Ieri mi affaccio alla finestra e vedo, su un tetto, un gatto bianco e nero e una decina di piccioni grigi. Tutti, gatto e piccioni, stavano mangiando da una pozzanghera secca di avanzi gialli. Al rumore della finestra che si apre, il gatto come una saetta solleva la testolina e mi punta con uno sguardo laser che mi paralizza, mi fissa negli occhi. Capisco in quel momento che lui è intelligente, che è attento al mondo, che sente il pericolo, che è curioso e sa che con lo sguardo può soddisfare la curiosità. Sfida il rischio che viene dall'alto verso il basso, sfida i raggi di sole opachi e freddi di febbraio che lo stordiscono, sfida me, sfida l'essere umano.
In questo lunghissimo fermo immagine, in cui ci guardiamo come cow boy, i suoi commensali cosa fanno? Gli fregano il cibo. I pennuti gli sottraggono il pranzo da sotto il muso. I piccioni, in massa, a testa china, zampettando come papere, ottusi come la banalità del male, si riempiono in silenzio la pancia. E il gatto a digiuno, magro, bianco e nero, solo.
In questo lunghissimo fermo immagine, in cui ci guardiamo come cow boy, i suoi commensali cosa fanno? Gli fregano il cibo. I pennuti gli sottraggono il pranzo da sotto il muso. I piccioni, in massa, a testa china, zampettando come papere, ottusi come la banalità del male, si riempiono in silenzio la pancia. E il gatto a digiuno, magro, bianco e nero, solo.
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