Ho ascoltato qualche sera fa questa scrittrice premio Pulitzer parlare con una voce sottile come una fogliolina d'oro al Circolo dei Lettori di Torino.
Ringrazio la casa editrice Guanda per avermi donato il libro e concesso di scambiare qualche parola con lei alla fine dell'incontro. Non ci siamo dette niente di particolare, ma ho osservato i suoi occhi.
Luminosi come monete nel buio, parlavano di uno stare al mondo altro.
Durante la presentazione, lei raccontava che questa storia ha sedimentato nella sua mente per sedici anni. Sedici anni. Mi pare un tempo infinito, per la gestazione di un romanzo. Nel frattempo ha lavorato, ha fatto altro, ha messo al mondo due bambini. Però. Sedici anni. Deve essere stata un'esperienza molto importante.
Mi chiedo sempre più spesso che senso abbiano le presentazioni di libri (oltre a tante altre cose, ma è giusto porsi domande di senso di tanto in tanto). Me lo chiedo come esordiente e me lo chiedo per ciò che concerne i grandi autori affermati del nostro tempo.
Il senso è l'incontro. Guardare negli occhi, e sentire il suono di una voce. Oltre che, se siete donne o modaioli, guardare come sono vestite le persone per capire come va il mondo.
Ma nulla vale più di sentire la scrittrice raccontare di questi sedici anni di lavoro mentale sulla sua storia e poi affermare:
"E adesso sono libera".
Scrivere, a qualsiasi livello, è una prigione. Essere abitati da storie e personaggi e immagini e luoghi e parole, è una prigione. Chiunque tu sia, in qualsiasi città sia nato, qualsiasi siano le tue condizioni economiche, sentimentali, lavorative, esistenziali: sei un prigioniero.
(Ecco perché, tra l'altro, nel sacro mondo delle Lettere se ne vedono di tutti i colori, la gente che scrive è sempre lì che soffre, si dibatte, si arrabbia, non si sa gestire, è sopraffatta e invasa, difficile conoscere scrittori sereni e spensierati, salvo quando invece la musica cambia e sono in un momento che sentono come felice, allora sono le migliori persone del mondo, si illuminano di immenso. Per restare nella metafora della galera: io ho visitato un carcere e ho visto davvero il peggio nei volti segnati, ma di contro è proprio lì che possono accadere atti sublimi di miracolo e redenzione).
Comunque se scrivi, bravo o meno che tu sia, non puoi fare altro che quello, incastri quello ovunque, te ne vergogni, ne sei fiero, sfidi le circostanze, soccombi, ma solo per rialzarti e raccontare cosa è successo relativamente alla storia che ha deciso di farsi raccontare da te.
Ecco a cosa servono le presentazioni: a osservare da vicino questi prigionieri, a sentire se e come sono riusciti a evadere seppure per brevissimo tempo. Perché, come ha detto Jhumpa quella sera, "la vita non è una cosa stabile, è in continua trasformazione. E noi siamo creature che devono adattarsi alla vita. Trovare un modo per ancorarsi. E c'è chi riesce a dare frutti, e chi invece si seppellisce nel fango".
Certe creature deponevano uova in grado di resistere alla stagione secca. Altre sopravvivevano seppellendosi nel fango, fingendosi morte, aspettando il ritorno della pioggia.
Così questa differenza di comportamenti sembra contraddistinguere tutto il libro, che è la storia parallela di due fratelli quasi gemelli: Subhash e Udayan; vicini di età ma diversissimi nelle scelte di vita, fino alle estreme conseguenze.
Siamo alla fine degli anni Sessanta quando avviene - nella realtà - una fatto di cronaca. Due ragazzi, fratelli, vengono fucilati in mezzo a una strada di fronte a un gruppo di persone attonite, a Calcutta in un sobborgo durante gli attentati e la repressione del movimento filomaoista che stavano funestando il Bengala in una sorta di Sessantotto indiano. Il fatto è accaduto di fronte al padre di Jhumpa che ne è stato testimone oculare. Nel romanzo, solo uno dei due fratelli subirà questa sorte, mentre l'altro prenderà una strada completamente diversa. Si divideranno, salvo poi ritrovarsi in un certo senso su un altro piano e per via della moglie di Udayan, Gauri, che dà il titolo al libro.
Una trama complessa e perfetta, che lascia poi tutto lo spazio a una introspezione di caratteri profondissima e a descrizioni naturalistiche molto incisive. La Natura in questo libro prende spazio fin dai primi momenti, e procede come un basso continuo per tutto il tempo.
E il Tempo è un altro protagonista di La moglie. Il tempo che, come sosteneva a ragione la scrittrice quella sera, passa ma non passa, quando si subisce una perdita o un trauma. Come se tutto si congelasse in quel momento, psicologicamente, anche se poi la Natura continua a segnalarci il suo avanzare, attraverso il susseguirsi delle stagioni.
Se volete, oggi, alle 13, racconto di questo romanzo alla
Trattoria delle Parole. E per i torinesi, se pranzate alla
Vetreria, in Corso Regina Margherita 27, potete ascoltare e "vedere" la trasmissione in diretta e interagire amabilmente con noi! P.s. Si mangia benissimo e il locale è fantastico, vi sorprenderà, ci sono un sacco di piante e un'atmosfera gentile e rilassata.
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Jhumpa Lahiri al Circolo dei Lettori. |