Il Salone del Libro (che qualche volta s'è chiamato Fiera, ma insomma ci siamo capiti), se leggete questo blog da un po', per me ha un significato particolare. Da quel maledetto (o benedetto?) giorno del 1988 in cui - come dicevo nel post precedente - non so chi (una hostess) mi regalò all'ingresso un pupazzetto, marionetta a forma di cono, insomma ci vorrebbe una seduta psicanalitica per ricordarne la forma (non è vero, ce l'ho in testa come fosse ieri) a quando ci ho lavorato (tre anni fa) e presentato il mio primo romanzo davanti a non so quante persone e firmato autografi, da quando, sola e disoccupata, ho ascoltato sparute conferenze senza pubblico sull'esegesi della traduzione post-pre-ante-moderna di DFW in turco (invento eh) a quando ho pianto di fronte alla Strout presentata da Paolo Giordano. Dai Premi Nobel, ai Premi Strega, alle file disperate per un hot dog.
Da Ammaniti a Bergonzoni, dal piegarsi in due dalle risate. All'anno in cui giravo per tutti gli stand con una tazzina celeste (di Ikea) in mano e la fotografavo accanto ai libri e alle persone.
Ai miliardi di cv lasciati a stagisti non pagati che se li sono fumati li hanno consegnati a editor che non hanno mai risposto (ma sto imparando, dagli scrittori del passato, che i rifiuti a volte valgono come cento sì, perché sono camuffati inviti a scrivere meglio a essere meglio), dalla gita delle elementari, delle medie, del liceo, del Master in editoria. Da quella volta in cui abbiamo iniziato a "twittare" ed eravamo in quattro gatti (uccellini). Da quelli che ti venerano, a quelli che ti guardano con superiorità. Dai pass, chi ha la borsetta e chi no, alla voce che va via proprio prima di una presentazione. Da quando ho ascoltato Eco, Paolo Rossi, la Bignardi, da tutti i Presidenti, dalla gente vestita assurdamente e le mode che in quasi trentanni sono sfilate su quei tappeti coinvolgendo tutti, dico tutti gli scrittori torinesi, da quando ho salutato uno per uno gli editori dell'Incubatore fotografandoli prima e dopo i cinque giorni più faticosi e belli dell'anno. Da quando ho ideato i tweet per Book To The Future, a quando mi sono gustata l'atmosfera senza dover fare un bel niente. Da quando ho lavorato al libro di Hosseini a quando ho fatto la hostess col male ai piedi.
Da quelle bronchiti da aria condizionata, all'anno in cui c'era odore di fritto. E quell'anno tremendo, senza speranza. I contenuti. La content user generation!
Dall'anno (tutti) in cui ce lo dovevano rubare i milanesi, agli scandali sui giornali. Dai magheggi all'onestà. Da quando ho pranzato, per caso, da sola con Ernesto Ferrero scambiandoci poche parole e silenzi di fronte a un riso e all'impressione di essere come monaci, lui il più grande, io la più piccola di tutti. Da quelli vestiti da formiche, a sto wi fi che proprio non ce la fa.
Quel maledetto anno in cui vedevo tutto nero, quello idiota in cui vedevo tutto rosa. Da chi c'è e chi non c'è in elenco. Dalla bellezza negli occhi di chi ci è entrato per la prima volta da adulto. Dal leggere tutti gli incipit, da Adelphi, Einaudi, Sellerio.
I libri per bambini.
A quando ci siamo inventati l'hashtag #SalTo.
Quando ho fatto la radio, invitando tutti a parlare. Parlando con tutti, ascoltando i drammi, i successi, le esigenze, la follia e i misteri dell'altrui spirito, dell'altrui mistero. Da quando l'AIE mi ha invitata a spiegare come facessi a far vendere i libri. Da quando il mondo si è accorto che Fazio continua a far vendere più dei blogger. Che i blogger, ve lo dico io, sono in maggioranza solo semplici scrittori in cerca di pubblicazione (almeno io sono questo), da quando sono stata tra le blogger "ufficiali" del Salone a quando sono stata in coda pomeriggi per entrare, sentendomi un'intrusa. Da quando ho fotografato gli altri a quando gli altri hanno fotografato me. Dal riempirsi la bocca di valori e poi maltrattare il prossimo, dallo stare zitti e trattare bene, al fatto che questa regola può essere sovvertita da un momento all'altro, dal fatto che in editoria, come nella vita, non ci sono regole, dall'essere the next big thing all'essere nessuno, al fatto che, semplicemente, benché non serva a nulla, bisogna, come direbbe la Ginzburg, amare il bene. Del mettersi a scrivere sul serio. Dallo spegnere il cellulare, all'accenderlo di nuovo. Dal chi ti conosce? Al io ti conosco! Al conosci te stesso.
Dai pranzi vip alle rustichelle disagiate per terra, tra la polvere.
Dal "ah, ma come mai non pubblichi niente quest'anno?" a "ti prego, recensisci il mio romanzo sul tuo blog". Dai ragazzini che salveranno il mondo, gli omoni in giacca e cravatta, al come ti vesti, gli hipster, agli anziani, ai ragazzi disabili. Dai parenti, le amiche, le invisibili dinamiche delle relazioni. Dal "in editoria sono tutti sposati tra di loro" all'amore casto per i libri che sbuca dentro gli occhi di editori talmente piccoli che non avrebbero i soldi manco per il matrimonio.
Dalla retorica del piccolo editore buono (che però non paga) a quella del grande editore affidabile (che paga in visibilità). Dagli editori di qualsiasi dimensione che in effetti, Dio li benedica, un po' pagano. A quelli che sembrano sul lastrico ma hanno lo stand bello. A quelli senza stand. Al sindacato, alle proteste col fischietto, alle facce, le facce della gente.
Culicchia.
Culicchia.
Le feste. Dal "eh, quella sì che è famosa, mica come te" al tirarsela troppo. Quello che ti conosceva e non ti conosce più. Quello che fai finta di non aver visto. Salutare? Non salutare? Passare a salutare? Fare anticamera? Ueiiiii carissimo. Azz, lui sì che conta. Gli scrittori e le scrittrici che, non ho mai capito perché, se la tirano. Quelli che se la tirano al contrario: "Salone? io non vado e sto su un cucuzzolo della montagna a scrivere l'Odissea!". Da Saviano agli yutuber, dal chissà cosa c'è dietro, gomblotto, dagli istagrammer agli istogrammi: c'è un segno più o un segno meno?
I giornalisti che contano.
Dai lavori trovati, alla gioia. Fassino. L'anno del Vaticano. I Paesi ospiti, le letterature ospiti. La festa Fandango? Dai lavori persi a quelli conquistati, l'ansia, la calma, il chiacchierare, il caffè che io tanto amo.
Dal proporre le sinossi, dal sentirsi dire "non abbiamo i soldi". Dal sentirsi dire: "perché no?". Dalla carta da sniffare, alle tazze, gli sconti, la birra, il vino, i social, le solite facce, lo staff, dagli stand ignorantissimi a quelli chic, da quelli che solidarizzano, ai beneamati nemici, da quelli che dicono: "non ti posso aiutare" al "facciamo qualcosa assieme", da quelli che copiano le tue idee, a quelli che ti coinvolgono, Dio li benedica, nei progetti, e ti ascoltano, e, sì, ti pagano in denaro. Dai temi seri, loro sì veramente impegnati, al vince la superficialità, all'avere davvero qualcosa da raccontare. I libri, le copertine. Gli ebook? Il digitale? Cresce? Decresce? L'IBF. La sala professionali. Dal name dropping alla pioggia piemontese di maggio. Gente del sud che si lamenta del freddo, gente del nord che si lamenta del freddo. I romani.
Dai momenti di panico e quelli di guarigione, di voglia stupenda e autentica di leggere e scrivere, in una parola: di felicità.
Diciamo che l'ultima parola è la felicità.
Qui sto osservando basita Paola Mastrocola che disegna! Siamo al primo evento in cui sono stata coinvolta da Guanda: presentare L'anno che non caddero le foglie da Ikea. La difficoltà di questo compito era pari solo a quella delle finali di Giochi senza Frontiere, perché mica è facile destreggiarsi tra una mente di alto livello come lei, i clienti Ikea, gli strudel svedesi e l'emozione di fare una presentazione dopo un lungo periodo di pausa. Tuttavia, ecco, come Saint-Exupery, anche la Mastrocola, umilmente, ha deciso di illustrare la sua favola. Una favola saggia, buffa e universale che si fonda su diversi temi. Il principale, secondo me, è l'accettazione del fatto che la felicità mia non-può-non tener conto della tua. Quindi tocca comprendere, pazientare, accettare e in definitiva amare, per vivere bene insieme.
Questa è la foto del momento più importante della mia giornata di ieri: le prove per una lettura ad alta voce che faremo domenica alle quattro a San Salvario. Il maestro Walter ci sta dando alcune dritte sul come leggere. Lui è un attore molto bravo. Per il Salone #Off, il Laboratorio Rabadan di Torino ha organizzato questo evento bellissimo. Il nostro gruppo di lettura ci ha coinvolti tutto l'inverno, abbiamo letto ciascuno dei testi, e scritto anche delle storie. Nessuno è un lettore professionista: Rabadan accoglie tutte le persone che afferiscono al servizio sociale e offre la possibilità di esprimersi nell'arte, e non solo. Quanto a me, sono seduta laggiù a partecipare e, lo ammetto, a commuovermi per la bravura di alcuni di questi lettori. Spero che verrete a trovarci. Lo spero davvero.
Ieri pomeriggio sono riuscita a fare un salto al #SalTo durato meno di un'ora. Giusto in tempo per sbirciare la Lipperini che intervistava Cesari e Repetti di Einaudi Stile Libero, poco dopo sarebbero andati in Sala Azzurra a festeggiare i loro 20 anni di vita.
L'immancabile foto agli estintori.
Quando ho visto questo tavolo pieno di tazzine l'ho preso come un buon auspicio. Sono passati alcuni anni e sento di aver preso parte, talvolta avviato, ad alcuni cambiamenti. Il mio percorso però non è finito, spero anzi che sia appena cominciato. Sono curiosa di come sarà il Salone del futuro, sono certa che molti stereotipi che ho elencato là sopra non mancheranno mai, ma magari ci saranno nuove cose. Lo scopriremo solo #saltando.
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