La tazzina c'è, la lettura maestosa e imponente anche.
Personalmente, sto per partire per una gita! Dove, insieme ai panini e al succo di frutta alla pera, porterò questo immane libro. Sperando invano di finirlo. Si tratta di Infinite Jest del grandissimo David Foster Wallace. Cosa posso io aggiungere a questa pietra miliare della letteratura mondiale di tutti i tempi? Ben poco. Posso solo dire che - come spesso capita con i capolavori - questo non è un libro. Questa è un'esperienza di vita, di passaggio, di concezione assolutamente importante e da cui si torna diversi. Un mondo di cose, di fatti, di fantasmagorie brulicanti e intense. Volevo cercare una citazione per incorniciare questa piccola odierna rubrica. In Infinite Jest è quasi impossibile trovarla. La storia in sé comunica qualcosa, non tanto le parole messe in forma di insegnamento. Qui l'insegnamento è il leggere stesso. Inutile aspettarsi aforsimi o perle di saggezza. La perla è l'esperienza tout court. L'insegnamento non è dato, va ricavato nel nostro sforzo mostruoso di lettori. Bisogna essere piuttosto forti e solidi per superare lo scoglio di questa avventura. Quanto a me: non sono che a metà strada.
Tuttavia, un mini-paragrafo da segnalare qui l'avrei anche trovato (anzi due). Dice molto sulla salute dell'arte e della società in generale. Dice molto sulla contemporaneità, sull'occidente, su di noi.
"Forse è perché gran parte delle arti viene prodotta da persone anziane annoiate e sofisticate, e poi consumata da persone più giovani che non solo consumano arte ma la studiano per capire come essere fichi e giusti - e bisogna tenere presente che per i ragazzini e per i giovani essere giusti e fichi equivale a essere ammirati e accettati e fare parte di un gruppo e quindi Non Essere Soli".
E ancora, più sotto:
"Ci viene insegnato come portare maschere di ennui e ironia logora quando siamo giovani, quando la faccia è abbastanza elastica da assumere la forma di qualsiasi maschera si indossi. E poi ci rimane attaccato, quel cinismo stanco che ci salva dal sentimento sdolcinato e dall'ingenuità non sofisticata".
Ecc ecc ecc. Buona lettura amici. Grazie caro David. Non fico, non giusto, Solo e senza maschere!
Personalmente, sto per partire per una gita! Dove, insieme ai panini e al succo di frutta alla pera, porterò questo immane libro. Sperando invano di finirlo. Si tratta di Infinite Jest del grandissimo David Foster Wallace. Cosa posso io aggiungere a questa pietra miliare della letteratura mondiale di tutti i tempi? Ben poco. Posso solo dire che - come spesso capita con i capolavori - questo non è un libro. Questa è un'esperienza di vita, di passaggio, di concezione assolutamente importante e da cui si torna diversi. Un mondo di cose, di fatti, di fantasmagorie brulicanti e intense. Volevo cercare una citazione per incorniciare questa piccola odierna rubrica. In Infinite Jest è quasi impossibile trovarla. La storia in sé comunica qualcosa, non tanto le parole messe in forma di insegnamento. Qui l'insegnamento è il leggere stesso. Inutile aspettarsi aforsimi o perle di saggezza. La perla è l'esperienza tout court. L'insegnamento non è dato, va ricavato nel nostro sforzo mostruoso di lettori. Bisogna essere piuttosto forti e solidi per superare lo scoglio di questa avventura. Quanto a me: non sono che a metà strada.
Tuttavia, un mini-paragrafo da segnalare qui l'avrei anche trovato (anzi due). Dice molto sulla salute dell'arte e della società in generale. Dice molto sulla contemporaneità, sull'occidente, su di noi.
"Forse è perché gran parte delle arti viene prodotta da persone anziane annoiate e sofisticate, e poi consumata da persone più giovani che non solo consumano arte ma la studiano per capire come essere fichi e giusti - e bisogna tenere presente che per i ragazzini e per i giovani essere giusti e fichi equivale a essere ammirati e accettati e fare parte di un gruppo e quindi Non Essere Soli".
E ancora, più sotto:
"Ci viene insegnato come portare maschere di ennui e ironia logora quando siamo giovani, quando la faccia è abbastanza elastica da assumere la forma di qualsiasi maschera si indossi. E poi ci rimane attaccato, quel cinismo stanco che ci salva dal sentimento sdolcinato e dall'ingenuità non sofisticata".
Ecc ecc ecc. Buona lettura amici. Grazie caro David. Non fico, non giusto, Solo e senza maschere!
4 commenti:
“Gli sembrava intuitivamente di sentire che non era per niente un problema di riduzione, ma – perversamente – di espansione, il fremito aleatorio della crescita incontrollata e metastatica – ogni palla colpita bene ammette n possibili risposte, n^2 risposte possibili a queste risposte, e così via in quello che Incandenza avrebbe definito per chi avesse condiviso entrambe le sue aree di competenza, come un continuo cantoriano di infinità di possibili mosse e risposte, cantoriano e bello perché stratificato, contenuto, questa infinità bipaterna di infinità di scelta ed esecuzione, matematicamente incontrollata, ma umanamente contenuta, delimitata dal talento e dall'immaginazione di se stessi e dell'avversario, ripiegata su se stessa dalle frontiere date dall'abilità e dall'immaginazione che alla fine fanno perdere uno dei giocatori, e impediscono a entrambi di vincere, che creano, alla fine, un gioco, queste frontiere del sé” (IJ, p.97). Qui si parla di Tennis, ovviamente, ma anche di scrivere e di leggere e di sentirsi meno soli.
Ecco una domanda tratte da un’intervista a DFW di Laura Miller, “The Salon Interview: David Foster Wallace.” Salon 9 (1996).
Testo inglese: http://archive.salon.com/09/features/wallace1.html
"D.: Cosa crede che renda la narrativa magica in un modo unico?
R.: Oddio, questo potrebbe prenderci un giorno intero! Beh, la prima linea di attacco per questa domanda è questa solitudine esistenziale che esiste nel mondo reale. Io non so cosa tu stia pensando o come sei dentro di te e tu non sai come sono dentro di me. Con la narrativa credo che noi possiamo saltare sopra questo muro in un certo senso. Ma questo è solo il primo livello, perché l’idea di intimità mentale o emotiva con un personaggio è una delusione o meglio un artificio che è posto ad arte dallo scrittore. C’è però un altro livello in cui un pezzo di narrativa può diventare come una conversazione. C’è una relazione che si stabilisce tra il lettore e lo scrittore che è molto strana e molto complicata e difficile da spiegare. Per me un grande brano di narrativa può riuscire o meno a trascinarmi e farmi dimenticare che sto qui, seduto in poltrona. Ci sono opere commerciali che possono farlo, e una trama avvincente può farlo, ma questo non mi farà sentire una minore solitudine.
C’è però poi a volte una specie di “Ah-ha!” Qualcuno almeno per un momento, sente o vede qualche cosa nel mio stesso modo. Non sempre succede. Sono dei lampi o brevi fiammate, ma a me ogni tanto succede. Ma mi sento non più solo — intellettualmente, emotivamente, spiritualmente. Mi sento umano e non più in solitudine e in una profonda conversazione piena di significato e con un’altra coscienza in narrativa e in poesia, in un modo che non credo sia possibile con altre arti."
Ciao. r
“Ah-ha!” Grazie Roberto!
Nella nota 24 c'è una filmografia completa (completa??) di James O. Incandenza. A me piace la recensione di questo film: "Cage III — Free Show. B.S. Latrodectus Mactans Productions/Infernatron Animation Concepts, Canada. Cosgrove Watt, P. A. Heaven, Everard Maynell, Pam Heath; partial animation; 35 mm.; 65 minutes; black and white; sound. The figure of Death (Heath) presides over the front entrance of a carnival sideshow whose spectators watch performers undergo unspeakable degradations so grotesquely compelling that the spectators' eyes become larger and larger until the spectators themselves are transformed into gigantic eyeballs in chairs, while on the other side of the sideshow tent the figure of Life (Heaven) uses a megaphone to invite fairgoers to an exhibition in which, if the fairgoers consent to undergo unspeakable degradations, they can witness ordinary persons gradually turn into gigantic eyeballs. INTERLACE TELENT FEATURE CARTRIDGE #357-65-65"
Ciao. r
he he sì, divertente. Magie del 3D...
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