Corpo Celeste: un film visto ieri sera in una sala fresca torinese.
Film curato nei più piccoli particolari, ricco di promesse mantenute dalla prima all'ultima. La piccola Marta (interpretata dalla bravissima, davvero bravissima Yle Vianello: mi ha proprio colpita) ha tredici anni e torna a vivere a Reggio Calabria con la madre (Anita Caprioli) e la sorella diciottenne (diabolica ma che poi alla fine sorprenderà in un istante liberatorio) dopo un decennio trascorso in Svizzera. Qui dovrà integrarsi in una città aliena e ostile, diventare di colpo grande, e soprattutto frequentare il catechismo.
Alice Rohrwacher, la giovane regista, ha quindi da qui esplorato - dopo aver a lungo studiato l'argomento con l'occhio vigile della documentarista - il panorama variegato della Chiesa contemporanea.
Ne emerge qualcosa di sbalorditivo per la sua bieca, funesta banalità. Qualcosa di vuoto, agonizzante. Ma ancora vivo. E al tempo stesso veramente ottuso per la sua persistenza. Qui si vede quel lato della Chiesa non tanto oscuro quanto silenzioso, un insegnamento della religione che si aggrappa disperato ai format televisivi e un sistema di carriera che fa venire i brividi per la sua quieta normalità. Ma non fermatevi a questo perché c'è molto di più.
E c'è Marta. Ritratta con una delicatezza commovente da una regista che mi ha subito catturata nel suo mondo. E poi ci sono tutte le donne.
Pensando a questo mi sono saltati alla mente due libri. Uno di oggi, fresco, vitale, sparato alla massima velocità di mano in mano come una nuova notizia clamorosa, un piccolo agile saggio sulla donna nella Chiesa e tutte le contraddizioni del caso (tema che taglia anche il film come una lama per la gran parte del tempo e si specchia nello sguardo bovino della catechista con gli orecchini luccicanti) ed è Ave Mary di Michela Murgia, Einaudi Stile Libero.
"Il buon senso popolare è convinto nel profondo del fatto che sì, Adamo sarà stato anche ingenuo e sciocco a cascarci, ma alla fine dei conti il tutto è partito dalla donna".
L'altro è quello che regala il titolo al film. Corpo Celeste, di Anna Maria Ortese, Adelphi. Un libro invece di qualche anno fa, 1997, una raccolta di brevi saggi in cui la scrittrice romana racconta la sua vita da più punti di vista. Una vita a dire il vero piuttosto triste e sofferente dove essere donna e scrittrice aggiunge fatica alla fatica (e poi la guerra e la povertà e la depressione hanno fatto il resto, hanno decretato l'isolamento più sordo, fino alla riscoperta, come talvolta accade, di una che si è rivelata tra le autrici più importanti dell'Italia del dopoguerra e anche oltre).
"(...) il mondo è un corpo celeste, e tutte le cose, nel mondo e fuori, sono di materia celeste, e la loro natura, e il loro senso - tranne una folgorante dolcezza - sono insondabili".
2 commenti:
bellissimo, bellissimo post. e la citazione finale mi ha steso. grazie. buona settimana cara!
@Sara: grazie grazie :) buona settimana a te e bentornata :) :)
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