domenica 30 ottobre 2016

Il libro del mese - e del ponte

Jonathan Safran Foer, Eccomi, Guanda - traduzione di Irene Abigail Piccinini, copertina di Giovanna Ferraris


 In verità, l'ultimo romanzo (o per meglio dire "il romanzo", come lo definisce qui la scrittrice Nadia Terranova) di Jonathan Safran Foer è uscito in Italia a fine agosto e l'autore ha viaggiato nelle nostre città per un bel po', riscuotendo un grande successo ovunque si recasse. 

"Il romanzo" era attesissimo, come si suol dire in questi casi. Molti di voi avranno letto e amato Ogni cosa è illuminata e Molto forte incredibilmente vicino salutandoli come caploavori di innovazione e commozione e apprezzandone anche i film che ne sono stati tratti; e molti avranno cambiato le proprie prospettive sull'alimentazione e gli animali con Se niente importa: perché mangiamo gli animali. Senz'altro dunque è comprensibile che tutti voi foste colmi di aspettative dopo circa un decennio di silenzio. 

Nel mentre, molti affamati di gossip avranno anche osservato il crescere e il rompersi della famiglia da sogno dell'autore costruita e poi chiusa con la scrittrice Nicole Krauss: un'idillio, anche nella fine, degno del miglior sogno americano eppure avvolto in un'aura di sobrietà, di discrezione, di bellezza.

E di famiglia che si disgrega si parla infatti (ma sull'autobiografismo di Eccomi si potrebbero scrivere altri fiumi di inchiostro) in questo romanzo che, tornando al punto, pur essendo uscito in estate è stato il libro di ottobre per me e spero adesso anche per voi che leggete questo blog.

Eccomi dunque sembra rispondere alla domanda: cosa succede quando si finisce per avere tutto? Quando la felicità è a portata di mano? Ebbene, succede, almeno a questi personaggi, una sorta di nevrotico e malsano ripiegamento in dinamiche perverse e dolenti. I dialoghi, ad esempio. Sono tutti davvero perfetti e fanno male (alcune scene a me hanno ricordato il delizioso film di Miranda July, Me, you and everyone we know che in comune con Foer ha un potere di visione insieme delicato e mostruosamente spietato) e incarnano l'epitome dell'intelligenza che si avvoltola su se stessa. E guarda caso uno dei primi capitoli si intitola proprio "epitome".

I protagonisti di questo delirio "normale" sono Jacob e Julia che, con i loro tre figli e tutti i collaterali e affini della famiglia compongono un tipico nucleo di benestanti borghesi ebrei americani, di Washington. Molta parte della trama ruota attorno all'attesa del Bar Mitzvah di uno dei ragazzini: un evento dalle valenze importantissime per tutti e specialmente per il nonno. E non solo, le cose girano anche attorno alla fine del matrimonio tra Julia e Jacob, complice una chat piena di frasi assurde eppure piuttosto incisive che non si può definire tradimento, ma forse qualcosa di molto di più: uno spostamento fino a un punto di non ritorno della autenticità dell'amore, di ciò che ci rende umani e semplici. (Si potrebbe fare un lungo discorso sulla compenetrazione di emozioni e tecnologia, e qui mi viene in mente un film più recente che è Lei di Spike Jonze, per restare in un similare mondo di riferimento). 

Perché questo libro si chiama Eccomi? E perché è così bello?

"Eccomi" è ciò che risponde Abramo quando Dio gli chiede di sacrificare, ovvero uccidere suo figlio Isacco. Questo episodio biblico è uno dei più importanti in assoluto e rimando a una lettura fondamentale al riguardo, che davvero vi potrà trasformare e condurre alla conoscenza piena dell'episodio stesso e tutte le sue valenze, che è Timore e tremore di Kierkegaard.

Ed è così bello perché sta a Jacob scegliere se rispondere allo stesso modo di Abramo o qualcosa di diverso.

Foer posiziona il suo personaggio verso la quarantina, Dante lo aveva fatto sui trentacinque: sembrerebbe che a questa età tocca dare le prime risposte alla vita, a Dio o agli altri. Senz'altro tocca cominciare a rispondere a se stessi. E la domanda è sempre la stessa: chi sei?

Rimangono in silenzio. Ma è un silenzio diverso da quello che conoscevano. Non il silenzio per scherzare, nascondere, distrarre. Non il silenzio dei muri, ma il silenzio per creare uno spazio da riempire. 

Questo è un libro bello perché, come si dice in questi casi, è un'opera-mondo che gioca a flipper con l'ironia di Woody Allen e l'ampio e folle respiro delle Correzioni di Franzen e forse va un pochino oltre, nel tornare indietro. "Tornare indietro" perché in Safran Foer è possibile vedere sempre un po' di innocenza, sempre un po' di tenerezza nonostante le tinte questa volta, a dispetto della copertina molto e incredibilmente illuminata, siano fosche, vischiose e possano anche fare paura. 
Eccomi è di quei romanzi che, in dieci anni di gestazione, provano e riescono tutto sommato a dire tutto, a far uscire le ombre dalla luce, in attesa della prossima storia, magari più piccola o chissà: difficile immaginare il futuro di un autore che ha scritto un libro così, possiamo solo abitare il presente che nella parola "eccomi" più che mai è contenuto.

  Qui l'autore che parla del proprio libro, in un video della Penguin Uk.


venerdì 28 ottobre 2016

Chicchi di caffè

Giorgio Pirazzini, Gattoterapia, Baldini & Castoldi - Sam Savage, Firmino, Einaudi (tradotto da Evelina Santangelo, illustrazioni di Fernando Krahn)

Imparare dai gatti e imparare dai topi. Recentemente, sto imparando ad esempio da un gattino di cinque mesi (di nome Cosimo) il significato del concetto di professionalità. Cosimo è ancora piccolo, ma ha un lavoro ben preciso, tramandato da generazioni: il cacciatore. Ebbene, lui ogni mattina, e spesso anche di notte, lavora. Non ha grilli per la testa (qualcuno vorrebbe semmai averlo nella pancia, ma non è ancora così bravo), non è invidioso né carrierista ma, benché si conceda molto riposo, non perde tempo. Non conosce rimpianti né arzigogolate insicurezze. Ha paura, questo sì, ma l'affronta e semmai, avendo cara la pelle, cerca di mettersi in salvo.

Per il resto del tempo, lavora. Si concentra. Si alza, si sgranchisce le zampe, e si mette a lavorare. Ho l'impressione che si diverta anche, ma non è questo il punto: fa quello che vuole fare e che deve e lo fa bene. E quando fallisce, accusa il colpo e ricomincia, metodicamente, a lavorare. 

Questa, come tante altre caratteristiche del gatto, dalle più emotive alle più comportamentali, potrebbe essere una delle cose che Lorenzo, uno dei protagonisti di Gattoterapia, sceglierebbe forse di emulare del comportamento dei gatti. 

Perché Lorenzo, un personaggio complesso e assai contemporaneo, vive a Londra ma è italiano e si avvelena la vita con un lavoro per lui diventato frustrante (il pubblicitario) e un matrimonio molto in crisi (anche sua moglie, Claudia, fa la pubblicitaria ma a differenza sua ama il lavoro e ha successo, oltre che un amante...). Tutto questo veleno troverà sbocco in due direzioni uguali ed opposte: una è l'entrare in contatto, da parte di Lorenzo, con una sorta di sofisticatissima società segreta londinese di persone che si ritrovano, indossano costumi e calzemaglie e si comportano esattamente come dei gatti, ben sapendo che il loro sistema di vità, più selvatico e istintivo, ci tiene alla larga dallo stress, ci rende esseri più affascinanti e distaccati. 

Tutto andrebbe bene, se non fosse che gli uomini non sono gatti e la incontrovertibile umanità di Lorenzo e Claudia arriva a un certo punto drammaticamente a riportare le cose alla loro esatta posizione, cioè verticale e non a quattro zampe. Non svelo il finale, che lascia il beneficio del dubbio: quanto dei gatti possiamo portarci nella nostra esistenza? Ma la domanda è ancora più profonda: di cosa abbiamo bisogno per imparare a vivere e ad amare noi stessi e gli altri? 

Che fine ha fatto il gatto in me? Era solo un capriccio per coprire delle mancanze troppo evidenti? Indifferenza, eleganza, sensualità sono tutte stupidaggini di un uomo abbandonato in cerca di autostima? 

Gattoterapia è infine una bellissima riflessione sulla iper e ultra nevrotica società contemporanea, specie tipica degli ambienti più evoluti, connessi e privilegiati. Rifugiarsi infatti nei tratti più narcisistici del gatto è proprio un po' come scappare da ciò che ci rende umani e dimenticare che tutto sommato siamo noi ad accudire i nostri gatti domestici e non viceversa, e che possiamo prendere molto da loro, certo, ma ci tocca soprattuto dare e prendercene la responsabilità, come si fa con le creature più piccole. 

Alla domanda sull'amore, magari non quello tra persone (alla fin fine insondabile) ma quello per i libri e in generale per la letteratura e le storie risponde Firmino

Mentre ringrazio Baldini & Castoldi per l'invio di Gattoterapia, uscito da pochi giorni in Italia, vi dico che Firmino lo ha scritto l'americano Sam Savage ed è uscito per Einaudi una decina di anni fa e me lo aveva regalato una mia amica. 

Firmino è un topastro mangiatore di libri. Ma anche di avventure:

Inoltre, non si deve necessariamente credere alle storie per amarle. Io amo ogni genere di storia. Amo il suo modo di procedere: inizio, sviluppo, fine. Amo il lento accumularsi di senso, i paesaggi ancora indistinti e vaghi dell'immaginazione, i percorsi tortuosi e intricati, le pendici boscose, gli specchi d'acqua e i loro riflessi, le svolte tragiche e i comici incidenti di percorso. 

 Firmino è un topo che si comporta da topo ma che al contempo degli umani prende il meglio, cioè assimila letteralmente i romanzi, mangiandoli, nutrendosene. Un po' l'opposto di quel che accade in Gattoterapia dove i ruoli sono invertiti.

In entrambi i casi questi libri convincono perché il regno animale vi appare come un territorio senza tempo ma al contempo adulto e narrativo, maturo e sofisticato, surreale, come accade anche in due libri che Giorgio Pirazzini cita in un'intervista su Vanity Fair (e che ho riletto anche io di recente) ovvero Il gatto in noi di Williamo Burroughs e Io sono un gatto di Natsume Soseki.

Per questa rubrica di comparazioni libresche ho scelto dunque questi due tipici opposti per antonomasia. Qui, vi ho raccontato come questo eterno enigma della contrapposizione gatto-topo ha preso vita nella mia casa non molto tempo fa quando in rapida successione si sono alternate le presenza di un topo mangiatore di libri e di un gattino di cinque mesi che di mestiere fa il cacciatore.

E in entrambi i casi, quel che resta dopo la lettura è la ricerca di un'autenticità che si rischia di smarrire e di valori importanti che si rischia di perdere talvolta semplicemente vivendo. Consigliati entrambi e buona lettura!


giovedì 27 ottobre 2016

Taccunio di caffè


Il giorno di questo taccuino è di solito il mercoledì ma - mi vorrete scusare - qualche volta, per ragioni logistiche, slitta al giovedì! Però c'è, esso c'è. Questa settimana ho tre notizie che mi sono piaciute, ed eccovele qui.

Prima, benchè consapevole che sia proprio solo una goccia nel mare, vi metto il link qui del sito della Protezione Civile per avere informazioni sul terremoto che sta colpendo l'Italia.

I 7 pazzi Oltre a essere questo il titolo di un romanzo dell'argentino Roberto Arlt, qui per maggiori info, I 7 pazzi è anche il nome di una nuova libreria a Torino in Corso Rosselli, 33. Infatti, sì, proprio in questi tempi di catastrofi annunciate, non solo ambientali ma anche economiche (oggi ho ascoltato a lungo la radio e i due temi principali sono stati: terremoto e crisi economica), succedono anche cose belle. I librai in settimana mi hanno invitata per fare due parole e berci un caffè insieme: dunque li ringrazio pubblicamente e faccio loro il mio grande in bocca al lupo!

Ebook in libreria E a proposito di librai di valore: sono particolarmente legata a una libreria indipendente qui di Torino che per molte, ma molte ragioni è unica e importante. Ora, pensateci un attimo, ci siamo tutti rotti la testa (intendo "noi" stolti che scriviamo o operiamo in rete ma non per questo non conosciamo il significato e le valenze del mondo reale e fisico) per anni sul "problema" degli ebook e sul profumo della carta (che io personalmente amo). L'uovo di colombo oggi è poter segliere senza sentirsi a disagio o snaturati se leggere un ebook o un libro di carta: non è obbligatorio essere partigiani dell'una o dell'altra modalità di lettura, ed è una querelle inutile. Ecco che la libreria Luna's Torta ha creato questa opportunità in modo semplice. Qui c'è il loro catalogo di ebook che si possono acquistare dicendo no ai sensi di colpa!

Viaggio intorno al mondo E infine, una sbirciata a cosa succede nel mondo: conoscete questa rivista? Quelli del Nobel (sì beh gli stessi pazzerelli che hanno il premio a Dylan) hanno definito il World Literature Today una delle migliori pubblicazioni del mondo. Ogni tanto è interessante vedere cosa si pubblica fuori dai nostri confini e pensate che la settimana scorsa il giornale ha compiuto ben novanta anni di attività. Per essere dei vecchietti, hanno pure un bellissimo blog. Read more... (Ing.)

lunedì 24 ottobre 2016

Tazzina di sakè

Inge Sargent, Il tramondo birmano - La mia vita da principessa shan, Add - Susanna Tartaro, Haiku e Sakè, in viaggio con Santoka, Add

Torna la rubrica di "tazzina-di-caffè" dedicata alla letteratura orientale. Perché?

Perché è un mondo, quello orientato a Est, che a me piace molto, fin dai banchi di scuola. A colpirmi, come spesso accade, è stata l'alterità e lo sguardo "semplice" degli orientali. Anche l'autore orientale più contorto, capace di gran morbosità di elevato livello, come ad esempio Murakami, risulta, alla fine della lettura, "semplice". Semplice è l'esatto opposto di complesso, eppure entrambe le categorie possono contenersi in uno stesso libro. 

Tornando alla rubrica, oggi sono semplicemente felice di proporvi questi due lavori.

Premessa: in tutti i miei (numerosi) anni di "blogging", non ho mai chiesto un libro a una casa editrice tranne, se non ricordo male, due volte. Una delle quali, non ho nemmeno poi scritto del libro sul blog, a riprova che mi sforzo di corrispondere ai miei gusti, oppure che sono un'imbranata cronica e necessito di ripetizioni di PR. Forse più la seconda, ma tant'è.

Questo solo per dire che Il tramondo birmano invece l'ho chiesto con interesse e curiosità all'editore, che ringrazio, mentre il libro di Susanna Tartaro l'ho acquistato. 

E finalmente, arriviamo al dunque. 

Comincio da Il tramonto birmano. Tradotto da Margherita Emo e Piernicola D'ortona, questo libro è illustrato da Elisa Talentino, che ha curato anche la bella copertina. A metà della storia,  compare un fascicolo di disegni che illustrano con un tocco che rivela un gesto incisivo e delicato insieme (anche in questo caso gli opposti convivono) la storia della principessa Thusandi. 

La vicenda di Thusandi è molto affascinante e ci porta in Birmania, Paese che dal 1989 ha preso il nome di Republic of the Union of Myanmar. Prima di cominciare a leggere, ci rendiamo conto che è una storia vera. Oltre alla cartina dei luoghi in cui ci catapulterà il romanzo, c'è, a riprova della verità dei fatti, una foto di Inge Sargent, l'autrice del libro.

Il tramonto birmano fa parte della collana Asia curata da Ilaria Benini e dell'Asia ci fa sentire un respiro che è al contempo caldo, pieno di tepore eppure gelido. Un po' come durante la meditazione (tema che accompagna uno dei personaggi principali, il principe rapito, per far fronte alle estreme condizioni in cui si trova di colpo), l'aria ci entra fredda nelle narici - a dimostrazione che i fatti narrati sono spietatamente crudeli - ed esce calda, scaldata per meglio dire, dallo sguardo, dal cuore e dalla vita della narratrice.

In definitiva, succede che durante il nazismo una giovane austriaca si innamora di un ingegnere minerario. E fin qui, niente di che. A sorprenderci è il fatto che quest'ultimo si rivelerà essere Sao Kya Seng, il principe regnante dello Stato shan di Hsipaw. A segnare in modo irreversibile queste due vite sarà un colpo di stato militare, nel 1962, che costringerà la Birmania all'isolamento e la coppia - che nel frattempo è diventata una famiglia con due bambine - a una separazionedefinitiva, perché Sao viene rapito e non farà mai più ritorno a casa, né i due si rivedranno mai più. L'autrice dunque con dolente senso di responsabilità, ricostruisce l'esistenza e se stessa anche attraverso questa scrittura, queste parole piene di bellezza e dolore che tengono attaccati alle pagine. A tutt'oggi Inge, che nel 2000 ha ricevuto il Premio Internazionale per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, e si è sposata nel 1968 con Howard Sargent dopo essersi rifugiata negli Stati Uniti, scrive ogni anno una lettera al governo birmano chiedento notizie del marito.

Una storia vera, tragica, sorprendentemente utile all'animo umano in quanto manuale di resistenza. Mi sono chiesta, prima di cominciare, quanto la ricezione della storia sia influenzata dalla consapevolezza di leggere le vicissitudini "incantate" di una principessa. Ma per evitare questa dissonanza, che rischiava di essere una lettura con occhi infantili, ho formulato un pensiero: la nobiltà è un accadimento, Inge nasce "commoner", come direbbero gli inglesi, come lo è il suo opposto, come molte altre cose e storicamente ha giocato un ruolo politico, ben slegato dalle fiabe che avvincono i bambini. Il fascino che essa ha su molti di noi lettori in questa narrazione è dunque assolutamente secondario alla forza morale e alla fotografia sociale che ne scaturisce e che fa di questo libro un documento importante dal valore storico oltre che narrativo. A corredare il libro, c'è in fondo una cronologia che spiega bene la situazione birmana e la sua storia.

Un libro insomma che sono felice di aver desiderato e di aver avuto il coraggio di chiedere. Spero lo leggerete anche voi.

Il secondo libro che voglio presentare in questa rubrica è uno dei primi titoli della collana Incendi sempre di Add editore. Mi ha incuriosita subito, anche per la curatela senz'altro di valore di Francesca Mancini e Fabio Geda. 

Susanna Tartaro cura da molti anni una trasmissione radiofonica che io, come molti, amo particolarmente e che mi ha tenuto compagnia tante volte e insegnato tante cose che è Fahrenheit di Radio 3. Susanna ha anche un blog, Dailyhaiku, in cui commenta una notizia del giorno tramite un haiku. L'haiku è una forma poetica giapponese che, a proposito di semplicità unita alla complessità, esplora in una struttura essenziale di 5-7-5 sillabe temi talvolta molto profondi. Per me l'haiku ha un valore speciale, ne ho scritti tantissimi fin da ragazzina e qualche anno fa ne pubblicavo anche io uno al mese sui "social" twitter e facebook (gli haiku che scrivevo io erano del tipo kigo, ovvero quelli legati al succedersi delle stagioni e devono contenere elementi legati al clima); perché ho smesso? Non lo so! Mi piacerebbe ricominciare a scriverli. 

Tornando al libro: Haiku e sakè è la storia di un viaggio. Un viaggio spirituale ma anche vero e fisico. Ad accompagnare la viaggiatrice nel mondo è uno spirito guida unico: Santoka (mi scuso ma non lo scrivo con la dicitura corretta perché i copia-incolla di parole qui su tazzina mi sballano tutta la formattazione: ah, prima o poi migliorerò questi aspetti, lo prometto; insomma comunque sulla o ci vorrebbe la sbarretta orizzontale sopra). 

Santoka camminava, componeva haiku e camminava. Osservava, annotava. Meditando, soffrendo e ridendo di sé, camminava. Proverò a seguirlo. 

Santoka è stato un poeta e monaco buddista vissuto tra il XIX e il XX secolo e il suo nome significa "alta cima fiammeggiante". In verità, il suo percorso, a dispetto del nome, a quanto pare è stato sempre piuttosto orizzontale, perché ha trascorso molto tempo appunto a camminare e osservare. 

Susanna parte allora sulle sue tracce ma di percorso ne traccia uno al contempo tutto suo. Sono molto interessanti infatti e parte integrante della avventura le fotografie inserite tra le pagine del libro perché introducono scaglie di contemporaneità (una strada e un motorino, una foglia a forma di cuore sul cemento, la metro, palazzi di Roma Nord, panchine...) in una narrazione che invece è cadenzata da qualcosa di molto antico, come gli haiku e la saggezza solitaria del monaco. Non è un monaco-santo però quello che dovreste aspettarvi. Santoka è un bevitore di sakè alla ricerca di un senso:

Mi purifico 
nell'acqua blu
che scorre sulle rocce. 

E Susanna prende le sue frasi e ne segue il filo che la porta nella sua, di vita. Per lo più romana e piena di ricordi, radio ed emozioni. 
Il viaggio di Santoka e Susanna prima o poi finisce e tocca scendere dal motorino. Ma il finale-finale merita davvero e ovviamente non lo dico ma ha a che fare con la felicità.

Spero che queste due storie a base di caffè corretto vi piaceranno quanto sono piaciute a me e buona lettura. 




giovedì 20 ottobre 2016

Taccuino di caffè


Sono un po' giù per una cosa molto internettiana ma anche molto, troppo umana e dunque mi sento di condividere con voi questa riflessione. Slegherei dunque oggi il mio taccuino dalle solite "tre notizie" che mi hanno colpita e mi lascio andare a pensieri in libertà.

Il caso è quello di Bebe Vio, campionessa paralimpica che è stata recentemente bersaglio di critiche feroci o anche solo stolte sul web per aver fatto dei selfie e per aver accettato di partecipare - con un bel vestito addosso donatole da un marchio di moda - a una cena con Obama e Renzi.

[Ci ho pensato un po' se linkarlo, ma eccovi l'orrendo storico di alcune delle cose che sono state dette su di lei pubblicamente in rete, qui.]

Dunque: in questo periodo sto riflettendo sull'enorme e forse già desueto equivoco che c'è sul "popolo della rete". Personalmente, mi sono spesso sentita svalutare per la mia attività in rete (con parole, dichiarazioni ma anche mezze frasi, occhiate etc. insomma tutto l'armanentario di cui siamo capaci per affossare gli altri), per essere una "blogger" che spesso è sinonimo di "ragazzina". Ho pensato più volte che si usi questo termine alla stregua di "velina" e si suppone che una "blogger" senta un senso di giocosa e frivola appartenenza a questo suo essere appunto una scanzonata "ragazzina". Ma se avete un'intelligenza media, come la mia, capite benissimo che la questione è un tantino più complessa.

Ho ricevuto anche io piccoli linciaggi nel passato per il fatto di ricevere libri dalle case editrici, per essermi entusiasmata in alcuni momenti etc. E ne ho sofferto. Quel che ho vissuto io è però poca cosa rispetto alle ingiurie vere scritte su questa ragazza, mi chiedo ad esempio lei come sta (se ha letto ciò che si scrive sulle sue scelte, sulla sua persona) ed ecco perché la faccenda mi tocca particolarmente. 

Posto che la moda del selfie possa tradire qualche problemino narcisistico insito in molti di noi (esseri umani) e posto che Bebe abbia peccato di ingenuità nel mostrarsi ultra-felice per le cose belle che le stanno capitando, dovendo per forza di cose imparare che chi si espone si rende disponibile alle critiche; il linciaggio tuttavia ha a che fare con qualcosa di molto più patologico. Temo che il problema sia la violenza, in una delle sue tante declinazioni e infine la totale assenza di tenerezza, rispetto e amore per il prossimo. 

Dai, allora, facciamo le due domande vere su questa storia: come si può rosicare per le cose che stanno succedendo a Bebe? Come si può sparare a zero su un'innocente? 

Beh si può, si fa, si è sempre fatto ben prima di internet, ditemi, oh giovani, che non lo si rifarà ancora! E ancora: come salvarsi? Il rimedio di Calvino (ricavarsi uno spicchio di vita in ciò che inferno non è) ha ancora un senso?
 

lunedì 17 ottobre 2016

Café au lait

Vito Cioce's brother, Diamoci un toner, Alterego
Per la rubrica dedicata alle letture alternative, libri da paesi lontani, digitale, editoria indipendente e in generale a tutto ciò che ti fa dire olè, questo mese ho scelto questo particolare piccolo libro. 

Mi è stato spedito dal suo autore, che ringrazio. Dovete sapere, se già non lo conoscete, che Vito Cioce ha lavorato per tanti anni come vice direttore al Giornale Radio di Radio 1 e ora conduce un programma molto bello e innovativo (oltre che assai letterario) che si chiama Plot Machine. 

Diamoci un toner è dunque un libro, anzi un non-libro che - a mio parere - ha molto a che fare con la voce. Siccome modestamente da qualche anno collaboro su una radio che trasmette su non-frequenze, il lavoro di Vito Cioce mi ha incuriosita. Perché parte da una negazione, da un mondo altro, dal potende mondo del NON.

La voce - dicevo -  per me protagonista assoluta della non-narrazione - è quella del fratello di Vito che appare non come personaggio vero e proprio ma come ruolo. Anziché fare il giornalista, come il più illustre e pacato fratello, questo Vito Cioce's brother di lavoro vende mutande e camice da uomo in un negozio. Ci tiene a sottolineare che suo fratello non ha mai voluto scrivere un libro e che la sua vita è assai cambiata da quando per un pelo non finiva a condurre un noto talent show.

Nessuno può arrivare a capire che tipi strani sono quelli che stanno nella radio e nella tivvù.

Questo libro, o meglio il suo molteplice autore, in verità sembra saperlo e sembra essere la risposta effettiva a quel tipo di stranezza. Infatti, il fratello di Vito, per colpa di quest'ultimo, si ritrova a vivere svariate disavventure, che annota in questo romanzo. Romanzo che nasce da un'esigenza, ovvero spiegare perché una persona da sempre immersa nelle storie - perché Vito prima di Plot Machine ha condotto parecchi programmi a tema letterario, come Facciamo Storie e Storie di Piazza - non ne abbia mai scritta una in prima persona. 
E proprio per aggirare l'imbarazzante dramma della prima persona che è nato questo fantomatico "doppio", questo fratello strano cui è concesso tutto. Ed è molto divertente immergersi in questo mondo mediatico assolutamente credibile, ma parallelo in cui si susseguono loschi figuri (segnatevi questo nome: il Caccaterra, solo per citarne uno, ma una parola andrebbe spesa anche per il mitico Pidieffe, un nome un programma...).

 Ma non fatevi ingannare, questo libro è profondamente ottimista e progettuale. E a me che sono scettica sul magico mondo della comunicazione, per facendone parte, ha dato un po' di fiducia. 

domenica 16 ottobre 2016

Il mondo di Internet.


Di Werner Herzog avevo seguito un corso di quelli serali per studenti universitari secchioni sui suoi film ma ho fatto in tempo a scordarmi tutto. Tuttavia, ho visto questo suo ultimo atteso documentario, Lo and Behold - Reveries of the connetted world e sono rimasta perplessa.

Si parte (e l'inizio è senz'altro affascinante) dalle origini della rete. "Lo and Behold" è il primo messaggio frammentato che sancisce il primo scambio tra computer veicolato dalla neonata Internet e significa "Guarda e Ammira". Come dice la voce narrante, una profezia bella, prima però del crash di quel computer da cui è partito tutto.

Molte voci da più versanti sostengono infatti che quella digitale sia una delle maggiori rivoluzioni che abbia coinvolto l'umanità. Personalmente, sospendo il giudizio. A me pare che questa sia una delle molte rivoluzioni interessanti della Storia dell'uomo, forse però non la più significativa. Ma questa è un'altra storia...

Tornando al film: il "taglio" è piuttosto enfatico e si punta in alto, nel senso che l'astronomia è uno dei temi più trattati. Si sentono i pareri e le spiegazioni di cosmologi e astronomi che prospettano scenari futuri talvolta distopici o per lo meno avveniristici (vita su Marte, brillamenti solari che distruggeranno l'umanità tranne forse gli scarafaggi, robot che ti verseranno il succo di frutta etc.) mentre il focus sui pregi e i difetti del World Wide Web non sempre è centrato. 

Si osservano ad esempio gli aspetti più negativi della rete: un antico caso tremendo di cyberbullismo, dipendenza da videogame, violazioni della sicurezza; ma gli aspetti positivi non spiccano tranne in un caso eclatante: un professore di una nota università americana racconta di avere molti più allievi online che dal vivo (per il fatto che la rete raggiunge persone fisicamente impossibilitate magari a raggiungere i luoghi dove accadono le cose importanti) e di aver rilevato, da un test, che il migliore dei suoi allievi che seguono le lezioni dal vivo si è posizionato meno che quattrocentesimo nella classifica dei migliori allievi di tutto il corso. I quattrocento e oltre più bravi provenivano, cioè, tutti da web. Questo dato, naturalmente, è sintomatico. Ma ad esempio manca tutto ciò che concerne la Primavera Araba in cui Internet ha giocato un ruolo importante (e in particolare twitter) e mancano i riferimenti alla didattica per i bambini, la possibilità di scaricare gli ebook e le grandi possibilità espressive per gli artisti etc. 

In generale, è come se ci fosse un mondo là fuori e uno "qua dentro" meno bello, più stupido o pericoloso, ancora oggi. Quel che ho capito io invece è che è tutto parte dello stesso mondo. Faccio mie le considerazioni ad esempio di una autorevole pensatrice che ha studiato a fondo la rete e ha scritto questo libro qui, ovvero Mafe De Baggis. Mafe infatti ha passato al luminol i comportamenti "della rete" per arrivare a una conclusione, detta in soldoni: la rete siamo noi, niente di più e niente di meno. (Su Wired un estratto del libro). 

Personalmente, mi aspettavo di più in definitiva da questo film. Di più in senso morale, ovvero mi aspettavo un invito serio e strutturato a prendere una posizione rispetto al web. Magari anche di uscire di lì e gettare lo smarphone nel Po al grido di "meglio la vita reale", ma non è accaduto. 

E invece sono rimasta al mio posto: neutrale. Certo, io come tanti devo molto al web nel senso che farsi conoscere e rispettare nel mondo delle sacre lettere è molto dura e la rete può essere un ottimo sbocco, una vetrina, un laboratorio dove farsi le ossa ma anche uno strumento come un altro per poter scrivere e talvolta lavorare. Mi piace pensare di essere come quegli allievi che vi dicevo prima dei quali magari, senza l'ausilio del web, il mondo non avrebbe saputo nemmeno l'esistenza. Posto che, per quanto mi riguarda, ho anche un percorso precedente e attuale di pubblicazioni fisiche cui tengo molto, oltre che relazioni "vere" e cose da fare reali. 

Per finire: mi è chiaro un concetto: che le dinamiche umane sono le stesse fuori e dentro la rete. Ci sono le mode, il disprezzo, la violenza, la follia, le ondate, i furti, le mortificazioni, le dilapidazioni, l'ignorare e l'ignoranza, le adulazioni, gli affetti, gli amori e le virtù che ci sono in qualsiasi relazione veicolata dall'uomo. Di questo film, dunque, a chi lo vedrà consiglio di prendere il buono, ovvero le informazioni tecniche sulla storia dell'Internet, di estrarre con le pinze le perle e lasciare andare il resto.

giovedì 13 ottobre 2016

Taccuino di caffè

Alert: la foto è solo rappresentativa della realtà. Nella realtà a Torino, da dove scrivo io, piove da ore, c'è freddo e non mi trovo su un assolato terrazzino bensì in una in una biblioteca civica e ho dimenticato l'ombrello a casa. Ma dico che è bellissimo stare in una biblioteca, c'è una variegata umanità, e lo consiglio a tutti. Per sapere come la vedo sul tema delle biblioteche, potete cercare il tag qui sul blog nella sezione "etichette" oppure leggere qui. 

Beh le notizie del giorno nonché della settimana le sapete tutti (intendo quelle letterarie). Questo taccuino dunque potrebbe costituirsi semplicemente di tre nomi: Dario Fo, Bob Dylan e Nicola Lagioia.

Ma siccome queste cose appunto le conoscete già tutti, mi sono alternativamente impegnata a cercare tre altre notizie, meno conosciute, così da darvi qualche piccola utilità in più, dato che voi mi fate la gentilezza di passare da queste parti ed è giusto ricambiare in qualche modo:
 
1) It is a Man's Man's Man's world Guardate (perché c'è anche una bella immagine) questo articolo del New Yorker firmato da Rebecca Solnit! Si riferisce (il pezzo) a un libro in uscita il 19 ottobre per la University of California Press e che traccia una cartina geografica in cui i nomi dei luoghi sono quelli di donne significative. Siccome l'altro ieri era il giorno delle bambine, mi sembra un'ottima iniziativa. 

2) Just Kids Un artista che apprezzo molto è Valerio Berruti. E a proposito di bambine, forse saprete che questo artista si dedica alla rappresentazione visiva dell'infanzia del nostro tempo, e lo fa bene, almeno secondo me, ma non sono la sola a pensarla così. Da una chiesetta sconsacrata nelle Langhe (dove vive con la sua famiglia) le sue sono arrivate anche al Duomo di Verona dove, fino al 15 novembre, si può visitare la mostra Paradise lost. L'ombra, l'innocenza e il sole nero e dove si può ammirare la monumentale opera scultorea composta da un girotondo di bambini con le braccia alzate. Detto tra parentesi: alla festa del Circolo dei Lettori, di cui raccontavo qualche post fa e dove sono stata ospite insieme a molti altri per celebrare il decennale, a raccontare dei suoi ricordi c'era anche Valerio Berruti e mi ha fatto piacere!

3) Carie Una rivista letteraria per quanto mi riguarda è un patrimonio dell'umanità. Dunque, in alto i calici perché ne è appena nata una che è proprio bella. Per i torinesi (o i forestieri di passaggio in queste terre brumose ma talvolta ospitali) vi dico che sabato sera alla libreria Pantaleon i redattori, autori e illustratori della suddetta rivista si paleseranno per festeggiare insieme la nuova nascita. In bocca al lupo! Read more...

lunedì 10 ottobre 2016

Pastrengo - rivista e agenzia letteraria (una buona notizia)


Non di sole brutte notizie vive l'uomo. La premessa però è doverosa: come tutti (e chi non lo sapesse sta per saperlo...) forse saprete, la crisi economica pervasiva non ha risparmiato un ambito già di per sé vulnerabile come quello editoriale. Dunque è facile lasciarsi prendere dallo sconforto e ascoltare solo più le spinte e le voci pessimistiche, farsi deprimere, detto in soldoni. Ma ciò è profondamente sbagliato. Ovvero è sbagliato perché controproducente su tutti i fronti. L'editoria e tutta la sua filiera è un po' infatti come se fosse la casa e il porto dell'arte della scrittura. L'arte della scrittura (e questo lo sapete di sicuro) è qualcosa di molto importante e prezioso per una società, è una forma di apprendimento profonda, di salvezza da molti guai, non solo di svago, ed è ciò che (insieme ad altre cose ovviamente) può rendere davvero la vita degna di essere vissuta. In questo panorama dunque, sotto i dardi di un mondo in malinconico subbuglio, ecco che nascono nuovi progetti. Tutti in definitiva conosciamo la forza del nascere, quanta energia vitale esista in una nuova creatura, e soprattutto quanta ve ne sia nei momenti difficili. Personalmente, poi, ho imparato a ringraziare e a benedire i momenti difficili. Per carità, li patisco come tutti, ma li ringrazio perché qualche volta fanno nascere gemme di possibilità umane e lavorative altrimenti insperate. Ed ecco infatti che in uno dei peggiori momenti storici per quanto riguarda la crescita del nostro paese, nasce un progetto nuovo di zecca. Si chiama Pastrengo ed è una agenzia letteraria e contemporaneamente anche una rivista. Non conosco personalmente tutti i componenti del gruppo che ha dato vita all'idea, ma mi fido del modo sobrio e incisivo in cui hanno scelto di partire e di raccontarsi. Per capire cosa intendo, visitate il sito qui

Last but not least, ho avuto la possibilità di porre a Pastrengo alcune domande e curiosità che mi sono saltate in mente: questa è l'intervista che ho realizzato per voi che leggete questo blog, spero vi incuriosirà. Buona lettura. 

 Pastrengo è un progetto appena nato ma già forte di una consapevolezza: la qualità, in letteratura come in ogni ambito, premia. Sia come agenzia letteraria sia come rivista, infatti, avete scelto di cercare e prendervi cura di autori di talento. Potete darmi, in poche righe, una vostra definizione di talento? Come deve essere un testo per colpirvi? 

La verità è che non abbiamo una definizione di “talento”, non c’è un decalogo delle caratteristiche che un libro deve possedere per colpirci. Abbiamo ovviamente dei punti di riferimento a livello letterario, dei gusti e delle preferenze maturati nel tempo, ma spaziano tantissimo. E quando leggiamo qualcosa può lasciarci indifferenti la perfezione, può invece scuoterci una nota apparentemente stonata. Nella scelta degli autori da rappresentare e dei racconti da pubblicare ci facciamo dunque guidare prima di tutto dall’istinto e dalle sensazioni, ma in questo è fondamentale l’esperienza maturata nel tempo in ambito editoriale. È chiaro, poi, per quanto riguarda l’agenzia, che alla base ci sono anche delle valutazioni commerciali da fare: dobbiamo sempre tenere presente che, in questo caso, non siamo noi la destinazione ultima del testo, ma le case editrici. Alla fine, però, al di là dei tanti discorsi che si possono fare, si riduce tutto a quella che è, se vogliamo, la più banale delle questioni: se a lettura conclusa la storia, il protagonista, lo stile continuano a ronzarci in testa vuol dire che probabilmente abbiamo tra le mani qualcosa su cui valga davvero la pena lavorare. 

Si usa dire che il mondo editoriale sia saturo e invece - mia modesta opinione - mai come in passato c'è l'esigenza di novità. Trovo davvero apprezzabile, in questa ottica, la vostra scelta di osservare il lavoro letterario che nasce dal web. Da cosa deriva questa scelta? Si tratta di una decisione dettata dalla vostra esperienza di lettori e operatori culturali? 

Il nostro percorso in campo editoriale è partito una decina d’anni fa dalla fascinazione per le riviste letterarie, cartacee e online. Da «’tina» a «Eleonore Rigby», da «FaM» al «Maltese Narrazioni». Ne abbiamo aperte di nostre («Colla», «Follelfo»), abbiamo continuato a seguire con interesse tutto ciò che accadeva in questo ambito, siamo stati felici di veder nascere intorno a noi progetti nuovi e lo siamo nel notare come negli ultimi tempi ci sia di nuovo fermento. Ovviamente negli anni sono cambiate tante cose e alle riviste “tradizionali” si sono aggiunti sul web moltissimi luoghi dove la scrittura viene esercitata, a volte con qualità, spesso con costanza e impegno. In mezzo a questa apparente confusione si nascondono nuovi autori e possibili progetti editoriali interessanti. Per questo ci proponiamo di tenere gli occhi sempre ben aperti, scandagliare la rete con attenzione e restare costantemente aggiornati. 

Il ruolo dell'autore sta cambiando: raramente persistono gli "scrittori puri" e sempre più numerose sono le figure complesse che operano su diversi media: vi rivolgete a questo tipo di persone?  

Oggi si dà molto più spazio rispetto a prima a quelle che giustamente identifichi come delle figure autoriali “complesse”, soprattutto all’interno dei grandi gruppi editoriali. Ma gli “scrittori puri” continuano a esserci, sono tanti e sono ciò che maggiormente ci interessa. Questo non significa che non guardiamo con molta curiosità anche al resto. Alla fine, come sottolineavi tu, il nostro principale parametro di scelta resta la qualità del testo: se sei molto seguito sul web e hai fatto un bel libro, per noi va bene; se sei molto seguito sul web e hai fatto un brutto libro, per noi non va bene. 

Curiosità personale: quali sono gli autori del passato che vorreste avere oggi nella vostra scuderia se solo potessero tornare a vivere? 

 Francesco: Carlo Manzoni. Almeno avrei tutti i suoi libri, non girerei bancarelle come una trottola sperando di trovarli. Michele: Giovanni Arpino. Bravo, prolifico e poliedrico: praticamente il sogno di qualsiasi agenzia letteraria.


Ringrazio "i Pastrengo" per queste risposte puntuali e interessanti: se siete autori, scrittori e lettori, cercateli e in bocca al lupo! 

venerdì 7 ottobre 2016

Dieci anni di Circolo e ai Portici - ricordi, auguri e appuntamenti






Ho una vera passione per i cerchi (e dunque i circoli): dal mito del cerchio perfetto di Giotto al simbolo del Tao dai gomitoli al numero otto, alla perfezione della tazzina del caffè che si fa contenitore di ristoro e di storie, tanto da aver creato il mio piccolo mondo con quella forma lì. Un mondo dal quale in questi anni ho osservato e vissuto tante esperienze belle, attraverso il quale mi sono fatta un'idea (super parziale) di come va la vita o più modestamente di come vanno i libri che mi piacciono.

Frequento il Circolo dei Lettori da prima ancora che nascesse, da quando a Palazzo Graneri della Roccia (uno dei siti storici più rappresentativi della città di Torino, costruito verso la fine del 1600 e sopravvissuto ai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale) si tenevano certi corsi di latino e greco antico ai quali partecipavo – insieme a due amici – ai tempi del liceo. Eravamo gli unici tre esseri umani sotto gli ottanta, le uniche teste non bianche che sbucavano tra il pubblico, ma erano stati pomeriggi molto divertenti (col senno di poi, una cosa un po' da secchioni, ma tant'è). Quando una decina di anni dopo quelle noiosissime ma bellissime lezioni aprì il Circolo così come (più o meno) lo conosciamo oggi fu per me un'emozione grande, mi sentii grata e riconoscente alla mia stessa città per aver creato uno spazio così, a misura di lettori e a misura di persone come me. In che senso? Persone assetate di esperienze culturali, di saperi e di parole. 

C'è da aggiungere che, da quei primi momenti in cui mi aggiravo tra le sale bellissime e rimesse a nuovo con il naso all'insù piena di speranze, mai avrei potuto immaginare che all'interno del Circolo ci avrei addirittura potuto fare delle cose, anche io. E ne ho fatte tante! Se ritorno indietro con la memoria, mi rendo conto infatti di aver presentato parecchi autori, aver partecipato a parecchi eventi e di aver raccontato anche di me, del mio blog e del mio romanzo. E lo stesso possono dire molti altri autori, più o meno giovani, più o meno torinesi. In una parola: ci ho vissuto dentro. Se potessi sedermi accanto a quella ragazzina secchiona, casinista e spaesata di allora e dirle: guarda che questo posto fa anche per te, ti accoglierà per via delle cose che più ami, cioè i libri e la letteratura, lo farei subito, la rassicurerei. Ecco, se posso dire una cosa ai ragazzini di oggi è proprio questa: il Circolo dei Lettori di Torino, letteralmente e simbolicamente, fa anche per voi, vi accoglie e si occupa anche per voi di ciò che più vi piace. In una parola, la vita può essere bella, circolare, rotonda. Grazie allora Circolo! E buon compleanno tondo, tondo.

Per chi poi volesse ascoltare qualche minuto anche del mio ntervento alla festa di sabato, ci vediamo in Via Bogino 9 alle 15!


  


 

Un fatto interessante è che, nello stesso anno in cui mi aggiravo tra le sale magnifiche del Circolo dei Lettori, facevo la stessa cosa tra gli ariosi chilometri di libri del centro cittadino per immergermi in Portici di Carta. Osservavo le cose esattamente come fanno i giovani di solito: con la speranza di farne prima o poi parte, di esserci dentro. 

Portici di Carta infatti è un evento che ha il pregio di catapultarti un un mondo ideale ma iper reale al tempo stesso: è tutto vero ed è tutto fantstico, è vita ma anche un sogno (di tanti librai e lettori) che si avvera. 

Destino vuole che un sogno si avvera anche per me: partecipo attivamente a questa manifestazione bella insieme a una delle librerie più belle e importanti della città, ovvero la Luna's Torta - la Libreria con Cucina dove si mangia benissimo, si beve caffè e si leggono libri e ci sono un sacco di eventi culturali di valore (cioè il Paradiso.
 
Alle 18 di domenica per una mezz'oretta ai fortunati passanti ai Portici racconterò di Aimee Bender, una scrittrice che merita tutto l'affetto possibile! Questo incontro si inserisce nell'evento Donne che raccontano altre donne. E devo dire che sono in ottima compagnia. Spero di incontrarvi per queste due feste e buone letture

mercoledì 5 ottobre 2016

Taccuino di caffè


Si prospetta un week end molto intenso dal punto di vista libresco e letterario per cui vi voglio dare alcuni appuntamenti speciali, e dire una cosa sulla puntata di oggi di Tazza Grande. Pronti? Via!

1) Il richiamo della foresta Questa mattina in radio ho raccontato, come succede da un mesetto a questa parte, di un libro e di un suo autore. Oggi è stata la volta di Jack London e de Il richiamo della foresta. Una storia che racconta di come un cane - Buck - messo alle strette dalle circostanze difficili (in alcuni casi vere atrocità) della vita perde il suo senso civile, addomesticato e la sua morale per seguire infine, volente e nolente, la propria natura selvatica. La quale comprende sì libertà, ma anche violenza e sopraffazione. Ebbene, amici. Dico la mia: questo libro, acclamato ai tempi in cui uscì (1903 in USA) per le sue valenze assai darwiniane, con il suo milione di copie vendute, potrebbe benissimo tornare a essere il manifesto di una generazione, la nostra, di un'epoca, la nostra, in cui, persa la stabilità, scombinati gli equilibri e i punti di riferimento sociali di base, siamo sì lupi solitari e liberi ma diventiamo anche cattivi. (A nostra parziale consolazione aggiungo che, dopo questo libro stupendo, in cui un cane, a causa della miseria umana, ritrova la propria natura selvaggia e diventa lupo, London ha scritto Zanna Bianca dove accade esattamente il contrario ovvero un lupo diventa cane per amore dell'uomo). Read more...

2) Buon compleanno Circolo dei Lettori Beh questa è una gran notizia per la città di Torino ma anche per tutti quelli che sono passati da queste parti: se lo avete visto anche solo una volta, non potete dimenticarlo, il Circolo dei Lettori. C'è da aggiungere che il Circolo compie dieci anni. Ricordo benissimo quando è nato: si respirava un'aria fresca di cambiamenti e novità. In dieci anni sono successe tante cose e il Circolo ha mantenuto le sue promesse: è proprio tempo di celebrare e raccogliere buoni frutti. Sabato 8 alle 15 ci sarò anche io per l'evento che si chiama Il profumo del caffè e se ne potranno bere e ascoltare di cose buone, tante che spero accorrerete numerosi a festeggiare insieme! Read more...

3)  Buon compleanno Portici di Carta Si dà il caso che anche questo straordinario evento torinese compia gli anni, anche per Portici di Carta ci sono dieci candeline da soffiare. Quell'anno è stato evidentemente molto importante per Torino e le conseguenze (in questo caso belle) danno segni positivi  ancora adesso. Senz'altro farò una passeggiata, perché è veramente imperdibile, e poi potete trovarmi dalle parti della luna nel senso della Luna's Torta... Presto i dettagli!  Read more...

martedì 4 ottobre 2016

Una pietra sopra - sul romanzo popolare


Prima di metterci una pietra sopra, torno un momento, sperando di non tediarvi troppo, sulla questione Elena Ferrante. Ci torno perché mi appassiona la faccenda dell'identità (ma non nel senso che mi interessi sapere  chi è lei, nel senso che è un tema che come a molti mi sta a cuore in generale ovvero la contrapposizione tra vita e scrittura e la difficile identificazione di chi siamo, specie in relazione a ciò che scriviamo), soprattutto mi appassiona comunque allo scopo di dirimerla, e perché anche io, come molti, sono stata colpita in definitiva da lei come autrice e pure dalla potenza del mistero che ha creato e dalle conseguenze delle scelte di riservatezza in un'epoca di sovraesposizione dell'io, e tuttavia, lo so, la questione è ancora più complessa di così (basti pensare al fatto che la Ferrante stessa ne La Frantumaglia fornisce dati aubiografici a quanto pare "falsi" o per lo meno disattesi dalla criminosa - a mio parere - indagine in stile "follow the money" portata avanti da un giornalista de Il sole 24 ore e pubblicata domenica; se vi siete persi dei pezzi, ci sono informazioni qui o qui e qui il comunicato ufficiale della casa editrice edizioni e/o, che pubblica la Ferrante).

Ci torno soprattutto perché, come spesso accade, credo che Italo Calvino abbia detto (o meglio scritto) qualcosa di importante e interessante sul tema del romanzo popolare, in contrapposizione al romanzo di successo. Qualcosa che mi pare quanto mai pertinente con i fatti del momento. Lo fa parlando di Elsa Morante che con la Ferrante qualche consonanza, per lo meno nel nome, ce l'ha. Il saggio a cui mi riferisco è raccolto nell'antologia di articoli Una pietra sopra (la mia è un'edizione mondadoriana del 2006) e si intitola Un progetto di pubblico, uscito nel 1974 su L'Espresso

Dopo un'introduzione sull'Orlando Furioso, in cui Ariosto, spiega Calvino, fa un'operazione senza precedenti, ovvero si appella a un "pubblico" di lettori nel quale il libro si riflette come in uno specchio; e, fa notare sempre Calvino, non si tratta di un pubblico qualunque ma di un pubblico scelto dall'Ariosto come modello di società che si può ben riconoscere nelle sue parole e nelle sue trame, continua scrivendo:

Così nell'intenzione che ogni scrittore mette nel suo progetto d'opera, è implicito un progetto di pubblico?

Dove vuole arrivare Calvino? Vuole dire che ogni autore, anche il più controcorrente, ha in mente un pubblico e ogni successo letterario ha un suo pubblico preciso. Perché parlo di successo? Perché Calvino fa una distinzione interessante:

[...] ogni opera è progettata in funzione di un particolare tipo di successo; il progetto di successo dello scrittore popolare, cioè colui che, per una particolare situazione storico-sociale, si trova a compiere operazioni di grande portata poetico-conoscitiva in un genere di produzione letteraria che ha di per sé un pubblico vasto e indifferenziato, come il romanzo popolare durante alcuni decenni della metà del secolo scorso. Per Balzac e Dickens, il progetto di una nuova società di lettori coincide con l'emergere di una nuova struttura sociale; in Dostoevskij e Tolstoj diventa sempre più progetto pedagogico messianico. Ma direi che è necessario distinguere il romanzo popolare  (quale si è sviluppato nel Settecento e Ottocento fino alle sue specializzazioni odierne) dal romanzo di successo, nell'accezione che ha assuntpo oggi il best-seller, il libro di moda di una stagione o di un'annata. Mentre il romanzo popolare è basato sul funzionamento oggettivo della macchina narrativa, e ha anche nei suoi esempi più illustri un carattere quasi di produzione anonima che lo apparenta alle mitologie (e come tale è campo di studio prediletto delle nuove analisi narratologiche), il best-seller come lo si intende oggi sia in America che in Europa è tutto il contrario: anziché sull'oggettività e impersonalità si basa sulla pretenziosa e vaga soggettività dell'autore che trabocca nella pretenziosa e vaga soggettività dei lettori, in una melassa di "umanità". Esso si basa su un errore di metodo che confina con la ruffianeria morale: credere che entità non ben definite come l'umanità, la vita, le passioni, i sentimenti possano passare direttamente nella carta scritta. Il romanzo di successo così concepito può interessare soprattutto il sociologo per il suo rilevamento in negativo di cattiva coscienza sociale. Questa distinzione tra romanzo popolare e romanzo di successo va fatta perché è un romanzo popolare che Elsa Morante (dato che è di lei che si continua a discutere) ha voluto scrivere, un romanzo che abbia come primi lettori proprio i non lettori, quelli che non leggono nemmeno i romanzi di successo, gli esclusi dalla lettura. La possibilità di scrivere un romanzo popolare di questo tipo è un'ipotesi di grande stimolo intellettuale e tecnico a cui molti o forse tutti gli scrittori hanno pensato almeno per un momento e l'hanno scartata perché subito vengono alla mente dieci o venti buone ragioni storico-sociologiche o esistenziali per non farne niente.

[...] La vera riuscita sarebbe quella di chi sapesse affrontare l'insieme di procedimenti e di effetti di tecnica letteraria della commozione, e cercare di capire cosa sono, cosa significano, come funzionano, perché comunicano qualcosa che molti lettori credono di riconoscere. A una chiara coscienza tecnica di questi procedimenti letterari forse potrebbe corrispondere un nuovo uso del pathos come pedagogia morale non mistificante. Il nodo di una futura possibile letteratura popolare è lì: ma siamo molto lontani dal saperlo risolvere.

Che ci sia riuscita Elena Ferrante?


lunedì 3 ottobre 2016

Chicchi di caffè


La domenica internettiana e quella del sacro mondo delle lettere è stata "sconvolta" (si fa per dire) da una "notizia" pubblicata su Il sole 24 ore relativamente alla presunta vera identità di Elena Ferrante. Il web (o per lo meno Facebook che io sappia) si è profuso ieri in opinioni varie; soprattutto l'idea diffusa e comune è: e quindi? Beh, in effetti mi unisco al coro del chissenefrega. 

Fatemi però solo dire che ho letto due libri della Ferrante, e ho partecipato come ospite (insieme ad autorevoli autori e lettori) a una celebrazione in suo onore al Circolo dei Lettori di Torino leggendo pubblicamente alcuni brani di un suo romanzo - l'evento si chiamava #lamiaferrante - e, personalmente, questo mi basta sapere di lei, ovvero che è una brava e interessante scrittrice. Chi o come guadagna i soldi non è affar mio e non dovrebbe essere affare di nessun altro escluso il suo commercialista.

Concedetemi allora una considerazione a margine. Ciò che più mi dispiace è che queste cose succedono troppo spesso e non sono innocue. Nel piccolo del piccolo del piccolo della mia esperienza, non posso dimenticare tutte le volte in cui, a fronte di un minimo di "visibilità" ottenuta tramite questo blog (in termini di invii di libri da parte delle case editrici o incontri pubblici con autori o altre mie attività in ambito editoriale non dissimili da quelle di qualsiasi altro blogger o tenutario di siti internet a tema letterario ------> ovvero tutto bello ma niente di trascendentale), mi sono state rivolte domande e talvolta insinuazioni, anche pubbliche e pubblicate. Spesso relativamente ai soldi (chi ti paga?) o al lavoro (per chi lavori, davvero? Come sbarchi il lunario?). 

Posto che nel piccolo del mio piccolo le poche e uniche volte in cui ho collaborato con una casa editrice per lavoretti brevi (purtroppo e mio malgrado) l'ho dichiarato e immediatamente smesso - per il suddetto breve periodo - di parlare su questo blog successivamente dei libri di quello specifico editore o collaterali e affini, ho sempre trovato pietoso questo atteggiamento di morbosa curiosità. Il grave naturalmente non è pensare o domandarsi qualcosa su una persona, il grave è agire ponendo domande tendenziose o addirittura, come nei casi di autrici davvero famose come la Ferrante è accaduto, indagare su di lei con ogni mezzo lecito o illecito. 

Per carità, non sono così ingenua, so che questo accade a chi in qualche modo si espone con il proprio o con altri nomi e rende visibile ciò che fa. Ed è anche un vezzo lamentarsi o sognare che non sia così, però mi domando semplicemente cosa viene in tasca dopo aver indagato così malamente. Mi domando, sempre nel piccolo del mio piccolo, come stanno adesso le persone che si sono fatte domande e poi scritto o insinuato su di me (umile blogger ed esordiente) e a maggior ragione come sta adesso chi si è dato così tanto da fare per "svelare" qualcosa che la scrittrice ricca e famosa voleva tenere segreto. Con tutti gli argomenti più urgenti che ci sarebbero da trattare su un giornale del genere (ricordo infatti che chi scrive sui giornali sì che svolge un lavoro vero, e si suppone pagato e improntato a un'etica). 

Si parla infatti qui di diritti importanti quali l'identità, la segretezza, la privacy e l'oblio. Questi sconosciuti. Questa è un'epoca di contraddizioni vistose, in ogni caso. Ed è per questo che - per la mia rubrica di comparazioni letterarie - chicchi di caffè - oggi ho deciso di mettere a confronto più che due libri, due accadimenti. 

Forse ai più il fatto è sfuggito, ma vi comunico che nello stesso giorno in cui pubblica un'inchiesta stucchevole e inutile su Elena Ferrante, ecco che però Il sole 24 ore fa uscire, contemporaneamente, come allegato, un libricino meraviglioso. Tre racconti per ragazzi di Carlo Collodi, l'immortale inventore di Pinocchio. Questi racconti sono bellissimi. Raccontano di scimmie che si sentono diverse e sono in cerca di se stesse, di ragazzini che vogliono crescere troppo in fretta e di feste di Natale. Racconti in cui si estrinseca tutto il gusto di Collodi per i dettagli, per gli insegnamenti che ci regala la vita a volte a costo di soffrire e per l'allegria pura dei suoi lettori. Tanta stima per chi si impegna a rallegrare gli animi, è proprio quello di cui secondo me abbiamo bisogno. 

Nel comparare le cose, in definitiva, ci si accorge che spesso sono in contraddizione tra loro eppure vanno a comporre il mosaico del mondo, bello o brutto che sia, è ciò che ci tocca di registrare oggi in questo squinternato scenario che ci si para di fronte, nel quale siamo tutti immersi.