Due anni fa, a quest'ora esatta, mi trovavo nella saletta d'attesa del Pronto Soccorso dell'ospedale Martini di Torino. Il cielo scuriva specchiandosi in nuvoloni gialli e rosa, faceva più freddo di oggi. Proprio a quest'ora esatta vedevo in lontanaza la figura sfocata di mio papà che mi raggiungeva lì vestito ancora da lavoro, con la sua borsona nera e gli occhiali con le lenti scurite dai pallidi raggi di sole.
Per un po' ero rimasta sola e immobile come uno spaventapasseri, abbracciata agli effetti personali di mia mamma che stava dentro sdraiata sul lettino di rianimazione. Un dottore dalla pelle nera le stava praticando i primi soccorsi. La parola "infarto" si materializzava davanti ai miei occhi come scritta nell'aria, era una parola che avevo pronunciato poche volte nella mia vita. E poi "la perdiamo" "è troppo tardi" "la signora è in fase acuta". Ma soprattutto le facce dei dottori e del personale che stava lì ad aprire e chiudere le porte e il vento di quel movimento continuo, quel via vai di anime in pena. Il paradosso quel giorno è stato che, nel culmine di un dolore insopportabile, nel mezzo del più grosso spavento che potessi immaginare, ho sentito intorno a me, a ricordarlo ora, tantissimo amore. Ho ricevuto molto amore da tutti quelli che sono venuti lì a confortarmi e li ho visti soffrire insieme a me. I miei zii e i miei cugini: tramite loro ho sentito proprio il calore del sangue. Una sensazione che non dimenticherò mai. E i miei amici che sono diventati parte di me, della mia memoria, della mia anima. Vorrei ringraziare ancora e ancora e per sempre tutti loro.
Per un po' ero rimasta sola e immobile come uno spaventapasseri, abbracciata agli effetti personali di mia mamma che stava dentro sdraiata sul lettino di rianimazione. Un dottore dalla pelle nera le stava praticando i primi soccorsi. La parola "infarto" si materializzava davanti ai miei occhi come scritta nell'aria, era una parola che avevo pronunciato poche volte nella mia vita. E poi "la perdiamo" "è troppo tardi" "la signora è in fase acuta". Ma soprattutto le facce dei dottori e del personale che stava lì ad aprire e chiudere le porte e il vento di quel movimento continuo, quel via vai di anime in pena. Il paradosso quel giorno è stato che, nel culmine di un dolore insopportabile, nel mezzo del più grosso spavento che potessi immaginare, ho sentito intorno a me, a ricordarlo ora, tantissimo amore. Ho ricevuto molto amore da tutti quelli che sono venuti lì a confortarmi e li ho visti soffrire insieme a me. I miei zii e i miei cugini: tramite loro ho sentito proprio il calore del sangue. Una sensazione che non dimenticherò mai. E i miei amici che sono diventati parte di me, della mia memoria, della mia anima. Vorrei ringraziare ancora e ancora e per sempre tutti loro.
3 commenti:
ti abbraccio forte.
Siete grandi, cara famiglia Cuffia. Ed è molto facile volerti bene. Ciao chicca.
Grazie Sarina :)
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