lunedì 24 ottobre 2016

Tazzina di sakè

Inge Sargent, Il tramondo birmano - La mia vita da principessa shan, Add - Susanna Tartaro, Haiku e Sakè, in viaggio con Santoka, Add

Torna la rubrica di "tazzina-di-caffè" dedicata alla letteratura orientale. Perché?

Perché è un mondo, quello orientato a Est, che a me piace molto, fin dai banchi di scuola. A colpirmi, come spesso accade, è stata l'alterità e lo sguardo "semplice" degli orientali. Anche l'autore orientale più contorto, capace di gran morbosità di elevato livello, come ad esempio Murakami, risulta, alla fine della lettura, "semplice". Semplice è l'esatto opposto di complesso, eppure entrambe le categorie possono contenersi in uno stesso libro. 

Tornando alla rubrica, oggi sono semplicemente felice di proporvi questi due lavori.

Premessa: in tutti i miei (numerosi) anni di "blogging", non ho mai chiesto un libro a una casa editrice tranne, se non ricordo male, due volte. Una delle quali, non ho nemmeno poi scritto del libro sul blog, a riprova che mi sforzo di corrispondere ai miei gusti, oppure che sono un'imbranata cronica e necessito di ripetizioni di PR. Forse più la seconda, ma tant'è.

Questo solo per dire che Il tramondo birmano invece l'ho chiesto con interesse e curiosità all'editore, che ringrazio, mentre il libro di Susanna Tartaro l'ho acquistato. 

E finalmente, arriviamo al dunque. 

Comincio da Il tramonto birmano. Tradotto da Margherita Emo e Piernicola D'ortona, questo libro è illustrato da Elisa Talentino, che ha curato anche la bella copertina. A metà della storia,  compare un fascicolo di disegni che illustrano con un tocco che rivela un gesto incisivo e delicato insieme (anche in questo caso gli opposti convivono) la storia della principessa Thusandi. 

La vicenda di Thusandi è molto affascinante e ci porta in Birmania, Paese che dal 1989 ha preso il nome di Republic of the Union of Myanmar. Prima di cominciare a leggere, ci rendiamo conto che è una storia vera. Oltre alla cartina dei luoghi in cui ci catapulterà il romanzo, c'è, a riprova della verità dei fatti, una foto di Inge Sargent, l'autrice del libro.

Il tramonto birmano fa parte della collana Asia curata da Ilaria Benini e dell'Asia ci fa sentire un respiro che è al contempo caldo, pieno di tepore eppure gelido. Un po' come durante la meditazione (tema che accompagna uno dei personaggi principali, il principe rapito, per far fronte alle estreme condizioni in cui si trova di colpo), l'aria ci entra fredda nelle narici - a dimostrazione che i fatti narrati sono spietatamente crudeli - ed esce calda, scaldata per meglio dire, dallo sguardo, dal cuore e dalla vita della narratrice.

In definitiva, succede che durante il nazismo una giovane austriaca si innamora di un ingegnere minerario. E fin qui, niente di che. A sorprenderci è il fatto che quest'ultimo si rivelerà essere Sao Kya Seng, il principe regnante dello Stato shan di Hsipaw. A segnare in modo irreversibile queste due vite sarà un colpo di stato militare, nel 1962, che costringerà la Birmania all'isolamento e la coppia - che nel frattempo è diventata una famiglia con due bambine - a una separazionedefinitiva, perché Sao viene rapito e non farà mai più ritorno a casa, né i due si rivedranno mai più. L'autrice dunque con dolente senso di responsabilità, ricostruisce l'esistenza e se stessa anche attraverso questa scrittura, queste parole piene di bellezza e dolore che tengono attaccati alle pagine. A tutt'oggi Inge, che nel 2000 ha ricevuto il Premio Internazionale per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, e si è sposata nel 1968 con Howard Sargent dopo essersi rifugiata negli Stati Uniti, scrive ogni anno una lettera al governo birmano chiedento notizie del marito.

Una storia vera, tragica, sorprendentemente utile all'animo umano in quanto manuale di resistenza. Mi sono chiesta, prima di cominciare, quanto la ricezione della storia sia influenzata dalla consapevolezza di leggere le vicissitudini "incantate" di una principessa. Ma per evitare questa dissonanza, che rischiava di essere una lettura con occhi infantili, ho formulato un pensiero: la nobiltà è un accadimento, Inge nasce "commoner", come direbbero gli inglesi, come lo è il suo opposto, come molte altre cose e storicamente ha giocato un ruolo politico, ben slegato dalle fiabe che avvincono i bambini. Il fascino che essa ha su molti di noi lettori in questa narrazione è dunque assolutamente secondario alla forza morale e alla fotografia sociale che ne scaturisce e che fa di questo libro un documento importante dal valore storico oltre che narrativo. A corredare il libro, c'è in fondo una cronologia che spiega bene la situazione birmana e la sua storia.

Un libro insomma che sono felice di aver desiderato e di aver avuto il coraggio di chiedere. Spero lo leggerete anche voi.

Il secondo libro che voglio presentare in questa rubrica è uno dei primi titoli della collana Incendi sempre di Add editore. Mi ha incuriosita subito, anche per la curatela senz'altro di valore di Francesca Mancini e Fabio Geda. 

Susanna Tartaro cura da molti anni una trasmissione radiofonica che io, come molti, amo particolarmente e che mi ha tenuto compagnia tante volte e insegnato tante cose che è Fahrenheit di Radio 3. Susanna ha anche un blog, Dailyhaiku, in cui commenta una notizia del giorno tramite un haiku. L'haiku è una forma poetica giapponese che, a proposito di semplicità unita alla complessità, esplora in una struttura essenziale di 5-7-5 sillabe temi talvolta molto profondi. Per me l'haiku ha un valore speciale, ne ho scritti tantissimi fin da ragazzina e qualche anno fa ne pubblicavo anche io uno al mese sui "social" twitter e facebook (gli haiku che scrivevo io erano del tipo kigo, ovvero quelli legati al succedersi delle stagioni e devono contenere elementi legati al clima); perché ho smesso? Non lo so! Mi piacerebbe ricominciare a scriverli. 

Tornando al libro: Haiku e sakè è la storia di un viaggio. Un viaggio spirituale ma anche vero e fisico. Ad accompagnare la viaggiatrice nel mondo è uno spirito guida unico: Santoka (mi scuso ma non lo scrivo con la dicitura corretta perché i copia-incolla di parole qui su tazzina mi sballano tutta la formattazione: ah, prima o poi migliorerò questi aspetti, lo prometto; insomma comunque sulla o ci vorrebbe la sbarretta orizzontale sopra). 

Santoka camminava, componeva haiku e camminava. Osservava, annotava. Meditando, soffrendo e ridendo di sé, camminava. Proverò a seguirlo. 

Santoka è stato un poeta e monaco buddista vissuto tra il XIX e il XX secolo e il suo nome significa "alta cima fiammeggiante". In verità, il suo percorso, a dispetto del nome, a quanto pare è stato sempre piuttosto orizzontale, perché ha trascorso molto tempo appunto a camminare e osservare. 

Susanna parte allora sulle sue tracce ma di percorso ne traccia uno al contempo tutto suo. Sono molto interessanti infatti e parte integrante della avventura le fotografie inserite tra le pagine del libro perché introducono scaglie di contemporaneità (una strada e un motorino, una foglia a forma di cuore sul cemento, la metro, palazzi di Roma Nord, panchine...) in una narrazione che invece è cadenzata da qualcosa di molto antico, come gli haiku e la saggezza solitaria del monaco. Non è un monaco-santo però quello che dovreste aspettarvi. Santoka è un bevitore di sakè alla ricerca di un senso:

Mi purifico 
nell'acqua blu
che scorre sulle rocce. 

E Susanna prende le sue frasi e ne segue il filo che la porta nella sua, di vita. Per lo più romana e piena di ricordi, radio ed emozioni. 
Il viaggio di Santoka e Susanna prima o poi finisce e tocca scendere dal motorino. Ma il finale-finale merita davvero e ovviamente non lo dico ma ha a che fare con la felicità.

Spero che queste due storie a base di caffè corretto vi piaceranno quanto sono piaciute a me e buona lettura. 




2 commenti:

Anonimo ha detto...

Entrambi sono già in lista desideri, ma ora ho ancora più voglia di leggere Il tramonto birmano.

noemi ha detto...

Grazie Ari, contenta di essere stata utile :) Buona lettura!