Giorgio Pirazzini, Gattoterapia, Baldini & Castoldi - Sam Savage, Firmino, Einaudi (tradotto da Evelina Santangelo, illustrazioni di Fernando Krahn) |
Imparare dai gatti e imparare dai topi. Recentemente, sto imparando ad esempio da un gattino di cinque mesi (di nome Cosimo) il significato del concetto di professionalità. Cosimo è ancora piccolo, ma ha un lavoro ben preciso, tramandato da generazioni: il cacciatore. Ebbene, lui ogni mattina, e spesso anche di notte, lavora. Non ha grilli per la testa (qualcuno vorrebbe semmai averlo nella pancia, ma non è ancora così bravo), non è invidioso né carrierista ma, benché si conceda molto riposo, non perde tempo. Non conosce rimpianti né arzigogolate insicurezze. Ha paura, questo sì, ma l'affronta e semmai, avendo cara la pelle, cerca di mettersi in salvo.
Per il resto del tempo, lavora. Si concentra. Si alza, si sgranchisce le zampe, e si mette a lavorare. Ho l'impressione che si diverta anche, ma non è questo il punto: fa quello che vuole fare e che deve e lo fa bene. E quando fallisce, accusa il colpo e ricomincia, metodicamente, a lavorare.
Questa, come tante altre caratteristiche del gatto, dalle più emotive alle più comportamentali, potrebbe essere una delle cose che Lorenzo, uno dei protagonisti di Gattoterapia, sceglierebbe forse di emulare del comportamento dei gatti.
Perché Lorenzo, un personaggio complesso e assai contemporaneo, vive a Londra ma è italiano e si avvelena la vita con un lavoro per lui diventato frustrante (il pubblicitario) e un matrimonio molto in crisi (anche sua moglie, Claudia, fa la pubblicitaria ma a differenza sua ama il lavoro e ha successo, oltre che un amante...). Tutto questo veleno troverà sbocco in due direzioni uguali ed opposte: una è l'entrare in contatto, da parte di Lorenzo, con una sorta di sofisticatissima società segreta londinese di persone che si ritrovano, indossano costumi e calzemaglie e si comportano esattamente come dei gatti, ben sapendo che il loro sistema di vità, più selvatico e istintivo, ci tiene alla larga dallo stress, ci rende esseri più affascinanti e distaccati.
Tutto andrebbe bene, se non fosse che gli uomini non sono gatti e la incontrovertibile umanità di Lorenzo e Claudia arriva a un certo punto drammaticamente a riportare le cose alla loro esatta posizione, cioè verticale e non a quattro zampe. Non svelo il finale, che lascia il beneficio del dubbio: quanto dei gatti possiamo portarci nella nostra esistenza? Ma la domanda è ancora più profonda: di cosa abbiamo bisogno per imparare a vivere e ad amare noi stessi e gli altri?
Che fine ha fatto il gatto in me? Era solo un capriccio per coprire delle mancanze troppo evidenti? Indifferenza, eleganza, sensualità sono tutte stupidaggini di un uomo abbandonato in cerca di autostima?
Gattoterapia è infine una bellissima riflessione sulla iper e ultra nevrotica società contemporanea, specie tipica degli ambienti più evoluti, connessi e privilegiati. Rifugiarsi infatti nei tratti più narcisistici del gatto è proprio un po' come scappare da ciò che ci rende umani e dimenticare che tutto sommato siamo noi ad accudire i nostri gatti domestici e non viceversa, e che possiamo prendere molto da loro, certo, ma ci tocca soprattuto dare e prendercene la responsabilità, come si fa con le creature più piccole.
Alla domanda sull'amore, magari non quello tra persone (alla fin fine insondabile) ma quello per i libri e in generale per la letteratura e le storie risponde Firmino.
Mentre ringrazio Baldini & Castoldi per l'invio di Gattoterapia, uscito da pochi giorni in Italia, vi dico che Firmino lo ha scritto l'americano Sam Savage ed è uscito per Einaudi una decina di anni fa e me lo aveva regalato una mia amica.
Firmino è un topastro mangiatore di libri. Ma anche di avventure:
Inoltre, non si deve necessariamente credere alle storie per amarle. Io amo ogni genere di storia. Amo il suo modo di procedere: inizio, sviluppo, fine. Amo il lento accumularsi di senso, i paesaggi ancora indistinti e vaghi dell'immaginazione, i percorsi tortuosi e intricati, le pendici boscose, gli specchi d'acqua e i loro riflessi, le svolte tragiche e i comici incidenti di percorso.
Firmino è un topo che si comporta da topo ma che al contempo degli umani prende il meglio, cioè assimila letteralmente i romanzi, mangiandoli, nutrendosene. Un po' l'opposto di quel che accade in Gattoterapia dove i ruoli sono invertiti.
In entrambi i casi questi libri convincono perché il regno animale vi appare come un territorio senza tempo ma al contempo adulto e narrativo, maturo e sofisticato, surreale, come accade anche in due libri che Giorgio Pirazzini cita in un'intervista su Vanity Fair (e che ho riletto anche io di recente) ovvero Il gatto in noi di Williamo Burroughs e Io sono un gatto di Natsume Soseki.
Per questa rubrica di comparazioni libresche ho scelto dunque questi due tipici opposti per antonomasia. Qui, vi ho raccontato come questo eterno enigma della contrapposizione gatto-topo ha preso vita nella mia casa non molto tempo fa quando in rapida successione si sono alternate le presenza di un topo mangiatore di libri e di un gattino di cinque mesi che di mestiere fa il cacciatore.
E in entrambi i casi, quel che resta dopo la lettura è la ricerca di un'autenticità che si rischia di smarrire e di valori importanti che si rischia di perdere talvolta semplicemente vivendo. Consigliati entrambi e buona lettura!
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