Sabato. Una colazione con gli occhi ancora morbidi di sonno, dopo la doccia più lunga del mondo, sotto la quale stavo per riaddormentarmi sognando caramelle e colline alberate. Una colazione ricca, con il caffelatte, il croissant al cioccolato, il panino con la marmellata e il succo d'arancia - che a pensare al mio caffè in piedi in cucina rimango perplessa.
E poi eccoci a Barolo, al WiMu, il Museo del Vino. Aperto da pochissimo (il 12 settembre), questo fantasmagorico percorso nel vino raccontato da mille prospettive diverse fa sognare. L'allestimento è a cura di
Fran
çois Confino, lo stesso del Museo del Cinema di Torino, e in effetti si riconosce lo stile.
I colori intensi, l'attenzione a ogni minimo particolare, e soprattutto l'interattività: questa è proprio un'immersione nel vino, ci si entra con tutti i sensi e si dimentica davvero il mondo fuori per la durata della visita - si azionano manovelle, si pedala, si ascolta musica, ci si siede al cinema, si sbirciano discorsi altrui, si ha paura del buio, ci si scalda alla luce. Un sentiero elegante di voci e suoni e notizie ed emozioni che intarsiano gli occhi e la mente, aggiungendo una nuova piega all'intrico già fitto del nostro cervello: l'area del vino! Da non perdere la sala delle quattro stagioni, e quella della luna, tra le più suggestive, ma non vi dico di più per non togliervi la sorpresa. Alla fine del tragitto, la possibilità di degustare il barolo vi risulterà inevitabile: la mostra vi porta lentamente lì lì lì come in punta a un trampolino e poi voi vi tuffate beati nel calice, remando con un grissino (che qui come in tutto il Piemonte è buonissimo, croccante, friabile). Quel che si dice è vero: barolo=vino da re e re dei vini.
Dunque vi ritrovate con il vostro bicchiere tra le dita: "rosso granato con riflessi arancioni (...) austero ma vellutato, armonico..." copio le parole che ascolterete nell'ultima sala dove un bonario prof virtuale (occhio all'accento, neh) vi dirà anche che "il barolo non si spiega, ci si accosta" e che il nebbiolo molto probabilmente ha a che fare con la nebbia: non tarderete ad accorgervene. Per il resto del tempo abbiamo girovagato ebbri per la cittadina inerpicata ai piedi del Castello, il profumo di uva e brasato ci ha seguiti fedelmente fino a Neive, che abbiamo visitato in notturna.
Domenica. La casa natale di Cesare Pavese, il Centro Studi e la casa del suo amico Nuto. La vita, la storia, i romanzi, l'amore, la morte, il male e il mestiere di vivere, gli occhiali tondi, la stilografica, il paese, l'alluvione del novantaquattro, la poesia, il vino, le parole. Le parole che Pavese inventava, i suoi glossari, la stanza fredda in cui è nato, quella caldissima in cui si è tolto la vita con i barbiturici. Torino, Roma, Santo Stefano Belbo, il fiume dove gli piaceva nuotare, l'Einaudi, le lettere, la lettera di Natalia Ginzburg, l'Antologia di Spoon River, la sua collaborazione con Topolino (!), la stazione, la guerra, il fascismo, il comunismo, l'America. Tutto il suo mondo sulle pareti sbreccate di un piccolo edificio di fronte alle colline lambite dall'autunno. E poi dopo questo smottamento dell'anima, ancora una deviazione veloce a Govone. Altro stupendo castello, residenza estiva dei savoia, e simpatici attori travestiti da regnanti ce lo hanno raccontato stanza per stanza. E infine altra degustazione di Moscato, che in quel freddo, sotto "stormi di uccelli neri com'esuli pensieri nel vespero migrar", in una quiete domenicale senza precedenti, ci stava bene.
L'autunno. Su un quadernetto ho segnato i colori, perché non me la sentivo di limitarvi la prospettiva al solito giallo-arancio. Marrone, verde bottiglia, amaranto, nocciola, bordeaux, verde militare, vinaccia (!), prugna, melanzana, ocra, rosso fuoco, viola, barbabietola, ambra, asparago, avorio, biscotto, azzurro savoia (noblesse oblige), bronzo, castagno, camoscio, crema, granata, ardesia, kaki, limone, lime, malva, sabbia, oliva, oro, ottone, rame, porpora, mattone, rosso veneziano, scarlatto, seppia, terra di siena, turchese, verde marino, verde muschio, ebano, vermiglio e verde smeraldo.
Solo per citarne alcuni!
Oggi. Chiaramente potrei dire, qui di fronte alla tazzina di caffè, rieccoci alla routine ma sarebbe poco vero, perché questi scenari ormai sono incendiati dentro di me, simili a falò, e così restano composti come diorami perfetti della memoria.