Sono in coda all'ufficio postale. Mi sembra di non aver fatto altro nella vita. Mi ritrovo sempre qui. Non ci sto né bene né male. Ci sto. Vengo qui. So che devo pagare. Pago. Qualche volta con calma, altre volte con l'ansia che mi mangia le scarpe come un animale impaziente. Però pago, pago tutto.
E l'altro giorno in coda ho visto Lea e Yo. Lei sui ventanni, scarpette col tacco di vernice, leggings neri, pantaloncini corti di jeans, giacchetta, coda di capelli neri lisci e una borsa bellissima nera con dei disegni arancioni, i personaggi di un circo, un leone. Yo invece sugli otto mesi e mezzo. Tondo come una palla da beach volley, occhi in cui è difficile vedere le ciglia, ma ci sono. Capelli rasati strani, con una freccia che punta alla fronte. Scarpe a righe bianche e nere inframmezzate da un personaggino kawaii verde acido.
Parlano continuamente in una lingua a noi sconosciuta. Yo appoggia la propria guancia su quella di Lea, poi si tira su. Guarda come se tutto fosse la prima volta. Si sorprende di quasi tutto, di quasi tutti i depliant delle poste. Poi si stanca. Poi ricomincia. Non saluta quelli che lo salutano, ma guarda il mondo dal suo punto di osservazione privilegiato, in trincea tra il collo bianco e la nuca di Lea. Non ha nessun ricordo del Giappone, sarà la pelle a conservare la sua terra per lui.
Dopo un po' piange, poi si calma, poi ride, poi si riposa, poi indica un depliant. Appoggia la testa sulla spalla di Lea. Quando è il loro turno, ritirano ottocento euro. Per lui Lea è una piccola montagna incantata.
2 commenti:
mi piace il tuo modo di scrivere. Complimenti!
@clay: grazie mille :)
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