martedì 17 giugno 2014

Jo fortere jeg går, jo mindre er jeg.

Kjersti A. Skomsvold, Più corro veloce, più sono piccola, Atmpsphere Libri. (nella foto, il libro nelle sue edizioni inglese, norvegese e italiana)

Acqua e cibo per tre.

Acqua e vino.

Kjerst A. Skomsvold e la bravissima interprete Irene Burdese al Fuori Luogo Festival di San Damiano d'Asti.
Eccoci!


Come preannunciato, il ritmo e il senso di questo blog stanno pian piano cambiando. 

Si tratta di cambiamenti lenti: alcuni amici (grazie!) me ne hanno suggeriti anche un bel po' di tecnici, di relativi anche alla possibilità di un guadagno, senza snaturare i post, che è cosa buona e giusta. Infatti ci sto pensando e sto progettando un po' di possibilità. Nel mentre, però, questi benedetti cambiamenti accadono anche nel resto delle cose, non monetarie, per intenderci. Nello spirito della faccenda, che sta mutando insieme a me. Sto cercando nuovi spazi di lavoro, riempiendomi la vita di nuove cose da fare, e cercando di rendere gli spazi di "tazzina" più circoscritti, ma pur sempre reali e significativi, anzi di più, anzi di maggior valore, per lo meno nelle intenzioni, facendo una pernacchia al tempo che - solo all'apparenza - sembra sfuggirci dalle mani e alle logiche editoriali.

Ci sono cose che proprio ti chiamano, sarà successo anche a voi. Provi a rintanarti da qualche parte, pensando alle soluzioni per le questioni della vita, ignorando ciò che ti piace. Me intanto queste cose ti chiamano lo stesso. Si tratta di sensazioni, intuizioni. Che diventano incontri, pensieri e mestieri anche qualche volta.

A me è successo venerdì scorso. Ho conosciuto una scrittrice norvegese più o meno della mia età, classe 1979. Ha scritto due romanzi per ora, e saggi e poesie. Ma quel che più conta, come posso descrivervelo? Ci siamo capite. 

Lei parlava norvegese, io italiano (Irene inerpretava le due lingue), tentavamo anche discorsi in inglese. Ma è stato lo sguardo! Come di due amiche agli antipodi dell'Universo, che si salutano. Eravamo come due facce della stessa medaglia. Non so quanto potrà interessarvi, ma ho capito in quell'attimo di che pasta siamo fatti tutti noi, e in particolare chi scrive. Mi ha raccontato la sua esperienza, alla fine del primo romanzo. Come si sentiva quando era me: cioè un'esordiente alle prese con il secondo libro. 

Prima del nostro intervento, che apriva il Festival, dunque tanto onore e tanta responsabilità, avevamo vistosamente paura, e pelle d'oca. Eravamo noi al centro di qualcosa. Della nostra vita. Sarà capitato anche a voi. E lì ho pensato: non posso scappare.

Non posso scappare dalle responsabilità, dai doveri, dal dolore, dalla felicità e da questo blog.

C'è un momento in cui trovi casa. Ci metti un secolo a riconoscerla, magari. 
Però poi realizzi, e trovi la chiave per aprire la porta.

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