A. S. Byatt, Il libro dei bambini, Einaudi |
Bentrovati nella mia rubrica mensile dedicata ai libri di area anglofona. Ho scelto questo bel romanzo, che ho ricevuto in dono da Einaudi qualche anno fa in occasione di un incontro per blogger e giornalisti (non relativo all'autrice), e che ringrazio, per diverse ragioni.
Intanto, questo è un libro che racchiunde un po' la quintessenza dell'anglofonia, dell'anglitudine, dell'inglesità che dir si voglia. Ed è quasi completamente in Inghilterra che è ambientato, salvo rapide escursioni a Parigi e Monaco, tra il 1895 e il 1919 - con lo scoppio e lo svolgersi della Prima Guerra Mondiale.
Per una recensione molto accurata e dal taglio squisitamente storico, rimando alle parole di Wu Ming, qui.
Tutto comunque ha inizio a South Kensington, nella galleria del principe consorte del Victoria & Albert Museum di Londra.
Per una piccola immersione nelle opere d'arte, nelle descrizioni affascinanti e nello sguardo peculiare dell'autrice, rimando invece a un testo della traduttrice del romanzo stesso, Anna Nadotti, sul sito Einaudi, con tanto di immagini e in particolare quella del candelabro di Gloucester che ha un ruolo nella storia.
La protagonista è Olive Wellwood, scrittrice di libri per bambini.
Quando non aveva idee per le sue storie, si ispirava, con una certa riluttanza, alle fiabe segrete di Tom, Dorothy, Phyllis, Hedda, riscrivendone dei passi in forme più facili, pubbliche, ammorbidite e semplificate. Non c'era alcun esplicito sottinteso che le storie dovessero restare inviolate. Le storie sono storie, si diceva Olive, che vengono ripetute e si rifolmulano all'infinito, come i vermi troncati, o il ramificarsi delle vene d'acqua e di metallo. Le storie dei suoi figli contenevano elementi presi da altri narratori - anche il suo sincero Thomas incontrava la regina degli elfi con una gonna di seta verde come l'erba; e nell'universo di animali mutanti della storia di Dorothy, il sinistro talpone doveva molto al terrore infantile suscitato in Olive stessa della Mignolina di Andersen. C'erano passi che scriveva e riscriveva, a volte trasformandoli radicalmente, a volte senza quasi cambiare una parola. Uno degli incipit di Tom sottoterra era stato riscritto qualche tempo dopo l'incipit originale, ovvero l'incontro con la regina del Paese degli elfi. Forse poteva usarlo per scrivere una fiaba vendibile, Tom avrebbe messo il broncio e lei gli avrebbe spiegato che non si trattava della stessa fiaba, e gli avrebbe confidato, da donna a uomo, l'angoscia di una crisi finanziaria.
E questo è uno stralcio tra i tanti della complessità del romanzo. La vita adulta di diverse famiglie e generazioni - con la Storia che le scorre dentro - in contrapposizione con l'esigenza di proteggere i bambini, di accudirli e di conviverci. Copio da una citazione del suddetto articolo di Wu Ming dal romanzo della Byatt:
I fabiani* e gli scienziati sociali, gli scrittori e gli insegnanti
videro, in modo diverso dalle generazioni precedenti, che i bambini
erano persone, con identità, desideri e intelligenze. Videro che non
erano né bambole, né giocattoli, né adulti in miniatura. Videro, in
molti casi, che i bambini avevano bisogno di libertà, avevano bisogno
non solo di imparare, e di essere buoni, ma anche di giocare e di essere
selvaggi.
Questo passo mi ha colpita e ho scelto di focalizzarmi su questa antica lettura (il libro è uscito in Italia nel 2009) a partire da un fatto di cronaca. Mi riferisco alla bimba uccisa da un pedofilo vicino di casa che l'ha scaraventata giù dal balcone in un quartiere di Napoli. Posto che i fatti di cronaca lasciano spazio sempre al sensazionalismo e saziano la fame di morbosità che c'è in molti di noi, questa volta mi sono sentita più spaventata del solito, e penso di non essere la sola. Siamo una città italiana nel 2016 e nessuno è in grado di proteggere una bambina da un omicidio di tale efferatezza. Anzi, gli adulti mentono e tengono il segreto, tanto è vero che a svelare, dopo anni, il nome dell'assassino alle istituzioni è una bambina a sua volta, amica della vittima. Come mai? Cos'è questa se non un'emergenza medica, morale e spirituale? Come spesso accade, chi scrive non può fare molto, se non scriverne, di fronte a ciò che sente come ingiusto, come pericoloso. Il senso di impotenza che mi coglie di fronte a storie del genere personalmente non so far altro che incanalarlo in parole da diffondere. I libri possono fare anche questo, ovvero rendere sensibili ad alcuni temi. Tornando al romanzo, qui i bambini sono proprio personaggi decisivi. Devono affrontare molte sfide, e spesso ce la fanno.
Questa è certo una lettura impegnativa e difficile, molto gustosa e raffinata ma che richiede uno sforzo importante. Ci sono però parecchi attimi e frasi che ripagano della fatica e danno speranza.
Mentre il paesaggio andava somigliando sempre più al caos primordiale, l'ingegnosità umana si faceva sempre più disperatamente metodica e inventiva.
Buona lettura!
*Il fabianesimo è un movimento nato in Gran Bretagna nel XIX secolo, di stampo socialdemocratico, politicamente si rifaceva alla tattica "temporeggiatrice" di Quinto Fabio Massimo, da cui il nome.