Mio nonno era una delle persone più tristi che abbia mai visto nella mia vita. Ha trascorso il periodo di esistenza in cui l'ho conosciuto io chiuso in un mondo di solitudine, soprattutto mentale ed emotiva. Nella sua infanzia e nella guerra devono essere capitate cose che lo hanno ferito e senz'altro non si è mai più ripreso.
Però mio nonno Giovanni aveva anche un'altra caratteristica: amava le arti. Il suo buio non era assoluto. C'era una scintilla. Lontana, forse vana, ma in effetti viva. L'unica cosa capace di accendergli quel suo sguardo celeste, altrimenti cupo e spento. Amava le arti (e i film di scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill) in un suo rudimentale modo, che si era industriato a coltivare in quella solitudine: però le amava davvero. Soprattutto la musica, credo, perché aveva suonato nella banda del paese. Ma anche i libri. Il suo scrittore preferito, anzi l'unico che gli avevo visto leggere in verità, è stato Mario Rigoni Stern: erano quasi coetanei.
E poi scriveva molto, lunghissimi diari che sono andati persi e che compilava nelle altrettanto lunghissime ore che il suo lavoro (solitario e malinconico ovviamente) gli lasciava libere.
Di tutto questo, e arrivo al punto, e al perché questo libro mi ha colpita molto e da subito, è rimasta un'unica cosa. Una poesia. In verità uno scritto così piccolo che non so nemmeno se chiamarla tale. Una frase in ogni caso che da bambina conservavo in un borsellino, scritta di suo pugno, su un pezzo di foglio bianco in pennarello nero. (Se ci penso adesso, quello per me era una specie di simbolo della speranza).
Ma ne esiste un'altra versione: aveva disegnato una bella rosa di un colore chiaro che riempiva tutto il foglio, e ci aveva scritto queste parole accanto:
Più bella tu sei di una rosa. Più soave, più candida di un fiore.
Rosa. Candida. Sono perciò due parole che girano nella mia testa da sempre. Il pensiero che mio nonno, nel mezzo di tutto quel suo incomunicabile dolore, ed era senza fine, era qualcosa che non posso descrivere in poche righe. Nel mezzo di tutto quello; nel mezzo dell'orrore della sua vita umana abbia comunque concepito o conosciuto o sognato o anche solo immaginato qualcuna di più bella di una rosa, di più candida di un fiore, mi sorprende sempre molto.
E questa è la prima affinità che ho sentito con questo delizioso romanzo della scrittrice islandese
Ma poi ci sono altre cose che mi sono piaciute.
Innanzitutto la sua lentezza. Questo è un libro piccolo, pochissime pagine. Eppure ci ho messo un sacco a finirlo. Perché ha tempi speciali, legati al cibo, alla scoperta del mondo, della natura delle cose, tempi nuovi, in linea con un diverso modo di vivere, di scrivere, di essere che secondo me ha a che fare (non so come) con il futuro.
In seconda battuta così il personaggio del protagonista, Arnljòtur, un ragazzo sulla ventina, spilungone, con i capelli rossi e una profonda conoscenza e passione per i fiori e le piante mi è parso proprio un personaggio di un libro di domani, nemmeno di oggi.
I fiori. Una cultura buona e immersa nella terra e nel suo potere di trasformare qualsiasi cosa, una terra straordinaria e irreale che è quella natale di una mamma scomparsa troppo presto ma che gli ha lasciato tanti ricordi, un fratello silenzioso, un papà premuroso e insicuro e una serra. Ed è la serra il suo luogo preferito, dove va a rifugiarsi in qualsiasi momento ne senta il bisogno. E soprattutto dove concepisce, insieme ad Anna, un'amica semisconosciuta, studentessa di genetica, niente meno che una figlia. Quindi questo ragazzino stralunato, anzi lunare, candido ma anche normalissimo, scopriamo che è anche papà. Una nascita non cercata, non voluta ma neanche rifiutata. Una cosa bella, spontanea, che spaventa ma che esiste.
Lobbi, questo il soprannome del ragazzo, poi a un certo punto parte, lascia padre e fratello alla volta di un monastero in un paesino sperduto dove c'è un giardino, il più bello del mondo, il "Meraviglioso giardino delle rose celesti", ormai distrutto ("l'ombra di se stesso") che ha ferma intenzione di mettere a posto, sistemare, e depositarvi alcune talee di una rosa particolare.
Una rosa rara, che ricorda la Rosa candida, ma di un colore diverso, porpora, a otto petali ("otto crescono alla base della corolla, e due strati di altri otto si sviluppano all'esterno. In totale quindi il bocciolo si compone di ventiquattro petali ed è quasi sempre umido di rugiada [...] Appartiene a un ceppo più resistente: nel suo genere, probabilmente, è unica al mondo. Ho consultato una marea di libri sulle rose, ma non ho mai trovato nulla di paragonabile". E anche questo aspetto dell'otto mi ha colpita (vi ho già raccontato forse la mia mania per l'otto, nata l'8/8/80, vivo al civico 88 etc. etc.??).
Ma, comunque, mentre Lobbi trova la sua strada (la cerca) nel mezzo di questo giardino, allietato dalla sola compagnia dei monaci - tra i quali uno fantastico che beve bicchierini di liquore guardando un film al giorno nella sua stanza stracolma di videocassette e diventa un po' un padre spirituale - ecco che Anna ripiomba di nuovo nella sua vita, chiedendogli di aiutarla a occuparsi per un mesetto della bambina, dovendo lei studiare per l'Università.
Quindi la storia rallenta ulteriormente rispetto alla prima parte, e tutto si avvolge attorno a questa permanenza di madre e bambina nella casetta di Lobbi. Una convivenza di poche parole, molte cose da fare, molto cibo e molti pensieri sulla vita. Lobbi è ossessionato da "pensieri sul corpo", è pure ipocondriaco anche se ama molto la vita. E la bambina, insieme ad Anna e al giardino da curare un po' ne scacciano via. Poi la vita ha sentieri inaspettati e un finale che non vi dico.
Però il bello è leggere i ritmi di questo romanzo, che per certi versi assomiglia a un delicato spartito musicale da decifrare, per altri mi ha ricordato un film famoso e generazionale, che ho visto di recente: Into the wild: declinato certamente su tutte altre frequenze, ma il concetto è quello di un giovane che lascia la casa dove è nato e va a cercare qualcosa in giro - in un'altalena precisa dove si alternano i ricordi e gli insegnamenti della mamma angelicata, e l'indefinibile legame con Anna, le telefonate con il papà un po' ansioso e le ricette da inventare per la figlia.
Quello che lascia sbalorditi in questa storia è come si incastri perfettamente un vicenda qualunque, un ragazzo che semplicemente cresce e diventa adulto, dentro un mondo e un'atmosfera del tutto altri, incantati, sospesi nella bellezza più delicata e dolce che si possa immaginare.
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Mentre leggevo si è posata sul libro una coccinella! |
- Di solito le cose peggiorano fino a un certo punto, prima di ricominciare a migliorare.
Dice a un certo punto Padre Tommaso (il cinefilo).
Dunque questo libro è consigliatissimo a chi è in cerca di una fiducia incrollabile nella vita, nei libri, nella bellezza, nella natura, nelle parole, nel cibo.