dopo aver schiacciato la neve a mani nude su un muretto, il tempo un po' si è fermato.

E ce ne siamo andati in giro tutta la mattina a osservare le cose.

Ciao mamma sono coi vip della televisione!

Diciamo: il concetto è: qualcosa di buono accade sempre.

E infatti, insieme a un bicchiere di Vin Brulé, ho subito conosciuto questa associazione che, in una residenza molto bella, accoglie i bambini che affrontano la malattia e le loro famiglie. Scoprite qui le loro attività!

Poi siamo arrivati in questo piccolo teatro a strapiombo sulle vigne innevate. Tra cinque minuti comincia uno spettacolo. Che cos'è? Ma ovvio: Canto di Natale di Dickens. Voi forse saprete la mia venerazione per quel libro... E per Dickens, devo avervi ossessionati in più occasioni con questo scrittore. Tipo qui. Ed ecco che il mio cuore gelato comincia lentamente.

Ma inesorabilmente.

A sciogliersi. Al grido silenzioso di: I MERCATINI DI NATALEEEEEEEEEEEEEEEE.

Bambini intrappolati nella rete del divertimento. Se guardate bene là in mezzo ci sono anche io a 8 anni. E ci siete anche voi!

Quindi quando si viaggia, anche vicino a casa, si cercano pezzi di se stessi, che aggiunti a pezzi del mondo, compongono qualcosa di nuovo.

Pezzi di me.

Quella cuffia blu puffo alla vostra dx è diventata mia!!

Le noccioline che mi ricordavano l'infanzia.

E un incontro strano e interessante, che mi sapeva invece di futuro. Loro fanno gioielli con pezzi di orologi e macchine da scrivere. Gioielli=futuro. Nel senso di qualcosa di prezioso. Comunque li vado a trovare.

Mentre il mio cuore si scaldava, la mia mente si colmava di questo candore.

E della devastante simpatia di Marco Graziano. Hei mamma lui è quello che conduceva Gulp! alla tv svizzera. No, così per dire.

E poi la parte più creativa ed emozionante in senso stretto. Come se il torchio delle emozioni si avvitasse sempre più stretto fino a questo punto di inequivocabile riconoscimento di qualcosa. E quel qualcosa è il succo della vita: cioè la tenerezza.

Intanto, là fuori, il deserto, il vuoto, il miracolo del mondo che va avanti benissimo senza di noi, senza i nostri minuti pensieri.

Dentro il Castello, decine e decine di bambini in attesa di qualcosa. Di un miracolo.
 
E devo dire che anche io ho ricevuto un piccolo regalo inaspettato: ho fatto amicizia con degli elfi veri. Sul serio, intendo.

C'è stato poi questo spettacolo che si spostava nelle diverse stanze del Castello - cui si può assistere fino al 6 gennaio - proprio dentro la Casa di Babbo Natale. Davvero molto bello, gli attori sono bravissimi.

Qui arrivano le letterine.

Non scherzo quando dico che gli elfi mi hanno accolta veramente tra di loro...

Babbo Natale, il sornione, schiacciava un pisolino.

A un certo punto sono dovuta uscire, troppe emozioni antiche. Sono una di quelle persone cui le cose troppo decise spaventano. Cercavo fuori un po' di tregua dalla magia, ho trovato però ancora questo.

Cose sempre più piccole, sempre più belle.

Poi ho pensato che non potevo commuovermi come un'idiota per qualcosa studiato apposta per le famigliole. Dai, no, per favore...

E invece: eccomi lì tra le braccia di Santa Claus. Con le lacrime in tasca. Mancava poco che gli tirassi la barba. E gli chiedessi due cri-cri.

Alla fine il destino ti tende sempre una mano e ti porta in uno dei ristoranti più buoni delle Langhe.

"Un posto pulito, illuminato bene". Direbbe Hemingway. Le Scuderie del Castello di Govone.

Dove c'è lo schef più giovane del mondo. Lui ha 21 anni ed è mostruosamente bravo.

Quindi ci hanno offerto cose molto interessanti.

Questo dolce qui è indescrivibile.

Ho raggiunto la pace interiore ed esteriore. Mi sono riconciliata con il Natale. Non è solo una cosa per bambini o melensa o per donnicciole (si usa ancora questa espressione, mah, perdonatemi!?). Il Natale è una cosa adulta anche. Un momento di silenzio. E, se capita, anche di amore. L'amore che c'è in tutte le cose.

...