sabato 7 maggio 2016

Le grandi virtù: Toni Servillo legge Natalia Ginzburg.



Mercoledì scorso ho avuto la fortuna di ascoltare Toni Servillo leggere alcuni testi di Natalia Ginzburg. Di questa fortuna, ringrazio gli amici di Stilema per l'opportunità di un osservatorio unico.  

Stilema è l'ufficio stampa che sta curando l'evento "Storia di una voce" un ciclo di letture di testi di Natalia Ginzburg all'auditorium del grattacielo Intesa Sanpaolo di Torino in occasione del centenario della nascita della scrittrice.

Poter ascoltare la voce di un attore così bravo, con una voce così perfetta, è stato un bel regalo. Si sentiva nella sua compostezza una passione per quelle parole e un rispetto reali, tanto che alla fine si è fatto da parte e ha lasciato che il suo stesso applauso, e il nostro di pubblico, omaggiassero la scrittrice e si festeggiasse ai suoi cento anni. 

Da dove cominciare? Ho raccontato qualche giorno fa sul blog Read Your Life di come è nato il mio legame con questa autrice. Sui banchi di scuola. Contrariamente alla maggioranza dei suoi lettori, ho conosciuto Natalia Ginzburg a partire dalle Piccole Virtù, anziché dal più noto e autobiografico Lessico famigliare, che è forse uno dei suoi romanzi più conosciuti e che le valse il Premio Strega nel 1963. 

Di Natalia Ginzburg consiglierei anche i Cinque romanzi brevi, e le opere teatrali che in passato ho visto messe in scena in diversi teatri della mia città. Insomma, cercartela, se non lo avete ancora
fatto. 

 


Quando mi sono seduta sulla poltroncina dell'auditorium, alla fine di una della tante giornate che vivo ultimamente, frenetiche, prive di tempo per respirare, mi sono appoggiata allo schienale, e ho pensato: "eccomi qui, seppur di corsa, in qualche modo ci sono arrivata, vediamo cosa succede", ma in verità era chiaro che mi sono, come molti adulti suppongo, così abituata a saltare da un impegno all'altro senza grazia, senza ascoltare quello che succede intorno, e dentro di me. 

Pian piano i minuti passavano, la presentazione di Domenico Scarpa ha lasciato che la piccola attesa si creasse e diventasse confortevole. Infine, è arrivato Toni Servillo e ha cominciato a leggere. 

Tre tra i testi più belli della Ginzburg. Una poesia su Dio, delicata e comica, che si intitola Non possiamo saperlo (e dà anche il titolo a una raccolta di saggi), una poesia che ci dice che non sappiamo nulla di ciò che veramente ci preme, ci sta a cuore, eppure viviamo. E due brani tratti dalle Piccole virtù. Ovvero Lui e io, ritratto tenero e ironico del suo rapporto con il marito Gabriele Baldini e Le piccole virtù, che regala il titolo alla raccolta. 

Mentre Servillo leggeva, mi sono resa conto di conoscerne interi pezzi a memoria. Avendoli letti e riletti dai sedici anni circa a oggi innumerevoli volte. 

Lui ha sempre caldo; io ho sempre freddo. D'estate, quando è veramente caldo, non fa che lamentarsi del gran caldo che ha. Si sdegna se vede che mi infilo, la sera, un golf.  [...] Lui ha un grande senso dell'orientamento, io nessuno. Nelle città straniere, dopo un giorno, lui si muove leggero come una farfalla. Io mi sperdo nella mia propria città; devo chiedere indicazioni per ritornare nella mia propria casa. 

[...]

Per me, ogni attività è sommamente difficile, faticosa, incerta. Sono molto pigra, e ho un'assoluta necessità di oziare, se voglio concludere qualcosa, lunghe ore sdraiata sui divani. Lui non sta mai in ozio, fa sempre qualcosa; scrive a macchina velocissimo, con la radio accesa;

 [...]

Perché pur avendo sempre tando caldo, sovente usa vestirsi come se fosse circondato di neve e di ghiaccio e di orsi bianchi; o anche invece si veste come un piantatore di caffè nel Brasile; ma sempre si veste diverso da tutta l'altra gente. Se gli ricordo quell'antica nostra passeggiata per via Nazionale, dice di ricordare, ma io so che mente e non ricorda nulla; e io a volte mi chiedo se eravamo noi, quelle due persone, quasi vent'anni fa per via Nazionale; due persone che hanno conversato così gentilmente, urbanamente, nel sole che tramontava; che amabili conversatori, due giovani intellettuali a passeggio; così giovani, così educati, così distratti, così disposti a dare l'uno dell'altra un giudizio distrattamente benevolo; così disposti a congedarsi l'uno dall'altra per sempre, quel tramonto, a quell'angolo di strada.

Lui è Gabriele Baldini, il suo secondo amato marito. Il primo, Leone Ginzburg, era morto in carcere a Regina Coeli, in seguito a torture dei tedeschi per la sua volontà di non collaborare, nel 1944. 

Sui miei dolori reali, non pianngo mai.

Scrive raccontando dei litigi tragicomici con Gabriele. 
Sono sempre rimasta incantata da come questa scrittrice sapesse essere autentica, vicina, incredibilmente sana. 

Di come avesse capito, e detto, che l'amore, come la vita, assomiglia a un semplice miscelatore di temperature, a un rubinetto che noi dobbiamo modulare per bere, per lavarci con l'acqua più giusta.

I suoi amici intellettuali, tra cui Pavese, al quale lei dedica uno dei testi più toccanti, Ritratto d'un amico, la definivano talvolta "finta tonta" ma, come spiegava anche Domenico Scarpa, curatore di molte sue opere, il suo anti-intellettualismo venne fin troppo equivocato. Semplicemente, Natalia Ginzburg era onesta. 

Dico io: era saggia. Nelle sue spoglie vesti di scrittrice pura, di narratrice artigiana, era sincera; dichiarando di saper di non sapere, aveva raggiunto una vetta che ancora oggi come lettori ricerchiamo tutti, la vetta di una qualche verità da trovare nelle pagine, da fare nostra, da usare come strumento per cambiare la vita. 

Leggete I rapporti umani, leggete Silenzio, leggete Le scarpe rotte e tutti gli altri saggi. Leggete cosa dice dell'Inghilterra, e amerete l'Inghilterra. Leggete cosa dice sulle virtù e amerete le virtù.





 Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere.  

[...]

Non che le piccole virtù, in se stesse, siano spregevoli: ma il loro valore è di ordine complementare e non sostanziale; esse non possono stare da sole senza le altre, e sono, da sole senza le altre, per la natura umana un povero cibo.

[...]

E in genere, credo che si debba andare molto cauti nel promettere e somministrare premi e punizioni. Perché la vita raramente avrà premi e punizioni: di solito i sacrifici non hanno alcun premio, e sovente le cattive azioni non sono punite, ma anzi a volte lautamente retribuite in successo e denaro. Perciò è meglio che i nostri figli sappiano fin dall'infanzia, che il bene non riceve ricompensa, e il male non riceve castigo: e tuttavia bisogna amare il bene e odiare il male: e a questo non è possibile dare nessuna spiegazione.

E poi arriva il pezzo in cui si parla della vocazione, dell'avere una vocazione qualsivoglia che, nella visione della Ginzburg, non è altro che espressione massima dell'amore alla vita. Amare la vita genera altro amore per la vita e tiene vivi. 

Quelle parole per me sono state un soffio vitale. Sono ritornata all'amore per la vita che avevo nei miei sedici anni. Con tutto il mio tempo ancora davanti e una vocazione alla scrittura (si può anche essere una pulce di scrittori, dice l'autrice, eppure rispettare ed essere devoti al proprio mestiere, dunque bando allo zelo) che germogliava da tempo come un seme. 

Ho pensato: che effetto mi avrà fatto leggere tante volte, assimilare, questi concetti, queste parole, questo stile di scrittura, da giovane? Dov'era finita quella ragazzina che capiva, annuiva e faceva promessa di raccontare in giro quanto bello, e utile fosse leggere quel libro, tutti quei libri? 

Dov'era finita la gratitudine alla prof che me li aveva fatti conoscere? E il sogno di impararne altri e scriverne e scriverli? Il tempo davanti? Beh è ancora tutto vivo, mescolato, come per tutti, da scoperte e dolore. Mescolato da anni, e corse e affanni e gioie che non potevo immaginare, eppure è ancora tutto vivo. 

Solo a tratti, dal fondo della nostra stanchezza, risale in noi la coscienza delle cose, così pungente da farci venire le lagrime: forse guardiamo la terra per l'ultima volta. Mai abbiamo sentito con tanta forza l'amore che ci lega alla polvere delle strade, agli altissimi gridi degli uccelli, a quel ritmo affannoso del respiro in noi: ma ci sentiamo più forti di quel ritmo affannoso, lo sentiamo in noi così sordo, così lontano, come se non fosse più nostro: mai abbiamo amato i nostri figli, il loro peso fra le nostre braccia, la carezza dei loro capelli sulle nostre guance, pure non sentiamo più paura nemmeno per i nostri figli: diciamo che Dio li protegga, se vuole. Gli diciamo di fare come vuole. E adesso siamo veramente adulti, pensiamo un mattino [...].

In effetti, i figli di Natalia, alcuni, mercoledì erano in sala ad ascoltare Servillo leggere le parole della madre. Tutto è andato per il meglio, hanno amato la vita.





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