Quando la mia mamma sta più male del solito, ovvero le si acuiscono alcuni sintomi, la situazione diventa a rischio, si congela l'aria e a me viene paura. Questo può succedere più volte in una stessa giornata e non ci sono regole. Quando è così io divento una statuina. Ho imparato a farlo. Sembro un gatto quando vede la preda, anzi no proprio una statuina di marmo. Fisso un punto nel vuoto e rimango immobile. Si tratta di una strategia: io penso che così le cose si possano sistemare in fretta. All'inizio mi agitavo di più, sembravo più che altro una trottola impazzita. Le tentavo tutte, telefonavo, chiamavo l'ambulanza. Ma ho visto che peggioravo questi sintomi anziché diminuirli. Diventando una statuina mi illudo invece di disperdere le parole e i sospiri di dolore di mia mamma sulla mia superficie fredda e disinfettata. Dopo un po' mi accorgo che non parla più neanche lei e proviamo a cambiare argomento. Vi sembrerà infantile, questo mio diventare una statuina. Da bambina però non ne avevo granché bisogno. Più o meno le cose andavano sempre bene. Potevo restare in carne e ossa. Adesso non è più il tempo per me di sentire tutto e di vedere tutto come prima. Però questo diventare una statuina non è completo. Mancava sempre qualcosa. Poi oggi ho pensato: il signore buono dell'altro giorno, quello che io ho sperato fosse un angelo custode, mi ha dato anche una risposta a una domanda che mi tormentava da sempre. Ho infatti sempre creduto che in ogni nome e cognome ci fosse un destino. Lo riscontravo all'incirca in tutte le persone che conoscevo. Ad esempio, una persona che si fosse chiamata Ruota di cognome, state sicuri che faceva il gommista di professione, o cose del genere. Solo sul mio nome e cognome non mi davo pace. Soprattutto sul cognome: CUFFIA. Ma perché? Mi sono sempre chiesta. Né bello né elegante né significativo, questo cognome mi rimandava solo a strane mitologie che mi raccontava mio papà:
- Siamo dei trovatelli, un bambino un giorno l'hanno trovato in una cuffia, e da lì l'hanno chiamato "il cuffia"...
Comunque, quel signore, quando ha sentito come facevo di cognome, mi ha detto:
- Eh già: la cuffia serve per ascoltare.
Così ho capito: quando mi trasformo in una statuina, sto attenta a lasciare fuori le orecchie. Fuori dalla colata di marmo. Le lascio vive ad ascoltare cosa mi dice mia mamma e gli altri.
- Siamo dei trovatelli, un bambino un giorno l'hanno trovato in una cuffia, e da lì l'hanno chiamato "il cuffia"...
Comunque, quel signore, quando ha sentito come facevo di cognome, mi ha detto:
- Eh già: la cuffia serve per ascoltare.
Così ho capito: quando mi trasformo in una statuina, sto attenta a lasciare fuori le orecchie. Fuori dalla colata di marmo. Le lascio vive ad ascoltare cosa mi dice mia mamma e gli altri.
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