venerdì 31 gennaio 2014

Ieri, ovvero del parlare con il cuore aperto.










Dicono che le coincidenze non esistano. Come non esiste il caso. Né la fortuna. Ma dicono - di contro - anche che siano proprio queste tre furbissime entità a dettare la gran parte delle evoluzioni della nostra altrimenti enigmatica esistenza. Certe altre volte accade dunque che un incrocio volontario e insieme fortuito di circostanze ci faccia capire che, proprio tra le trame del caso, si nascondono i tasselli per comporre un percorso sensato, di valore, e una storia da raccontare. 

A me è successo qualcosa in queste ultime settimane.

Sono settimane in cui mi è toccato (o l'ho scelto?) di starmene tanto in silenzio, e da sola. 

Mi correggo: passo la gran parte delle mie giornate a dire il vero in compagnia di persone diverse, a parlare e sentire discorsi per la gran parte del tempo. Ma è la sera il momento in cui rimango da sola, senza tv o altre distrazioni. E ascolto il silenzio, il silenzio del mio nuovo quartiere dove non passano le auto, ma suonano le campane. Il silenzio del mio cuore, il silenzio che mi sono scelta e che la vita (il destino?) ha deciso di regalarmi, o per lo meno di affidarmi in prova, per vedere cosa succede a starsene per conto proprio per molte ore di fila, senza segnare la fine, e scendere in profondità nel. Nelle. Non so. Non so dove, ma dico che mi piace, e che sto imparando tante cose. 

Ed è stato così che a un certo punto mi è tornato in mente, di colpo e dal nulla, un racconto che avevo letto tanto tempo fa. Che si intitola proprio Ascoltare il silenzio. Un racconto meraviglioso, breve, struggente ed emozionante. Scritto da Laila Wadia e contenuto nella raccolta di racconti Lingua Madre (Edizioni Seb27), edizione 2012.

Ora, non so se voi sapete che conduco insieme a due amici tutte le settimane una trasmissione radiofonica che si chiama La Trattoria delle Parole? Comunque ho pensato allora, dal momento che in questa trasmissione si parla anche di libri (oltre che di altre amenità molto buone e nutrienti), due puntate fa, di raccontare proprio di quel libro. 

Pochi giorni dopo, come leggete nell'ultimo post, ho poi avuto l'opportunità di fare la madrina proprio al concorso relativo alle tesi di laurea scritte su Lingua Madre. Un premio che, se per un astruso caso non conoscete ancora, vi dico che riguarda racconti scritti da donne straniere in Italia, che è giunto alla sua decima edizione e che è molto prestigioso.

Quindi dovevo andare a questa premiazione e fare da madrina alla giovane tesista Lediona Nano, che è di origini albanesi e vive in Veneto. Una responsabilità non indifferente. E dovevo pur dire qualcosa di intelligente di umano.

Ora, se voi magari sapete anche che qualche tempo fa ho scritto (e avuto la fortuna di pubblicare) un romanzo che si intitola Il metodo della bomba atomica, forse siete a conoscenza allora del mio interesse per il cuore. Di diritto tra i protagonisti assoluti del libro. 

Sia come muscolo (ovvero mi incuriosisce il suo astruso funzionamento, la sua bizzarra forma, le sue funzioni) sia anche come simbolo. Ovvero: come il muscolo reagisce alle emozioni, segnalandole alle persone con accelerazioni, aritmie e altre cose strane. Fino alle più estreme, sconvolgenti conseguenze. Il mal di cuore, il cuore a pezzi. Senza contare che l'apparato cardiocircolatorio è proprio il tallone d'Achille della mia famiglia: curiosamente sia da parte di padre che di madre. 

Di madre, a proposito. Siccome sono stata chiamata a tenere a battesimo una giovane tesista che ha riflettuto sull'omonimo concorso, ho capito a un certo punto che sarebbe stato opportuno, forse giusto, fare riferimento alla mia, di "lingua madre".

Ed è così che ho capito che sarebbe stato anche il momento perfetto per aprire il mio cuore. 

Non in senso bieco, ma in senso letterale. E non per spezzarlo agli altri, ma per poi richiuderlo ad arte, con il balsamo delle parole e dell'ascolto silenzioso. Anzi non chiuderlo, proteggerlo. Ricucirlo e fornirgli i documenti di viaggio per trovare un posto vero, il proprio posto. C'è da dire che è una ricerca continua, un viaggio senza fine, ma non privo di tappe talvolta molto confortevoli.

E così è stato ieri. Tra l'altro, è andata così bene che mi sono chiesta se sista un altro modo, in certe circostanze, di parlare, se non in quel modo. La risposta è no. 

Ho spiegato quindi che le scrittrici di Lingua Madre mi colpiscono, e commuovono, perché io sono "una di loro". Dentro di me infatti scorrono due tipi di sangue, e pulsano due tipi di cuore molto diversi, quello piemontese e quello siciliano. 

Esplorando nella memoria il linguaggio di mia madre, ho raccontato la mia storia. 

E, per citare Mariangela Lando che ha seguito Lediona nel suo lavoro di tesi, ho detto del mio "desiderio di identità". Un desiderio profondo. Che è lo stesso di ogni singola autrice.

Ma perché ho scritto tutte queste cose? Per dire che affrontare questo appuntamento con autenticità è stato un esperimento ben riuscito, spero sarà utile anche ad altri. E poi che "non finisce qui". Il mio viaggio a bordo di Lingua Madre, appena e così felicemente cominciato, non si interrompe qui, e vi racconterò in futuro cosa accadrà. 

Per il momento, non posso che esprimere gratitudine e stupore per un pezzetto di destino che mi si è rivelato in questi giorni. Il mio cuore adesso è contento. Lì nascosto nel suo segreto, silenzioso e tranquillo. 

Che ne è del vostro? Fatemi sapere. Nel mentre, buone letture!

Le fotografie sono di Paola Marchi.


1 commento:

vitto e libri ha detto...

che bello il tuo post. Amo da sempre la letteratura migrante,e Layla Wadia mi piace moltissimo...
e da sempre sono affascinata dall'identità...capisco le tue parole,il tuo sentirti a metà.
un abbraccio :-)