domenica 29 gennaio 2012

Vascello fantasma.


Quando ti vedo al mattino aprendo la finestra non sono né contenta né triste, sono solo normale, in quel momento mi accorgo di esistere da qualche parte.

Noi andiamo avanti lentamente come se avessimo una destinazione, e non l'abbiamo, eppure siamo molto concentrati. 

D'estate le foglie verdi aperte come mani ci rubano e restituiscono il sole.

Per fortuna in autunno siamo felici: perché è la nostra vera stagione. 

In primavera invece abbiamo paura. Tutto è troppo, troppo: e ci pare impossibile nascondere alla luce forte dei fiori colorati qualcosa che non sappiamo neanche capire . 

Aspettiamo il freddo, dove la nostra necessità di amore assomiglia a coperte, bevande calde, cibi cotti in pentola, luce di lampadine. 
E le parole si calmano sotto la neve.

Ma in ogni caso siamo sempre qui, come un vascello fantasma in mezzo alla città, qualsiasi cosa succeda navighiamo sotto il cielo bianco, di fianco alle piccole auto, di fronte ai palazzi diversi, che si domandano chi siamo e dove infine siamo diretti.






sabato 28 gennaio 2012

Il camioncino.


Adelina conduceva una vita piccola e del tutto priva di sorprese. Nonostante questo, o forse proprio per questa ragione: i suoi amici si aspettavano grandi cose da lei. 

Prima di addormentarsi, tutte le sere, Adelina pensava: io però non sono mai stata capace di fare niente. Mentre gli amici, distrattamente, qualche volta, si domandavano: chissà cosa combinerà Adelina di straordinario?

Ciò accadeva per colpa di quei film a lieto fine, specie degli anni Ottanta-Novanta, in cui il più disgraziato poi riesce in grandi imprese. Ed era la conseguenza di un Paese abituato a un clima generale privo di guerre o di carestie. In realtà, considerava Adelina, questo tipo di cose strane non esistono e dovrebbero cessare di esistere anche nei film o alla televisione: in tal modo lei avrebbe avuto rapporti umani più sinceri, senza attese.

Tuttavia: questo suo sogno, in quel mondo, in quella città, non era più possibile. Adelina ne era ormai sicura. Per questa ragione  aveva studiato gli spostamenti del camioncino dell'ortofrutta per tutti quei mesi: aveva un piano.

All'ora X del giorno X Adelina si era presentata davanti al negozio con una borsa: poteva sembrare una sacca per la palestra, invece era la sua valigia per il viaggio. C'era un istante, uno solo, in cui il camioncino restava sguarnito in mezzo alla strada: e subito dopo si riempiva di cassette della frutta e della verdura. C'erano, nell'oscuro interno come una grotta, un interstizio e uno strato di cartoni: lì Adelina, che era gracile, si sarebbe nascosta con il suo fagotto. 

E dove andrai? Si chiedeva ogni tanto. Ma non quella mattina, perché si era preparata a sgombrare la mente dai dubbi.

Dunque era salita senza neanche un rumore. Accucciata e felice per la mossa riuscita, ora osservava, respirando con lentezza, dall'unico spiraglio, le cassette che si accatastavano una sull'altra: fragole rosse e bellissime spandevano il loro dolce profumo. Le foglie fresche dell'insalata le facevano venire sete. 

I mirtilli le promettevano qualcosa di nuovo, di veramente nuovo. Si cominciava il viaggio. L'inizio dell'avventura.

giovedì 26 gennaio 2012

Un'infanzia ad Auschwitz - Thomas Geve.



 
  Qui non ci sono bambini
  Oggi sul Sito Einaudi ho scoperto questa possibilità: una funzione per blogger che permette di postare con rapidità le informazioni e la copertina di un libro di cui si vuole parlare. Bello !! :)

Dunque non esito a sperimentarla per la prima volta e volentieri per segnalare un libro che io non ho ancora, ma che ho scoperto questa mattina facendo la mia piccola "rassegna stampa" personale. In questo mese, come vi dicevo qualche post fa (ahemm sì, nel video di Maus, per chi temerariamente l'ha visto tutto), mi sto concentrando di più sui temi relativi al Giorno della Memoria.

Questo libro è la storia di Thomas Geve che, scampato da ragazzino ad Auschwitz, decide di disegnare con le matite colorate la sua esperienza. 

Quindi è un libro da osservare, più che da leggere, se ho capito bene.

L'autore sarà inoltre oggi a Torino per l'inaugurazione della mostra Qui non ci sono bambini. Infanzia e deportazione. Presso il Museo Diffuso della Resistenza

Buona giornata a tutti.

c\_/

mercoledì 25 gennaio 2012

Decisioni dopo profonde meditazioni.


E finalmente sono giunta a una conclusione dopo profonde meditazioni :)

Vi racconto tutto in questo nuovo, rapidissimo, video. A colori !! 

(E vi preannuncio il prossimo post)
Buona giornata.

c\_/







martedì 24 gennaio 2012

Il mandarino.

Era una casa bellissima, elegantissima. Tutta arredata alla perfezione. Non un granello di polvere, non un mobile povero o vecchio o sbreccato. Tutto bene, nel migliore dei mondi possibili. Eppure. Diana si era avvicinata di scatto alla parete, per capire se da lì provenisse quella sensazione di stonato. Come se sul pentagramma una nota fosse colorata di arancione o giallo anziché di nero.

Ma perché? Che scherzo è? 

Però niente. Parete bianchissima, lucida: dipinta da professionisti. Allora l'odore. Diana aveva provato ad annusare l'aria. Non c'erano animali nella casa, né bambini, né broccoli, né fritti, né spiedini, né cose volgari ma neanche profumi raffinati, neanche pesce fresco, neanche caviale, neanche champagne, un deserto: si cucinava ben poco tra quelle mura bianchissime, casomai uno schizzo di olio o di aceto balsamico finisse sul muro bianchissimo. Nessuno fumava, nessuno gesticolava al punto da rovesciare qualcosa per terra, mai. 

Dunque la cosa doveva essere altrove. 

Invece l'anomalia, come l'uovo di colombo, era lì a un passo: era un mandarino. Un mandarino, accanto al televisore spento. Un mandarino vero. 

Cos'è? Aveva osato chiedere Diana alla padrona di casa. Arte! Aveva risposto lei, con un sorriso sicuro. Santo cielo! Aveva pensato Diana. Santo cielo!

lunedì 23 gennaio 2012

Maus - Art Spiegelman - video :)

Buongiorno, buon lunedì :) 

Com'è partita la vostra settimana? La mia, non lo so, ci sto ancora pensando hehe. Però volevo, come promesso, rileggere qualche pagina di Maus, il capolavoro di Art Spiegelman (editore Einaudi). 

Mi ha ispirato questo post anche la bellissima cronaca a disegni (e parole) della mia amica Ilaria Urbinati qui, che ha assistito "dal vivo" alla lezione di Spiegelman qui a Torino al Circolo dei Lettori giovedì scorso. 






Una piccola precisazione: il video è lunghiiiiiiiiiiiiiiiiiiisssimo !! Dalle prossime volte cercherò un modo per tagliare/accorciare il tutto. Mi sono lasciata un po' trasportare dal libro e dalla musica: bravi se riuscite ad arrivare fino alla fine hehe. 

E dulcis in fundo: scusate: dico mille volte "come dire". Sorry.

c\_/

domenica 22 gennaio 2012

Riflessioni dopo la radio !!


Buongiorno :)

Hei. Sono ancora qui! Un po' tuonata dopo la trasmissione radio di ieri "Una tazzina per tre".
In questo video vi racconto le mie impressioni, e vi anticipo il prossimo post.

Buona domenica a tutti!


c\_/




venerdì 20 gennaio 2012

Notizia Flash + video :)


Buongiorno!! Come va? Tutto bene?

 Prendo tempo hehe. La verità è che ho fatto un video. Arghh. Siate clementi eh. Nel video vi racconto di una piccola ma simpatica notizia. (Ah: non sono riuscita a caricarlo dal mio pc e così l'ho messo su you tube, non so se ho fatto bene, però spero si veda tutto...)

Comunque: suspance. :)

Spero che il mio video non vi faccia questo effetto. LOL: Ma spero di no :)

Allora buon week end. E stay tuned.

c\_/




giovedì 19 gennaio 2012

L'uovo.


Giovanni, nella sua lunga osservazione di galline, non ha ancora capito quale tra le uova diventi pulcino e quale in effetti rimanga uovo.

Sa che in genere quelle fecondate dal gallo possono dare un pulcino, se covate 21 giorni. Lo ha spiegato a scuola la maestra. 

Questa è dunque la regola: il gallo e il tempo. Perciò è chiaro che la gallina ha una pazienza infinita. In quei casi cambia nome, e si chiama chioccia. Giovanni ha un quaderno, su cui annota la quantità di uova e pulcini. Ma i conti non tornano mai e poi mai. Cancella con la gomma (la sua biro, sì, è cancellabile: lui si ostina, sbagliando, a definirla "scancellabile").

Giovanni ha anche un foglio Excell che gestisce a modo suo e su cui compone calcoli difficilissimi, che non giungono a nessuna conclusione. Ha messo anche una webcam nel pollaio, per la paura che la soluzione si presentasse in un momento di distrazione, o di notte. 

Niente. Perché qualcuna diventa un pulcino e l'altra rimane uovo? Giovanni si iscriverà a veterinaria, e dopo metterà su anche un'azienda agricola con suo fratello e le famiglie, guarderà galline, galli, uova e pulcini fino all'ultimo dei suoi giorni e mai il suo mistero sarà svelato. 

martedì 17 gennaio 2012

Video, video, videooooooooooooooooooooo!





Ops, scusate l'entusiasmo ma è successo questo. Da mesi, mesi e mesi e mesi e mesi: da tempo immemore, il nostro pc di casa uhm come dire: non supportava più i video. 

Davvero! Poi abbiamo comprato il computer nuovo, e niente, ancora niente video. Sono venuti qua due tecnici, lasciando la postazione disperati e di nuovo niente. Niente video. Li mettevo sì su facebook e twitter magari per voi: per regalare attimi di gioia: ma io, da qui, non li vedevo più. Incapaci tutti di scoprire la ragione di questo malfunzionamento, e poiché gli altri del condominio invece se la spassavano con i loro bei you tube (per dire quasi potevo ascoltare attraverso il muro i tutorial di Clio Make Up della vicina, ecco). 

Quindi: abbiamo pensato alla profezia

Giunta alla consapevolezza della maledizione, dunque mi ero rassegnata. Niente video per me. Ok. Imparavo lentamente ad accettare la situazione, come si fa con le rughe o i capelli bianchi.

Poi. L'altro giorno. Un odioso e scorbutico tecnico di fastweb. Di origini rumene. Rifiutando qualsiasi forma di comunicazione in italiano o a gesti. Vuole un bicchiere d'acqua? Mhhhhh. Ok, ci scusi. E dopo ore e ore di mugugni, bestemmie, ringhiate al telefono con un collega, cambiamenti ripetuti di centraline, viaggi su e giù non so da dove e per dove, ha notato un cavetto. Microscopico e nascosto, invisibile agli occhi, quel pezzetto di materiale ignoto rallentava qualsiasi funzione che non fosse twittare: "Buongiorno c\_/" e bon, non potevo fare altro. Nemmeno word qualche volta. Comunque in una parola quel cavetto deteriorato si stava rosicchiando ormai tutte le possibilità computeristiche della mia casa.

Quindi tutto questo è per dire che da allora, da quando cioè il cavetto è stato sostituito, sto vivendo in trance. Giorno e notte, non faccio altro che guardare video, video, video e video di qualsiasi cosa. Tutti i video che mi ero persa in quel tempo che sembrava non dovesse finire più. E tra il dire e il fare. Ero qui, vedevo tutto con gli occhi di VIDEO, vedevo VIDEO da ogni parte, un oceano, un luna park di VIDEO e alla fine non ce l'ho più fatta e ne ho fatti anche io di video con la macchinetta digitale. 

Sono silenziosi eh. Prima o poi ci metterò anche la faccia e la voce. Per il momento c'è:

video 1) Il mio frigo-libri.
video 2) Sul frigo-libro: La lettura digitale e il web e alcuni personaggi Peanuts intenti a giocare a baseball.
video 3) Il caffè che esce dalla moka: ohhhh che poetico ;)

E ahhhhh. Che soddisfazione. I video. Video. Videooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo.

c\_/

lunedì 16 gennaio 2012

Un piccolo saluto a Carlo Fruttero.




"L'importante, pensò inzuppando nel cappuccino la seconda brioche, era di saper aspettare. Un'altra sua abilità. Tutto finiva per cascarti in bocca, se sapevi aspettare. Self-control, la grande regola degli inglesi. E se anche, come era umano, uno veniva preso, vicino al traguardo, da una tensione, da una smania incontenibile, bè, bisognava saperla contenere, nascondere. Farsi desiderare, farsi aspettare, ecco il segreto".


Uhm, scrivo con un nodo alla gola: grazie Carlo Fruttero: torinese e scrittore, e tenero signore negli ultimi giorni.

c\_/

sabato 14 gennaio 2012

Il tempo è un b****rdo.






Ah, dunque: non era un gentiluomo? Il tempo, intendo.

No, a giudicare da questo romanzo da poco pubblicato da Minimum Fax e dall'eloquente titolo: Il tempo è un bastardo, di Jennifer Egan.

E in effetti. Si comincia e si va avanti per un bel po' a sbalzi temporali, singhiozzi psicologici, talvolta disastri veri e senza rimedio e a giostre di personaggi che si rincorrono e arretrano negli anni, dal presente al passato e viceversa.

Gli amici, la musica, le droghe, la famiglia, i viaggi, l'amore, il sesso. Tutto quanto si presenta prima e poi dopo: cambiato, qualche volta rarefatto, più spesso rovinato. E perciò, per quanto il passato ci provi a sembrare pieno di guai, il presente (il futuro?) ne esce purtroppo sempre sconfitto, e vince lui il primo premio sul ring dell'amarezza, della decadenza.

Fino a un certo punto, questo meritato Premio Pulitzer 2011, procede nella tradizione del grande romanzo americano; tra ciò che ho letto di recente, mi ha ricordato un po' Libertà Franzen o il simpatico L'errore di Glover, di Nick Laird, quest'ultimo forse anche per affinità di editore o per le atmosfere retrò.

Però, nonostante tutto, a dire il vero, niente di così straordinario. Nonostante addirittura ci sia un personaggio che, per ragioni intime sue, beve il caffè inserendo nelle tazzine delle piccole scaglie di oro: wow, suggestivo!

Comunque, dicevamo, tutto normale. Salvo che poi, a pagina 280: ops, succede qualcosa. Premetto che, personalmente, sono sensibile a certe cose. A certe invenzioni narrative, anche grafiche se vogliamo. Mi piacciono le sorprese e le forme nuove. Le sperimentazioni letterarie!

E qui, santo cielo, si entra proprio in un tunnel in cui le parole sono sempre le stesse ma la forma cambia. L'intenzione si inserisce anche questa nella tradizione USA e va benissimo. Ma in questa super scrittrice la forma si consolida, si compenetra con la sostanza, in un passo che si ricava un percorso tutto suo nella narrazione. Ma di che diavolo sto parlando?

Bè, scopritelo da voi, se no a che servono le sorprese.

Buon week end a tutti.

c\_/

mercoledì 11 gennaio 2012

L'elefante.


Lui proviene da questo strano blog.
La nonna era nervosa, stretta nel suo cappotto nero, scomoda sul sedile anteriore, avvolta suo malgrado dalla cintura di sicurezza. Ai suoi tempi non si usavano le cinture e, per quanto la riguardava, nemmeno le automobili.


Il padre guidava con le mani strette sul volante, era giovane ma conduceva una vita da adulto, con ben due altre vite da portare a destinazione.

La bambina, dietro, guardava dal finestrino, contava le nuvole, perdeva il conto, socchiudeva gli occhi, infilava le manine nelle tasche del cappotto rosso.

La nebbia di gennaio, più avanti nel percorso, avvolgeva la 127 rossa. Le lenti degli occhiali del papà si appannavano, come i finestrini della macchina. Bisognava pulirli con le maniche del cappotto. Le nonna parlava, parlava, perdendo il filo del discorso. C'era molta strada ancora da fare prima dell'arrivo.

La città sfilava via grigia e umida, alle spalle della bambina. Il vento spostava i rami già spogli. Pezzi di ghiaccio e neve scivolavano giù dalle scocche delle auto in corsa.

La noia delle commissioni del sabato pomeriggio: la bambina costruiva un mondo immaginario.

Ma qualche volta la realtà è migliore. Un elefante.

Vero, grande, pieno di rughe e uno sguardo alieno si stagliava ora nel mezzo del vialone che portava con dolce indifferenza i torinesi verso la cintura.

Tra un appezzamento erboso e l'altro, l'animale camminava nel grigio del cemento, mimetizzato con quello stesso colore invernale e universale insieme. La bambina aveva spalancato gli occhi, balzando sul sedile.

Anche la nonna, placata nel suo argomentare, era rimasta finalmente senza neanche una parola. Il padre, colto da un immprovviso senso di responsabilità, aveva inchiodato il trabiccolo. La bambina, occhi negli occhi con l'elefante, il cuore alla massima velocità possibile, aveva pensato: "è immenso". E poi: "questo dovrei raccontarlo alla mamma", però, purtroppo, non esistevano ancora i telefonini.

Sarà stato il 1989, o forse prima. Comunque, una storia vera.

:)



lunedì 9 gennaio 2012

Sentimenti sovversivi: per iniziare l'anno e il lunedì.





Apro queste pagine bianche e sento che è la scelta giusta al momento giusto. Una scelta che incontra l'esigenza di sobrietà, di riflessione e di quiete (poetica) cui si va incontro dopo le feste e dopo anche periodi di grande confusione.

Francia. Saint-Nazaire. Italia. Venezia e altri luoghi, non solo fisici, ma anche mentali, culturali, sociali.

Per vedere bene qualcosa, a volte è meglio osservarla da lontano. E questo sembra essere il concetto fondante del bel romanzo di Roberto Ferrucci dal titolo meraviglioso: Sentimenti sovversivi - editore Isbn.

Uno scritto breve,  ma intagliato alla perfezione come un diamante. Illuminato di luce fioca, il libro secondo me è ideale proprio per incominciare questo anno nuovo, questa settimana e questa giornata di lunedì. Roberto Ferrucci, con i modi sognanti eppure chirurgici dell'autore ambizioso e libero, racconta la propria storia di permanenza nel Building, un edificio (lo dice il nome) che lui descrive e fotografa con precisione, nel quale vivrà un certo periodo per portare a termine un suo romanzo.

Da lì, guarda, pensa, ricorda sia il suo amore intenso con Teresa, sia il suo paese vero, (malgré lui) che è l'Italia, in quel momento, berlusconiana.

Dunque l'effetto è straniante, perché da quella Italia lì sembra passata un'eternità: "Non volevo più saperne delle ronde razziste, scuola e cultura e ricerca smantellate, di ministre scelte in base al book fotografico  e altre prestazioni". E invece tutto questo, e molto altro, è ancora lì impresso nella memoria breve collettiva.

Si legge allora in Sentimenti sovversivi - che in alcuni punti mi ha ricordato la scrittura sublime anche di Daniele Del Giudice - quel punto di saturazione al quale anche i cuori più candidi tra noi erano giunti: un senso di estenuante fatica per le continue disdette, per l'impoverimento di tutti i tipi cui stavamo precipitando come paese non più tanto civile.

Ferrucci scrive allora questo delicato, qualche volta cristallino flusso di coscienza anche provato da quel clima e da quelle oscure prospettive. E in quella luce si dovrebbe leggere il libro. Ed è curioso lo stupefacente sollievo che coglie la consapevolezza che, succeda quel che succeda, quelle cose lì, forse, non torneranno più. Che siamo davvero entrati in un'epoca nuova - certo da monitorare, da non sopravvalutare - ma pur sempre nuova e capace di riaccendere una speranza.


Così questo romanzo acquista oggi il gusto di una fotografia ben scattata, con la mano leggermente tremante, in cui eravamo un po' diversi, ma dentro la quale riconoscerci, vedere i difetti, pensare a miglioramenti.


Buon inizio di settimana un po' sovversivo a tutti.




c\_/





sabato 7 gennaio 2012

Il pomodorino-cuore.

Quello che più mi importa, è di non farmi riconoscere in mezzo agli altri. Sono un pomodorino-cuore, ma cosa conta?

Mi piace stare qui nella cassetta con gli altri, quelli a forma di palla da rugby in miniatura. Si assomigliano tutti, come i cinesi. Poi a guardarli bene, non è vero: sono tutti diversi.

Quelli più grossi sovrastano i più piccoli, come nella giungla: lo sappiamo, è normale.

A me invece non dice niente nessuno. Mi limito a stare qui, bearmi della carezza guantata del padrone del banco del mercato, che qualche volta ci rimescola e ci spruzza vapore per tenerci belli e invitanti. Quando è così, io utilizzo lo slancio del movimento rotatorio per spingermi un po' più in giù. Non vorrei mai essere comprato da qualche pensionato torinese, qualche madamina aggressiva, qualche coppia, qualche persona in generale. Vorrei rimanere qui, a casa mia, nella mia cassetta di legno.

Mi piace guardare il muro della palazzina di fronte. Alle sette, tirano su le persiane e accendono la luce al primo piano. Mi sembra di sentire il profumo del caffè. Vedo Marta, una ragazza che beve la sua tazzina guardando alla finestra. Sul davanzale c'è il gatto bianco, timido, che mi guarda con stupore. Penso che tra me e quel gatto ci sia una comunicazione telepatica: ditemi quello che volete, ma è così.

Sono un pomodorino-cuore, concedetemi qualche pensiero magico, speciale.

Le mie vicine sono le arance. Mamma mia. Che immobilità, che profumi, che alterigia.

Più sotto: il grande nume tutelare: il broccolo. Mi piace. Lo adoro. Anche se lui non sa niente di me. Lo ammiro nel silenzio del mio cuore. Lui è sano, decantato da tutti. Però è pop. E non si vergogna neanche di spandere i suoi odori micidiali. Si fa accettare per quello che è. Per noi, invece, è una tortura essere sempre così carini, così carini. Così buoni, perfetti, precisi.

Io poi. Se solo sapessero. Se mi vedessero. Che assomiglio quasi a un gioiello. Mi comprerebbero all'istante, per la mia bellezza. Mi farebbero una foto: mi metterebberò su Internet o chissà dove!

:)

giovedì 5 gennaio 2012

I kiwi.


Al colloquio di lavoro, Ilaria era in ritardo. Scivolando sulle suole degli stivali bagnati di pioggia e terriccio, aveva alla fine schiacciato il bottone 10 dell'ascensore del palazzo, respirando con affanno. Perché era entrata correndo, come un maratoneta che taglia il traguardo dopo molti, faticosi chilometri di attesa. Ah. Che faccia stravolta: si guardava allo specchio, in pensiero. Sarebbe davvero entrata così nell'ufficio? Conciata in quel modo? Era un lavoro importante. Aumentava la preoccupazione.

Al primo piano, con movimenti da circo equestre, era riuscita a tirare fuori l'astuccio rosa dei trucchi. Almeno la matita andava sistemata.

Costretta a girare del tutto l'occhio all'insù, in un angolo di specchio, al secondo piano dell'edificio, aveva visto qualcosa. Un sacchetto di carta, in fondo a destra, sul pavimento liscio, pulito e quadrato dell'abitacolo. Nel mentre, un leggero colpo del cuore segnalava l'assestamento della circolazione, dopo la maratona nel traffico, senza neanche l'ombrello. Dov'era l'ombrello? Perso per sempre. Con una mano ancora umida di acqua, aveva infine toccato leggermente il manico del sacchetto, dimenticandosi dell'occhio e dell'ombrello smarrito.

Al terzo piano, Ilaria fissava il sacchetto con attenzione. Cos'era? Di chi era? Una dimenticanza di qualcuno, di sicuro. Da una fessura nella carta color arancio-pastello si vedeva qualcosa. Una piccola morbida curva verde scuro, lanuginosa, simile alla schiena di un passerotto. L'inconfondibile consistenza di un frutto.

Al quarto piano, era certo che il sacchetto conteneva una manciata di kiwi. Quindici, forse venti frutti uno vicino all'altro come dentro un tiepido nido. Un dolce, inconfondibile senso di quiete si diffondeva da loro. 

Al quinto piano, Ilaria aveva afferrato il sacchetto, guardando bene dentro con coraggio. Non saliva nessuno nell'ascenzore: solo lei e i kiwi in quel lungo tragitto verso la speranza del futuro.

Tra il sesto e il settimo piano, aveva deciso di lasciar perdere l'occhio da truccare: non c'era più tempo per nulla, tranne che per la decisione da prendere sui kiwi: che fare? Tenerli, lasciarli in ascensore, portarli a casa? Metterli in portineria: sarebbe stata la scelta migliore. Ma certi giorni, certe volte, in certe circostanze, prima di certi appuntamenti, non è la ragione a muovere le cose, bensì altro.

Al decimo piano, si spalancavano le porte. Ilaria aveva trovato lo slancio per appendere il sacchetto al polso, sistemarsi il cappotto e muovere un passo nella saletta elegantissima. Quel lavoro era il suo sogno, aveva atteso quel momento da tanto tempo. E adesso era lì, con il cuore accelerato, con le frasi pronte da dire, con una possibilità nuova, e c'era il sacchetto dei kiwi.

Doveva pensare in fretta e al tempo stesso lasciar perdere ogni pensiero.
Porterò i kiwi con me. Deciso. Sarà il mio colloquio-con-kiwi. Diceva, quasi come sognando, tra sé e sé.


martedì 3 gennaio 2012

La carota.


Claudia aveva appena tirato fuori dalla borsa il suo romanzo da leggere sulla panchina del giardinetto di periferia sotto casa. Le mani fredde, profumate di crema Neutrogena formula norvegese, il naso rosso per il primo gelo della stagione. Ma anche d'inverno bisognava portare fuori Blu, il cane, a fare i suoi bisogni e a giocare all'aria aperta con la sua pallina da tennis tutta mangiata. 

Quel pomeriggio, tre giorni prima dell'epifania, il giardinetto era quasi deserto e il silenzio spezzato solo da alcune auto in lontananza che sfrecciavano veloci e il cigolio sporadico dell'altalena mossa dal vento che proveniva dalle montagne innevate e fischiava strane sensazioni e brividi nelle orecchie di Claudia.

Le foglie erano già tutte cadute e scomparse: il cielo di Torino era bianco e solo pochi triangoli di azzurro spuntavano nell'infinito altissimo tra le nuvole, simili quasi a un'illusione, un ricordo, un messaggio o un futuro impossibile da decifrare.

Blu si ostinava, come tipico di molti cani, a scavare una buca. Una piccola fossa nel circoscritto quadrato di terriccio che ospitava come poteva l'unica pianta di castagne dentro lo stretto perimetro delle giostre per bambini. La staccionata delimitava un'area di cemento e un altro materiale più morbido, già sgualcito, a metà tra gomma piuma e linoleum, amaranto, pensato per evitare, invano, le cadute dagli scivoli e dalle altre complicate costruzioni-giocattolo.

Fermandosi e ripartendo all'impazzata verso la buca, Blu abbaiava forte e impediva a Claudia di concentrarsi sul libro. Che c'è? Ripeteva lei al cucciolo. Stai bravo. Stai bravino. Gli diceva, con la stessa distratta tenerezza di una giovane mamma impegnata altrove.

Blu però non smetteva di agitarsi. Era un cane di pochi mesi e solo in quei giorni incominciava a scoprire il mondo e i molti modi di attirare l'attenzione su di sé. La grande fabbrica addormentata, la schiera di palazzoni a dodici piani con le aiuole e i picchi ghiacciati delle catene montuose all'orizzonte non bastavano a intimorire il cucciolo, che si dimenava, correndo come una furia, quasi fuori controllo.

Claudia si era alzata, consapevole di doversi occupare di lui, prima ancora che della propria necessità di leggere il libro. Cosa c'è? Cosa c'è? Gli chiedeva, come se lui potesse capire. E intanto si avvicinava alla buca. Blu però calmati adesso. Forse aveva troppo freddo. Avrebbe dovuto mettergli uno di quei ridicoli cappottini per cani? Claudia ripensava al Natale: gli avevano forse dato troppi avanzi da mangiare? La cosa poteva nuocere a quel corpo di animaletto ancora gracile? Il cane guaiva e perdeva le bave tutto intorno, scodinzolando con energia.

Claudia, a un passo dalla buca, ora non poteva credere a ciò che vedeva. 

Una carota. Tutta sporca di terra bagnata, eppure luminosa di un arancio brillante, spuntava proprio sotto i suoi occhi. 

Cos'è? Aveva chiesto, ad alta voce. Cercando di ricordare se qualcuno potesse aver dato al cane una carota con cui giocare. Però l'ortaggio era ben conficcato nel terreno, quasi come se quel quadratino pietoso fosse un vero orto di campagna. Boh. Che faccio? Pensava. Dovrò prenderla? O la lascio qui? Sarebbe il caso di farla. Non so. Di farla analizzare. Da un laboratorio di chimica, o qualcosa del genere. 

Detto questo, prima di chinarsi a raccoglierla, Claudia aveva allora estratto il cellulare e l'aveva fotografata, mettendola subito su Facebook, twitter e mandandola via sms al suo fidanzato e a tutte le sue amiche. Guardate cosa c'è qui. Una carota. Una vera carota. 

Blu, finalmente quieto, si era sistemato comodo sotto la panchina. La coda ferma, gli occhi semichiusi e il mento appoggiato sulle zampe anteriori.


domenica 1 gennaio 2012

2012.





La prima alba del 2012 da casa mia :)

Mi sono svegliata di colpo verso le sei e mezza, ancora vestita, con una copertina-Ikea generosamente poggiata sulle spalle, e dalla finestra c'era questa visione. Dopo i fuochi d'artificio della mezzanotte (hei, ma non erano vietati?) l'alba sembrava così tranquilla, ma piena di piccole, silenziose promesse. Poi, la stanza ha ricominciato a girare, e vabè.

Buoni propositi per l'anno nuovo: continuare a leggere e scrivere, come in un viaggio su una nave (o un vascello fantasma) a largo del mare increspato dal vento sulle onde. Un viaggio magari lento ma spero fortunato, nonostante le inevitabili difficoltà. 

Auguri a voi che leggete. 

c\_/