Jonathan Safran Foer, Eccomi, Guanda - traduzione di Irene Abigail Piccinini, copertina di Giovanna Ferraris |
In verità, l'ultimo romanzo (o per meglio dire "il romanzo", come lo definisce qui la scrittrice Nadia Terranova) di Jonathan Safran Foer è uscito in Italia a fine agosto e l'autore ha viaggiato nelle nostre città per un bel po', riscuotendo un grande successo ovunque si recasse.
"Il romanzo" era attesissimo, come si suol dire in questi casi. Molti di voi avranno letto e amato Ogni cosa è illuminata e Molto forte incredibilmente vicino salutandoli come caploavori di innovazione e commozione e apprezzandone anche i film che ne sono stati tratti; e molti avranno cambiato le proprie prospettive sull'alimentazione e gli animali con Se niente importa: perché mangiamo gli animali. Senz'altro dunque è comprensibile che tutti voi foste colmi di aspettative dopo circa un decennio di silenzio.
Nel mentre, molti affamati di gossip avranno anche osservato il crescere e il rompersi della famiglia da sogno dell'autore costruita e poi chiusa con la scrittrice Nicole Krauss: un'idillio, anche nella fine, degno del miglior sogno americano eppure avvolto in un'aura di sobrietà, di discrezione, di bellezza.
E di famiglia che si disgrega si parla infatti (ma sull'autobiografismo di Eccomi si potrebbero scrivere altri fiumi di inchiostro) in questo romanzo che, tornando al punto, pur essendo uscito in estate è stato il libro di ottobre per me e spero adesso anche per voi che leggete questo blog.
Eccomi dunque sembra rispondere alla domanda: cosa succede quando si finisce per avere tutto? Quando la felicità è a portata di mano? Ebbene, succede, almeno a questi personaggi, una sorta di nevrotico e malsano ripiegamento in dinamiche perverse e dolenti. I dialoghi, ad esempio. Sono tutti davvero perfetti e fanno male (alcune scene a me hanno ricordato il delizioso film di Miranda July, Me, you and everyone we know che in comune con Foer ha un potere di visione insieme delicato e mostruosamente spietato) e incarnano l'epitome dell'intelligenza che si avvoltola su se stessa. E guarda caso uno dei primi capitoli si intitola proprio "epitome".
I protagonisti di questo delirio "normale" sono Jacob e Julia che, con i loro tre figli e tutti i collaterali e affini della famiglia compongono un tipico nucleo di benestanti borghesi ebrei americani, di Washington. Molta parte della trama ruota attorno all'attesa del Bar Mitzvah di uno dei ragazzini: un evento dalle valenze importantissime per tutti e specialmente per il nonno. E non solo, le cose girano anche attorno alla fine del matrimonio tra Julia e Jacob, complice una chat piena di frasi assurde eppure piuttosto incisive che non si può definire tradimento, ma forse qualcosa di molto di più: uno spostamento fino a un punto di non ritorno della autenticità dell'amore, di ciò che ci rende umani e semplici. (Si potrebbe fare un lungo discorso sulla compenetrazione di emozioni e tecnologia, e qui mi viene in mente un film più recente che è Lei di Spike Jonze, per restare in un similare mondo di riferimento).
Perché questo libro si chiama Eccomi? E perché è così bello?
"Eccomi" è ciò che risponde Abramo quando Dio gli chiede di sacrificare, ovvero uccidere suo figlio Isacco. Questo episodio biblico è uno dei più importanti in assoluto e rimando a una lettura fondamentale al riguardo, che davvero vi potrà trasformare e condurre alla conoscenza piena dell'episodio stesso e tutte le sue valenze, che è Timore e tremore di Kierkegaard.
Ed è così bello perché sta a Jacob scegliere se rispondere allo stesso modo di Abramo o qualcosa di diverso.
Foer posiziona il suo personaggio verso la quarantina, Dante lo aveva fatto sui trentacinque: sembrerebbe che a questa età tocca dare le prime risposte alla vita, a Dio o agli altri. Senz'altro tocca cominciare a rispondere a se stessi. E la domanda è sempre la stessa: chi sei?
Rimangono in silenzio. Ma è un silenzio diverso da quello che conoscevano. Non il silenzio per scherzare, nascondere, distrarre. Non il silenzio dei muri, ma il silenzio per creare uno spazio da riempire.
Questo è un libro bello perché, come si dice in questi casi, è un'opera-mondo che gioca a flipper con l'ironia di Woody Allen e l'ampio e folle respiro delle Correzioni di Franzen e forse va un pochino oltre, nel tornare indietro. "Tornare indietro" perché in Safran Foer è possibile vedere sempre un po' di innocenza, sempre un po' di tenerezza nonostante le tinte questa volta, a dispetto della copertina molto e incredibilmente illuminata, siano fosche, vischiose e possano anche fare paura.
Eccomi è di quei romanzi che, in dieci anni di gestazione, provano e riescono tutto sommato a dire tutto, a far uscire le ombre dalla luce, in attesa della prossima storia, magari più piccola o chissà: difficile immaginare il futuro di un autore che ha scritto un libro così, possiamo solo abitare il presente che nella parola "eccomi" più che mai è contenuto.
Qui l'autore che parla del proprio libro, in un video della Penguin Uk.