Dorit Rabinyan, Borderlife, Longanesi |
ph. Longanesi |
Alcuni incontri con scrittori o scrittrici cambiano e toccano più di altri, nonostante le corse del #SalTo16 (sul quale preparerò un post conclusivo raccontando anche questa splendida e lunga giornata). Insieme ad altri amici blogger, questa mattina grazie alla casa editrice Longanesi ho potuto dialogare con Dorit Rabinyan. Il suo romanzo è una storia d'amore, o meglio il "laboratorio" di una storia d'amore, il "microscopio" anche, come lei stessa lo ha definito, che le è costato parecchio in termini sia emotivi che sociali. Il racconto del sentimento che nasce infatti tra la israeliana Liat e il palestinese Hilmi, ovvero Borderlife, è stato bandito dal Ministero dell'Istruzione isrlaeliano in quanto "minaccia per l'identità ebraica". Colpisce che ciò accada nel 2016, a riprova che la guerra e l'orrore per noi sono distanti nel tempo ma drammaticamente vicini nello spazio.
E proprio l'identità è stato uno dei temi forti trattati oggi ("Liat non smette mai di essere israeliana pur vivendo a New York"), sia nelle nostre domande, sia nelle sue risposte. Si è discusso di differenza tra spiritualità e religiosità, di ricerca artistica (l'artista Hassan Hourani le ha ispirato il complesso personaggio di Hilmi...) e letteraria, di linguaggio.
La mia domanda riguardava la compassione.
Ve la trascrivo: "se è vero che, come scrive in quatra di copertina il Premio Nobel Svetlana Aleksievic, 'l'amore abbatte le barriere', il suo romanzo sembrerebbe dimostrare però che l'amore, da solo, non basta. A esso tocca, per vivere le relazioni dalle più semplici alle più controverse, aggiungere la compassione. La compassione torna spesso nella sua storia, lega un personaggio all'altro e li modifica. Ho capito bene: è così?"
Mi ha colpita perché ha confermato la mia osservazione-quesito, citando il filosofo francese Emmanuel Lévinas e le sue considerazioni sul volto come invito a provare - appunto - compassione nei confronti di tutti, dell'umanità intera.
In una parola, proprio là dove il dolore da sempre pulsa più forte e fa più male, può nascere la voglia, anzi il bisogno di compassione, di gentilezza: sentimenti che il nostro volto esprime, che la nostra penna può (forse deve?) veicolare.
Ringrazio l'editore per l'opportunità di un incontro così interessante da un punto di vista umano oltre che letterario.
A presto con le avventure dal #SalTo16
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