La scuola del racconto a cura di Guido Conti - Scrivere una favola con i racconti di Hans Christian Andersen |
Questo sole del 2015 verrà ricordato come uno dei più potenti e abbacinanti degli ultimi tempi. Avevo duemila libri da poter leggere, da voler e anche da dover portare in spiaggia per tante ragioni, ma alla fine faceva così caldo che ho preferito - ingenuamente - scegliere di rifugiarmi in qualcosa di "facile". Errore! Mai sottovalutare invece la complessità e la bellezza delle fiabe.
Qualche tempo fa ho avuto la fortuna di ricevere in regalo dal Corriere della Sera i libri della Scuola del Racconto a cura di Guido Conti. E ho cominciato piano piano a leggerli. Vorrei infatti imparare a scriverne di belli, di racconti, ma anche di fiabe, perché no?
Ho trascorso allora le mie brevi ma belle vacanze a Finale Ligure, mettendo insieme riposo ed eventi artistici e culturali e incontri con gli amici.
Sotto l'ombrellone, all'illusorio riparo dai raggi di questo incredibile calore agostano ho così pensato bene di leggere La Sirenetta.
Andersen è un mito, lo conoscerete tutti. Lui è quello che ha scritto, beh sì la Sirenetta ma anche fiabe come Il brutto anatroccolo, La principessa sul pisello, La piccola fiammiferaia e molte altre. Insomma uno di quei casi in cui la parola "genio" non va sprecata.
E quindi leggiamo questa storia. Per me è stato suggestivo innanzitutto perché mi trovavo nella stessa cittadina di mare, Finale Ligure appunto, in cui nel 1990, cioè a 10 anni, ho visto per la prima volta l'omonimo film della Disney. Ricordo il forte impatto di quel cartone e la colonna sonora che avevo imparato a memoria e che cantavo con le amichette sulla spiaggia.
La questione delle differenze tra le fiabe originali e i film Disney è ampiamente dibattuta e non volevo parlare di questo, ma dovete sapere che il finale delle due storie è molto, molto diverso.
SPOILER: nel film tutto finisce bene, nella fiaba originale invece la Sirenetta muore. O meglio diventa qualcosa come spuma marina. E lo fa per amore del Principe. E il tutto avviene inseguito a, possiamo dirlo, atroci torture. Ovvero dopo che, come nel film, le tocca sacrificare oltre agli affetti che vivono in fondo al mare, anche la sua bellissima voce per poter diventare umana e incontrare il ragazzo che ama. In poche parole, la sirenetta, che nel film si chiama Ariel e nella fiaba non ha nemmeno un nome, muore per amore.
Sarebbe facile giudicare il caro Walt (Disney) e affermare che questo è stato l'ennesimo tentativo di edulcorare la realtà (seppure fiabesca) e di illuderci tutti con il più classico degli happy ending (il matrimonio e, quindi, la felicità). E siccome sarebbe troppo facile, lascerei stare e sospenderei il giudizio, dal momento che la lettura della fiaba originale è stata piacevole sì, ma anche rattristante.
Se vogliamo vederci una morale, sembrerebbe proprio volerci dire, questa storia struggente, che rinunciare a se stessi e alla propria voce per inseguire un sogno d'amore è deleterio - nel caso della fiaba - ed è vincente però nel caso del film.
Non ne so niente di fiabe moderne, ovvero ignoro cosa leggano o vedano al cinema i bimbi di oggi, o ne so molto poco. Ma mi auguro davvvero che qualcuno si sia inventato un modo di raccontare l'amore come una vittoria sia sulle rinunce sia sul dolore. Spero che lo stiano raccontando solo come un regalo che migliora la vita - che sia in fondo al mare o sulla terra ferma.
Lontano lontano, in alto mare, l'acqua è azzurra come i petali del più bel fiordaliso, e limpida come il puro cristallo. Ma è mlto profonda, più profonda di ogni scandaglio; bisognerebbe mettere molti e molti campanili l'uno sopra l'altro per arrivare dal fondo sino alla superficie dell'acqua. E laggiù, nel fondo, vive la gente del mare.