Oggi vorrei leggere e consigliare agli amici questo libro. Si chiama Senza Parola. Storie di afasia. (Edizioni Nottetempo, Roma 2008) Un libro che racconta l'afasia attraverso i lucidi e dettagliati interventi della neuropsicologa Anna Basso e i racconti di due afasici piuttosto giovani, Andrea Moretti, studente di Scienze della Comunicazione, che viene "colpito ma non affondato" dall'afasia nel 2003, a 27 anni. E Marta, una maestra di 39 anni e madre di 3 bambini che si ritrova afasica dopo alcuni interventi chirurgici. Entrambi, come quasi sempre accade dopo una lesione nella parte sinistra del cervello, sono diventati anche emiplegici - cioè insensibili nella parte destra del corpo. Questi due autori scrivono benissimo, con pochi errori. Sono davvero bravi e leggere la loro storia è facile e commovente. Purtroppo non tutti gli afasici conservano un linguaggio così fluente. Alcuni smettono quasi completamente di parlare, dipende dalla vastità e dall'area precisa della lesione. Credo che questo libro sia nato anche per loro. Per difenderli e farli conoscere. Quante più persone infatti conoscono questa strana condizione tanti meno equivoci accadranno nelle nostre città. Tanti personaggi che a volte frettolosamente scambiamo per "ignoranti", "stupidi", "malati" magari sono afasici. Cioè: sono intelligenti e sensibili, vanno solo un po' al rallentatore.
"Nella migliore delle ipotesi le persone afasiche vengono scambiate per stranieri e quasi sempre l'interlocutore occasionale, non rendendosi conto delle reali difficoltà di chi gli parla, non ha la pazienza sufficiente per ascoltarlo e cercare di capire cosa voglia dirgli".
(dall'introduzione di Anna Basso)
"Pensiamo che avevo tutto nella vita. Parlare, giocare, dialogare, era il mondo sotto ai mio piccoli piedi. Ero immortale, giovane e pieno di vita, avevo i capelli lunghi e andavo sempre avanti. Volevo sempre correre senza fermarmi mai. Ma non era così e non per la macchina o il motorino o la moto che sognavo ma non avevo. Ma per la vita stessa, quella stretta stretta, la mia. Pensiamo che la velocità mi scorreva davanti e io volevo correre ancora, stare vicino, attaccato, superarlo. Ma non ce la faccio, non lo fa nessuno, non basta mai, stavo sempre indietro, a rincorrere. Correvo, correvo, correvo e pigiavo l'acceleratore. E a un certo punto, clic, cambia tutto".
(dal diario di Andrea Moretti)
Volevo aggiungere che anche per mia mamma è stato così. Un clic di poco conto, e la nostra vita è stravolta da un anno e mezzo. La sua sfida adesso è provare ad andare al lavoro qualche ora, nonostante tutto, affrontare la confusione totale e una fatica che prima non conosceva, affrontare il silenzio, il nervoso, il male fisico. La sua lotta è tornare a essere la mia mamma, prepararsi magari chissà un giorno a diventare anche nonna. Rafforzarsi i muscoli per provare a tenere in braccio un nipotino, per dirgli quelle poche semplici parole che un bambino può capire. In una parola: vivere lo stesso anche senza parola.
"Nella migliore delle ipotesi le persone afasiche vengono scambiate per stranieri e quasi sempre l'interlocutore occasionale, non rendendosi conto delle reali difficoltà di chi gli parla, non ha la pazienza sufficiente per ascoltarlo e cercare di capire cosa voglia dirgli".
(dall'introduzione di Anna Basso)
"Pensiamo che avevo tutto nella vita. Parlare, giocare, dialogare, era il mondo sotto ai mio piccoli piedi. Ero immortale, giovane e pieno di vita, avevo i capelli lunghi e andavo sempre avanti. Volevo sempre correre senza fermarmi mai. Ma non era così e non per la macchina o il motorino o la moto che sognavo ma non avevo. Ma per la vita stessa, quella stretta stretta, la mia. Pensiamo che la velocità mi scorreva davanti e io volevo correre ancora, stare vicino, attaccato, superarlo. Ma non ce la faccio, non lo fa nessuno, non basta mai, stavo sempre indietro, a rincorrere. Correvo, correvo, correvo e pigiavo l'acceleratore. E a un certo punto, clic, cambia tutto".
(dal diario di Andrea Moretti)
Volevo aggiungere che anche per mia mamma è stato così. Un clic di poco conto, e la nostra vita è stravolta da un anno e mezzo. La sua sfida adesso è provare ad andare al lavoro qualche ora, nonostante tutto, affrontare la confusione totale e una fatica che prima non conosceva, affrontare il silenzio, il nervoso, il male fisico. La sua lotta è tornare a essere la mia mamma, prepararsi magari chissà un giorno a diventare anche nonna. Rafforzarsi i muscoli per provare a tenere in braccio un nipotino, per dirgli quelle poche semplici parole che un bambino può capire. In una parola: vivere lo stesso anche senza parola.
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