giovedì 29 settembre 2016

Terrazzino di caffè


Oggi a Torino è un'altra giornata di sole estivo. Mi sono messa a lavorare nel terrazzino della mia casa nuova considerando questa possibilità come una grande fortuna. Spero di non sembravi retorica nel dire questo, ma è proprio un moto dello spirito ricordare a me stessa e a chi legge (dunque può leggere ed è già una cosa bella) le fortune che abbiamo. Anche io, come molti di voi, ho infatti la tendenza a vedere solo quello che non va. E sento già la mia detestabile vocina interna che vorrebbe aggiungere in nota: ed è tanto quello che non va santo cielo! Ed è pur vero che è appena successo (tralasciando le altre disgrazie) ad esempio che una persona che dovrebbe gestire un Ministero della Repubblica ha chiesto alla gente di lavorare possibilmente gratis: una considerazione a margine: ma se chi dovrebbe proteggerci, occuparsi del nostro sostentamento e magari anche del nostro benessere di cittadini fa questo, ovvero ci tradisce o per lo meno non ci tutela, non ci sostiene, come facciamo a progredire, evolverci, vivere normalmente in questo paese?

So che è una domanda che si pongono in molti e so anche che ahimé questo meccanismo accade in ambiti meno creativi e velleitari rispetto a quello della comunicazione e pubblicità, seppure "progresso", senza nulla togliere ai nostri mestieri dorati e un po' vani. (Ma la mia vocina buona invece mi dice: vani un corno, la scrittura e le immagini sono importanti per una società che funziona!).

Insomma, i motivi per essere giù di corda ci sono, eppure ognuno di noi ha ancora la possibilità di assaporare le proprie gioie, le proprie conquiste. Ricordate la storiella zen di quello che precipitando da un burrone resta incantato da una fragolina di bosco? Più o meno la vita mi sa che è questa cosa qui, burroni e fragoline di bosco.

Ciò detto, ecco gli appunti di questa ultima settimana settembrina che ho segnato sul mio taccuino, sono autoreferenziali, spero vi incuriosiranno comunque:

1) Salto il #SalTo? Salterei volentieri questa notizia, ma non posso. Ne leggo quotidianamente di robe sul Salone del Libro, mi viene da chiedermi perché le cose si siano complicate così tanto, poi mi ricordo che tutto nasce dall'avidità e dalle nevrotiche lotte di potere tra pochi e ritrovo un senso (di malessere ma vabbè). Cercasi urgentemente fragoline di bosco per distrarsi da sto burrone. Contestualmente, in questi giorni gira sul web un video che mostra lapalissianamente come noi donne riceviamo una paga, per qualsiasi lavoro, in media il 30% inferiore rispetto a quella degli uomini, veniamo insomma trattate come bambine sciocche. Altro? Ah sì, l'unico articolo un po' consolante che ho letto in questi giorni risale a ieri, spero sia attendibile, lo pubblica Repubblica. L'articolo dice che quello torinese sarà un "Salone di letture ad alta voce", e si relaziona a lungo su una proposta firmata Pautasso-Culicchia. Faccio il tifo per Culicchia, che ho avuto la possibilità di incontrare e presentare alcune volte e che ha anche presentato a sua volta il mio primo romanzo in una libreria cittadina che ora non c'è più. Il motivo della mia stima non è però per la conoscenza personale, dal momento che una persona famosa la conoscono in molti e non è un fatto pregnante, la mia stima nasce dal fatto che la proposta presentata su Repubblica seppur a grandi linee mi pare semplice e organica in continuità rispetto al passato e sostenibile per il futuro, coi piedi per terra. Nonostante la momentanea sfiducia, voglio dunque ricordarmi che Torino è anche casa mia e di chi verrà ancora a farci un salto per il #SalTo. 

2) Letture ad alta (e bassa) voce E siccome sarà un Salone di letture ad alta voce, vi ricordo, perché ci tengo molto, il mio laboratorio di letture che comincerà ai MagazziniOz di Torino questo 13 ottobre. Sono felice al solo pensiero, per una che da sempre ha la voce troppo bassa in diversi sensi, avere una possibilità del genere è una vittoria sui propri limiti :)! Leggeremo un capolavoro della letteratura mondiale come Il mago di Oz ma leggeremo anche testi piccoli, magari scritti da noi e ci rifletteremo su, e staremo in silenzio e ci parleremo quando sarà necessario nel rispetto della timidezza e pure della stravanganza di tutti. Per tutte le informazioni, qui. 

3) Letture in #TazzaGrande  La mia avventura radiofonica continua, se volete potete ascoltarmi tutti i mercoledì mattina alle 10 su Radio Banda Larga, qui una bella descrizione del programma. Un libro a settimana e un'immersione nel mondo di chi lo ha scritto, con musiche a tema. Questa è un'avventura cui tengo molto, e vi lascio una citazione dell'autrice di cui ho raccontato ieri in diretta (replica venerdì alle 14), ovvero Karen Blixen, per finire in allegria questo taccuino:

Spesso penso che oggi quello di cui abbiamo più bisogno è un grande umorista.

Insomma, passano i secoli, passano i millenni ma continuiamo ad aver bisogno sempre di stare bene, di comicità.


Intanto, il tempo è passato anche per me ed è arrivata l'ora dell'intervallo: vedo i bimbi della scuola sotto casa mia giocare all'aperto su un prato, sento ridere e gridare di allegria. W l'intervallo!

lunedì 26 settembre 2016

My cup of caffè

William S. Burroughs, Il gatto in noi, Adelphi (traduzione di Giuseppe Bernardi)

Per la rubrica dedicata alla letteratura anglofona, questo mese, sistemando un po' la mia libreria, è saltato fuori, con balzo felino, questo piccolo libro. 

Ho vissuto per ventiquattro anni con un gatto di nome Saltello (il quale, venute a mancare le doti atletiche cui alludeva il nome che, quando avevo quattro anni, ho scelto tra i personaggi di Richard Scarry, ha preso a chiamarsi, dopo diversi cambiamenti e varianti, definitivamente Cinzio), poi sono stata dieci anni senza gatto. Da un mese a questa parte ho un nuovo gatto che, in omaggio al Barone rampante di Italo Calvino, si chiama Cosimo. 

In tutto questo tempo passato con i gatti ho capito e sto capendo una cosa sola. Ovvero che non è assolutamente difficile accudirli, richiedono poche cose e poco costose: cibo e manutenzione della lettiera, un posto dove dormire. Niente che chiunque non possa fare. C'è una sola cosa che è davvero difficile fare per un gatto: dargli la felicità. O per lo meno, capire cosa esattamente li renda felici. Su questo punto aleggia il mistero. Hanno emozioni? Stanno bene? Ci sono studi al riguardo e senz'altro l'etologia, la veterinaria e la psicologia degli animali qualcosa lo ha compreso, tuttavia si continua a sapere poco. Puoi comprargli un giochino ergonomico all'avanguardia e lui preferirà una cimice che mangerà sotto i tuoi occhi attoniti ma al contempo sembrerà apprezzare i tuoi sforzi e ti osserverà dal suo mondo parallelo.  

Si sono scritte infinite cose sui gatti, trattati, manuali, articoli di giornale e romanzi.Vi consiglio senz'altro la bellissima poesia di T.S. Eliot, The Naming of Cats (Il nome dei gatti), sulla controversa questione dell'identità felina, oppure il meraviglioso romanzo giapponese Io sono un gatto di Soseki Natsume, solo per citare gli autori famosi e senza stare a ricordarvi quanta importanza hanno i gatti nei romanzi di Murakami Haruki, ad esempio.

Ma soprattutto vi consiglio questo, Il gatto in noi. 

Probabilmente la maggior parte dei lettori conosce questo autore americano per i suoi lavori più celebri, dei primi anni Sessanta, a ridosso dell'avvento della beat generation, di cui Burroughs faceva parte, tra cui Il pasto nudo o La macchina morbida. Forse, ma posso sbagliarmi, sono meno note le sue scritture successive, considerato che questo libro è uscito per la prima volta nel 1986 a tiratura limitata e successivamente nel 1992 a New York.
Questo libello si compone di diversi frammenti che di volta in volta raccontano del rapporto dell'autore con i gatti e più in generale con le creature animali e più generale ancora del legame tra uomo e animale. Molti di questi frammenti contengono episodi legati ai gatti con cui Burroughs ha vissuto, in particolare il grigioazzurro Ruski, ma ci sono episodi significativi legati a Calico Jane, Wimpy o Fletch. Fletch è un gattino nero con macchie bianche, come il mio e per chi fosse interessato alla faccenda vi dico che ci assomiglia parecchio e per coincidenza Burroughs lo incontra proprio nel mese e nell'anno in cui è nato il mio primo gatto, Cinzio.

Agosto 1984. James era in centro, all'angolo tra la Settima e la Massachusetts, quando ha sentito un gatto miagolare molto forte, come se soffrisse. E' andato a vedere e un gattino nero gli è saltato in braccio. (...) L'ho chiamato Fletch. E' tutto scintillio e splendore e fascino, ingordigia che si fa innocenza e bellezza. Fletch, il nero trovatello, è un animale squisito e raffinato, con una luccicante pelliccia nera, una lucida testa nera come di lontra, snello e sinuoso, con gli occhi verdi. (...) E' un maschio non castrato di circa sei mesi, ha chiazze bianche sul petto e sulla pancia.

Ma a queste pagine di cronaca di vita quotidiana seguono frammenti più letterari. 
Inverno nucleare... spaventosa tormenta di vento e neve. Un vecchio in una baracca, tirata su con le rovine della sua casa, si accuccia sotto trapunte strappate, coperte piene di buchi e tappeti sporchi, insieme ai suoi gatti. 

Ci sono storie molto emozionanti, altre minime. Gatti importanti, e gatti che compaiono una volta sola. Ci sono negozi di animali e piccoli consigli (ad esempio, il momento migliore per accarezzare un gatto è mentre mangia) e c'è una incisiva disamina delle differenze tra gatto e cane e una bella incursione nella cattiveria umana. 
In questo mondo virtuale dove i gattini sono diventati un cliché, leggere questo libro ci riporta alla realtà, alla storia semplice dell'addomesticamento di queste bestiole da parte degli uomini e dal ruolo di piccole divinità del focolare che svolgono da millenni. 

Infine, tornando alla felicità, Burroughs dice una cosa: Noi siamo il gatto che è in noi. Siamo i gatti che non possono camminare da soli, e per noi c'è un posto soltanto. 

Ha dunque un'intuizione, che dalle sue pagine emerge profondamente. Nel gatto troviamo noi, parti di noi, guide per noi, indicazioni di noi stessi. Da qui è allora facile capire perché sia così difficile la questione della felicità: il giorno in cui sapremo essere amorevoli con noi stessi, forse lo saremo anche con loro. I gatti vivono meno tempo di noi, ed è come se fossero qui a dirci che la vita corre veloce e che è vano trascorrerla trattandosi male. Se potete leggete questo elogio del gatto, staccate la spina dai gattini del web e immergetevi in queste pagine.
La sola idea che qualcuno lo maltratti! E' stato maltrattato già tante volte attraverso i secoli, il mio moretto Fletch con la sua pelliccia splendente e gli occhi di ambra.

giovedì 22 settembre 2016

Taccuino di caffè


Nel mio taccuino settimanale potrei appuntare tantissime cose, se ad esempio avete seguito un po' i miei post sul Salone del Libro, sapete quanto la vicenda mi appassioni eppure devo ammettere che le ultime notizie, susseguitesì al ritmo di una mitraglietta, mi sono un po' sfuggite. Gli attori in gioco si sono moltiplicati, le fazioni inasprite nelle loro posizioni e tutto si sta sfarinando. Alla fine, sembra quasi impossibile scrivere e ancor prima elaborare un qualche commento sensato: non resta che aspettare e vedere cosa succederà. Così, come si fa talvolta con le questioni troppo arzigogolate, nel momento in cui vengono a nausea, sospendo il giudizio e penso ad altro (sono sicura di essere in buona compagnia, in quanto a interdetta sospensione). Ecco dunque le mie tre notizie della settimana:

1) Laboratorio di lettura ad alta (e bassa) voce ai MagazziniOz. Ve ne parlerò di sicuro ancora ma comincio a dirvi che dal 13 ottobre ai MagazziniOz di Torino avrò la fortuna di condurre un laboratorio di lettura. La passione per i libri per me è iniziata così, negli anni Ottanta, in un laboratorio di lettura per bambini in una biblioteca della mia città. Ai miei occhi, quella era la cosa più bella del mondo e da allora non è cambiato molto. Leggeremo quindi insieme ad alta voce e ci confronteremo sui temi di un romanzo importante come Il mago di Oz, parleremo, ci sambieremo opinioni ed emozioni e vinceremo, se è il caso, almeno qualcuna delle nostre fragilità e timidezze, ricontattando la nostra unicità e quella degli altri. Leggeremo però anche a bassa voce, "a mente" come si diceva una volta perché c'è l'esigenza anche di concentrarsi e raccogliersi ogni tanto, ne sono convinta. Qualche volta scriveremo anche e ascolteremo l'esperienza di alcuni ospiti autorevoli. In una parola: farò del mio meglio per rendere questo ciclo di incontri utile e interessante. Per tutte le informazioni, qui.

2) Save Bag. Ancora ai MagazziniOz, vi segnalo un evento interessante: in occasione di Terra Madre Salone del Gusto, domani alle 12 (venerdì) verrà presentata Save Bag, la vaschetta antispreco ideata da Cuki nell'ambito del progetto Cuki Save the Food. Non so se sapete che ogni anno nel mondo si buttano 1,3 milioni di tonnellate di cibo ancora buono... e che il 2 agosto 2016 è stata approvata la "legge Gadda" contro gli sprechi alimentari. Dunque abbiamo un grande problema, ma anche qualche tentativo di soluzione. 
3) Bookonomy. Da un comunicato stampa di qualche giorno fa, ho scoperto questa piattaforma di vendita e promozione libraria. L'about del sito è molto filosofico e lo spirito è all'insegna del consumo critico, mi ha incuriosita. Il comunicato proveniva dalla casa editrice di albi illustrati per bambini Orecchio Acerbo (qui, un'intervista al riguardo) che è molto bella e vi consiglio di scoprirla, se non la conoscesta già. Read more...

mercoledì 21 settembre 2016

La mia avventura radiofonica e il libro misterioso



Vi raccontavo, la settimana scorsa, di un nuovo programma radiofonico che ho inziato a condurre su Radio Banda Larga.

Sono davvero felice perché Tazza Grande è un programma di libri: uno a settimana a colazione! Da tanti anni mi cimento alla radio - forse anche per via del mio cognome che, mai caso fu più azzeccato, è tutto un programma (radiofonico, appunto) - e mi piace tanto.

Non sono un genio della dizione, credo che sia facile identificare il mio accento piemontese. Ho i miei tempi, a volte parlo troppo a volte invece mi emoziono come fosse la prima puntata. Eppure un programma come questo è proprio un sogno che si avvera. 

Quando mi sono inventata (diffidate dalle imitazioni, mi raccomando ;) l'idea di accostare libri e caffè sul web, desideravo infatti trasformare l'appuntamento più rituale dei lettori italiani in qualcosa di costante e alla fine è successo, prima con questo blog e adesso anche con questa trasmissione. Da mercoledì scorso, quindi, nella bellissima libreria e torteria Luna's Torta di Torino ho cominciato questa nuova avventura radiofonisca e libresca. 

Oggi ho raccontato di un libro misterioso: Billy Budd di Herman Melville.


A proposito di fragilità e punti deboli, Billy è un giovane marinaio bello e buono che si imbarca su una nave da guerra inglese a ridosso della Rivoluzione Francese e che all'apparenza non ha difetti. Eppure Billy, nonostante l'affetto e l'ammirazione che riesce, con la sua buona fede, a conquistarsi a bordo, viene accusato di ammutinamento. L'accusa arriva dopo una serie estenuante di dispetti e intimidazioni per mano del suo unico nemico, l'invidioso e temibile maestro d'armi John Claggart. Billy, che è un'anima pura, in realtà un difetto ce l'ha: un problema di voce che talvolta si abbassa troppo e non riesce a uscire dalla sua bocca. Così, all'ennesima provocazione, perde il controllo e non riuscendo a reagire a parole, colpisce maldestramente Claggart, uccidendolo. Il capitano Vere, anche lui uomo onesto e di principi, si vede costretto a punire Billy con l'impiccagione, ben conoscendo la sua innocenza di fondo. 

Chi può nell'arcobaleno tracciare la linea dove finisce il colore violetto e comincia il color arancione? La differenza fra i due colori è chiara, ma dove l'uno entra esattamente nell'altro? Così è della pazzia e della ragione. Nei casi estremi non c'è dubbio alcuno. Ma nei casi meno definiti, in gradazioni intermedie, la linea che li divide è accessibile a pochi, a meno che non si ricorra a esperti professionisti e pagati. Non c'è nulla al mondo che non si possa intraprendere dietro compenso . In altri termini, ci sono casi nei quali è impossibile dire se un uomo è sano di mente o comincia a sragionare. 

Nella traduzione di Eugenio Montale, questo romanzo breve risulta essere proprio un testamento - pubblicato postumo nel 1924 - di un autore che per tanti anni si era già chiuso in un silenzio austero, considerate le molte difficoltà e gli insuccessi che lo affliggevano. 

Billy Bud è un romanzo imperfetto tanto pieno di errori quanto di simboli, proprio come Moby Dick. Del quale prende il mare e i conflitti inestricabili dell'animo umano. L'innocenza del giusto e la stolida crudeltà del nemico.

In radio, questa mattina, ho raccontato poi anche delle analogie di questo libro con un altro capolavoro letterario come Il ritratto di Dorian Gray che, forse non a caso, è stato scritto negli stessi anni. Un giovane bello e innocente corrotto dal "male" che è insito nella natura umana.

Come cercherò di fare in ogni puntata, ho infine tracciato un percorso di letture consigliate a partire da Billy Budd e una colonna sonora a tema. Ci siamo ascoltati, ad esempio, un estratto dalla riduzione musicale in opera di Benjamin Britten del 1951. Insomma, uno spasso. 

Spero davvero tanto che chi ha ascoltato si sia divertito e appassionato a questo romanzo. 

E spero che mi ascolterete tutti i mercoledì alle 10 in diretta (vi dirò appena possibile le repliche) sempre sulle non-frequenze di Radio Banda Larga!



martedì 20 settembre 2016

Il Laboratorio Formentini compie un anno - intervista a Luisa Finocchi - Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori

In questi tempi di articolate discussioni sul futuro del libro e dell'editoria, sulla mancanza o sovrabbondanza vuota di spazi veri di crescita e progetto, sono contenta di raccontarvi del Laboratorio Formentini. 

Forse molti di voi lo conosceranno già, ecco comunque qui il sito.

Il Laboratorio Formentini ha sede nell'omonima via milanese ed è uno "spazio per la valorizzazione del lavoro editoriale", dove si tengono quotidianamente corsi, conferenze, mostre e incontri proprio sul tema dell'editoria. 

"Valorizzazione" è una parola importante. Dare valore a questo lavoro. Per me è un segno di speranza: questo infatti è un lavoro per pochi e fortunati che riescono a viverci ma è giusto ricordare che ci sono tante persone, la sottoscritta inclusa, che si occupano di editoria e letteratura da anni, hanno superato esami e lauree e master e lavori di ogni tipo a pieni voti ma cui manca questa cosa: il valore. Dicono che sia una cosa da imparare a darsi da sé, ed è pure vero, ma è altrettanto giusto che ci siano spazi e istituzioni pronte a riconoscere la validità e il senso delle attività legate al libro, dalla scrittura alla promozione, dalla stampa al digitale. Sapere che esistono spazi dove dare dignità al lavoro e un luogo dove leggere, scrivere e studiare è allora incoraggiante. Siamo abituati infatti a prestare la nostra manodopera gratis, a sottostare a logiche che ci sfuggono e a scoraggiarci. E in questo delirio facciamo fatica a vedere forse i varchi che si possono aprire.

Invece tocca inventarseli qualche volta gli spazi. E il Laboratorio Formentini è in questa ottica un precedente significativo, qualcosa che prima non c'era. Spero davvero che nascerranno presto e in fretta altre realtà simili e anche in altre città.

C'è da aggiungere che domani il Laboratorio Formentini compie un anno e che nelle sue sedi ci sarà una festa ricca di eventi. Per questa occasione, mi è stato chiesto se volessi porre alcune domande a Luisa Finocchi che dirige la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e cui è affidata la gestione del Laboratorio



Ho accettato molto volentieri e qui di seguito c'è il risultato di questo breve ma spero interessante scambio. 
Un anno di vita in assoluto è breve, ma può risultare già significativo se si tratta di un calendario così fitto come è stato quello del Laboratorio Formentini. Domanda forse semplice ma doverosa: qual è il suo bilancio? Si aspettava una partecipazione così sentita? Quali sono state invece le eventuali criticità che ha riscontrato?
È' incredibile come il Laboratorio sia riuscito in così poco tempo a ritagliarsi una identità definita nel ricchissimo panorama delle offerte culturali milanesi:,questo è stato possibile da un lato perché si è posto come espressione di un distretto editoriale diffuso, attivo e vivace e dall'altro perché ha saputo da subito dare voce e a tutte le professioni che gravitano intorno al mondo editoriale - traduttori, illustratori, grafici, librai... - valorizzando il loro apporto. Non è dunque solo la quantità ma anche la qualità e la coerenza degli eventi e soprattutto la voglia di meticciare le competenze una delle ragioni del successo del Laboratorio. Certo bisogna imparare a lavorare insieme, cosa non facile certo, ma una sfida che vale la pena di affrontare.
Quando si parla di "futuro dell'editoria", le idee in campo sono sempre numerose e talvolta confuse. Pensa che uno spazio fisico permanente, come il Laboratorio Formentini, possa aver anticipato un'esigenza invece di maggiore concretezza ed essenzialità? "Meno parole vuote e più momenti di incontro" può essere uno slogan adeguato?
Il Laboratorio è il primo, e finora unico, spazio in Italia in cui si parla esplicitamente di editoria. Vale a dire che, di incontro in incontro, tutti gli operatori della filiera hanno la possibilità di fare sentire la propria voce, raccontare il proprio lavoro, condurre seminari. La cosa più bella di questo anno è che, se c’è stato un posto dove il mondo editoriale ha potuto, da una parte, formarsi e, dall’altra, ragionare su se stesso, le proprie contraddizioni e le prospettive, questo è stato il Laboratorio. Mi piace pensare che non si tratti di un posto dove si fanno presentazioni o si discute: ma che sia un posto dove si lavora.
Come è stato l'impatto sulle scuole? Quanto i ragazzi hanno potuto comprendere e "sfruttare" le molte possibilità offerte dal Laboratorio in questo anno di attività?
Le scuole hanno partecipato moltissimo, sia a livello numerico che per quanto riguarda l’impegno. Abbiamo fatto molti incontri, cercando di stimolare i ragazzi su questioni – quelle editoriali – che sono fondamentalmente loro ignote. La risposta è stata straordinaria e fa ben sperare per il futuro: sono curiosi, attenti e guardano al mondo dei libri come a un mondo affascinante, misterioso e dunque degno di essere esplorato. Naturalmente, perché tutto questo funzioni, c’è bisogno di istituti e professori che li sostengano, li pungolino e ci aiutino a far loro arrivare il messaggio che quello dei libri e dell’editoria è un mondo che li riguarda.

In che modo realtà digitali come blog letterari, community di lettori e altre forme di cultura veicolate dal web possono secondo lei incontrare il mondo fisico e "reale", collegato al territorio, come quello rappresentato dal Laboratorio Formentini?
Sono in tutto e per tutto, ormai, un ramo del lavoro editoriale come le agenzie, i traduttori, i grafici… basti pensare che, ormai, è il web la vera piazza dove si discute maggiormente di libri, e che la maggior parte delle recensioni più autorevoli si trova lì. Blog e communities sono anche, per un autore, un ottimo canale di promozione e discussione. Abbiamo invitato al Laboratorio, e ancora inviteremo, persone che animano il web letterario: è da loro che vogliamo un’opinione sul futuro della comunicazione letteraria, ed è fondamentale che si incontrino con operatori della filiera – i quali hanno sete di capire quali saranno le dinamiche di comunicazione di domani, perché è sul web che si giocherà la partita.


sabato 17 settembre 2016

Il libro del mese - L'omino rosso

Doina Rusti
Doina Rusti è una delle più interessanti e conosciute scrittrici romene viventi. La sua scrittura è uno quillo vitale in un panorama letterario contemporaneo pieno di vuoti, ma anche belle speranze. Un'autrice senz'altro impegnata - per le tematiche talvolta scomode e necessarie che ha trattato nei suoi sei romanzi - ma anche capace di leggerezza e sagace ironia. 





Ve ne parlo qui perché domani sera (sabato 17 settembre) alle 18.30 avrò il piacere di moderare un incontro proprio con lei e il suo traduttore e curatore professor Roberto Merlo in occasione del primo di tre appuntamenti dedicati agli autori romeni promosso dall'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia in collaborazione con la libreria Luxemburg.  Per maggiori informazioni, qui.

Uno dei romanzi della scrittrice che conoscerò domani (e spero anche molti di voi torinesi e non) su cui mi sono concentrata, e che vi propongo come libro di settembre, si intitola L'omino rosso. 

Pubblicato in Italia nel 2011 da Nikita Editore (nel 2004 in Romania), L'omino rosso è un romanzo sperimentale e al contempo pienamente classico, una storia iper-reale ma a bagno completo nella realtà virtuale, una storia allucinatoria e tenera, di amore e disillusione. 
Protagonista principale è Laura Iosa, una donna sulla quarantina che vive sola e un po' emarginata nella Bucarest dei primi anni Duemila, alle prese con un opprimente precariato sia lavorativo sia emotivo, aspirante scrittrice, tenta di lavorare in editoria ma le varie concorrennti che lei chiama "lolite" (più per atteggiamento che per età anagrafica e pronte a tutto pur di farsi strada nel mondo delle sacre lettere) le soffiano i progetti sotto al naso, aspirante innamorata di uomini sempre sbagliati. Una persona fragilissima che alla fine fa quello che in quegli anni hanno cominciato a fare in molte anime sperdute: trova rifugio nella Rete.

L'emozione di ricevere risposte alle sue mail, l'interessamento di esseri umani, come Andrei che dirige una rivista letteraria e le crea un sito tutto suo, seppur virtuali, che pare finalmente autentico e un riscatto che sembrava non arrivare mai e infatti...

Infatti tutto si ridefinisce in seguito all'incontro con il piccolo "omino rosso" del titolo: una sorta di presenza spirituale eppure incarnata in una creatura dalle sembianze concrete che le appare in casa e le parla, intenzionato addirittura a esserle d'aiuto. Qui, come si intuisce, l'autrice ci traghetta dalla realtà a un mondo onirico che si potrebbe definire, come suggerisce il professor Merlo, nell'ambito del genere letterario del new weird. Da questo momento in poi, infatti, Laura incontrerà una sorta di mondo parallelo - in tutto simile all'agognata "second life" di antica memoria - definito l'alazar
In questa sorta di mondo che assomiglia anche un po' all'aleph borgesiano, Laura si perde per poi ritrovare il filo frammentato del suo destino in una sorta di auspicato ritorno a casa. 

Sul confine labile tra salute e malattia, reale e fantastico, misticismo e quotidianità, questo libro esplora, attraverso uno stile fresco, una possibilità distopica che mi ha ricordato letture recenti come Il Cerchio di Dave Eggers, Panorama di Tommaso Pincio o il più lontano nel tempo Storia d'amore vera e supertriste di Shteyngart. 

Alla base di tutto questo percorso fisico, reale, virtuale ed esistenziale - al limitare delle considerazioni stilistiche e strutturali della composizione narrativa -  alla fine Laura mostra a noi lettori qualcosa di molto semplice e universale: la ferita e la mancanza d'amore e di equilibri porta sempre troppo lontano dal cuore delle cose, e di sé, distanti dal valore della vita stessa. L'esigenza antica di metterci in contatto gli uni con gli altri è tutto quello che si può assecondare oggi, con i nuovi supporti, come nel passato, con il filtro però del senso del limite, del confine. 

Ode a questo genere di romanzi! che ci immergono in uno specchio abbastanza fedele, seppure artistico, di quello che rischiamo, di quello che possiamo evitare e di quello che invece ci ha facilitato la vita, ci ha aperto anche nuove possibilità, come il web che non solo ci cattura nella sua rete, ma, se impariamo a usarlo, sono sicura che ci può restituire tesori. 

giovedì 15 settembre 2016

Post del cuore - le cose che accadono

Virginia Woolf, Le cose che accadono, Einaudi

Ho scritto quasi duemila post su questo blog. In quasi dieci anni. All'inizio raccontavo fatti personali (non troppo come va di moda adesso, ma certo più di quanto faccio ora), raccontavo sensazioni ed emozioni profonde e talvolta in disordine e libri, scaffali di libri che - nel raccontare - riordinavo nella mia memoria come in un grande archivio privato che diventava condiviso. Raccontavo anche di persone che incontravo per strada, nei luoghi pubblici e persone della mia vita. Raccontavo di film, di spettacoli, di paure e sogni. Raccontavo, e raccontavo. E lo leggevano in pochi. Dopodiché hanno iniziato a leggerlo "in tanti". Numeri mai così clamorosi, ma costanti nel tempo. Al punto che la sensazione per sommi capi è quella che, in questo ambiente editoriale, "mi conoscano tutti", o parecchi diciamo. Ho ricevuto infatti moltissimi inviti e libri e il computo degli autori che ho intervistato non lo ho ancora fatto, ma potrebbe sorprendermi, e fare curriculum. 

A un certo punto però ho avuto un momento di crisi: tanta fatica, poche soddisfazioni e zero euro. Mi sono sentita a terra, e, semplicemente, come bisogna fare se si vuole vivere, poco dopo mi sono rialzata. Adesso ho creato un piano editoriale! Ho delle rubriche fisse. Scelgo di che libri parlare e dove andare. Quando anni fa mi chiedevano, tutti basiti, "ma ti pagano?" per le mille cose che facevo (presentazioni, incontri etc.) mi vergognavo a rispondere hem, no. O molto poco. Adesso è chiaro a tutti che non mi pagano ma decido di più cosa fare e ho il tempo per cercare altri lavori, nonostante i tempi difficili. E sono semmai io ora a domandarmi, ma non avrei forse il coraggio di chiederlo vis à vis, se le altre autrici o blogger più famose le pagano per fare le stesse cose. Tuttavia, non ha poi così importanza alla fine, perché ognuno ha il suo percorso e il mio grande cruccio di non aver ancora "fatto i soldi" con questo blog rimane una questione privata, magari psicologica, in ogni caso una mia sfida a conoscermi meglio e a vedere se so uscire dallo stallo. C'è da dire che sento e so, nel mio piccolo, di aver "fatto scuola" e quasto paga intimamente e mi rende fiera. Poi se volete a tutti i costi pagarmi e darmi lavori fate un fischio che non dico di no!

Perché questa premessa? Perché questo post? Perché prima ero lì, intenta a organizzarmi la giornata, finalmente al fresco dopo molte settimane di canicola che a me non piace, mi rende apatica. Insomma ero qui, con il gatto Cosimo (come il Barone rampante!) seduto di fianco, come i veri scrittori! a pensare a come gestire il presente e pure il futuro casomai e a trovare il senso delle cose che mi accadono e ancor di più a quelle che non mi accadono e ho visto un libro molto grande che a sua volta "mi guardava" dallo scaffale. L'ho preso, ed è un mattone che mi porto dietro da tanti traslochi. Una raccolta di lettere di Virginia Woolf, una delle scrittrici più famose di tutti i tempi. LA scrittrice per antonomasia, quella di Una stanza tutta per sé. Quella che ha inventato e sofferto e che ha deciso di farla finita, che non ha potuto curare il proprio dolore o chissà.

Apro il librone, che conosco abbastanza bene, e ogni volta mi sorprendo a leggere di vita quotidiana, sentimenti, frustrazioni e sensibile amore. 

Dire la parola "cuore" innalza in chi legge molte difese, lo so. Per tanto tempo ho creduto anche io che fosse stucchevole chiamarlo in causa. In un'epoca che alimenta l'ego a cuoricini, ci sta. Eppure qualche volta è proprio il cuore, come muscolo, come sensore dell'anima (altra parola tabu) che dice le cose, che decodifica le cose che accadono. 

Diciamo così: il mio cuore mi ha "dettato" questo post. Ha battuto aritmicamente per chiedermi di dirvi che sono sempre qui, a scrivere. Ho a cuore (sic) questo spazio, che mi ha dato identità. Ci ho messo anni a dargli valore, ma forse è tempo che sappiate che ci credo davvero, o se non io per lo meno quella parte di me che vuole "comandare", come si dice di questi tempi, e lo dico in senso buono, comandare sulle decisioni non sugli altri, beninteso.

Questo è anche per dire che anche quando la stanchezza o la paura di non farcela sembrano prevalere, leggo le mail che mi mandate, ricevo i libri che mi spedite, incrocio le dita per le mail e i libri che invece spedisco io o che vorrei scrivere. In una parola, come dice Wislawa Szymborska, anche per me, come per tutti, "il libro degli eventi è sempre aperto a metà".

E buone letture!

mercoledì 14 settembre 2016

Taccuino di caffè


Buonasera! Questo taccuino serale è più di appunti presi su cose belle accadute negli ultimi due giorni che non una proposta di eventi ma spero vi piacerà comunque. 

Ieri sono stata a Milano, nella sede della casa editrice NNE. Il motivo è stato l'incontro con lo scrittore americano David James Poissant, di cui avevo letto a giugno la raccolta di racconti Il paradiso degli animali, potete leggere il post qui. L'incontro è stato particolarmente significativo. Poissant ci ha raccontato delle sue abitudini di scrittura, del suo rapporto con gli animali e della sua storia di figlio della working class che è riuscito, grazie alla propria tenacia e all'amore per la scrittura, a studiare, diventare scrittore e insegnante di scrittura creativa (e a mettere su famiglia). E di molto altro ancora. Insomma, un bellissimo esempio di speranza. 

Se non lo avete ancora fatto, provvedete alla lettura di questi racconti spietatamente autentici.




















Un'altra cosa molto bella che è successa di recente (stamattina) lo è a un livello più personale. Ovvero è cominciata per me una nuova avventura radiofonica. Da oggi e per tutti i mercoledì, dalle 10 alle 11 del mattino, condurrò, dai locali della libreria e torteria Luna's Torta, un programma radiofonico cui tengo molto. Si chiama Tazza Grande. 

Il logo è sempre di Gerald Bala, che ringrazio di cuore.

Sarà, nelle intenzioni, un po' la versione radiofonica di questo blog e vorrei parlare di un libro a settimana. Spero mi accompagnerete in questa avventura!

lunedì 12 settembre 2016

Tazzina di sakè




Per la rubrica dedicata alla letteratura orientale, oggi proseguo e concludo un percorso cominciato  qui. 



A maggio, a ridosso del Salonbe del Libro, ho avuto l'opportunità di incontrare e intervistare le vincitrici dell'edizione 2016 del premio letterario più importante dedicato alla scrittura femminile e nello specifico ai racconti di donne straniere in Italia. Ho un legame di lunga data con questo premio, dal momento che sono stata madrina anche a una premiazione relativa alle tesi di Laurea dedicate al premio stesso: per saperne di più, ecco qui.  

Oggi, a proposito di Oriente, vi propongo allora le risposte di  Luisa Zhou, vincitrice del Premio Speciale Slow Food-Terra Madre 2016 con il racconto (S)corri nelle mie vene. Sottopelle.

Luisa è un'autrice cinese giovanissima, classe 1995. Queste sono le motivazioni per il premio:  

Luisa è riuscita a raccontare le difficoltà legate all’appartenenza a un luogo per chi è nato/a lontano dalle proprie radici. Gli ostacoli incontrati nella ricerca del “sentire” un’identità, quando si è sospesi tra due mondi, sono descritti con grande limpidità e maturità dall’autrice


Queste sono le domande che ho rivolto a lei e alle altre premiate:


1) "Rubando" un'espressione utilizzata anche da Ernesto Ferrero nel suo discorso durante la cerimonia di premiazione, quali sono le potenzialità e quali i limiti della lingua (sia la vostra lingua madre che l'italiano)?
 2) Una parola, un aggettivo che possa definire la vostra lingua madre e una che definisca per voi l'italiano...
3) Quali emozioni vi legano alla scrittura? 

Ed ecco le risposte di Luisa (cui faccio il mio "in bocca al lupo" per il suo futuro da scrittrice):




1) Ho sempre immaginato la lingua come un ponte o una galleria, qualcosa capace di comunicare e - soprattutto - di far comunicare. Una delle sue tante potenzialità, infatti, risiede nel fatto che, per "funzionare" davvero, ci debba essere un altro - che sia un altro fatto di carne e ossa o un altro riflesso della stessa persona. Spesso anche il silenzio può essere un ottimo interlocutore e le parole lanciate contro il suo muro trovano eco nel profondo. Ma ciò che più sorprende è il potere creativo della lingua, in grado di dare un nome alle più svariate sensazioni umane. In grado di intrecciare fili su fili e dipingere quadri e ritratti incredibili.
La mia lingua madre è l'italiano, e non credo possa esserci un'altra lingua capace di rappresentarmi tanto. Il cinese è qualcosa che ho appreso più recentemente e, pur avendo una grandissima forza espressiva e una poesia senza eguali, non è la lingua che sceglierei per raccontarmi. 
I limiti del linguaggio? Credo coincidano con i limiti che uno si pone.

2) Italiano, intensità.
Cinese, musicale.

3) La scrittura è sempre stato un rifugio speciale, ma soprattutto un modo per affacciarmi alla vita senza troppi timori. Ciò che mi lega alla pagina scritta sono sensazioni di amore, odio, rabbia, gioia, sospensione - tutto si riversa lì, fra una virgola e l'altra. Scrivo perché alcune storie non riescono a rimanere sopite e gridano a squarciagola il loro diritto di essere raccontate. Scrivo per dare un ordine al groviglio di emozioni che sento, giorno per giorno. Scrivo per smuovere le mie certezze e rendere caotici i miei "sono sicura che". Scrivo per conoscere, conoscermi, scavare, scoprire. Ricordare.
Scrivo perché le mie dita non riescono a fermarsi e continuano a danzare sulle note di una vita che è.


venerdì 9 settembre 2016

Taccuino di caffè - Salone del libro edition #2


Sul mio taccuino settimanale, oggi, annoto questo. Sono stata alla assemblea che si è tenuta nel pomeriggio al Circolo dei Lettori indetta per e dagli editori indipendenti che, alla luce delle ultime decisioni dell'AIE (Associazione Italiana Editori), hanno scelto di trovarsi tra loro e discutere.

All'ordine del giorno, un numero considerevole di punti stilati per sancire il proprio amichevole sostegno all'agonizzante (o supposto tale) Salone del Libro di Torino

Fresca di poche ore è infatti la notizia che si terrà, un mese prima della kermesse sabauda, un Salone del Libro di Milano, in aprile, già sarcasticamente ribattezzato "Spa" del libro da taluni giornalisti. 

(Tralascio la desolante tristezza nel leggere articoli su carta e stampa nazionale zeppi di refusi e marchiane inesattezze). 

Comunque. 

Sono stata ad ascoltare purtroppo per troppo poco tempo, un'oretta scarsa a fronte delle tre ore e mezza paventate di riunione. Ho potuto assistere all'introduzione di Gaspare Bona (Instar Libri e Blu Edizioni), all'intervento di una serie di editori indipendenti (Golem, Nutrimenti, Sui Generis tra gli altri) e un pezzetto dell'unica voce "contraria" o per meglio dire scettica - che infatti poi non ha aderito alla nascita dell'associazione Amici del Salone del Libro di Torino) di Giuseppe Laterza. 

(Il quale, ironia della sorte, sembrava proporre proprio "la terza" via rispetto alle due "fazioni" contrapposte).

Insomma. 

Lo dico con sincerità: invidio profondamente chi di voi abbia, sulla faccenda, le idee chiare. Invidio la sicumera dell'AIE, l'apparente romanticismo dei "piccoli" editori (ma siamo sicuri che alcuni non siano squaletti travestiti da pesci azzurri pure loro?) e invidio chi propone una via di mezzo (andare sia a Torino che a Milano poiché la cultura non ha confini etc.).

Beh, io non sono coinvolta in nessuna di queste categorie (vedi alla voce "blogger" o "giovani" autori in erba?) e al momento non lavoro per nessuna casa editrice sicché mi sento tranquilla e libera di non capirci niente o anzi di capire fin troppo bene che qui si naviga in acque burrascose e opache, dove viene il mal di mare) e tuttavia non saprei esprimere un'opinione tanto netta riguardo queste amare vicende. 

Oggi pomeriggio, sì, tirava un vento di preoccupata novità: è sempre positivo assistere alla promessa di un cambiamento, ma non abbiamo studiato il Gattopardo a scuola invano. La paura infatti è proprio quella che alla fin fine i giochi siano giocati sempre alla stessa maniera, rischiando il vampirismo, considerato che ci tocca ricordare il vero motivo per il quale siamo a discutere. L'ho già scritto qui nel mio spazio personale la settimana scorsa, lo ribadisco. Il problema non sono solo i faccendieri milanesi, il problema è stata anche la "nostra" serietà o meglio la sua assenza ingiustificata. E i faccendieri di casa nostra.

La questione, nel profondo, cari Amici del Salone, cara AIE, caro tertium (non) datur continua a non essere fatta di temi o contenuti, promozione della lettura o paesi ospiti, varie o eventuali. L'unico vero concetto urgente figurava oggi solo nella parte finale di uno dei molti punti dell'ordine del giorno ovvero: trasparenza gestionale

Oggi si respirava un'aria un po' carbonara, buffo addirittura che capitasse in un giorno simbolico come l'8 di settembre, e di fatto una questione davvero pratica s'è discussa, e riguardava la presenza dei piccoli editori all'incontro del 12 settembre a Roma, ma credetemi, a un occhio sia interno che esterno come può essere il mio la sensazione è stata di disordine, non meno grande della cinica intraprendenza messa in campo dai temibili "milanesi". 

Per me la questione resta immutata: tocca diventare più seri sul serio. La faccio troppo facile vero? O forse fino a ora siamo stati troppo contorti? Continuo a latere a credere che un'immersione (anche solo andata-ritorno per carità) nel cosiddetto mondo reale, a noi dell'editoria, non farebbe male. 

Per finire, credo proprio che tocchi maturare e smarcarsi dalle formule fatte, da rituali vuoti, dalle solite facce. Continuare a giocare i giochi di potere - a qualsiasi livello - ci farà a pezzi o peggio: ci farà rimanere tutti interi e uguali a noi stessi.




martedì 6 settembre 2016

Chicchi di caffè

Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori - Roald Dahl, Boy, Salani

Le vacanze sono un lontano ricordo ma - e credo possiate condividere questo sentire con me - c'è voglia di spensieratezza e leggerezza (naturalmente di tipo calviniano).

Ed ecco perché, per la mia rubrica sugli accostamenti letterari e le comparazioni libresche, ho scelto due romanzi (o per meglio dire un romanzo e un'autobiografia) assai leggiadri.

Il barone rampante di Italo Calvino è uno delle più autentiche e straordinarie avventure per ragazzi (e non solo, come si usa dire in questi casi) mai scritte da mano umana. Si basa su un'idea semplice e archetipica: la ribellione di un ragazzino di dodici anni di nome Cosimo Piovasco di Rondò che, dopo una litigata con il padre, decide di vivere per il resto della sua vita sugli alberi, riuscendoci. Cosimo, con la sua scelta, mette una definitiva distanza tra sé e gli altri, o forse solo tra l'infanzia e l'età adulta, costruendosi e al contempo esplorando un mondo a propria misura. Il barone rampante fa parte della trilogia "i nostri antenati" insieme al Visconte dimezzato e al Cavaliere inesistente, tre storie fantastiche, storiche e allegoriche che costituiscono una delle massime espressioni dell'arte di Calvino e della letteratura in generale.

Ma tornando a Cosimo:

Che Cosimo fosse matto, a Ombrosa, s'era detto sempre, fin da quando a dodici anni era salito sugli alberi, rifiutandosi di scendere. Ma in seguito, come succede, questa sua follia era stata accettata da tutti, e non parlo solo della fissazione di vivere lassù, ma delle varie stranezze del suo carattere, e nessuno lo considerava altrimenti che un originale.

La storia di questo ragazzino è la storia di tutti quelli che si sentono, o sono in effetti talvolta nemmeno senza averlo proprio scelto, originali, diversi. Spesse volte sono artisti, ma non necessariamente. Si tratta di persone che qualche volta fanno a pugni con se stesse per domare quella parte lì, ma alla fine vince lei, la "sana follia" che detta le regole delle loro vite. 

E di una di queste vite si parla dunque anche in Boy, l'autobiografia di Roald Dahl.

Il 13 settembre ricorre il centenario della sua nascita, e anche io qui allora voglio celebrare questo autore così importante per la letteratura mondiale per ragazzi, e non solo (come si usa dire in tali circostanze).

Anche qui c'è lui, un vivace e giocoso ragazzino che si ritrova in una famiglia numerosa e ricca di idee, drammi volti in opportunità e amore. Questa mia edizione Salani è bellissima, con illustrazioni di Quentin Blake e tante foto. La narrazione percorre tutta la sua infanzia tra fratellini e le magiche immagini che avrebbero poi composto i suoi racconti più celebri, in futuro. Veramente un bel libro da gustare. Ed ecco cosa dice il buon Roald, una volta diventato adulto:

Dopo due ore passate a scrivere, il romanziere si sente completamente svuotato. Durante quelle due ore si è trovato mille miglia lontano, in un altro luogo, in compagnia di gente totalmente diversa, e lo sforzo che deve fare per tornare indietro a nuoto, nel presente, è assai grande. E' quasi un trauma. Lo scrittore esce dal suo studio mezzo inebetito. [...] Bisogna essere pazzi per fare gli scrittori.  La loro sola compensazione è l'assoluta libertà. Il loro unico padrone è la loro anima ed è per questo che hanno fatto quella scelta, ne sono certo.

In una parola: che siate scrittori o meno. Che siate romanzieri o meno. Che siate ragazzini dispettosi di dodici anni o meno, auguro a voi e a me stessa quell'unico tipo di follia che rende liberi.