Paolo Di Paolo, Mandami tanta vita, Feltrinelli |
Avrei voluto cominciare il post diversamente, ma scrivo ancora sull'onda dell'emozione. Questa notte è mancata Margherita Hack. Una perdita davvero triste, e insieme curiosamente dolce. La mia piccola coincidenza è che da un po', come vedete nei post precedenti, mi sto appassionando alle stelle. Anzi, per meglio dire, mi trovo sotto il loro incantesimo, e le contemplo cercando di fare spazio nel mio cuore per qualcosa che, onestamente, ancora non so. Questa notte, in particolare, ho ascoltato molte volte questa canzone, che si chiama Stella Cometa, è molto bella, se avete tempo ascoltatela.
Certi casi della vita, senza tanti preavvisi, ricompongono la mente, come fosse il software nuovo di un pc. E la rendono pronta alle cose. Una sensazione bella, che nasce proprio dalla contemplazione malinconica, e poi piena di gioia, delle cose celesti.
Ma ne riparleremo, promesso.
Intanto, era da tempo che volevo scrivere di questo libro, ringrazio l'editore che mi ha gentilmente inviato una copia. Ho avuto modo di leggere quasi tutti i candidati al Premio Strega, e questo, per ora, è il mio favorito. Potessi, farei dunque vincere Paolo Di Paolo e il suo Mandami tanta vita.
Naturalmente, senza nulla togliere agli altri.
Rosetta Loy usa una parola bellissima, qui, per definirlo: una calcografia. Si tratta di una tecnica di stampa, ma a me evoca qualcosa di ancor più materico, tipo del gesso, o addirittura del marmo, Quindi mi fa pensare a una piccola perfetta sculturina, che è questo romanzo, che ti si incide, anzi conficca, per sempre nell'anima, non se ne va neanche a volerlo.
Questo è un romanzo delizioso, mite e raffinato. Molto poetico, molto delicato e romantico, molto serio e civile.
Ripercorre, rivista con le lenti deformanti dell'autore, la vita, anzi gli ultimi giorni di vita di Piero Gobetti. Quindi siamo nella Torino (e un pezzetto di Parigi alla fine) degli Anni Venti.
La scrittura è solo leggermente, volutamente antica. C'è un sapiente lavoro sul linguaggio, un bel lavoro colto e gentile, molto trasparente e piacevole, gradevole.
C'è una storia nella Storia, anche, che è quella di Moraldo che è coetaneo del giovanissimo Piero e ne studia le mosse, lo cerca, lo "ammira", un po' lo "invidia" ma sostanzialmente lo stima, e, in ultima analisi, gli vuole bene. Come si vuole bene alle grandi, furibonde, dolenti, fulgide intelligenze del proprio tempo. Quell'amore, quel rispetto che si deve a chi ha una visione che vola più alta su tutte le cose, chi ha più talento, chi ha un fuoco dentro, chi si spezza la vita per la ricerca di valori, più che di ideali (parola controversa, che non mi piace tanto, che assomiglia a "ideologia" che invece mi fa orrore), di emozioni, di giustizia, di verità, di bellezza.
Naturalmente c'è anche l'amore. Quello misterioso di Moraldo per la ribelle e irrequieta fotografa Carlotta e quello quieto, dolce, un po' sacrificato ma famigliare di Piero per Ada, così meravigliosamente descritta, pensata e immaginata da Paolo Di Paolo.
Paolo Di Paolo scrive tutto questo, padrone di una grazia e di un'eleganza cristallina, il suo libro sa di manna, sa di qualcosa di sano, e forte.
"Per essere liberi bisogna andarsene? Per scrivere, per parlare, si è costretti a cambiare luogo, a strapparsi le radici dai piedi?".
C'è infatti il problema dell'esilio, che è uno dei temi forti della storia e della Storia. Piero sperimenta l'imperativo della fuga dalla propria terra, e poi anche un esilio dalla vita, non solo politico, che probabilmente lo porterà a soccombere.
"Piero si vede nei panni di Charlot, nel Monello. Dentro questa stanzetta gelata e squallida, senza luce, un po' sporca, è anche lui un vagabondo stanco e malconcio costretto a correre ai ripari".
C'è Torino, una bella Torino spettatrice qualche volta così fredda da "ghiacciare" anche le lacrime, qualche volta invece garbata e luminosa come una grande amica. Il fantastico stabile di Via XX Settembre... che assume significati decisivi, sublimi.
E c'è la vita. Tanta. Che si schiude e si fa spazio tra le fatiche di Piero, che si configura nell'attaccamento tenerissimo per Ada, che regala il titolo alla storia: "Una lettera di Didì è la vita sai? Quindi mandami tanta vita".
E questa vita, crudele, ha molti modi di manifestarsi.
In questo caso, sono le lettere di lei.
Quando una lettera, un semplice mucchietto di parole segrete, di una singola persona, sono così importanti per un'altra persona, avviene un miracolo. Un miracolo che mi spezza il cuore, e le ossa.
Questo piccolo libro è un miracolo. Perché non sempre si è così fortunati da dare o ricevere tanta vita.
Ma anche soltanto leggerla, santo cielo, leggerla scritta così bene, questa cosa del mandare la vita, del riceverla, ti ridona il senso di tutto: della fiducia, della speranza.