
Guardando il film si striscia a fianco dei soldati, si sanguina, si mangia la polvere, si muore di paura, si stringono violentemente i denti, si grida, si rischia di saltare in aria ogni momento e ci si nutre anche di quell'adrenalina che all'improvviso inietta lo sguardo di Will. Che lo porta via da tutto, che è l'unica cosa che conta. Che è la sua droga. Perché "la guerra è una droga" che crea dipendenza, che non smette mai.
Oltre alla perfezione delle azioni in sé, impeccabili, ricercatissime e sospese, intrise di dolore e insieme forza dilaniante, quello che colpisce è il rapporto sottile tra Will e i suoi soldati. Con il sergente Sanborn, in particolare, Will intreccia un sodalizio estremo di amore e odio, di bianco e nero, di luce e ombra. Questi due uomini è come se rappresentassero davanti ai nostri occhi l'eterno contrasto tra Natura e Cultura. Tra istinto e pensiero. Anche se, come in tutte le cose della vita, i piani poi si confondono, si compenetrano e il giudizio si rinvia, anzi non si formula proprio: né nelle intenzioni della regista, né in noi spettatori.
Superbo lungometraggio, da vedere, da non perdere!
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