sabato 21 giugno 2008

China Girl.

Ieri pomeriggio ero in un negozio di orli con mia mamma. Di quelli a cui si portano i vestiti troppo grandi o rovinati. Una specie di sartoria in franchising. A un certo punto suona il campanello. Alla porta c'è un uomo cinese, sui 35 anni. "Ecco Maria, è arrivato tuo fratello", dice la sarta, schiacciando l'apriporta sotto il bancone. L'uomo entra con passo deciso e la fronte corrugata. La sarta chiama ancora la ragazza nascosta nel retro "Maria", lasciando mia mamma ad armeggiare davanti allo specchio infagottata in un paio di pantaloni verdi larghissimi puntellati di insidiosi spilli e me, ridicolmente accovacciata su una sediolona a contemplare la smisurata lunghezza dei miei improbabili pantaloni a sigaretta. "Può restare ancora mezz'ora sua sorella?" chiede la sarta, in affanno. Intanto Maria appare, con i suoi occhi a mandorla, i suoi lunghi capelli neri, la sua maglietta rosa, i suoi jeans e il suo sorriso immotivatamente raggiante. "No". Risponde l'uomo.
"Allora può venire domani mattina. Pagata eh. Quattro ore".
E lui: "Si, va bene domani mattina. Ma come va? Come lavora?"
Chiede con insistenza.
Mi ha ricordato non so perché un ispettore scolastico del ventennio fascista. "Mah, si, va bene. Bisogna un po' starle dietro..."
"E cosa fa? Cosa fatto? Che lavoro?"
A questo punto la sarta scompare nel retro e ricompare dopo pochi istanti con un paio di pantaloni marroni alla rovescia. "Ecco. Vede: questa cerniera? Aveva sbagliato, poi le ho detto cosa doveva fare. Eh si bisogna starle un po' dietro... ma piano piano... dai... vediamo un po' domani come va".
"Va bene" taglia corto l'uomo. E mi lancia un'occhiataccia sospettosa.
Alla quale io rispondo con lo stesso sorriso ebete di sua sorella. Immotivatamente felice e accondiscendente. E se ne vanno così. Con un "arrivederci" tra i più freddi e formali che io ricordi. La sarta, con la fronte imperlata del sudore e della stanchezza di un venerdì pomeriggio di inizio estate, ritorna allora da noi. Sempre più affannata. Vorrebbe dire qualcosa, un commento seccato, un pettegolezzo indignato, ma le si strozza tutto in gola. E continuiamo le nostre faccende femminili. Mute.

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