martedì 13 luglio 2010

Esercizi di sopravvivenza/14.

Oggi pensavo a quante persone della mia età, nate negli anni Ottanta o poco prima, ancora associano il concetto di lavoro a quello di dignità. E ho capito che questa è una chiave di lettura importante per la "nostra generazione". All'epoca dei nostri genitori era normale lavorare. E solo pochi restavano a casa ed erano rarità. Quando le persone di quella generazione perdevano il lavoro, andavano in depressione. Si chiudevano in casa nel letto o sul divano. Qualcuno moriva dentro, altri anche fuori.

Ora.

Se è provato, ad esempio, che alcune nostre paure - insetti, buio, animali feroci - sono un retaggio rimasto incastrato nel nostro cervello dal passato, dall'uomo primitivo, per lo stesso principio intuisco che anche per abituarci alla precarietà ci vorrà molto tempo, chissà forse ere geologiche.
E così ecco che mentre cambia il lavoro, mentre scadono i contratti, magari dopo anni di abitudini e assiduità (è il caso di una mia conoscente di 35 anni che lavorava da 5 in una ditta, si era presa una casa in affitto da sola e adesso è scaduto il contratto e torna a vivere con i genitori), mentre le paghe sono drasticamente diminuite, ma non il familismo, mentre cambiano le leggi, regredisce la condizione della donna, saltano le regole della maternità, il nostro cervello ancora risponde invece a stimoli antecedenti, consolidati.

Quante persone della mia età sto vedendo depresse.

Depresse, allo scadere di un contratto. Una volta i contratti non scadevano. Una volta si cresceva in azienda. Mi viene in mente la storia di una mia amica che ha iniziato uno stage in un momento molto, molto difficile della sua vita personale. Non era al massimo delle sue capacità, anzi spesso commetteva errori. Allo scadere del secondo contratto - dopo un intero anno di lavoro - è stata mandata via. E io credo che in passato una cosa del genere non sarebbe successa, ad esempio negli anni Ottanta. Oggi è meno contemplato l'errore. Conta la performance del momento, se sbagli sei fuori. Se hai problemi tuoi, sei fuori. (tanto puoi sempre trovare un altro stage). Quante persone della generazione precedente invece mi raccontano di essere state "accolte" in azienda. Di essersi evolute all'interno, di considerare i colleghi quasi come una seconda famiglia.

Quindi l'esercizio di sopravvivenza per i miei coetanei trentenni è questo: sganciamo la dignità dal lavoro. Prendiamo atto che le cose sono davvero cambiate. Che può capitare di trovare un bel lavoro a tempo indeterminato come di non trovarlo mai. Che può capitare di fare una famiglia, come anche no. E non sempre (a volte sì, ovvio), è colpa nostra. A volte è davvero la jungla. A volte è sfortuna. E la sfortuna, come la fortuna, può interferire nelle nostre vite (o fortuna, velut luna...).

Ma questo deve lasciarci intatta la dignità, l'umanità, l'amore e il rispetto per noi stessi. Cavoli è importante.

Mi rendo conto: è un esercizio difficile. Però non può essere tutto facile nella vita. A volte ci sono sfide superiori, e bisogna vincere anche quelle.

Nella pratica: come sopravvivere? Come vivere? Come pagare le bollette?
Ora ci penso e la risposta al prossimo esercizio...

2 commenti:

Elena ha detto...

Che bell'argomento...mi ci vorrebbe un'enciclopedia per "dire la mia"!
Effettivamente i miei genitori non concepiscono che io abbia avuto contratti "a tempo"...per loro è una cosa fuori dal comune! Non concepiscono che se sbagli potresti trovarti a casa...non concepiscono che i contratti possono anche solo durare 1 mese...non concepiscono che hai difficoltà a chiedere un mutuo...non concepiscono e basta!
Ma la cosa che più non concepiscono è che io non ritengo il lavoro una cosa fondamentale(sopravvivenza a parte): ci sono anche altre cose nella vita e non mi va di morire lavorando! Mi piace avere i miei hobby, rilassarmi e godermi la mia famiglia (marito + cane): inconcepibile!!
Baci Baci

noemi ha detto...

Elena, è verissimo: non concepiscono e non possono perché è inimmaginabile per loro. Quanto a noi, in effetti non è giusto che viviamo con le stesse modalità, perché altrimenti siamo condannati alla depressione perenne... è complicato ma necessario!