martedì 4 ottobre 2016

Una pietra sopra - sul romanzo popolare


Prima di metterci una pietra sopra, torno un momento, sperando di non tediarvi troppo, sulla questione Elena Ferrante. Ci torno perché mi appassiona la faccenda dell'identità (ma non nel senso che mi interessi sapere  chi è lei, nel senso che è un tema che come a molti mi sta a cuore in generale ovvero la contrapposizione tra vita e scrittura e la difficile identificazione di chi siamo, specie in relazione a ciò che scriviamo), soprattutto mi appassiona comunque allo scopo di dirimerla, e perché anche io, come molti, sono stata colpita in definitiva da lei come autrice e pure dalla potenza del mistero che ha creato e dalle conseguenze delle scelte di riservatezza in un'epoca di sovraesposizione dell'io, e tuttavia, lo so, la questione è ancora più complessa di così (basti pensare al fatto che la Ferrante stessa ne La Frantumaglia fornisce dati aubiografici a quanto pare "falsi" o per lo meno disattesi dalla criminosa - a mio parere - indagine in stile "follow the money" portata avanti da un giornalista de Il sole 24 ore e pubblicata domenica; se vi siete persi dei pezzi, ci sono informazioni qui o qui e qui il comunicato ufficiale della casa editrice edizioni e/o, che pubblica la Ferrante).

Ci torno soprattutto perché, come spesso accade, credo che Italo Calvino abbia detto (o meglio scritto) qualcosa di importante e interessante sul tema del romanzo popolare, in contrapposizione al romanzo di successo. Qualcosa che mi pare quanto mai pertinente con i fatti del momento. Lo fa parlando di Elsa Morante che con la Ferrante qualche consonanza, per lo meno nel nome, ce l'ha. Il saggio a cui mi riferisco è raccolto nell'antologia di articoli Una pietra sopra (la mia è un'edizione mondadoriana del 2006) e si intitola Un progetto di pubblico, uscito nel 1974 su L'Espresso

Dopo un'introduzione sull'Orlando Furioso, in cui Ariosto, spiega Calvino, fa un'operazione senza precedenti, ovvero si appella a un "pubblico" di lettori nel quale il libro si riflette come in uno specchio; e, fa notare sempre Calvino, non si tratta di un pubblico qualunque ma di un pubblico scelto dall'Ariosto come modello di società che si può ben riconoscere nelle sue parole e nelle sue trame, continua scrivendo:

Così nell'intenzione che ogni scrittore mette nel suo progetto d'opera, è implicito un progetto di pubblico?

Dove vuole arrivare Calvino? Vuole dire che ogni autore, anche il più controcorrente, ha in mente un pubblico e ogni successo letterario ha un suo pubblico preciso. Perché parlo di successo? Perché Calvino fa una distinzione interessante:

[...] ogni opera è progettata in funzione di un particolare tipo di successo; il progetto di successo dello scrittore popolare, cioè colui che, per una particolare situazione storico-sociale, si trova a compiere operazioni di grande portata poetico-conoscitiva in un genere di produzione letteraria che ha di per sé un pubblico vasto e indifferenziato, come il romanzo popolare durante alcuni decenni della metà del secolo scorso. Per Balzac e Dickens, il progetto di una nuova società di lettori coincide con l'emergere di una nuova struttura sociale; in Dostoevskij e Tolstoj diventa sempre più progetto pedagogico messianico. Ma direi che è necessario distinguere il romanzo popolare  (quale si è sviluppato nel Settecento e Ottocento fino alle sue specializzazioni odierne) dal romanzo di successo, nell'accezione che ha assuntpo oggi il best-seller, il libro di moda di una stagione o di un'annata. Mentre il romanzo popolare è basato sul funzionamento oggettivo della macchina narrativa, e ha anche nei suoi esempi più illustri un carattere quasi di produzione anonima che lo apparenta alle mitologie (e come tale è campo di studio prediletto delle nuove analisi narratologiche), il best-seller come lo si intende oggi sia in America che in Europa è tutto il contrario: anziché sull'oggettività e impersonalità si basa sulla pretenziosa e vaga soggettività dell'autore che trabocca nella pretenziosa e vaga soggettività dei lettori, in una melassa di "umanità". Esso si basa su un errore di metodo che confina con la ruffianeria morale: credere che entità non ben definite come l'umanità, la vita, le passioni, i sentimenti possano passare direttamente nella carta scritta. Il romanzo di successo così concepito può interessare soprattutto il sociologo per il suo rilevamento in negativo di cattiva coscienza sociale. Questa distinzione tra romanzo popolare e romanzo di successo va fatta perché è un romanzo popolare che Elsa Morante (dato che è di lei che si continua a discutere) ha voluto scrivere, un romanzo che abbia come primi lettori proprio i non lettori, quelli che non leggono nemmeno i romanzi di successo, gli esclusi dalla lettura. La possibilità di scrivere un romanzo popolare di questo tipo è un'ipotesi di grande stimolo intellettuale e tecnico a cui molti o forse tutti gli scrittori hanno pensato almeno per un momento e l'hanno scartata perché subito vengono alla mente dieci o venti buone ragioni storico-sociologiche o esistenziali per non farne niente.

[...] La vera riuscita sarebbe quella di chi sapesse affrontare l'insieme di procedimenti e di effetti di tecnica letteraria della commozione, e cercare di capire cosa sono, cosa significano, come funzionano, perché comunicano qualcosa che molti lettori credono di riconoscere. A una chiara coscienza tecnica di questi procedimenti letterari forse potrebbe corrispondere un nuovo uso del pathos come pedagogia morale non mistificante. Il nodo di una futura possibile letteratura popolare è lì: ma siamo molto lontani dal saperlo risolvere.

Che ci sia riuscita Elena Ferrante?


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