Roberto Bolaño, 2666, Adelphi |
C'è un motivo per il quale sono passati così tanti giorni dall'ultimo post. E il motivo è che, ritagliando del tempo al non-tempo di pensieri, cambiamenti, paure, gioie e terrori, ho cercato di finire 2666. Travolta dal frullatore del Salone, non ho però trascurato la mia passione per le coincidenze o, chiamateli, se volete, segni del destino.
Il Cile era infatti il Paese ospite di questa edizione. E quella scritta al Lingotto qui di Torino, Chile, mi accoglieva tutte le mattine in quelle strane giornate. Ma, naturalmente, non basta.
A presentare il mio primo romanzo, alla sua prima presentazione, come vedete dalle ultime foto dell'ultimo post, c'era Dario Voltolini. Che, per fare un paragone calcistico che capiscano anche i maschi all'ascolto, per me era come per un ragazzino tifoso fare due tiri non lo so con Totti o Del Piero, in uno stadio vero, con le scarpette vere e il pubblico vero che aveva pagato il biglietto vero e un panino e una birretta veri e ti guardava in attesa distratta ma in verità vigile che tu faccia qualcosa non dico di buono ma di decente, senza perdere la dignità.
Quando è apparso, dopo mie svariate telefonate di richieste di rassicurazioni - "Dario... domani, verrai, vero, sicuro, verrai?" - ho pensato a un miracolo. Non è uno scherzo.
Una volta una persona cara mi ha detto: "l'amore è un miracolo". Ma non solo, anche l'amicizia lo è. E anche questa cosa che è accaduta a me di Dario Voltolini che appare. Cioè che Dario Voltolini abbia letto il mio romanzo. E l'abbia presentato e descritto davanti a tutte quelle persone allo Spazio Incontri una decina di giorni fa. Devo ancora capire bene, ma è una cosa talmente bella che stento a riconoscerla nella mia mente, come una luce un po' troppo abbagliante.
Ma non solo, non solo. Qualche tempo fa, avevo letto questo articolo qui. Di Baricco. Che, per chi conosce un pochino questo blog, sa essere un'altra delle mie divinità. Baricco lì scriveva che gli era arrivato un giorno un sms del suo amico e scrittore & genio Dario Voltolini (ovvero, badate bene, lo stesso che vi dicevo io) in cui scriveva questa frase: "Letto Bolaño. Cambiato mestiere".
Ne ero rimasta impressionata. E avevo comprato il libro.
Chi osa far cambiare mestiere a Dario Voltolini, per l'amor del cielo?
Un libro enorme. Che sono cinque insieme e si possono leggere a piacimento. Un po' come Rayuela di Cortázar. E un po' come quel libro, anche questo è considerato un'opera-mondo in cui c'è tutto, sostanzialmente il problema del male, della vita, della morte, dell'amore e del mistero. E della letteratura. Che è un mistero, e un miracolo ed è amore allo stato puro, nel senso di creare spazio per l'altro, ovvero il lettore, o almeno così sto capendo io nelle mie ricerche indefesse su cosa sia l'amore, prima o poi lo capirò, spero.
Dunque. Se Voltolini ha cambiato mestiere dopo questa lettura, potete ben immaginare cosa può essere successo a me.
In questi dieci giorni in cui ho tentato di riprenderlo (l'avevo già iniziato). Ho cominciato dal fondo, così mi sto tenendo il primo come ultimo. E saltando dei pezzi, lo dico per onestà. E non l'ho finito ancora. Ma anche Baricco ha detto di averne letti quattro su cinque, tenendosene volutamente uno da parte come buon auspicio e, se ho ben capito, consonanza con le volontà all'incirca dell'autore stesso, dalla breve e intensa vita mortale.
A me ha dato il capogiro. Oggi, ad esempio, che leggevo parti del primo, stavo male.
C'è da dire che sto attraversando un passaggio di vita particolare. Mi sento sperduta, ma lo dico così per dire, non per lamentarmi, ma perché siamo un po' come a casa mia qui e vi racconto allegramente i miei fatti. Comunque in alcuni momenti di transizione come il mio, i libri come questo sono fondamentali. Ci stanno proprio come il cacio sui maccheroni. E più precisamente, libri così li scelgo sempre proprio quando il gioco si fa duro, come a voler alzare la posta in gioco della sfida, e, mi auguro quindi, della ricompensa.
Ma questo discorso c'entra poco con il libro in sé e forse più con l'intento dell'autore, posto che ve ne sia uno. Sempre Baricco dice che di lui, come di David Foster Wallace, lo ha colpito la strafottenza. La dismisura. Come è vero! E come sono le più pregnanti nella vita poi alla fine proprio le cose più strafottenti, le cose pazzamente folli e rivoluzionarie?! Che sono poi quelle che lasciano quel senso finale di dolcezza, di bellezza, e di autentica verità. Certo, ci vuole un po' di coraggio. Silenzio. Preparazione. Non fretta. Rispetto per gli altri. Per se stessi. Confidenza. Gentilezza e calma. In una parola: non è facile.
E cercavo proprio una cosa del genere da leggere adesso. Un Universo matto, profondo, reale di grande strafottenza, di forza, di energia micidiale e di sicurezza. Nel crollare delle certezze, questo libro restituisce (ma è chiaro che non lo finirò mai) il senso della vita, cioè il senso del potercela fare nonostante tutto. Letto questo, fatto tutto. O quasi. Con quell'unica domanda che resta alla fine, che è: ma cos'è che ancora mi tocca capire?
Perché è così clamoroso quello che succede, che sembra non esserci poi più altro da sapere. Per usare un'espressione abusata, 2666 ti smuove dentro. E come è scritto. Un scrittura piana, vicina al grado zero, che mi ha fatto l'effetto delle primissime letture adolescenziali, così molteplici, immense, immani, che mi facevano venire la nausea - Moby Dick, ma anche Il nome della Rosa, L'Idiota - alla fine, vedevo le stelle, nel senso di un calo di pressione.
Cambiavo nel cuore, nella testa, nelle diottrie degli occhi, nel corpo. E così, anche oggi, anche oggi. Mentre leggevo, sentivo il sangue scorrere nelle vene. Sentire i libri nella carne. Nella sostanza. Nonostante tanta incertezza, tantissima paura, mi sentivo viva. Ben presente a me stessa.
Un libro, come il migliore degli amici, ancora una volta, mi ha salvato cambiato la vita.
Non so adesso bene cosa succederà.
Cambiare mestiere? Cambiare casa? Cambiare città? Cambiare vita? Cambiare battiti cardiaci?
Cambiare tutto. Senza dubbio, cambiare qualsiasi cosa.