Leggendo di recente, qui, un articolo dello scrittore Christian Raimo, ho trovato molti spunti sull'argomento delle biblioteche in Italia. Che sono spazi un po' dimenticati e trascurati ma che in realtà meriterebbero un'attenzione specifica per rivitalizzare il senso della lettura per i cittadini, e forse della vita stessa. Mi è tornato in mente allora un mio piccolo progetto, iniziato su questo blog qualche mese fa, di visitare tutte le biblioteche di Torino (o chissà, anche del Piemonte) e di trascorrerci almeno un pomeriggio, per capire cosa succede - di solito niente (!) - e qual è l'atmosfera di ciascuna - di solito peculiare e inconfondibile. L'idea si chiamava e si chiama ancora: Un pomeriggio in biblioteca.
Così ieri, hemmm, non avendo niente da fare (sic), ho messo in borsa la macchina fotografica per dirigermi allegramente verso la Biblioteca Civica Villa Amoretti. Uh che bel nome.
Ed ecco le mie impressioni:
1) questa biblioteca per me ha un valore affettivo inestimabile. Lei è nata nel 1977, io nell'Ottanta. Siamo quasi coetanee. Prima ancora che iniziassi le elementari, mia madre mi portava lì, nell'area-bambini, che chiamavamo Laboratorio di Lettura. A quel punto, ero in paradiso. C'erano dei libri molto grandi, dove potevo anche sedermici dentro. E libri piccolissimi. E io li amavo, li cercavo, li studiavo con tutta l'attenzione di cui ero capace. Ci passavo interi pomeriggi, guardavo guardavo, rimiravo e vivevo le avventure, ci cascavo dentro, diventavo parte viva delle illustrazioni, parlavo con le figure. Sognavo, fantasticavo, ero la bambina più felice del mondo in quel quadratino dal perimetro di carta.
2) l'edificio è pregevole, sorge nel centro di un piccolo parco, ed è stato costruito nel Settecento. Era proprietà di un abate addentellato ai Savoia, un tale Amoretti. Poi nell'Ottocento è passata ai conti Rignon, che danno il nome al parco alberato. Nel cuore del quartiere Santa Rita, uno dei più carini della città. Il "parco Rignon" era una raffinata variante dei giardinetti sotto casa ed era sinonimo di giocare di più, giocare meglio!
3) l'area bambini è ancora lì. Un tuffo al cuore. Un po' cambiata, con sedioline, poltroncine, tavolini, colonnine espositive girevoli. Al solo sfogliare alcune pagine di albi illustrati, le mie dita hanno ricordato tutte le sensazioni di quei lunghissimi pomeriggi. A quest'area si sono aggiunte quelle per ragazzi e giovani-adulti, più prestito audiovisivi. Segno di come la società si stia stratificando, dilatando, scomponendo, segmentando sempre di più.
4) l'area espositiva nel "salone aulico" è una sala ampia e fresca, con un super lampadario antico, per mostre e conferenze. Meraviglia.
5) si procede verso un corridoio-serra molto luminoso, con le vetrate che si affacciano sul parco, qui il respiro è un po' nordeuropeo. Tutto è pulito, trasparente e organizzato. Si costeggia un terrazzino all'aperto con tavolini argento tipo caffè-di-museo-d'arte-contemporanea ed eleganti sedute verde militare brandizzate "Comune di Torino". wow.
6) la sala consultazione e lettura è ariosa e trasmette parecchia concentrazione. Fornitissima. Con i pc per navigare e i tavoli in legno, più comode poltrone tipo Barnes&Noble, stile!
7) fornitissima: ecco. Poiché non ero più abituata alle biblioteche, né allo studio matto e disperatissimo, giravo tra gli scaffali in cerca di ispirazione. Ma quei titoli, quegli autori mi scrutavano con sostenuta circospezione. Come per dirmi: dove ti eri cacciata? Moravia, Pasolini, Pynchon, Forster. Raccolte enormi, volumi, tomi, meridiani. Prendevo e posavo, mi crollava quasi il polso per il peso di questi saperi che all'Università avevo pregustato, illudendomi che una volta trentenne sarei riuscita a riprendere tutti i fili in mano e tesserli quieta e sorniona nel pieno delle mie facoltà. E invece poi è successo di tutto, la crisi, il lavoro, il lavoro e la crisi, leggere si è rivelata più che altro un'attività da clandestina, come un furto di gioielli. Ma va bene, forse me la sono cercata. C'è ancora tempo per riscovare il bandolo della matassa, credo. E comunque in mezzo a questi mostri sacri non mi sentivo più adatta, come se mi mancasse un'autorizzazione che non riuscivo a darmi da sola.
Stavo a poco a poco rimpicciolendo, svanendo di fronte a tanto materiale, a tanta complessità. Come per un colpo di sonno, mi si chiudevano anche quasi gli occhi per non vedere, avrei avuto bisogno di uno schiaffo, di un pugno in faccia. E provvidenzialmente, così è stato. Su uno scaffale tra i molti, ecco spuntare qualcosa di più accessibile, come un ponte che mi offriva discreto la sua estremità. Un libro piccolo, di uno scrittore giovane, vivente, che avevo sempre rimandato di leggere. Pugni, di Pietro Grossi, editore Sellerio. Sottile ma di impatto, la copertina occhieggiava, più clemente delle altre.
"Ero talmente disciplinato che stavo scomparendo dalla faccia della terra", dice a un certo punto il primo dei tre racconti. Bene, quindi è lui che cercavo. Così mi trovo un posto, per vincere il mio incontro di boxe contro il pomeriggio appena iniziato.
8) su una poltroncina, mi accomodo completamente. Di fronte a me, un signore anziano ma ancora biondo. Legge cose un po' così, tipo L'altra resistenza (sic) o La Germania bombardata. Il suo dramma vero è che ci si addormenta sopra a questi tomi. L'altro problema è che non è profumatissimo, così provo a cercare un posto un po' più in là, magari al tavolo vicino alla finestra.
9) qui una coppia di universitari. Lei è una donna di polso, autoritaria, che istantaneamente invidio. Poi mi ricredo quando noto che addirittura prende a pugni il fidanzato sul braccio per tenerlo sveglio. "Deficiente, domani hai l'esame". Ok, donna di polso, ma non lo uccidere! Comunque qui ci rimango tutto il tempo e leggo il libro.
10) il primo racconto mi piace, uno stile che a tratti mi ricorda Baricco, e il tema della boxe alla Jack London mi appassiona, come in generale i racconti di sport maschile, perché è come avere la chiave di accesso di un mondo non-mio che senza letteratura non potrei mai frequentare e si sa che la curiosità è femmina. Quindi un mix esplosivo, e alla fine questo scrittore mi convince, anche perché le cose le spiega e io ne ho un gran bisogno in certi momenti come lettrice, di capire bene cosa significano le storie. Qui la boxe "è come la vita", chiaro, no?
11) alla fine me ne torno a casa ripercorrendo a piedi - sotto la rada pioggia di foglie ocra/giallo del primo giorno di autunno - questo quartiere che per me un tempo significava non solo "laboratorio" ma anche passeggiate, shopping di scarpine da Bambi, insegne colorate al tramonto e facce nuove. Un po' un luogo dell'anima, un luogo più immaginato forse che reale, dove però sono tornata molto volentieri.
5 commenti:
nostalgia della biblioteca:non avrei mai pensato di provarla, prorio ora che sto vivendo un periodo di tumulti interiori da universitaria sfiduciata...un post che mi ha fatto ricordare bei momenti, e tante tante pause caffè!!!complimenti anche per il blog e la tua passione per i libri (stavo giusto cercando qualcuno che ne parlasse in maniera coinvolgente, per farmi tornare la voglia di leggere i libri, che tanto amo e da cui ultimamente fuggo come una latitante, sob).
Da oggi hai una lettrice in più, se ti fa piacere :)
Ciao barchetta! Che bel nome ^_^ bè, grazie mille per questo tuo commento, mi onora, soprattutto poter contribuire almeno in parte a un "ritorno di fiamma" verso i libri :D, capisco benissimo quello che stai attraversando, ci sono passata anche io in pieno (forse ancora un po' ci sono dentro), sia i tumulti interiori, sia il disamore per i libri, un misto di rigetto e risentimento per le promesse che non stavano mantenendo...
E mi fa molto piacere avere una lettrice in più ed è reciproco: ho visitato il mio blog e l'ho trovato davvero molto carino!!!
intendevo il "tuo" blog, egocentrismo da blogger =_= sorry...
egocentrismo perdonato: lapsus a parte, con le parole ci sai davvero fare...eloquenza evocativa la tua! continua così, a presto :)
rinnovo il mio grazie di cuore, barchetta ^_^ e benvenuta su "tazzina"!!
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