Gita al lago Maggiore. A un certo punto ci sono dei cigni che inizialmente avevo scambiato per papere. Se ne stanno lì tranquilli in un angolo a mangiare e a grattarsi le piume bianche. Mi fanno uno strano effetto. Siamo tutti lì a fotografarli con gli zoom delle nostre macchinette digitali. Sembrano i divi in vacanza, diversi da come appaiono in tv o sui giornali, più modesti. Ondeggiano sull'acqua mossa, sono goffi. Hanno un'espressione interrogativa e mite negli occhi neri. Non so. In certi momenti mi chiedo cosa sia la bellezza, dove sia. Quando dicevano "è negli occhi di chi guarda" pensavo "sì, vabè" e non ci credevo. Ero convinta che la bellezza fosse la bellezza. E aspettavo sempre di restarne estasiata, tramortita da un momento all'altro, con enfasi. E invece questi cigni non erano belli, come tutti ci si aspettava da un cigno, ma erano normali, carini, fluttuanti come barchette nell'acqua fredda in cerca di qualche pezzo di cibo da beccare. Le cose che mi sembravano belle, che vedevo belle, che costruivo come una fortezza dentro di me per vedere belle a tutti i costi, oggi mi appaiono per quello che sono. Non belle. Forse preferisco adesso. Non mi piace più avere lenti colorate che modificano il mondo per me, per conformarlo a un'idea mia, forzata, sterile, incoerente. Mi piace invece adesso guardare le cose a occhio nudo. Trovo faticoso questo cambiamento, sarebbe stato più facile continuare così, a guardare tutto in una luce caramellata, artificiale. Ma la conquista di vedere con lucidità, di non essere più miope, è impagabile e vale lo sforzo.
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