Mostra di Gianni Colombo al Castello di Rivoli.
Qui le info, fino al 5 aprile.
Gianni Colombo è stato un importante uomo di ingegno, capace di sofisticate sperimentazioni nell'arte cinetica. Consiglio a chi può di visitare la mostra, è divertente e oltrepassa - per quanto mi riguarda - le più rosee aspettative.
E poi a un certo punto arriva quest'opera, che si chiama Bariestesie, Bariesthesias. Vi dico solo che per esperirla bisogna firmare una liberatoria e consgnarla ai custodi del museo, che vi osserveranno scrupolosamente durante la mini-avventura.
Qui ho capito il valore delle riflessioni di Colombo sul movimento, sull'esperienza diretta, sui punti di riferimento visivi e soprattutto psicologici.
"Ho scelto proprio la scala perché questa costruzione si connota come una condizione particolare ambientale anche di tipo emotivo".
"Cercavo la possibilità di inglobare questo tipo di sensazioni a livello di un'opera da fruire come un fattore emozionale e un fattore espressivo".
Così si legge nelle didascalie. Ed è tutto vero.
E poi inizia l'opera. L'opera è una scala. Tutta sregolata, dove la discesa sembra una salita e viceversa. Dove lo spazio si inclina, il tempo un po' si dilata e infine, se succede come a me, arrivati in cima ci si pianta* e si teme di non poter più scendere. Ovvio: è pura suggestione, però una piccola vertigine la sentirete davvero.
Tutto questo mi ha colpita. Mi si sono arrossate le guance, mi si è accelerato il battito del cuore. Mi sono sentita toccata su un nervo scoperto. Perché questo è uno dei miei piccoli talloni d'Achille segreti. Il salire le scale. Ne ho paura. Ma più che altro faccio fatica ad affrontarle. Fingo che non sia così, mi tengo quando posso al corrimano, cerco di fare veloce per sentire meno la tensione. Le salite di scale mi preoccupano. Temo di ribaltarmi all'indietro, di perdere l'equilibrio. Cosa che puntualmente non accade. Mi limito a vacillare, per poi riprendere all'istante il ritmo e arrivare sempre a destinazione. Questa cosa infatti assomiglia a un brivido di freddo in una giornata di sole. Arriva, dura un tempo limitato, non se ne capisce il senso, e poi se ne va. Mi imbarazza un po' raccontarlo. Tuttavia lo scrivo, perché l'opera di Colombo sembrava messa lì apposta per me, per quelli come me. Ci ha chiamati, ci ha scovati e ci ha stanati.
L'arte, quando riesce a fare questo, a venirti a cercare nei recessi più assurdi della vita, della memoria, del cervello stesso, per come si è strutturato negli anni. Nei misteri più chiusi a chiave che ciascuno sigilla dentro di sé.
Non frequentavo musei e mostre da un po' di tempo. Avevo diradato le visite, dopo anni di frequentazioni molto assidue. Perché ammetto che mi sfuggiva un po' il senso di tutto questo gran darsi da fare.
Con Colombo mi sono riconciliata con l'Arte. Mica briciole! E ho ritrovato a piece of me proprio in cima a quella scala.
*ringrazio la a me molto cara persona che mi ha tenuto simbolicamente la mano per un nanosecondo.
Qui le info, fino al 5 aprile.
Gianni Colombo è stato un importante uomo di ingegno, capace di sofisticate sperimentazioni nell'arte cinetica. Consiglio a chi può di visitare la mostra, è divertente e oltrepassa - per quanto mi riguarda - le più rosee aspettative.
E poi a un certo punto arriva quest'opera, che si chiama Bariestesie, Bariesthesias. Vi dico solo che per esperirla bisogna firmare una liberatoria e consgnarla ai custodi del museo, che vi osserveranno scrupolosamente durante la mini-avventura.
Qui ho capito il valore delle riflessioni di Colombo sul movimento, sull'esperienza diretta, sui punti di riferimento visivi e soprattutto psicologici.
"Ho scelto proprio la scala perché questa costruzione si connota come una condizione particolare ambientale anche di tipo emotivo".
"Cercavo la possibilità di inglobare questo tipo di sensazioni a livello di un'opera da fruire come un fattore emozionale e un fattore espressivo".
Così si legge nelle didascalie. Ed è tutto vero.
E poi inizia l'opera. L'opera è una scala. Tutta sregolata, dove la discesa sembra una salita e viceversa. Dove lo spazio si inclina, il tempo un po' si dilata e infine, se succede come a me, arrivati in cima ci si pianta* e si teme di non poter più scendere. Ovvio: è pura suggestione, però una piccola vertigine la sentirete davvero.
Tutto questo mi ha colpita. Mi si sono arrossate le guance, mi si è accelerato il battito del cuore. Mi sono sentita toccata su un nervo scoperto. Perché questo è uno dei miei piccoli talloni d'Achille segreti. Il salire le scale. Ne ho paura. Ma più che altro faccio fatica ad affrontarle. Fingo che non sia così, mi tengo quando posso al corrimano, cerco di fare veloce per sentire meno la tensione. Le salite di scale mi preoccupano. Temo di ribaltarmi all'indietro, di perdere l'equilibrio. Cosa che puntualmente non accade. Mi limito a vacillare, per poi riprendere all'istante il ritmo e arrivare sempre a destinazione. Questa cosa infatti assomiglia a un brivido di freddo in una giornata di sole. Arriva, dura un tempo limitato, non se ne capisce il senso, e poi se ne va. Mi imbarazza un po' raccontarlo. Tuttavia lo scrivo, perché l'opera di Colombo sembrava messa lì apposta per me, per quelli come me. Ci ha chiamati, ci ha scovati e ci ha stanati.
L'arte, quando riesce a fare questo, a venirti a cercare nei recessi più assurdi della vita, della memoria, del cervello stesso, per come si è strutturato negli anni. Nei misteri più chiusi a chiave che ciascuno sigilla dentro di sé.
Non frequentavo musei e mostre da un po' di tempo. Avevo diradato le visite, dopo anni di frequentazioni molto assidue. Perché ammetto che mi sfuggiva un po' il senso di tutto questo gran darsi da fare.
Con Colombo mi sono riconciliata con l'Arte. Mica briciole! E ho ritrovato a piece of me proprio in cima a quella scala.
*ringrazio la a me molto cara persona che mi ha tenuto simbolicamente la mano per un nanosecondo.
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