Gino cammina a piedi nudi sul ciglio della strada. Con un cappotto nero e la barba lunga. Ha il bicchierino dove gli automobilisti mettono le monete.
Ci sono certi giorni in cui Gino preferirebbe neanche riceverle quelle monete. E posa il bicchierino e si mette a correre. Perché è scemo e non ha niente da perdere. In quei momenti Gino si ricorda dell'erba dei giardini, dell'acqua delle fontane e dei piccioni. Gli pare che ci siano cose degne di essere guardate e ammirate, nonostante il bicchierino.
Ma il suo risveglio è sempre la moneta. Si ricorda che in un lontano periodo forse era stato proprio lui a scegliere, o a non scegliere di essere normale. Quando vede la moneta che scende a peso morto sulla base sporca di plastica bianca, si pente. Si pente di tutto. Gli dispiace di aver corso, di aver giocato con l'acqua della fontana, di aver calpestato l'erba anziché il cemento bollente, di aver ritrovato una curva sottile di tenerezza nella forma consueta del piccione.
E nel tempo eterno come un semaforo, al rumore sordo dell'euro luminoso che cade, si ricorda ancora e sempre di essere Gino, e non va bene, e non gli piace e non ce la fa più.
2 commenti:
oooh, che post intenso e malinconico...
@Zuccaviolina: grazie Marta :)
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