L'estrema timidezza, scagliata come un sasso da una fionda nella vita, a volte compie un balzo di 180° e si deposita - senza volerlo - nel solco del suo opposto: la sfrontatezza. Ahimé è così vero che quando capita a me in prima persona me ne spavento. Anni passati a cercare da qualche parte, per lo più tasche bucate, quel minimo sindacale di autostima sufficiente alla sussistenza, invano. Anni a sentirsi ripetere le solite parole svuotate di senso: "buttati, osa, credici, mettiti la scollatura, chiedi, telefona, fatti avanti, spacciatela, tiratela, vantati ecc ecc". Ma poi quando si disinnesca la molla della timidezza, è un guaio: fanno immediatamente seguito picchi goffi di grandiosità, che chiaramente stride agli occhi di chiunque. O almeno a un primo sguardo, o a uno sguardo non professionale (mi riferisco alle professioni in ambito "psy").
Così nella stessa persona possono convivere atti di estrema prostrazione, ritiro, vergogna, chiusura, infernale titubanza con espressioni di eccessiva - ma tutta apparente - sicurezza, sicumera, spavalderia, impertinenza, audacia, vanagloria. Guardarsi allo specchio e vedere questa doppia faccia è brutto, viene voglia di cambiare, di riportare tutto all'equilibrio, alla serenità, alla certezza che per qualcuno si va bene così come si è. Personalmente ci sto provando, con tanto impegno.
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