Ecco il film di Kathryn Bigelow, vincitrice del Premio Oscar come miglior regista (prima donna della storia). The Hurt Locker. La storia di una missione in Iraq vissuta dall'interno di una squadra di artificieri. Will James, il caposquadra dell'unità, subentra al suo predecessore, morto in un'esplosione. E così iniziamo a seguire lui e i suoi soldati nelle continue spedizioni di identificazione, ricerca e disinnesco di bombe conficcate un po' ovunque nel ventre del territorio di guerra. Sempre in uniforme, sempre armati fino ai denti, sempre sotto gli occhi muti, attoniti e feroci, gli occhi alieni degli abitanti del posto. In un deserto arido fatto di miseria e siccità.
Guardando il film si striscia a fianco dei soldati, si sanguina, si mangia la polvere, si muore di paura, si stringono violentemente i denti, si grida, si rischia di saltare in aria ogni momento e ci si nutre anche di quell'adrenalina che all'improvviso inietta lo sguardo di Will. Che lo porta via da tutto, che è l'unica cosa che conta. Che è la sua droga. Perché "la guerra è una droga" che crea dipendenza, che non smette mai.
Oltre alla perfezione delle azioni in sé, impeccabili, ricercatissime e sospese, intrise di dolore e insieme forza dilaniante, quello che colpisce è il rapporto sottile tra Will e i suoi soldati. Con il sergente Sanborn, in particolare, Will intreccia un sodalizio estremo di amore e odio, di bianco e nero, di luce e ombra. Questi due uomini è come se rappresentassero davanti ai nostri occhi l'eterno contrasto tra Natura e Cultura. Tra istinto e pensiero. Anche se, come in tutte le cose della vita, i piani poi si confondono, si compenetrano e il giudizio si rinvia, anzi non si formula proprio: né nelle intenzioni della regista, né in noi spettatori.
Superbo lungometraggio, da vedere, da non perdere!
Guardando il film si striscia a fianco dei soldati, si sanguina, si mangia la polvere, si muore di paura, si stringono violentemente i denti, si grida, si rischia di saltare in aria ogni momento e ci si nutre anche di quell'adrenalina che all'improvviso inietta lo sguardo di Will. Che lo porta via da tutto, che è l'unica cosa che conta. Che è la sua droga. Perché "la guerra è una droga" che crea dipendenza, che non smette mai.
Oltre alla perfezione delle azioni in sé, impeccabili, ricercatissime e sospese, intrise di dolore e insieme forza dilaniante, quello che colpisce è il rapporto sottile tra Will e i suoi soldati. Con il sergente Sanborn, in particolare, Will intreccia un sodalizio estremo di amore e odio, di bianco e nero, di luce e ombra. Questi due uomini è come se rappresentassero davanti ai nostri occhi l'eterno contrasto tra Natura e Cultura. Tra istinto e pensiero. Anche se, come in tutte le cose della vita, i piani poi si confondono, si compenetrano e il giudizio si rinvia, anzi non si formula proprio: né nelle intenzioni della regista, né in noi spettatori.
Superbo lungometraggio, da vedere, da non perdere!
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